Diario

Narrazioni materne

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Non so di preciso che cosa voglio dire, ma magari lo scopro se comincio a rifletterci.
Dunque, il mio bambino ha compiuto due anni da poche settimane – il che significa che anch’io, in qualità di mamma, ho compiuto due anni. Non sono tanti, ma neanche pochi. E ho il sospetto che, per capire fino in fondo che cosa vuol dire essere “una mamma”, occorrerà ancora parecchio tempo. Forse è un’identità che si costruisce pian piano, ogni volta che soffiamo un naso o prendiamo al volo un bicchiere di plastica con stampato sopra il pesce Dory – magari prima che si schianti sul pavimento. Ogni volta che sentiamo una parola nuova – che combacia, possibilmente, con quello che un ditino sta indicando – o che facciamo del nostro meglio per renderci conto che no, il sabato mattina non si dorme più fino a tardi.
Sono proprio quattro esempi in croce dei millemila esempi possibili. Perché gli esempi non ci mancano. E nemmeno le narrazioni.
In questi due anni, oltre ad interrogarmi sulla metamorfosi identitaria che mi ha investita, ho cominciato a fare molto più caso a come tendiamo a raccontare l’esperienza della maternità. Ma anche a come questi racconti vengono “accolti” e metabolizzati all’interno delle reti sociali (tridimensionali e non) che popoliamo.

Mi utilizzerò come esempio non perché io ho ragione e gli altri sono scemi, ma perché faccio parte della casistica e mi pare una metodologia agevole.

Se uno va a vedere il mio profilo Facebook – ma quello personale, proprio – sembro una che non solo non ha un marito, ma manco si è mai riprodotta. Anzi, sembro una in coma da cinque anni che ogni tanto condivide (per chissà quale miracolo medico) dei link a quello che scrive o che fa per lavoro. E gli altri miei social non sono molto diversi, come approccio – anche se li utilizzo in maniera decisamente molto più “umana” rispetto al profilo Facebook. Sulle Stories di Instagram parlo tanto, in generale. E parlo anche di Cesare. Ma non è una presenza preponderante. Così come non lo si incontra molto spesso nella gallery. Quando c’è, poi, non lo si vede in faccia, ma sempre impegnato a scatenare la sua magnifica assurdità su oggetti, giochi, balocchi e scenari naturali. Non sono neanche una che manda a raffica foto del figlio agli amici. O che, parlando, riconduce immancabilmente la conversazione alla prole. Sempre a livello di contenuti multimediali, invece, amministriamo i parenti stretti con un’applicazione di photo-sharing che ci consente di caricare su questo super cloud condiviso tutti i video e le foto del bambino – i nonni e gli zii (che vivono tutti a un’oretta da noi), quindi, finiscono per avere in mano una fotocopia delle gallerie di immagini che ci sono sui nostri DEVAIS… e il resto lo integriamo telefonandoci indefessamente durante la settimana. Visto che coi social ci lavoro, poi, mi sono anche accorta di non essermi riconvertita a “mamma blogger”. Ho scritto spesso di Cesare e di noi – e ho anche accettato di partecipare a qualche progetto “da mamma” – ma, se una persona volesse leggere dei suggerimenti per organizzare la festa di compleanno perfetta per degli umani che arrivano a stento al metro d’altezza, qui non troverebbe assolutamente nulla.

Ecco.


Io, ogni tanto, mi sento a disagio. Perché, da un lato, mi pare di non “esternare” a sufficienza l’amore e la felicità che provo – considerando soprattutto la frequenza standard con cui i bambini rientrano nelle narrazioni degli altri. Dall’altro lato, però, percepisco il fastidio – spesso manifesto e fiero – di chi si trova a intercettare questi racconti.
Per farla breve, il timore di rompere i coglioni al prossimo che provo quando salgo su un mezzo pubblico con un bambino piccolo che potrebbe mettersi a piangere all’improvviso e per un tempo imprecisato (nonostante i miei sforzi di tenerlo allegro, di intrattenerlo e di ammansirlo) è lo stesso timore che mi sfiora SEMPRE quando mi viene voglia di pubblicare una foto di mio figlio, di inserirlo in una conversazione con il mio prossimo o di scrivere qualcosa che lo riguarda.

L’indole è indole, penso. E sono anche sicura che sia più un problema mio che una vasta piaga sociale. Cioè, anche in un contesto tra i più bambino-friendly del pianeta forse non passerei le giornate a creare album su Facebook dedicati a Cesare o a scrivere pensierini sulle sue gesta nelle caption di Instagram. E non risponderei alla domanda “Che ore sono?” con “Le cinque… proprio il momento in cui Cesare ieri notte ha tossito per tre volte svegliandoci di soprassalto. Ci siamo alzati tutti, siamo andati a vedere se si era scoperto e gli abbiamo accarezzato la testolina”.
Io, semplicemente, sono una che non lo farebbe “così tanto”… ma forse un po’ di più sì.

È anche vero che ci sono narrazioni con cui fatico a empatizzare, nonostante la condizione comune della maternità sia un fattore di avvicinamento. Per esempio, non ho voglia di leggere nessun libro sulle avventure di mamme pasticcione che nella loro consolante imperfezione cronica dovrebbero farci sentire meno inadeguate e più sprint. Così come fatico a identificarmi nelle foto con le mamme ricoperte di veli d’organza che stringono neonati al cuore, accompagnati da un immancabile “6 l’amore della nostra vita, kucciolo”. O con la maggior parte delle caption “da blogger” che vedo su Instagram.

Se non apprezzo tutto questo sono dunque uguale a quelli che dichiarano apertamente di odiare i bambini, anche se ne ho uno? Non lo so, ma non credo.
Perché sono sinceramente felice di imbattermi negli aneddoti di tante persone che seguo volentieri e che condividono anche molto spesso le gesta dei loro infanti, foto comprese. Di sicuro, crescendo, ho anche imparato ad analizzare meglio le classiche situazioni in cui ti viene da stramaledire i bambini perché “disturbano” o non si adattano a uno specifico contesto come piccoli Lord. Chiaro, non sono Santa Rita… se un bambino mi prende a pedate per quindici minuti su un autobus senza che nessuno gli impedisca di malmenarmi tendo a indispettirmi, ma spesso mi accorgo che le madri e i racconti delle madri vengono quasi sempre recepiti con un velo di compatimento. Con un “rieccola qua, a menarcela coi figli”. E non mi soffermo sulla deriva di scherno che accompagna le famigerate “pancine” (nelle loro accezioni più o meno immaginarie o strumentali), perché lì si spalanca un abisso che ha come risultato finale “mamma = povera imbecille dell’alto medioevo”.


Nessuna mamma, forse, ha idea di come regolarsi quando comunica la sua esperienza, nel nostro specifico presente. In fin dei conti, non abbiamo punti di riferimento pregressi. Le nostre mamme non avevano questo problema, se così poi possiamo chiamarlo. Al massimo dovevano preoccuparsi della vicina di casa impicciona o dei parenti che dovevano per forza ficcare il naso nelle loro scelte educative. Non si mettevano a fare, a livello analogico, quello che facciamo noi con le storie e le immagini dei nostri bambini sui social (se abbiamo dei profili pubblici, ovviamente). Cioè, se ci pensiamo, è come se ci mettessimo in mezzo alla strada a distribuire fotografie della nostra prole (con tanto di didascalia) ai passanti. È un paragone scemo, perché i comportamenti si evolvono con i contesti e la normalità di quello che succede è misurata sulle abitudini che sviluppiamo (e che gravitano su un concetto di “accettabilità” che muta con le norme condivise in un certo periodo). Però ci penso, ogni tanto, a mia madre che si mette nel parcheggio della Società Canottieri Vittorino da Feltre a fare volantinaggio con le mie foto di Natale.
Noi, di contro, possiamo scegliere come approcciare la questione (nessuno ci obbliga a “comunicare” i nostri infanti), ma molto spesso continuiamo a non poterne controllare a pieno le conseguenze.
Io, per dire, quando voglio farmi del male vado a leggere cosa scrive la gente sotto ai post della Ferragni col figlio. Se voglio provare del furore vero apro i commenti sotto agli status di qualche amica che ha incautamente dichiarato di dover portare un neonato a fare l’esavalente o, peggio, che si è proclamata felice per il passaggio al latte artificiale.

Ma lasciando perdere i temi ritenuti scottanti o i personaggi famosi – che tirano sempre fuori il meglio dai frequentatori della rete, proprio -, nemmeno coi racconti più innocui e tranquilli si va via lisci. Perché in mezzo ai tanti “ma che bel bimbo!” e “ma che tenerezza!” c’è sempre, se ci fate caso, almeno una voce inopportuna che sceglie di staccarsi da coro per ricordarci che le vicine di casa rompicoglioni continuano a esistere. O per domandare con finto interessamento “ma scusa perché non fai così e così?”. O per farti notare una mancanza, un deficit, un “potevi farlo meglio”. O per esplicitare l’irritazione che i bambini suscitano immancabilmente quando vengono a contatto con situazioni non pienamente strutturate per loro, ma che comunque fanno parte della realtà e del vivere comune.

Racconti una marachella?
Non sei una persona responsabile, stai crescendo un criminale, siete un pericolo per l’ordine pubblico.
Racconti un momento di fatica?
Eh, capirai. Io ho scalato il K2 con due gemelli nello zaino da trekking. E avevo anche il cagotto.
Racconti un traguardo?
Awwww, che bello. Due righe sotto: ma scusa, ha un anno e mezzo e non camminava ancora?


Quando voglio raccontare qualcosa di felice mi chiedo sempre “ma non sarà TROPPO coccoloso?”. Perché è un attimo. Diventi LA MAMMA RIMBECILLITA.
È come se non ci fosse una via di mezzo ancora codificata.
Ci sono dei costrutti e dei nessi causa-effetto prestabiliti. Dei “modelli” di mamma che in un dato periodo sono da ritenersi più accettabili e digeribili – o meno fastidiosi – di altri.

Se ti lamenti troppo era meglio se i figli non li facevi, se non ti lamenti neanche un po’ stai sicuramente fingendo che la tua vita sia un idillio, se parli troppo di bambini sei pesante, se ne parli troppo poco vuol dire di certo che nascondi qualcosa o che non li ami abbastanza. Se dici che sei contenta di come te la stai cavando vuol dire che te la meni GUARDA CHE NOI QUA NON DORMIAMO DA SEI ANNI, se dici che sei scoraggiata stai sputando sul dono più grande che il cielo poteva farti, se lavori come hai sempre lavorato sei una che non sa dare la giusta priorità alle cose, se vai in vacanza lasciando il bambino ai nonni sei un’egoista, se vai in vacanza e ti porti il bambino dovresti prendere in considerazione che anche gli altri sono in vacanza e forse è meglio se stavi a casa tua con quel neonato che strilla, se non vai in vacanza stai chiaramente privando una giovane mente delle esperienze necessarie al suo arricchimento, se racconti tre delle ottantasei cose buffe che ha fatto tuo figlio durante la giornata sei una che se le inventa perché è in cerca di attenzione.
Tutto questo accade contemporaneamente.
E accade, soprattutto, quando sei sincera. Quando non stai cercando di dare spettacolo o di somigliare a un canovaccio noto.
In generale, mi pare che le mamme si dipingano con molto più cinismo e distacco di quello che provano veramente. O che, all’estremo opposto, entrino in modalità “mamma onnipotente” – quella sempre bella, attiva, che lavora, che va a pilates, che s’abbona a teatro, che ha tempo per la famiglia ma anche per farsi i fattacci suoi e che ha sfornato solo bambini prodigio.
Non escludo che nelle due categorie ci siano davvero mamme sinceramente ciniche o mamme sinceramente onnipotenti, ma entrambi gli schieramenti – nelle loro varie sfumature di autentica adesione al principio cardine – hanno il sacro terrore di poter in qualche modo ricascare nello standard della mamma lobotomizzata dalla prole, occupando un punto qualsiasi all’interno dello spettro che va da “sono due anni che proviamo a invitarla fuori ma sai… col bambino… dice sempre che non ce la fa” e finisce con “presa per il culo conclamata su tutte le piattaforme perché ha cucinato la placenta”.

Sembra che non esista nulla di più disdicevole di una donna precedentemente in grado di funzionare all’interno di un contesto socio-lavorativo che, dopo aver avuto un figlio, dà segni di essere in qualche modo stata modificata dall’esperienza. È come se, inconsciamente, cercassimo costantemente di dire “ah, sì, sono mamma. Ma sono ancora una persona normale! Non lasciatemi indietro!”.


Sono andata a rileggermi alcune cose che ho scritto in questi due anni sul tema della maternità. E lo ripeto anch’io, immancabilmente: un mio grande obiettivo, tra i tanti, è quello di rimanere NORMALE.
Che volevo dire? Forse che è importante non dimenticare come eravamo prima. Che possiamo far lievitare la nostra identità per creare dello spazio nuovo che la maternità possa occupare senza sovrascrivere tutto quello che c’era già. O che, per qualsiasi cosa, vogliamo poter continuare a contare sulla rete di fiducia e di rapporti sociali che coltivavamo da nullipare.
Sono ambizioni legittime, mi pare.
Ma in quel SONO ANCORA NORMALE credo si nasconda anche un “non preoccupatevi, non vi ammorberò notte e giorno parlando di cacca. Lo so che è una rottura intollerabile”. Perché io, quello slancio empatico lo faccio. “Sarò menosa?”. “Come posso rendere sereno questo viaggio in treno?”. Il fatto è che, spesso, non percepisco uno slancio simmetrico che proviene dalla direzione opposta.

Per me, che ho passato a casa con Cesare un anno intero, in pratica, conservare la presa sulla normalità rappresentava un obiettivo importante. Perché, di punto in bianco, ti ritrovi a gestire tutto quello che sei in una maniera completamente diversa. Certo, hai nove mesi di gravidanza a disposizione per immaginare il cambiamento di paradigma che ti aspetta… ma poi, quando ogni mattina la porta si chiude e tuo marito va in ufficio, le ore che ti separano da un nuovo contatto con un adulto che ti racconta cos’ha fatto quel giorno sono parecchie. Si diventerebbe un po’ autoreferenziali anche ritrovandosi a gestire una responsabilità minore o un senso di meraviglia molto più limitato. E nemmeno una persona che tende a over-analizzare tutto – salve, eccomi qua! – riesce a prevedere davvero come la prenderà, come reagirà e quale sarà la portata dei suoi sentimenti. Perché sì, gli esseri umani si riproducono dall’alba dei tempi e la faccenda non dovrebbe causare un particolare scalpore, ma per il singolo (e specialmente per la singola nuova mamma) l’evento rimane rivoluzionario. Ma non perché, magari, l’hai presa un po’ troppo sportivamente e sei una che non si rende conto della portata del compito – massì, facciamo un figlio, in qualche modo ce la caveremo -, ma perché un bambino che nasce È un evento rivoluzionario.
C’è chi scopre una vocazione all’accudimento che non pensava di avere.
C’è chi abbandona la modalità Erode e si candida a rappresentante di classe al nido.
C’è chi diventa ferocemente intollerante verso i ventenni spensierati.
C’è chi si mette a chiacchierare in mezzo alla strada con chiunque stia spingendo un altro passeggino.
C’è chi si lamenta delle difficoltà CONTINUAMENTE, ma è felice lo stesso.
C’è chi si lamenta e lo sta facendo per manifestare un grande disagio sommerso.
C’è chi scopre di avere a fianco un padre inadeguato o un uomo che, di contro, “migliora”.
C’è chi riconverte ogni sua narrazione personale alla narrazione della maternità.
Che ne sappiamo. Succede di tutto.

Ci sono tanti racconti lontani da me. Così come ci sono tante esperienze che sono diventate, nei mesi, fonte di incoraggiamento, di utilità pratica e di supporto emotivo. La “normalità” da conservare, per me, è sempre stata un po’ un’arma di difesa. Perché, specialmente all’inizio, ti rendi conto che il resto del mondo procede mentre tu ti trovi in una bolla di tempo sospeso dove esisti – a lungo – quasi esclusivamente in funzione del tuo ruolo di mamma. Ci sono donne più pronte a votarsi alla causa, donne che non sapevano di essere così “adatte” a un compito del genere e donne che si riconfigurano con più difficoltà. E ogni incontro che facciamo, mentre cerchiamo di capire come cavarcela, è un incontro che ci segna un po’. Nel calderone vanno a finire le amiche che insistono per sapere TUTTO quello che sta succedendo, ma anche i colleghi che alzano gli occhi al cielo quando ti suona il telefono e dall’asilo ti dicono che il bambino ha la febbre e devi andarlo a prendere. Ci sono i ragazzi che ti aiutano a portare il passeggino su per una scalinata ma ci sono anche quelli col cane al guinzaglio che, su un marciapiede stretto, si piantano in mezzo e ti guardano infastiditi, senza capire che dovrebbero scendere loro, non tu che hai una carrozzina ingombrante.


Quello che volevo dire, forse, è che mi piacerebbe percepire un po’ più di cameratismo tra esseri umani. Detestare i bambini è un diritto sacrosanto, ci mancherebbe. Non capisco tanto, però, come proclamare il proprio odio per un’intera categoria umana – anzi, per due categorie: i figli e i genitori – possa tramutarsi in un tratto desiderabile. Ciao, sto dichiarando con fierezza di non essere in grado di empatizzare con questa fetta di mondo. Wow… complimenti.
Mi rendo conto che, spesso, la paura che abbiamo di risultare fastidiose e inopportune
– sia mentre ci raccontiamo che mentre “viviamo”, a livello pratico – frena un po’ la possibilità di condividere il bello. Quello su cui inevitabilmente è più difficile allinearsi e concordare è tutta la parte “felice”. Siamo più propense a far venire fuori le menate, perché le menate sono invariabilmente condivisibili. A chi piace svegliarsi quattro volte a notte? A chi piace la scarlattina? A chi piace l’assoluta irrazionalità di un bambino di due anni che strilla come un condor perché non può portare in giro un cane di plastica di due chili e mezzo? A nessuno, porca miseria. Forse, allora, è anche per quello che la felicità viene sempre descritta in maniera esagerata e stereotipata. La madre “soddisfatta” è un susseguirsi di frasi da Baci Perugina, nomignoli ultra-stucchevoli, luoghi comuni di ogni epoca ed estrazione, feste di compleanno faraoniche. La felicità dev’essere ENORME, dev’essere DI PIÙ per riuscire a farsi sentire o a suscitare una reazione.

Io, mio malgrado, appartengo più al partito del cinismo lamentoso. È questione di attitudini. Quello che mi piacerebbe, però, è poter fare a meno sia di una che dell’altra narrazione. Non so che cosa contribuisca, a livello tecnico e formale, a trasmettere quella sensazione posticcia che ti assale quando leggi o ascolti una mamma super cinica o una mamma super orsachiottosa. Non lo capisco, ma lo percepisco. E non ne abbiamo bisogno. Così come non abbiamo bisogno di sviluppare strategie per reagire al compatimento o all’ostilità altrui. I bambini devono piacere a tutti? No. Ma magari noialtre potremmo fare a meno di provare a piacere a chi, esercitando un suo diritto – per quanto discutibile -, la pensa così. E potremmo ricominciare a raccontarci – se ne sentiamo il bisogno -, come ci pare e quanto ci pare. A usare parole vere, che molto più del teatrino che allestiamo sanno trasmettere la bellezza in mezzo alla discreta fatica che ogni tanto facciamo.
Di che parla la gente, alla fin fine?
La gente parla, da sempre, di quello che ama.
Così com’è. 

 

35 Comments

  1. se ti può consolare io tvb qualsiasi narrazione adotti 😀

  2. Buongiorno tegamina. Io penso che il tuo amore per cesare si capisce benissimo anche se non sbrodoli. E che mai come in un mondo interconnesso è difficile mantenere un sano equilibrio fra ciò che è privato ciò che è condivisibile e ciò che è una confidenza per pochi. Non sono per chi ti legge ma per chi scrive. Buona giornata!

    • È vero. Anche quello è un grande interrogativo da gestire. <3

  3. Quello che sicuramente condiziona me -che non sono madre- è la consapevolezza che, per tutti gli aspetti della vita privata, i social non sono abbastanza.
    Tutta quella complessità che sei esserci dietro, non emerge e non può emergere e la cosa, più che colpirmi, mi crea una naturale propensione a prendere quell’input lì senza dare troppa importanza alla cosa. Come un qualcosa che non so bene cosa voglia comunicarmi.
    Finisco quasi per preferire l’uso dei social meramente “contenutistico”, lo uso per avere consigli, trovare cose belle, guardare luoghi dove vorrei andare, ma per tutto il resto, pur senza provare sentimenti negativi, provo un automatico disinteresse.

    Credo, temo, che l’essere psicologa ed essere a contatto tutti i giorni con “quello che le persone non dicono” mi abbia irrimediabilmente condizionato.

    • Con il mestiere che fai penso ti venga anche spontaneo approfondire tanto le cose. E molto spesso le istantanee di vita che le persone condividono sui social sono la cosa più lontana da un discorso approfondito sui sentimenti. Ci sono narrazioni che si costruiscono nel tempo, un pezzettino alla volta, ma richiedono un’attenzione a chi vede/ascolta che non sempre è possibile ottenere – il che mi pare anche sacrosanto.

  4. Paola Lipari Reply

    Brava brava brava! Condivido assolutamente quello che dici..e mi consola tanto perché anche io sono sempre assalita da questi timori! E te lo scrivo mentre faccio l’aerosol per la bronchite che mi ha contagiato la mia bambina di quasi tre anni 😀

  5. Ho l’istinto materno di una mantide religiosa, nonostante sia zia affettuosa di 4 esseri umani fra i 5 e i 10 anni, dunque proprio per questo ho apprezzato il tuo rimanere “normale”. Sarà che a quasi 33 anni non mi spiego come mie coetanee brillanti e piene di ambizioni abbiano deciso di rinunciare a tutto (lavoro, interessi, vita sociale), per dedicare la loro esistenza e le loro apparizioni social solo ed esclusivamente ai propri pargoli (scelta comunque legittima e rispettabile); sarà che da mesi mi sento dire da perfetti estranei “muoviti a fare un figlio, che inizi ad avere una certa età”; sarà che sono terrorizzata dal non essere in grado, dal diventare una mamma “pancina”, dal dover stravolgere la vita mia e del mio compagno in una maniera tale da non ritrovarci più. Dunque, ben vengano le mamme che riescono ad arricchirsi, ma senza snaturarsi, conservando quella giusta e buona dose di cinismo, sarcasmo che le ha sempre caratterizzate. E, quando si rimane se stesse, non c’è nulla di male nel lasciarsi andare ad esternazioni “pancine” o super affettuose: persino noi Erode le apprezziamo! Un abbraccio a Cesare, dal nome e dalla chioma meravigliosi

    • Il “come la si prende” è una faccenda quasi del tutto imprevedibile, ho scoperto. La cosa più normale, in realtà, è constatare che le cose cambiano per forza… non credo esista una maternità che non stravolge qualcosa. È un evento fra i più enormi che possono capitarti e, così come non bisognerebbe dare corda a quelli che ti mettono fretta con i vari e sgradevolissimi MA ALLORA LO FACCIAMO UN FIGLIO, non bisogna nemmeno perdersi troppo per strada. Ho sempre pensato che Cesare merita di passare del tempo anche con me, non solo con me in qualità di “mamma di Cesare”. Ma non biasimo quelle che decidono di rinunciare alla carriera o a chissà che altro, però. Ci sono vocazioni che si scoprono per vie traverse. E la percezione di quello che è importante cambia molto. Io non ho smesso di lavorare, ANZI, ma mi sono resa conto che il “fare carriera” era una priorità molto meno pressante rispetto a quello che potevo pensare dieci anni fa. Insomma, è tutto estremamente personale.

  6. Sono mamma da tre anni e mezzo. Anche per è stato fondamentale (e lo è ancora) non essere considerata soltanto “mamma”. Non voglio che sia solo quello a definirmi. Sono una donna, prima di tutto. Ho i miei interessi, mi piace fare delle cose, e non tutte sono compatibili con una bambina. È stato difficile, ma piano piano ho cercato di riappropriarmi dei miei spazi. E per questo spesso vengo giudicata. Perché se stai con lei, la porti in giro e le insegni delle cose, “ci perdi troppo tempo” (sì, ci hanno detto anche questo); mentre se la lasci o ti lamenti, sei una pessima madre, che non apprezza il dono che le è stato fatto.
    Alice è stata voluta, desiderata. Ma non eravamo comunque pronti allo tsunami che ci ha investiti col suo arrivo. Nei primi mesi della sua vita, i miei primi mesi da mamma, mi sentivo completamente inadeguata, sbagliata. A casa da lavoro per 6 mesi (i cinque della maternità più il mese in cui l’ufficio era chiuso per ferie) mi sembrava di impazzire. Non facevo altro che piangere.
    Lei non è stata una bambina facile. Per i primi otto mesi non ha fatto altro che piangere e urlare. Per i primi due anni si è svegliata anche dieci volte a notte. Ed io (noi) ero uno zombie.
    Mi avevano sempre parlato della maternità come di un’esperienza straordinaria, meravigliosa, la più bella della vita. Ma ovviamente per me non è stato così.
    Sulla maternità rimane il quadretto stereotipato della famiglia mulino bianco. Chi ha difficoltà tende a tenerle per sé. E a giudicarti se sei tu a tirarle fuori.
    Non c’è empatia.
    Col tempo mi sono resa conto che quando parlavo (parlavamo) di Alice in giro, lo facevo sempre lamentandoci, lagnandoci. Probabilmente perché è questo che ci si aspettava da noi. O forse proprio per uscire dal quadretto stereotipato.
    Lei in realtà è una bambina straordinaria: curiosa, chiacchierona, intelligente, felice. E insieme, soprattutto adesso, soprattutto ora che dialoga, esprime i suoi bisogni e le sue idee, ci divertiamo.
    Ci sto lavorando. È questo che voglio che venga fuori dai miei racconti su di lei, su di noi. E mi sto impegnando a farlo venir fuori.

    • Dimenticavo…
      Quelli che, una volta diventati genitori, non fanno altro che condividere sui social foto, manifestazioni di amore imperituro, attività e simili dei pargoli, io non li capisco proprio.
      Non li capisco, ecco. Come non capivo quando lo facevano prima che arrivassero i figli.
      Dai miei profili social, Alice emerge pochissimo. Per la sua privacy, certo, ma anche perché non sento la necessità di condividere col mondo ogni attività che facciamo insieme, né l’amore che provo per lei.

    • Hai super ragione. E il fatto che esista una narrazione “obbligatoria” della maternità come qualcosa di idilliaco, meraviglioso, strabiliante e favoloso spesso isola e danneggia le mamme che attraversano momenti di legittima e sacrosanta difficoltà. Mamme che finiscono per non farsi aiutare (anche a livello psicologico oltre che pratico) e che vivono i loro sentimenti e le loro reazioni come qualcosa di mostruoso e disdicevole. Per carità, c’è chi ingrana subito. Ed è anche vero che ci sono bambini di più facile gestione di altri. Ma i primi tempi, per quanto grande possa essere la gioia, sono oggettivamente insidiosi. E dovrebbe esserci molta più comprensione e molto meno biasimo.
      Io, per non sbagliare, ti abbraccio molto. :3

  7. margherita Reply

    Trovo le mamme di oggi estremamente noiose e su di me hanno l’effetto di un contraccettivo, annullano le probabilità che io concepisca l’idea di avere un figlio.
    I social, il blogging a tema e i gruppi whatsapp di mamme sono tra le cose più seccanti dell’era digitale.
    Però c’è anche una piccola percentuale di mamme sostenibili che riescono a dialogare per una serata intera fra amici senza tirare mai fuori parole come dentizione, autosvezzamento, aerosol e nido comunale, che riescono a farsi ancora percepire come esseri umani dotati di pensiero e punti di vista non esclusivamente genitoriali e pediatrici, che continuano a coltivare i propri interessi e a percepire la loro dimensione non esclusivamente uterina. Mi piace questo tipo raro di mamma non ipermamma che riesce a non “mammizzare” tutto e tutti. Per quello che mi arriva tramite i tuoi spazi social, penso tu appartenga a questa specie a basso impatto e infatti ti seguo come facevo prima che tu fossi mamma e non ti trovo particolarmente cambiata.
    La cosa bella è che la tua rivoluzione (pur non avendo procreato sono certa che di evento rivoluzionario si tratti, ti credo al 100%) te la vivi senza ammorbare gli altri sul fatto che tu sia stata rivoluzionata. Così anche chi non ha figli e ha più o meno la tua età può seguirti e amarti senza sentirsi uno sfaccendato disertore.
    (E sono convinta che tu sia una mamma di alta qualità anche se non scrivi “6 l’amore della nostra vita kucciolo” ahahahah).

    • Non mi identifico con le ipermamme… ma non mi sento neanche di bollarle come una piaga. Quel che cercavo di dire è che l’enormità dell’evento provoca reazioni spesso imprevedibili. E ci sta che qualcuna si riconfiguri totalmente diventando una MAMMAMAMMA. Se devo scegliere tra il censurarmi per non apparire sgradevole a chi non si è riprodotto e il raccontare quello che mi fa felice, credo di voler parteggiare per la voglia di raccontare. Certo, la faccenda cambia quando partono le crociate “MA PERCHÉ NON FATE UN FIGLIO ANCHE VOI?” o quando si intravede l’idea che fare figli ti renda in qualche modo superiore o illuminata rispetto agli altri esseri umani. Tutti hanno i loro tempi e le loro esigenze. È anche vero che ci sono racconti meno respingenti di altri – per chi non vuole figli o disprezza l’argomento -, ma non mi sento di tifare per chi sbandiera l’odio per i bambini come un attestato di merito.

  8. Ciao Francesca, mi ritrovo in tutto quello che hai scritto., l’equilibrio con cui condividi la maternità e le tue passioni di individuo (libri, oggettini, indumentini).
    Il mio bimbo compirà due anni a dicembre e molti mi chiedono “ma non metti mai una foto di tuo figlio ui tuoi stati?” “ Mandami una sua foto ogni tanto!”
    Boh, la mia scoperta quotidiana di felicità è molto personale, faccio fatica a condividere frasi come “Il vero uomo della mia vita”, “Amore immenso che solo chi prova può capire”, ecc….
    Forse sono poco melensa e tendo a lamentarmi poco con gli altri e Non riesco ad esaltare ogni gioioso evento al resto del mondo..
    Ho un mio equilibrio personale, dato penso dal carattere.
    Continua come sei! Mi piace molto quello che comunichi e come lo fai!
    Angela

  9. Sono mamma di due gemelle da 1 anno e 4 mesi e non posso nascondere che la cosa è stancante ma anche esaltante. Ovviamente non sono solo la loro mamma (anche se perdi un po’ di identità diventando per tutti “la mamma delle gemelle”), sono una illustratrice e non ho mai smesso di lavorare, complice una partita iva da mandare avanti. Quando dico che non ho mai smesso intendo che ho partorito senza aver fatto un giorno di maternità ed essendomi trovata a metà di un grosso lavoro per una casa editrice (le bimbe sono nate prima) ho ripreso appena le hanno dimesse. Ho dovuto rincuorare tutti i clienti che “si, sono nate premature ma io lavoro senza sosta” “si, abbiamo 3 visite a settimana ma non è pesante”, “si, dormono certo, consegnerò domani”.
    Sui social sono tanto “burabacio”, sono quel che disegno, quel che studio ma sono anche la loro mamma. Non posso dire che la maternità non mi modificata, la mancanza di sonno mi ha reso una brutta persona, le occhiaie ci sono e mi sono sentita brutta e sovrappeso per molto tempo. Mi ha anche riempito di tenerezza e di stupore per quelle due giovani vite nate in contemporanea ma così diverse. Non sono diventate il centro di ogni mia foto nei social però ci sono perché passo il mio tempo con loro, mi preoccupo per loro, le guardo, ci gioco, mi scontro con la difficoltà di attraversare la strada con il super passeggione.
    A me piace guardare le cose belle, guardare al meglio perché sono fatta così, è la cifra anche del mio lavoro su burabacio e questo dà tanto fastidio. Spesso le altre mamme mi dicono che sorrido perché non so che peggio verrà (e quanto tocca essere cattivi per cercare di intristire qualcuno che già tutti i giorni fa i salti mortali per arrivare a sera?), mi dicono che non sono sincera perché loro non la vivono come me, mi dicono che non racconto la realtà come se la realtà fosse una, mi dicono che sicuramente io ho aiuti, che tra qualche anno sarà peggio. Se un giorno sono meno allegra allora mi dicono che ancora non siamo ai terribili due e poi diventano adolescenti, insomma come faccio faccio non va bene. E poi scatta la competizione, anche delle nonne /mamme con cui non parli che ti devono fermare per strada e dirti che si, tu ne hai due ma il loro fa per due quindi siamo pari. Come se avere due gemelli metta in pericolo la fatica altrui, io davvero non ho mai insinuato di faticare più di qualcun altro, non me lo sognerei mai.
    E poi c’è il sottile disprezzo di chi non ama i bambini, lo avverto anche io. Cerco sempre di far si che facciano meno casino e diano meno fastidio possibile però fatico a capire questa ondata di: che palle, dei bambini!

  10. WOW. Raramente ho letto una dissertazione così articolata, sobria e lucida sull’argomento. Come scrivi è facile scivolare negli eccessi e qui ho trovato tanto equilibrio invece; e anche voglia di mantenerlo, un equilibrio.
    Io appartengo alla categoria delle donne cui ogni due per tre viene chiesto come mai non abbia figli, che è un po’ l’altra faccia della medesima medaglia.
    Sì perché, mentre ti leggevo, pensavo che in realtà il racconto che viene fatto sia da chi è madre, sia da chi non lo è (con le varie sottocategorie per entrambi i vissuti) è sempre poi letto ed interpretato dell’Altro da noi, da chi ascolta e/o spesso interroga.
    E questo Altro critica, soppesa e misura ogni scelta che viene fatta e quindi, alla fine della fiera, ciascuno deve vivere la sua situazione con la massima serenità possibile, a mio avviso.
    Io non amo i bambini, ma ammiro le mamme e credo che l’infanzia vada protetta, quindi spesso mi piace parlare coi genitori dei progressi dei loro figli o suggerire loro qualche attività che secondo me potrebbe piacere ai loro bimbi. Quello che francamente non sopporto sono quei genitori che si aspettano che tu vada in estasi per ogni piccola prodezza della loro prole. Ci vuole comprensione reciproca credo.
    Ma l’empatia, diciamocelo, è merce sempre più rara.

  11. La personale interpretazione del ruolo di genitore è comunque e sempre messa al setaccio dai giudizi di tutti; parenti, amici, follower, verdurai e cartolai che incontri quotidianamente. E’ una costante con cui fare i conti.
    La profonda essenza bergamasca del fare la mamma a modo mio mi porta nella direzione del “farmi i cazzi miei”. Faccio, scrivo, fotografo quel che mi pare in quel momento (poco) e se gli altri giudicano pazienza; non è quella foto o quella dichiarazione che fa di me una madre diversa da quella che sono e, soprattutto, senza quella foto o quella dichiarazione verrei comunque giudicata e categorizzata come altro, comunque. La sopravvivenza, secondo me sta nel non giudicare nessuno.

  12. Ciao Francesca!
    Tralasciando il fatto che adoro la tua modalità di scrittura, volevo dirti, riguardo a questo post, che mai parole furono più azzeccate.
    Io, ad esempio, sono una ragazza di 24 anni, con un bimbo che fra una manciata di giorni ne compie 1 e che si è completamente ritrovata nei tuoi racconti.
    Sono mamma, giovane per carità, ma sono sempre io, Samanta.
    Per me la normalità è stata tornare a cenare fuori con quello che, quest’estate, è diventato mio marito per poi tornare a casa e trovare quel piccolo nano che dormiva serenamente sorvegliato dalla nonna.
    Dietro tutto ciò però, c’è una ragazza che ama e adora suo figlio, senza però doverlo sbandierare ai quattro venti. Son predisposizioni.
    Anche se, e qui concludo, da parte di chi non sopporta i bambini, preferirei più predisposizione.
    Sì, predisposizione all’essere umano.

  13. Francesca, trovo questo post una delle cose più interessanti e aderenti a come mi sento io sul narrare la maternità oggi. Sei come sempre un faro!

  14. Cara tegamina, da non mamma e ragazza di 27 anni che al momento non farebbe un figlio neanche sotto tortura, e diciamo che ora non nutre né simpatia né astio per i bimbi ma semplice disinteresse, ti dico che dovresti sentirti libera di mostrare, dire e raccontare ciò che vuoi. Ci sarà sempre qualcuno che avrà da ridere, che fraintenderà, giudicherà etc come tu stessa hai detto.
    Sono una persona insicura, quasi a livello patologico, se si tratta di pippe mentali arrivo sempre in finalissima, quindi comprendo i tuoi dubbi e ritrosie. Ma se il tuo lungo e bellissimo post è un modo per liberare questi tuoi pensieri e capire se il tuo “contenerti” ha senso di esistere… per quel che vale ti dico: fregatene e davvero fai ciò che ti senti!

    (Facile a dirsi, difficile a farsi. Yes, I know. E lì che sta la fregatura :D)

    Un abbraccio!

  15. Cara Tegamini,
    Da quarantenne senza figli, esprimo il mio personalissimo nonché seguente parere: la comunicazione vince quando e’ coerente e sincera.
    Di consueguenza, credo che non debbano esistere paure o remore nel comunicare ciò che si sente personalmente vicino…fermo restando che vige ed impera l’assunto in base al quale non si può piacere a tutti. Ci sarà sempre chi, in buona o male fede, troverà in ciascuno lo spunto per una critica o una recriminazione.
    Ciò che risulta pensante ed infastidisce non e’- in generale- il fatto di parlare di bimbi, ma l’apparentente stato di illuminazione e luce divina che sembra provenire da alcune personalità che, con la maternità, si sentono investite di qualche strano salvacondotto che giustifica e pone aprioristicamente superiori certe istanze.
    Cito una cara amica non immune:
    Io” amica ci possiamo sentire alle 19.30 per questa cosa di lavoro?”
    L’amica:”nooo, alle 6 devo uscire andare a prendere bimba, fare da mangiare e metterla sullo space shuttle”. Con un tono tipo: ma sei pazza a chiedermi una cosa del genere?!?!?!?!ma non sai che potrebbe crollare il mondo se bimba non assume l’adeguata dose di macro e micronutrienti entro le 19 zero zero mentre la terra e’ In asse con mercurio e in trigono con Saturno?!?!?????
    …bastava un semplice, “mi spiace non riesco…” no?!?!?!

  16. Di solito non commento mai, principalmente per pigrizia, ma anche per timore di sembrare sempre in qualche modo fuori luogo (a proposito di farsi le paranoie), ma ho letto questo post davvero con molto interesse. Io ho una bimba di 16 mesi e quindi anche io sono relativamente da poco entrata nel “mondo delle mamme” e devo ammettere che la stragrande maggioranza di ciò che il web offre a tal proposito mi fa inorridire. L’approccio che va per la maggiore è sempre quello sdolcinato e stucchevole della super mamma, in cui non mi ritrovo per niente (da questo punto di vista se non altro sono rimasta fedele alla mia visione della maternità pre figli ), soprattutto perché risulta finto! Per intenderci, gli unici della categoria che seguo volentieri senza che mi venga il latte alle ginocchia sono i Pozzolis! Quindi non pensare nemmeno per un attimo che se non parli spesso o mostri tuo figlio sui social è perche non lo ami abbastanza. Chi pensa questo ha dei seri problemi di percezione della realtà di cui te ne puoi altamente fregare 😉 allo stesso tempo però, se a volte vorresti parlarne di più, falloA senza temere di essere giudicata.Finché sei sincera e te stessa non risulta pesante secondo me, e se per qualcuno invece lo fosse pazienza, salterà un post o una story. Ah, che dura essere mamme….! (giusto per buttarla sull’autocommiserazione :-D)

    • …Ma penso che la tua collega volesse semplicemente farti passare il messaggio che le questioni di lavoro tendenzialmente si dovrebbero risolvere molto prima delle 19.30 e che è un tantino inopportuno “disturbare” una famiglia all’orario di cena!! Per vari motivi che ha scelto di elencarti 🙂 Forse non era nemmeno la prima volta che le chiedevi disponibilità overtime!?!
      Non è che la tua collega non “poteva” rispondere. Forse avrebbe potuto anche, ma semplicemente non “voleva” (e non vorrà più…): la semplice verità è che le priorità cambiano e lei alle 19.30 ha molto altro da fare rispetto al lavoro!

      (Come è, mi permetto di dire, giusto che sia, con figli o senza figli, dato che di base qualsiasi attività professionale a mio parere, a meno che sia un lavoro su turni, dovrebbe essere chiusa molto prima dell’orario di cena :))

      ps. bel post Tegamini! 🙂

  17. Francesca la seconda cosa più bella di questo blog dopo i testi che scrivi tu sono i commenti delle persone che lo leggono. Tutte persone che scrivono cose assennate, da prospettive totalmente diverse l’una dall’altra ma sempre rispettose dell’altro da se. È meraviglioso, da oggi ho deciso che: come tu quando vuoi farti del male vai a leggere i commenti sotto le foto della Ferragni cum prole, io quando vorrò riavere un po’ di fede nell’umanità verrò a leggermi i commenti dei tuoi lettori qui. Mi sento sinceramente meglio, grazie a tutte ❤️

  18. Ciao Francesca,
    sono Giovanna e ti ho scoperta da poco. Però questa tua narrazione arriva al momento giusto perché esprime quello che sentivo da tempo, ma non riuscivo a verbalizzare. Adesso, da mamma, potrei elencarti quanti figli ho, quanti mesi/anni hanno, se lavoro o meno, quanto lavoro, se ho aiuti, ecc., infilandomi per prima nel siparietto delle barricate. E invece quello che ho capito io è che, involontariamente, a me piace saltare da una “barricata” all’altra, che vorrei fossero solo aiuole e se, invece che trovarci fucili puntati, ci trovassi fiorai curiosi di sapere come si coltivano i tulipani, mentre mi offrono il loro mazzo di peonie, forse nessuno sentirebbe il bisogno di scrivere questi post e altri, come me, sentirebbero il caldo piacere del sentirsi compresi. Ma grazie non te l’ho ancora scritto? Grazie davvero.

  19. Grazie, perché in questo post come in altri a tema “mamma” riesci in realtà a cogliere aspetti talmente profondi del genere umano che ogni volta mi partono mille ragionamenti sulla vita, l’universo e tutto quanto, i tuoi ragionamenti sono sempre sensati e piacevoli e ti ringrazio anche solo per averli voluti condividere anche a chi come me ti legge e/o vede nelle stories e magari non commenta quasi mai (se c’è una sezione commenti nei social per me non è obbligatorio dire qualcosa, ma vedo che non tutti la pensano come me e magari commentano per il semplice gusto di dire la propria anche su come si calcola l’equazione di Schroedinger). E un grazie in particolare perché la tua narrazione da mamma fa sentire meno strana me, che non lo sono e non so se lo sarò mai, ma che ogni volta che sento o leggo mamme super orgogliose della loro creatura, amiche incinte e amiche super contente per futura mamma, colleghe che arrivano al lavoro raccontando l’ennesimo cambio vestiti del figlio che l’ha fatta proprio prima di uscire di casa, mi sento estranea perché non riesco a sentire questo super sentimento che hanno loro verso tutto questo mentre tu riesci a coinvolgermi e farmi capire che la maternità non è solo un elenco di prime parole, pappe, rogne e urla ma c’è molto altro.

  20. Mara Bonamano Reply

    Sono una ziamamma da un anno ormai, mia nipote di quasi 3 anni mi è stata affidata e mi sono ritrovata la vita stravolta nel giro di pochi giorni.
    Le tue parole le sento tanto anche mie… Quanti post ho iniziato a scrivere su fb ma poi cancellati per il timore di risultare noiosa o stupida!
    Non ho avuto nessuna gravidanza, non ho passato nove mesi di attesa, allattamento e altro ancora, eppure faccio la mamma e mi sento a tutti gli effetti tale.
    Sono un’illustratrice e per tanti mesi ho dovuto mettere da parte il mio lavoro per occuparmi h24 della bambina.
    Le madri vengono viste come ‘pancine’, un po’ stupide, sguattere della casa e schiave dei propri figli e spesso sono le altre donne a pensarlo.
    Vorrei potermi sentire davvero libera anche io di condivire attimi di gioia, la felicità immensa che provo nell’avere mia nipote vicino, eppure resta più facile lamentarmi di aver passato la notte in bianco o del casino di giochi in giro o delle scritte sui muri (con le amiche strette, su fb mi sono limitata a pochi post amorevoli, forse troppo poetici).
    Probabilmente sono diventata un po’ monotematica, ma come si fa a non esserlo se la percentuale di tempo maggiore la si passa con gnometta/o al seguito?
    Sui social si sa di esser visualizzati e forse in automatico scatta ‘l”esagerazione’ per poter spiccare tra i tanti, così escono fuori super mamme, super lamentele, super bimbi prodigio e dalla spiccata parlantina.
    C’è molto su cui riflettere da questo tuo bellissimo post.

  21. che bellissimo articolo! Ci rifletterò su anche se non ho figli e sono (ero?) del partito “detesto i bambini”.

    • Grazie, cuora. Non punto alla conversione di nessuno, ma dopo due anni di militanza materna e di letture assortite sul tema mi è venuta voglia di riflettere un po’ sulle relazioni tra i due “mondi”. L’adattamento reciproco non è sempre molto lineare, ma possiamo provarci. :3

  22. Bellissimo post, equilibrato e molto vero, mi ci ritrovo tanto. Complimenti ❤️

  23. Che meraviglia di post: lucido, non giudicante, pieno di cose che condivido.
    Sono al quinto mese e sto vivendo un mix tra paura di dover improvvisamente cambiare tutte le mie abitudini e voglia di rimanere quello che sono: mamma sì, ma anche figlia e ragazza (di trentasette anni, quasi trentotto quando partorirò il mio primo infante) che sa stupirsi ancora delle cose belle del mondo. Questo post mi rasserena e mi rassicura sul fatto che come me, anche altri si interrogano sulla narrazione della maternità – e su come gestire tutto.
    Sono certa che alcuni mi giudicheranno arida e priva di sentimenti perché ho già scelto di tutelare la privacy di mio/a figlio/a non pubblicando ogni secondo della nostra vita assieme, pur usando i social. Così come io tollero poco il fatto che molti invece condividano tutto, raccontandolo come qualcosa di idilliaco e tenerissimo.
    Insomma, Francesca, grazie per aver dato voce a chi come te non vuole sentirsi giudicata.

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