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Quest’anno c’è disorganizzazione.
Devo ancora occuparmi di doni e impacchettamenti, non abbiamo fatto l’albero (OTTONE VON ACCIDENTI), non ho in casa manco una lucetta sbarluccicosa e c’è, in generale, una certa carenza di spirito festivo. Nel tentativo di tenere alla larga il Fantasma del Natale Futuro – quello con la falce, per intenderci -, ho però deciso di occuparmi di voi. Perché è stato un anno molto felice per Tegamini. Sono riuscita a fare una quantità di cose davvero splendide, mi sono divertita a raccontare un mucchio di stupidaggini e a condividere anche parecchie novità cambiavita, roba di cui – di solito – si chiacchiera con autentica gioia soltanto con gli amici più cari. E tutto questo succede perché, sparsi qua e là, ci sono esseri umani adorabili che continuano a venire a vedere che cosa combino, che leggono, commentano, condividono e incoraggiano. E io sono contentissima. E che fa una persona contenta a Natale? Fa dei donini.

Ora.
Volevo fare una di quelle belle foto coccose con i colorini caldi e amichevoli, da pubblicità dell’Ikea con Babbo Natale che viene a casa tua perché gli hai offerto la cioccolata. E invece no. È uscita una roba degna di quel pezzo di Nightmare Before Christmas con tutti i mostri che fabbricano i giocattoli coi ratti decomposti.

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È proprio tremenda, non sto scherzando:

regali tegamini 2013

Immagini lugubri a parte, però, tutte quelle cose lì finiranno in una capiente busta che sarà recapitata a un fortunato lettore di Tegamini. Vi spiego i donini che ho amorevolmente raccolto per voi e poi vi spiego anche come si vincono (al solito, servirà un PhD).

***

I Tegamini-regalini

  • Un disegno prodotto da me medesima quando ancora disegnavo. È la nuvoletta-lampadario. Se non ci fosse lei, col cavolo che vedremmo le stelle.
  • Un prezioso DVD: Il gatto che veniva dallo spazio. Un film di disarmante ingenuità che ho adorato da piccola e che l’universo tutto dovrebbe vedere a rullo. In pratica, c’è un gatto alieno con un collare di strass che fa dei prodigi.
  • Gli adesivi dei Barbapapà che fanno finta di essere delle bestiole dello zoo.
  • L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono, una storia di rara grazia che vi spappolerà il cuore.
  • Harry Potter e la pietra filosofale. Non l’avete letto? Eresia! Cominciate subito. L’avete già letto? Regalatelo a qualcuno che ancora brancola nelle tenebre.
  • Un indispensabile pulisci-schermo a forma di pesce palla.

***

Se queste cosine vi piacciono e volete provare a farvele regalare, lasciate un commento pieno d’ispirazione a questo post. Scriveteci possibilmente due cose: UNO) perché sentite di meritarvi moltissimo i Tegamini-regalini, DUE) consigli per migliorare Tegamini (cosa vi piace, cosa non vi piace, cosa manca, cosa ha stufato grandemente… insomma, tutto è utile). Visto che sorteggio sempre, questa volta non si sorteggia. Con l’aiuto di Ottone von Accidenti – nell’inedita veste di presidente di giuria – sceglierò un commentatore del cuore e gli catapulterò a casa tutto quanto. Non arriverà mai per Natale, ma magari per l’anno nuovo sì. La raccolta-commentini finisce domenica 22 dicembre allo scoccare della mezzanotte.

Ci piace?
Spero tanto di sì.

Grazie ancora per tutto l’affetto che sprigionate, in bocca al lupo e tanta biada per le renne.

byatt ragnarok tegamini

Dunque. Dipende un po’ da come siete voi. Se desiderate accumulare una conoscenza enciclopedica e puntigliosissima sui miti nordici – con tanto di spatafiata etimologica per ogni parola che incontrate, gioiosi percorsi tematici trasversali, profili accuratissimi sulle principali figure e divinità, storia delle bestie, storia del mondo, usi e costumi e becchime prediletto dei corvi spioni di Odino -, ebbene, se avete bisogno di tutte queste cose potete comodamente lanciarvi sui Miti nordici di Gianna Chiesa Isnardi. Lo pubblica Longanesi e male non vi farà. Se, invece, siete personcine un po’ trasognate e meravigliabili, pronte a rimanere a bocca aperta davanti a un gigante di ghiaccio, allora vi conviene leggere fortissimo Ragnarök di A. S. Byatt.

Ma che succede in questo libro? Niente, madama Byatt ci racconta la storia di una “bambina magra” che fugge da Londra allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Va in campagna con la sua mamma, per stare più al sicuro. Suo padre è partito per l’Africa e tutti a Natale gli fanno un brindisi propiziatorio di torna-presto-sano-e-salvo, ma senza particolare convinzione… che è meglio non sperarci troppo, quando qualcuno fa l’aviatore. La bambina magra passeggia per i prati, guarda i fiori che crescono, va a scuola, va in chiesa a farsi venire dei gran dubbi e, soprattutto, legge Asgard e gli dèi. È un librone che comincia con la creazione del mondo – ci sono Odino, Vili e Vè che fanno a pezzi un gigante d’argilla e ci impastano l’universo – e finisce con il Ragnarök – divinità che si annichiliscono vicendevolmente mentre la struttura della materia collassa in un ribollire di fulmini e abissi oscuri.

Odino prese Hel e la gettò verso Niflheim, la buia terra delle nebbie e del freddo. Lei rimase rigida, come una freccia tirata da un arco, un missile dalla punta aguzza, ancora e ancora, giú giú, cadde per nove giorni attraverso la luce del sole, della luna e delle stelle, oltre i cocchi in gara del Sole e della Luna, oltre le cime degli abeti e le loro radici, giú nei pantani e le paludi senza luce di Niflheim, attraverso il freddo torrente di Giöll e dentro Helheim, dove avrebbe regnato sui defunti umani che non erano abbastanza fortunati da morire in battaglia, un regno di ombre.
Il ponte sul fiume Giöll era d’oro, di ferro il recinto di Hel, alto e insuperabile. Dentro il tenebroso palazzo, un trono attendeva quella creatura ammaccata, livida, la dea, la figlia mostruosa, e su un cuscino nero c’era una corona, fatta con oro bianco, e pietre di luna, perle come lacrime congelate e cristalli, come brina. Quando sollevò la corona, e la bacchetta posata lí accanto, i morti cominciarono a confluire nel palazzo come pipistrelli sussurranti, innumerevoli, insostanziali. Lei diede loro il benvenuto, senza sorridere. Quelli le giravano intorno, fischiettando debolmente, e lei fece portare piatti, con i fantasmi di frutta e carne, e ampolle, dentro le quali aleggiavano fantasmi di idromele e vino, con bollicine fantasma all’orlo.

Che gioiona immensa.
Madama Byatt
, che riuscirebbe a rendere avvincentissimo anche un sasso, usa la storia e la sensibilità della bambina magra come super cornice e, tra fonti della conoscenza, fronde luccicanti, pellicce ispide e spettacolari terrori, riscrive per tutti quanti noi i miti più significativi della mitologia nordica. Se pigliate la Gianna Chiesa Isnardi, vi accorgerete che in Ragnarök non c’è tuttotutto, perché non serviva che ci fosse niente di più. Ci sono i miti indispensabili, quelli che fanno procedere il carrozzone delle divinità verso l’inevitabile cataclisma finale. Ci sono i grandi pilastri del mondo (il frassino Yggdrasil, l’uncinone sottomarino Randrasill, il ponte-arcobaleno), c’è la storia dei tre figli di Loki (la serpentessa di Midgard, Fenris e Hel, la regina bicolor dell’oltretomba), c’è la morte di Baldur e c’è la devastazione totale, coi lupi che divorano gli astri e il buio che si mangia pure le belve. Tra dèi che gozzovigliano, valchirie che garriscono, cavalli a otto zampe ed esplosioni di pura cialtronaggine ultraterrena – perché gli déi sanno che il mondo finirà, ma non hanno la forza di fare niente per evitarlo… e continuano a bersi delle birre imponenti e a tirare addosso roba a Baldur, che tanto lui è invulnerabile -, questo librino è un beato galoppo in un universo magico, una saggia riflessione su quello che di più tremendo potrà mai capitarci e una bellissima collezione di fantasie pure. Alcune sono luminose, altre fanno paura, come se le nostre teste – come quella del gigante che ha prestato la calotta cranica a Odino per farci la volta del cielo – fossero piene di lupi che corrono coi dentoni aguzzi di fuori. Insomma, se avete bisogno di qualche sano OOOH e anche di qualche AAAH, questa inesorabile discesa verso il crepuscolo degli dèi vi farà splendere gli occhioni ben più della chioma di Frigga. E vi farà diffidare per l’eternità del vischio. E dei salmoni.

tegamini s abrams dorst

Che io ami follemente BadTaste.it è risaputo. Che loro, ogni tanto, trovino la forza di ricambiare questo mio sentimento è meno scontato. Un po’ di tempo fa avevano deciso di pubblicare un mio sproloquio fangirlistico su IronMan 3 e adesso, in nome di tutto ciò che è sacro e bello, hanno ospitato un nuovo Tegamini-post, la recensione del MIRABILE S. di J. J. Abrams e Doug Dorst. Travolta dall’entusiasmo, ho pure fatto un video in cui cerco di sfogliare il misterioso tomo – con una goffaggine senza pari -, spiegando com’è fatto e che c’è dentro, tra un gridolino e l’altro. Dico MAGICO un sacco di volte e ad un certo punto mi esce anche una splendida GAFF, ma è comunque un filmato molto istruttivo.

Comunque.

Leggetevi la recensione su BadTaste.it e divertitevi alle mie spalle con lo sfoglia-sfoglia videotour.

E grazie ancora al prode A. F. B. – dopo S. diventerete fan scatenati degli acronimi – per l’ospitalità. È sempre un immenso e fiammeggiante onore.

Vi sentite in dovere di leggere Infinite Jest perché la gente generalmente reputata intelligente dice di saperlo a memoria e siete stufi marci di tutte queste vanterie?
Volete leggere Infinite Jest perché vi piace David Foster Wallace ma non ce la vedete dentro?
Eravate lì lì per leggere Infinite Jest ma poi un vostro carissimo amico vi ha detto che si è arenato a pagina 30 e vi siete scoraggiati?
Siete personcine tenaci e piene di buone intenzioni, ma la prospettiva di affrontare 1280 pagine in questo momento della vostra vita vi atterrisce e sgomenta?
Animo!
Leggere Infinite Jest non è troppo difficile, se qualcuno decide di incoraggiarvi un po’. Non dico che diventi una passeggiatona liscia liscia, ma non sarà nemmeno l’incubo quadridimensionale che potrebbero avervi raccontato. Le note hanno delle note! L’ho iniziato sei volte e volevo morire con la testa nel microonde! Per carità, in quel tempo lì leggo altre venti cose! Figurati, non si capirà nemmeno come finisce!

Obiezioni rispettabilissime. Ma siamo lettori, mica pavidi opossum, e si può fare.

In questo post – che ha il preciso intento di innalzare di una tacca il livello di meraviglia media contenuta nell’universo -, troverete alcuni utili mattoncini base per affrontare Infinite Jest con la serena caparbietà di una gigantesca nave rompighiaccio. Senza frottole e infiocchettamenti, ma con la sincera e autentica fierezza del lettore che ce l’ha fatta, tra innumerevoli OOOH e AAAH di gioia e divertimento. Perché se ci sono riuscita io, che ho lo span di attenzione di una locusta, non vedo perché non ci si possa riuscire in un po’ più di gente. Che così poi ne parliamo… o andiamo in riabilitazione tutti insieme.
Pronti?
Pronti.

L’Infinite-Guida è fatta così:
– Un confortante preambolo d’esperienza personale
– Spezzettiamo l’universo: mini-geografia di Infinite Jest
E le persone, come la prendono? Mini-sociologia di Infinite Jest
– Ma alla fin fine, di che parla?
– Facciamo amicizia: chi c’è dentro a Infinite Jest
Tutto chiaro. Ma PERCHE’ dovrei leggere una roba del genere?

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Un confortante preambolo d’esperienza personale

Ho letto Infinite Jest in un mesetto e mezzo. Ho cominciato in spiaggia (fase riposante della vita) e ho finito l’altra sera sul divano di casa (prolungata fase di spossatezza da lavoro che ricomincia). L’ho iniziato all’improvviso: dovevo andare in vacanza e l’ho buttato in valigia, gridando qualcosa tipo COWABUNGA. Ne avevo ben due edizioni, in attesa sulla polverosa lavatrice-libreria, e continuavo a passare di lì senza decidermi. Ma no, adesso sono troppo stanca. Ma no, non è ancora il momento giusto. Non ho tempo, non ho tempo. La verità è che non credo ci sia un momento giusto. È un’impresa che vi conviene intraprendere con una certa incosciente impulsività, e con grande fiducia. Il libro non vi renderà le cose troppo difficili, è bello da subito. E non ho detto chiaro e pieno di mappe TUSEIQUI con le freccione rosse, ho detto bello. Lasciatevi portare a spasso, anche se non sapete dove finirete.

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Spezzettiamo l’universo: mini-geografia di Infinite Jest

Il mondo di Infinite Jest è, in buona sostanza, molto simile al nostro, solo peggiore. Tutto è familiare, ma deformato da una serie di catastrofi puntualmente accadute. Dall’inquinamento alle relazioni umane, tutto quello che poteva andare male è andato male. Il risultato è una specie di parodia triste e super geniale di quello che conosciamo.
Ma facciamo un po’ di cornice geopolitica.
Gli USA hanno “inglobato” il Canada e il Messico, dando vita a una bizzarra confederazione che si chiama ONAN (un nome, un perché), guidata da un presidente fanatico dell’igiene che, in tempi non sospetti, cantava a Las Vegas in mezzo alle paillettes. Per non offendere nessuno, sulla bandiera dell’ONAN campeggia l’aquila degli Stati Uniti con in testa un sombrero, una foglia d’acero in una zampa e una scopa nell’altra. La scopa ha senso, non temete. La crociata pro-pulizia assoluta del presidente Gentle, infatti, insieme allo sviluppo di un dannosissimo processo di produzione dell’energia (diciamo che l’idea di usare i rifiuti come combustibile ad alta efficienza va a farsi benedire e i rifiuti, sempre più tossici, aumentano invece di diminuire), finisce per devastare un’ampia zona di confine tra Canada e USA. La Concavità – così si chiama questo non-luogo – diventa una distesa fosforescente e inabitabile. La gente è costretta a fare fagotto e a scappare a gambe levate da questa spaventosa Concavità, che si trasforma in una gigantesca discarica. Per dire, nelle città ci sono delle CATAPULTE che sparano la spazzatura fin lassù. I costi ingentissimi per far funzionare tutta la baracca (e per traslocare quantità incredibili di persone dalla Concavità a zone meno letali, posti dove i fiumi sono blu cobalto ma ancora si tira il fiato) vengono coperti dall’amministrazione Onanita con un astuto stratagemma: gli anni non sono più anni coi numeri, ma diventano anni sponsorizzati. Un’azienda compra un determinato anno e lo battezza col suo nome o con il nome di un suo prodotto. Per farvi capire, ecco il calendario di Infinite Jest:

visore infinite jest

Non è fantastico?
L’anno più denso di avvenimenti, per la nostra storia, è quello del Pannolone per Adulti Depend, ma tenetevelo comunque lì, il calendario, che vi fa del bene quando vi sentite un po’ persi.
E non venitemi a dire che non siete già molto impressionati.

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E le persone, come la prendono? Mini-sociologia di Infinite Jest

Tornando alle storie geopolitiche di prima, è vero che c’è l’ONAN, ma non è che i canadesi siano proprio felicissimi della situazione, con tutta quella spazzatura che gli arriva in casa e annichilisce boschi e prospere fattorie di patate. I più arrabbiati e bellicosi sono gli abitanti del Quebec. E fra gli abitanti del Quebec, i più rancorosi e incazzati e vendicativi sono gli AFR – Assassins des Fateuils Rollents -, una cellula terroristica composta esclusivamente da assassini sulla sedia a rotelle che non solo combatte per l’indipendenza del Quebec (dall’ONAN e pure dal nativo Canada) ma ha anche una gran voglia di fare del male agli USA. Gli AFR sono così letali che l’espressione “udire un cigolio” (insomma, le ruote cigolano) è entrata nel linguaggio comune per indicare una morte imminente e cruenta.
Se invece vogliamo dare un occhio a tutti quanti gli altri, Infinite Jest è pieno zeppo di gente che beve, si droga, ruba borsette, picchia bambini, perde la dignità, guarda cartucce senza mai schiodarsi da casa e tenta con grande caparbietà di non deludere qualcuno. C’è solitudine e c’è un silenzioso andare alla deriva – prevalentemente dentro la propria testa e lontano dagli altri. Si può fare tutto, si può scegliere tutto quello che si vuole e si può disporre di una libertà sconfinata – all’apparenza – ma alla fine si cerca di scappare fortissimo. E le occasioni offerte dal mondo sono, anche qui, innumerevoli: vi farete una cultura sul funzionamento di ogni genere di stupefacente. Vi farete una cultura sull’offerta sterminata delle cartucce d’intrattenimento (l’era post-tv è intricata e avvincente). Cercherete di capire che cosa si può arrivare a sacrificare, in nome di queste felicità artificiali e solitarie, di questi bisogni onnipresenti che capottano il senso di quello che si fa. Che cos’è davvero il divertimento? E’ qualcosa che possiamo controllare? Come dare un senso alla propria vita, quando nulla di quello che ci circonda sembra avere un contenuto e un cuore?
Sono domande, gente.

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Ma alla fin fine, di che parla?

Infinite Jest è fatto a capitolozzi, più o meno omogenei. Il libro funziona a macchina del tempo, come un puzzle cronologico che ci spiega da dove arriva quello che sta succedendo ai personaggi e ai loro pensieri. Conosceremo genitori, nonni, dottori, vicine di casa matte, e sarà sempre per il nostro bene. E parecchio succede anche nelle note, quindi leggetele, se non volete scoprire dopo 200 pagine che qualcuno a voi molto caro, magari, è vivo invece che stecchito come sospettavate o se vi preme capire come faccia un innocuo giovane canadese in camicia a quadri a finire su una sedia a rotelle assassina.
Comunque.
Direi che ci sono tre tramone, due corrispondono ad altrettanti luoghi e l’ultima è il filo conduttore di tutto quanto. Che faccio, uso l’elenco puntato?

  • l’Enfield Tennis Academy (ETA) di Boston > l’ETA è un’accademia per giovani tennisti di eccezionale talento. E all’ETA abitano/giocano/lavorano/si aggirano i superstiti della famiglia Incandenza, che l’ETA l’hanno anche fondata. Senza di loro, non ci sarebbe Infinite Jest, e i nostri pallonetti sarebbero molto peggiori. Il libro segue, mese per mese, quello che succede all’accademia, che a me – poi magari sbaglio – è sembrata un piccolo laboratorio, una specie di simulazione controllata, di quello che capita nel resto dell’universo di Infinite Jest.
  • la Ennet House di Boston > la Ennet è una casa di accoglienza per tossicodipendenti. Visto che tutti hanno problemi di Sostanze – così si chiamano, le Sostanze – e svariati gradi di dipendenza da qualcosa, i centri di recupero e le riunioni degli Alcolisti Anonimi sono qualcosa di normale e diffusissimo. I residenti della Ennet vi regaleranno un mosaico di storie incredibili, orrende e tragiche, storie che portano alle estreme conseguenze tutte le riflessioni sul “che diavolo vogliamo ancora? Perché non è mai abbastanza?” del mondo di Infinite Jest. Alla Ennet imparerete a conoscere meglio tutti quanti, anche quelli che non ci abitano.
  • l’Intrattenimento > è una cartuccia letale. E’ un film così ipnoticamente rasserenante e felice che se lo guardi non puoi più smettere. E’ l’ultimo desiderio che si avvera, per l’eternità. Chi lo guarda non riesce più staccarsi, chi lo vede dimentica di mangiare, dormire, andare in bagno e parlare. E’ così bello che uccide e spiaccica il cervello.
    Ad un certo punto, l’Intrattenimento comincia a circolare. C’è chi cerca di controllarne la letale meraviglia, c’è chi vuole usarlo come un’arma, c’è chi non ne sa niente ma lo vorrebbe vedere, c’è chi ci ha recitato ma non l’ha mai visto (e ha già i suoi bei problemi) e c’è chi, tipo voi che leggerete Infinite Jest, ci finirà davanti.

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Facciamo amicizia: chi c’è dentro a Infinite Jest

Tutti i personaggi servono a qualcosa. Nessuno sprizza felicità e nessuno sembra fiero del proprio passato. C’è chi è lì per raccontare una nevrosi, c’è chi – per puro egoismo e incontrollabile irrazionalità – funge da motore involontario per eventi giganteschi, c’è chi si porta sulle spalle aspettative irraggiungibili, senza volere niente per davvero. Partendo dal fatto che incontrerete solo figure di una complessità terrificante – direi che c’è gente vera che è meno complicata e interessante di questi umani inesistenti di Infinite Jest -, i personaggi più importanti sono anche quelli più “utili”, quelli che fanno succedere le cose e che vorreste tenere con voi. Avrete la certezza della sorte di moltissimi di loro ma, proprio quando si tratterà di capire che cosa succede ai più cari, ci sarà di che lambiccarsi.
Facciamo un minimo di presentazioni?
Il nucleo di strabiliante follia di Infinite Jest è la famiglia Incandenza.
Il papà, Lui In Persona, era un genio alcolizzato e un uomo inconoscibile, alto due metri e passa. Pioniere dell’ottica e astruso regista – quasi sempre – incompreso, Lui In Persona ha fondato l’ETA e ha creato l’Intrattenimento – insieme a una montagna di altre opere filmiche che potrete leggere con soddisfazione immensa in una nota più che esaustiva. Da vivo non lo incontrerete mai.
La madre, Avril – detta la Mami – è una donna altissima e stranamente magnetica di origini canadesi. Perseguitata da ogni fobia al mondo, la Mami è così ossessionata dall’ordine da riuscire a riordinare anche le sue fobie più paralizzanti. E’ cortese ed empatica fino all’esasperazione ma mai davvero capace di un autentico gesto di amore assoluto.
I figli di Lui In Persona e della Mami sono tre – anzi, due e mezzo… ma più per vere origini che per morfologia. Il maggiore è Orin, ex promessa del tennis che, in maniera del tutto accidentale, diventa il più grande punter di tutti i tempi. I punter sono quei giocatori di football che calciano la palla e basta. Orin ha un rapporto quantomeno ambiguo con la verità (e una ripugnante strategia per rimorchiare le donne, sua personale Dipendenza), ma per molte cose dovrete contare sulla sua parola.
Hal Incandenza è il secondo miglior giocatore under 18 dell’ETA – e tipo il sesto dell’ONAN -, ha una memoria fotografico/enciclopedica e un’intelligenza labirintica che non gli servono a niente. Quello che impara e quello che ottiene giocando a tennis non gli procurano alcuna vera gioia. Hal è il nostro “protagonista”, credo, un personaggio che si svuota pagina dopo pagina. Lui ve lo confermerà, che è fatto di niente, ma voi e tutti quelli che gli stanno attorno – pronti cogliere ogni sua prodezza – faticherete ad accettarlo. Perché Hal non vi vuole deludere e, nel farvi felici, fingerà di non capire che cosa vuole davvero. Sempre che ci sia, qualcosa da desiderare.
Mario, l’Incandenza di mezzo, è deforme e minuscolo. La sua passione è fare riprese con una camera speciale, vuole bene a tutti – ricambiato – ed è incapace di mentire. Innocente, sempre felice, è il figlio che ha passato più tempo con Lui In Persona, senza poterci capire niente ma portandogli un casino di borse piene di attrezzatura da cinema.
Altre due creature (tra le mille) che vale la pena conoscere sono Don Gately e Joelle.
Don Gately è un ex tossico grosso come un armadio a muro. La sua storia vi aprirà le porte degli AA di Boston e della Ennet House, dove lavora come sorvegliante, dopo aver completato il suo percorso di riabilitazione da residente. Diventerà un po’ il vostro eroe e la vostra speranza per un futuro migliore. Vi farà fare fatica e vi farà preoccupare.
Joelle, La Ragazza Più Bella di Tutti i Tempi, è un enigma. Joelle sarà uno dei motivi che vi farà girare pagina. E’ ancora bellissima? Perché va in giro con un velo sulla faccia? Perché lei e Orin si sono lasciati? E’ colpa sua, se l’Intrattenimento è così letale?

***

Tutto chiaro. Ma PERCHE’ dovrei leggere una roba del genere?

Per lo stupore.
Io non riesco ancora a credere che una persona vera abbia scritto questo libro. Gli incastri, l’immaginazione, il controllo, l’intelligenza nel trasformare la realtà in qualcosa di assurdo, ma plausibile. L’idea dell’Intrattenimento, la tristezza. Se mai nella vita siete stati tristi, capirete che cosa vi è successo per davvero. Se non vi è capitato, imparerete a rispettare le ombre.
Leggetelo per lo stupore. E perché non c’è niente di simile.
Leggetelo perché sarà il primo libro che vi farà stancare sul serio, e non perché è lungo, ma perché è un mistero che somiglia molto a quello che ancora non capite del mondo e di quello che dovreste farci voi, al mondo.
Non è facile. E non è sempre piacevole. Alla sesta pagina di una nota, vi verrà da gridare un legittimo “che palle!”, ma vi accorgerete che la frustrazione non dipende dal font corpo 4 della nota, ma dall’allegro desiderio di poter leggere più pezzi contemporaneamente.
Che nervoso.
Non so se si è capito.
Non so se vi ho INFUSO sufficiente curiosità.
Non so se ci sono riuscita, a tirarvi addosso qualche polpetta di Infinite-Meraviglia.
Comunque vada, però, e tenetemi informata sulle vostre decisioni e su come procede la lettura, insomma, comunque vada usate due segnalibri, che se no è un casino. E buona villeggiatura. E state alla larga dai neonati carnivori alti come palazzi che infestano la Concavità! E se avete problemi di scarafaggi, fatevi dare qualche buon consiglio da Orin, che almeno su quello è affidabile. E se qualcuno ha voglia di sfidare due gemelle siamesi in doppio, me lo faccia sapere, che porto a incordare la racchetta.

TEGAMINI – Amore del Cuore, ma dove sono le Azzorre, di preciso?
AMORE DEL CUORE – …sono un po’ più in là delle Canarie.
TEGAMINI – Pensavo peggio.
AMORE DEL CUORE – Perché?
TEGAMINI – Perché potremmo andare là, in vacanza!
AMORE DEL CUORE – …
TEGAMINI – Massì, c’è la natura, ci sono le rocce vulcaniche, c’è l’acqua splendente, ci sono le balene!
AMORE DEL CUORE – Balene.
TEGAMINI – Ce ne sono tantissime, megabelle. L’ha detto Philip Hoare! Lui c’è stato e ci nuotava insieme… non vuoi nuotare con le balene? A Philip Hoare piacciono molto anche le balene dell’Artico, ma ho pensato che forse preferivi andare un po’ più al caldo in estate… quindi possiamo lasciar perdere la Groenlandia, per qualche tempo. Cosa dici? Ma lo sai che Melville c’è andato davvero, su una baleniera? Ma lo sai che il Physeter macrocephalus sta in una famiglia naturalistica tutta sua, che di bestie simili-simili non ce ne sono? Pensa, ha solo i denti di sotto, il capodoglio! E i calamari giganti esistono davvero e il capodoglio li mangia! Ma t’immagini? CAPODOGLIO vs CALAMARO GIGANTE!

Amore del Cuore, non ancora pronto ad affrontare un tale entusiasmo balenifero, mi ha lasciata sola a farneticare di cetacei, spermaceti, arpioni, fanoni, remore e vertebre. Ma posso sempre ammorbare voialtri. Perché ho letto Leviatano, mi sono divertita immensamente e adesso so anche mucchi e mucchi di cose, un po’ zoologiche, un po’ economiche, un po’ letterarie e un po’ sentimentali.

Mentre scorrazzano per i mari, i capodogli non si curano se sia giorno o notte. Come tutte le balene respirano in modo volontario e devono dunque rimanere svegli con metà del cervello quando si riposano. È quasi sicuro che sognino. A volte,dopo aver mangiato a sufficienza, fanno una pennichella tutti insieme, mettendosi in perpendicolare, come pipistrelli, con lo sfiatatoio sopra il pelo dell’acqua. Gradiscono il contatto reciproco e passano ore a strofinarsi e rotolare l’uno sull’altro appena sotto la superficie: «Sembra che si vogliano tutti bene, – dice Jonathan Gordon per descrivere questo balletto subacqueo. – Non è raro vedere individui che si tengono delicatamente per le fauci».

Teniamoci per le fauci!

In questo libro misterioso e bizzarro – scritto da Philip Hoare, l’uomo al mondo che più ama le balene, tradotto dai prodi Duccio Sacchi e Luigi Civalleri per le sempre adorabili Frontiere Einaudi – c’è tutto quello che serve per esplorare le profondità marine e tornare a galla per respirare con un bello sbuffone dallo sfiatatoio (N. B. se una balena che ha il raffreddore vi colpisce con il suo portentoso soffio, quando torna a galla, ebbene, il raffreddore ve lo prendete anche voi).
Comunque, Leviatano comincia con la storia di Moby Dick e delle ossessioni del suo autore, ci racconta le vicende dell’industria baleniera americana e i primi tentativi – sull’approssimativo andante – di studiare le creaturone più imponenti dell’oceano. Ci sono animali che si arenano sui litorali, richiamando l’attenzione di monarchi, principi e pittori. Ci sono lunghi viaggi, pericoli terrificanti, acque calde e acque gelide. C’è un beluga malinconico in un acquario di Coney Island e c’è la megattera che fa più versi di tutte le altre balene del pianeta. C’è la caccia con l’arpione e la descrizione di tutto quello che si può ricavare, ahimé, da una balena. C’è la balenottera azzurra appesa al soffitto del Museo di Storia Naturale di Londra, un affare gigante e molto realistico, costruito alla vigilia della Seconda guerra mondiale in una sala allestita appositamente… che le balene erano diventate TRENDY e la gente le voleva vedere.

Cinque anni dopo, nell’aprile del 1937, il capotecnico e imbalsamatore ufficiale del museo, Percy Stammwitz, si dichiarò disponibile a costruire il modello direttamente nella sala. Aiutato da suo figlio Stuart, impiegò quasi due anni per completare l’opera, basandosi sui dati forniti dalla spedizione scientifica nella Georgia del Sud. Seguendo giganteschi modelli di carta simili a quelli dei sarti, si tagliò il legno necessario per creare le varie parti dell’armatura e le stecche per tenerle assieme. Il tutto fu poi ricoperto di fil di ferro, sopra il quale fu modellato lo strato esterno di gesso. Era un lavoro lungo e faticoso. Durante la costruzione l’interno fungeva da tavola calda per le maestranze (nel 1853 Benjamin Waterhouse Hawkins ebbe l’idea di organizzare una festa di capodanno tra scienziati dentro il suo modello di iguanodonte ancora da completare, un evento che fu descritto dalla stampa periodica come una riunione di moderni Giona inghiottiti dalla balena).

Insomma, si fanno scoperte meravigliose – il cervello del capodoglio pesa sette virgola otto chili! Che roba è l’ambra grigia e per quale ragione olezza così tanto? Ah, che orrore! – e ogni tanto passa un serpente di mare mitologico. Conosceremo dinastie di cacciatori, marinai specializzati nell’intaglio di denti di capodoglio – J. F. K. li collezionava, pensa te -, leggende del mare e terrori atavici. E, finalmente, qualcuno ci rivelerà a che serve il corno del narvalo. Ma vi dirò di più, Philip Hoare, sui narvali, la pensa come me.

Anche nel narvalo ritroviamo la mesta bellezza del beluga, un’aura ferale suggerita dal suo stesso nome, derivato dall’antico norreno nar e hvalr, ovvero «balena cadavere», perché le chiazze della sua livrea ricordano le livide macchie dei corpi senza vita (…). Ciò non toglie che l’emblema della malinconia del narvalo risieda proprio nella sua caratteristica piú appariscente, sottolineata dal binomio del suo nome scientifico: Monodon monoceros, ovvero un solo dente e un solo corno.

BALENA CADAVERE.
MALINCONIA.
Povero, povero narvalo.

La zanna del narvalo è infatti un grosso dente vivo, che crescendo perfora il labbro sul lato sinistro della bocca e si avvita a spirale fino a sfiorare, e addirittura superare, i tre metri. (…) Le recenti analisi al microscopio elettronico hanno svelatola vera magia racchiusa nel dente del narvalo. La sua superficie,a differenza di quella dei denti normali, è attraversata da tubuli aperti verso l’esterno e connessi con i nervi interni.Il corno in pratica è un gigantesco organo sensoriale, fornito di decine di milioni di terminazioni nervose che permettono all’animale di registrare i piú lievi cambiamenti di temperatura e pressione. Si spiegherebbe cosí, tra l’altro, l’abitudine che hanno i narvali di sollevare il corno fuori dall’acqua, quasi annusassero l’aria. Altre ricerche hanno mostrato che questo dente, oltre a essere una sonda sensoriale, può anche fungere da trasmettitore e ricevitore acustico ed elettrico.

IL DENTE DEL NARVALO SERVE A MILLE COSE!
IL MONDO È UN POSTO MERAVIGLIOSO!

Ma ricomponiamoci, dopo questo momento d’euforia per il narvalo e le balene dell’Olartico – pagine bellissime, BELLISSIME, c’è persino il disegnone di un unicorno -, che bisogna concludere con dignità e un qualche genere di autorevolezza.

Leviatano mi è garbato immensamente. Philip Hoare è così felice di raccontarti tutte quelle storie sulle balene che finisci per appassionarti quanto lui. Io ho chiuso il libro e ho quasi pianto, consumata dal rimorso per essermi mangiata una bistecchina di balena quand’ero a Oslo. Philip Hoare, perdonami, non sapevo cosa facevo. Non conoscevo ancora la mirabile struttura del cranio del capodoglio o la complessità dei suoi rapporti sociali. Andrò all’inferno. Sprofonderò in un abisso pieno di furibondi calamari giganti. Comunque, se volete nuotare insieme al buon Hoare e alle musicalissime megattere, se volete partire per un viaggio con Ismaele – e capire, finalmente, anche le cose più astruse di Moby Dick – o anche solo imparare meraviglie sugli animali più grandi e difficili da studiare del nostro allegro pianeta, ecco, allora Leviatano vi garberà. Anzi, sarete tristi quando finirà… ecco una buona GIF in grado di riassumere i miei sentimenti:

***

P.S. Questa frase è straordinaria. Una cosa orribile, è vero, ma se cercherete di immaginarvi la scena sarà la fine.

A regnare sovrana era una palese indifferenza per la dignità degli animali, come illustra ancora il fatto che il personale delle stazioni antartiche di caccia alla balena era abituato a ravvivare il fuoco dei falò gettandoci sopra i pinguini come grasso da ardere.

Dunque, a casa abbiamo questa vecchia lavatrice che usiamo come libreria. Dovevamo portarla in cantina, ma poi era greve e l’abbiamo lasciata in salotto, autoconvincendoci che faceva arredamento. Prima ci abbiamo messo sopra i pesci, ma poi i pesci sono schiattati e abbiamo cominciato ad ammucchiarci su i libri da leggere. C’è di tutto… e la cosa bella è che ogni tanto passi e trovi qualcosa di splendido che ti eri pure dimenticato di avere. L’altro giorno ero lì che cercavo di capire che costume da bagno portarmi al mare – non ho deciso, li ho cacciati tutti nella borsa e ciao – e intanto che c’ero ho preso su Drown di Junot Díaz (che è uno Strade Blu della nave-madre Mondadori, tradotto da Roberto Agostini e Patrizia Rossi). E perbacco, La breve favolosa vita di Oscar Wao mi era molto garbato, ma avevo completamente rimosso questa raccolta di racconti, che poi è anche la prima cosa che ha scritto, tra i meritatissimi OOOH e AAAH del vasto mondo. Sono dieci storie, tutte incastrate fra loro e ancora più incastrate negli sconvolgimenti di una famiglia dominicana molto complicata. C’è sempre un pezzo che manca. Può essere il papà che li pianta lì senza un soldo e va negli Stati Uniti dopo aver tradito la moglie con una cicciona del barrio. Può essere la tranquillità, che non c’è mai anche quando tutti quanti approdano nel New Jersey. Possono essere i soldi, che Yunior raccatta spacciando negli Stati Uniti mentre prova ad amare una ragazza troppo devastata per stare in piedi da sola. Può essere anche una buona parte della faccia di un ragazzino del villaggio vicino, che porta una maschera perché, quand’era piccolo, un maiale gli ha sbranato una guancia. Non sono delle storie allegre, ma sono meravigliose. E continui a portartele a spasso anche quando hai chiuso il libro.

A leggere ero su questo scoglio.

E dopo lo scoglio ci siamo messi nella pancia queste cose qua, alla Cantina del Polpo di Sestri Levante, che ormai sta diventando uno dei miei posti-allegri del mondo.

Insomma, una giornata di luminose soddisfazioni. Anzi, oltre ad ordinare un altro piatto di ravioli al baccalà, credo proprio che mi leggerò anche È così che la perdi. E quando arriverà sulla lavatrice, prometto solennemente di non lasciarcelo troppo a lungo.

Dopo aver appurato che non saremmo riuscite a incrociarci – come le vere donne di mondo, che hanno sempre degli impegni precedenti -, abbiamo elaborato un piano infallibile. Ilaria doveva lasciarmi allo stand di Compagine, al Salone, una preziosa copia con dedica del suo Vintagismi, che così poi passavo e me la compravo. Poi però si è dimenticata, ma fa niente, sono comunque successe delle coccole. Me l’hanno passata al telefono – super imbarazzo, che io non so telefonare – e sono stata accolta con grande affetto, in un tripudio di foto e tolleranza. Tolleranza e immenso garbo, anzi, perché sono riuscita a esclamare “Ma che carine queste noci! Ma perché avete un cestino di noci, qua in mezzo ai libri?”. Senza battere ciglio, mi hanno indicato il gigantesco logo appeso al muro. Che poi è questo qua.

Lo so, lo so.
Con me ci vuole un po’ di pazienza.
E forse vale la pena cambiare argomento… che siamo qua per commuoverci con Vintagismi.

È un librino tenero, pieno zeppo di ricordi,  scoperte e ciuffetti storti. Ci sono le lumache, le scarpe con gli occhi, un giardino con piantata in mezzo una pietra gigante, un papà iperattivo, i pomodori dell’orto, una nonna pettoruta e abilissima nel distorcere la realtà, un divano-nascondiglio, la foto di classe di prima elementare e la tragedia dell’abbigliamento anni Novanta. Sulla pagina dell’OUTFIT natalizio è come se ci fossi anch’io, con collettone di pizzo e calzamaglia rossa che prudeva tantissimo. MADRE contribuiva al folklore complessivo trasformando la gonna scozzese in una gonna-PANTALONE scozzese, tanto per farmi capire da subito che il mondo è un luogo tetro, ingiusto e inospitale. Vi torneranno in mente i passamontagna e gli inspiegabili fuseaux con le ghette, insieme a tutti gli sport che vi hanno fatto fare anche se non ne avevate voglia e pativate come dei cani. Poi ci sono i cantanti del cuore – che ve li immaginavate bellissimi ma poi erano tutt’altro – e le estati di noia, in cui si impara a leggere per divertimento e non ci si annoia mai più.

È proprio un librino felice. Si va in giro per i ricordi di un’altra persona e, senza neanche pensarci troppo, cominciano a venire a galla anche i tuoi. Fa nostalgia allegra, ecco, anche per le cose più surreali e le passeggiate di venti chilometri in salita – sia all’andata che al ritorno.
Poi quando capisco se sono più adorabili le illustrazioni o i testi torno indietro e ve lo dico.

Dovete sapere che voglio molto bene a Giovanna Gallo. Le voglio bene praticamente da subito… cioè dal 2009, per quelli che non c’erano. A Torino non avevo nessuno con cui fare niente, e poi all’improvviso avevo una Giovanna Gallo. È quindi con grande gioia e autentico orgoglio che vi esorto a schiacciare forsennatamente sul bottone COMPRA vicino al suo ebook nuovo di zecca. E non perché i disegnetti-sgorbietti che ci trovate dentro li ho fatti io, ma perché Eroine multitasking (Emma Books) è proprio uno spasso pazzo.

Gallo del Cuore farà per voi parecchie cose utili, oltre ispirarvi del felice e sano ridere. Anzi, del sorridere. Che quando c’è l’ironia bisogna dire che si sorride, mica che si sghignazza cascando dal divano. Cosa che a me, poi, è sempre sembrata degnissima.
Comunque.
Gallo vi spiegherà che non dovete credere alle commedie romantiche e che le dichiarazioni d’amore sotto la pioggia non esistono, nemmeno quelle con  gli unicorni che vi brucano vicino alle Manolo Blahnik mentre un aitante bellimbusto vi appesantisce l’anulare con una gigantesca roccia splendente. Vi dirà che non aver voglia di fare niente la domenica è un vostro diritto, così come riempirvi la casa di inutili alzatine di vetro per torte. Torte che non sapete fare, ma anche quello va bene, perché tanto di cose che vi riescono ce ne sono altre centoseimila, e tutte insieme. Si parlerà di ciabatte a forma di cane, di passioni travolgenti, rudi energumeni e fidanzati che – giustamente – amano farsi la doccia prima di prendervi tra le braccia. Troverete chiacchiere su lavoro, amore, sogni d’indipendenza, uomini che non capiscono lo smalto per le unghie (e ancor meno il senso del top coat, che manco si vede), MADRI perfette, agghiaccianti ricordi della scuola media e convivenze che funzionano. Vi divertirete e vi riconoscerete in cento modi. E se già siete anche solo un pocopoco portate, la felice trasformazione in eroina multitasking sarà garantita. Tanto vale che vi andiate a comprare un costume.

Viva Gallo. Sono proprio contenta. In alto le tisane al finocchio – ma solo se avete finito i ghiaccetti per il gin tonic.

 

Per approfondire:

Il blog di Giovanna.
Le twittate di Giovanna.
Giovanna.

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***

Che cosa è successo nelle puntate precedenti.
Dunque.
Lo scorso anno, a luglio, ho improvvisamente deciso di leggere Anna Karenina. Ma così, presa da uno slancio inspiegabile e repentino. Senza un particolare allenamento, una missione filosofico-letteraria o precedenti incontri con poderosi romanzi russi.
…in realtà avevo iniziato Guerra e pace… e mi piaceva immensamente, ma ce l’avevo diviso in tomi e, non mi ricordo per quale motivo, ad un certo punto mi sono dimenticata l’ultimo in una città che non era la mia. E addio, ho perso il ritmo, ho scordato la faccia di Pierre e non l’ho mai più finito. Ero anche a buon punto, per dire.
Comunque, a parte la sfortuna logistica patita con Guerra e pace, Anna Karenina sarebbe stato il mio primo, vero incontro con un illustre superclassico russo. Ce la farò. Non ce la farò. Ci saranno slitte, manicotti di pelliccia e svenimenti? Fortune sperperate? Figli bastardi? Insomma, l’ho cominciato con la sensazione di essermi messa lì a fare qualcosa di importante. Non so bene come spiegarlo, ma mi sembrava una faccenda solenne, una lettura che sarebbe stata diversa da tutte le altre della mia vita. Ero proprio emozionata.
In mezzo a questo turbine di aspettative, senso di responsabilità e timore reverenziale, non so bene con quale motivazione, mi sono messa a twittare quello che mi veniva in mente mentre leggevo. E man mano che andavo avanti, c’erano sempre più particolari che non avrei voluto dimenticare o impressioni da condividere, o moti di funestissima indignazione che non potevo in alcun modo tenermi per me. E #annasottoaltreno cresceva e si riempiva di citazioni, di impressioni, di stizza, preoccupazioni, cose buffe e immagini. Insomma, si è trasformato in un diario di lettura molto spontaneo e scanzonato in cui ci si augura che Vrònskij si spacchi le tibie cascando da cavallo e che Lèvin la smetta, una buona volta, d’ammorbarci con la falciatura dei campi. Senza alcuna ambizione “classificatoria” o equilibrio rispetto alle varie parti della narrazione, #annasottoaltreno è un piccolo frammento di quello che mi è successo mentre leggevo un romanzo meraviglioso, un libro pieno di pensieri – inclusi quelli dei cani da caccia – e di decisioni complicate.
Che è accaduto poi?
Anna è finita sotto al treno e la timeline di Twitter ha imparato a vivere senza di lei.
Anzi, Anna è stata sepolta dal resto della mia timeline.
Ma poi, magimagia. Il download dell’archivio di Twitter! Pure per noi italiani.
E allora ho pensato, ma che cavolo, perché non scolliamo dalle rotaie i suoi derelitti resti?

#annasottoaltreno (reloaded) è diventato un lunghissimo e strambo Storify.
Con voragini che non mi spiego (possibile che non ci sia davvero niente su Anna che ritorna da suo figlio?! Dov’ero, in un posto senza 3G?), grande affetto per particolari minuscoli che fanno perdere la visione d’insieme, plateali antipatie e un gran gusto dell’assurdo. Intanto che recuperavo i pezzi e li ricomponevo, poi, ho deciso di cacciarci dentro un’allegra confusione di immagini cinematografiche (e no, l’ultimo film non mi è piaciuto… i costumi, però, erano bellissimi), riferimenti geografico-mangerecci, commenti e chiacchiere.
E questo è quello che è venuto fuori.

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Allora, qua c’è tutto un prologo che vi dovete sorbire. Perché l’adorabile illustratrice di A.A.A. – Il diario fantastico di Alessandro Antonelli, Achitetto è anche la medesima persona meravigliosa che, tempo fa, decise di partecipare a uno dei miei Contest-ini con un Loki che sfreccia sul dorso della borsa-gallina. E vinse, che diamine. Come si fa a non amare follemente un Loki che sfreccia su una gallina gigante? Così, mandai a Ilaria Urbinati una bella Sportini-premio (“Andare a vedere i narvali”) e continuai ad esserle molto grata, ma un po’ da lontano.

Ecco. Poi, la settimana scorsa, si scopre che Ilaria è in partenza per la fiera del libro per ragazzi di Bologna. E allora le grido “ma vai a salutare Amore del Cuore, che è a quello stand là”. “Ma come faccio a riconoscere Amore del Cuore?”. “Non temere, allo stand sono solo in due, e lui è molto grosso”. Ed è solo grazie all’indomito coraggio e alla gentilezza di Ilaria se sono qua a parlare di questo libro. Perché lei allo stand ci è andata e, oltre a “Scusa, mi vergogno molto, ma tu sei Amore del Cuore?” ha anche deciso di farmi un regalone. Con tanto di biglietto e autoritratto.

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Ma cuori, cuori!
E io il libro l’ho letto e, come succede sempre quando c’è qualcosa che mi piace, ne parlo con sincero trasporto.
Dunque, A.A.A. (Espress edizioni) viene fuori da Ilaria, Fabio Geda, Marco Magnone e dal 150° anniversario della stipula del contratto per la costruzione della Mole, super edificio che, oltre ad essere il simbolo di Torino, è anche la grande eredità di un personaggio avventuroso, ambizioso, sognatore e bisbetico. Questo libro a fumetti è il diario fantastico dell’architetto Alessandro Antonelli. C’è l’infanzia, ci sono gli studi, la laurea, i primi progetti, una discreta quantità di porte in faccia, delle solenni rampognate da parte dei committenti e anche una casa a forma di fetta di polenta. C’è la ricerca della perfezione e la volontà di costruire sempre più in alto. C’è tutta la vita di un uomo fuori dal comune e la storia delle opere che ha solo immaginato – come il progetto per la “nuova” Piazza Castello – e di quelle che è riuscito a realizzare – come la Cupola di San Gaudenzio a Novara e, ovviamente, la Mole… anche se morì prima di vederla completata.

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Il pollo alla Marengo dell’Antonelli non l’ho assaggiato, ma la sua storia mi è piaciuta davvero. Tanto per cominciare, ho imparato delle cose che ignoravo sovranamente (che vi devo dire, colpa mia), ma ho anche fatto mille oooh e aaah. Un po’ per i magnifici disegni di Ilaria e un po’ per i pensieri e i sogni – appassionati e contagiosissimi – che finiscono nella testa dell’illustre Architetto. Insomma, le costruzioni saranno pesanti e complicate, ma questo libro è felice e pieno d’ispirazione. E una volta finito non sarete grati solo al trio di autori, ma anche a quegli omini-alpinisti che si svegliano alla mattina e vanno a staccare le stalattiti in cima alla Mole. O frugano nei buchi fra un mattone e l’altro per vedere se ci si sono incastrati dei falchi. O raddrizzano le stelle arrugginite. Ecco, evviva tutti quanti, allora.