Tag

Adelphi

Browsing

[Un doveroso commento all’immagine di copertina: “o almeno ci provo”].

I libri che ho letto più volentieri nel 2023 non sono necessariamente i libri più belli del 2023. O i libri più meritevoli dal punto di vista letterario o contenutistico. O i libri più “importanti”, quelli che cambieranno le sorti del mondo e ci renderanno collettivamente esseri umani meno schifosi. Magari non sono nemmeno tutti usciti nel 2023, ma per fortuna i libri non scadono e possiamo leggerli quando ci pare.
Insomma, questo agglomerato di letture è un esercizio riepilogativo che non ha mai avuto l’ambizione di configurarsi come classifica d’assoluta nobiltà all’interno dell’impervio cammino della civiltà umana. Sono i libri che ho letto più volentieri quest’anno e che, per un motivo o per l’altro, mi hanno sorpresa per inventiva, son riusciti a intrattenermi quando ho sentito la necessità di essere intrattenuta – mi hanno “fatto bene”, in parole povere – o hanno risvegliato in me dell’ammirazione per chi ha saputo congegnarli.
Se son libri che ho amato vuol dire che sono libri di cui ho già parlato a tempo debito, quindi qua li mettiamo in fila e per approfondire vi rimando ai pezzi originali. 

Vado. E no, non sono in ordine di preferenza o roba simile.


A. K. Blakemore
Le streghe di Manningtree
Fazi
Traduzione (splendida) di Velia Februari


Sam Kean
La brigata dei bastardi
Adelphi
Traduzione di Luigi Civalleri


Coco Mellors
Cleopatra e Frankenstein
Einaudi
Traduzione di Carla Palmieri


R. F. Kuang
Babel
Mondadori
Traduzione di Giovanna Scocchera


Kate Beaton
Ducks
BAO Publishing

Traduzione di Michele Foschini


Eleonora C. Caruso
Doveva essere il nostro momento
Mondadori


Niccolò Ammaniti
La vita intima
Einaudi


Gabrielle Zevin
Tomorrow and tomorrow and tomorrow
Nord

Traduzione di Elisa Banfi


Maria Grazia Calandrone
Dove non mi hai portata
Einaudi


Michael McDowell
La saga di Blackwater
Neri Pozza

Traduzione di Elena Cantoni

Una cittadina del Sud degli Stati Uniti viene all’improvviso sconvolta da un evento traumatico: un ragazzo si alza in piedi durante la messa, rovescia una tanica di benzina e la chiesa prende fuoco, uccidendo quasi tutti. Il gesto pare premeditato e non c’è dubbio sul fatto che quell’Iggy fosse un tipo “strano” – almeno secondo gli standard di Harmony – ma a distanza di venticinque anni dall’accaduto nessuno riesce ancora a capacitarsene o a spiegare le ragioni profonde di quel che è successo. E Iggy, che attende in carcere l’iniezione letale e dalla finestrella della sua cella aspetta la fioritura dell’unico albero che può vedere, ripercorre insieme a noi il mistero di un gesto che ha definito la sua vita ma che sembra non essergli mai appartenuto.

Michael Bible condensa le ripercussioni di questo disastro collettivo (e i mille colpi di testa di chi cerca di crescere in un posto che non ha un centro) in questo romanzo breve ma densissimo, a suo modo lirico ed estremamente “vivo”, nonostante il paesaggio privo di appigli e prospettive di futuro. La staticità di Harmony, la tenace impresa di nascondere sotto al tappeto quel che trascende la norma o increspa la superficie impenetrabile dell’accettabilità, è uno specchio che deforma anche i luoghi più sicuri. Iggy trova rifugio dove può e fin dove le persone che ama glielo consentono, ma si scappa fin quando le gambe reggono e fin quando si può immaginare una meta alternativa, che non sempre c’è. Chi vuoi che ti ascolti, quando nemmeno tu sai spiegarti perché tutto ti respinge?

L’ultima cosa bella sulla faccia della terra si legge con rapidità ma sedimenta con calma, perché molte desolazioni si riempiono agitandosi qua e là sperando di imbattersi in un posto dove fare il nido o in qualcuno che “veda”, senza volerci necessariamente aggiustare, convertire, placare. La voce di Bible – nella resa bellissima di Martina Testa per Adelphi – sembra antica anche se parla di stazioni di servizio, robaccia che si beve, secondini che vengono a chiederti cosa vuoi mangiare per l’ultima volta. Iggy resterà un enigma, ma vi sembrerà un essere umano che ha cercato molto senza trovare assolutamente niente.

Premio MalaparteIl Premio Malaparte 2023, che si assegna a Capri a personalità letterarie internazionali, è stato conquistato quest’anno da Benjamín Labatut, che da queste parti era già transitato con Quando abbiamo smesso di capire il mondo, il suo debutto per Adelphi. Fluttuando nei pressi dei Faraglioni ho vissuto una delle esperienze di mal di mare più devastanti e inconcepibili della mia vita ma, per fortuna, il Malaparte e i numerosi momenti d’incontro collegati al premio si svolgono sulla terraferma e le vertigini sono affidate unicamente alla letteratura. Gli autori e le autrici che se lo aggiudicano trascorrono un fine settimana isolano ricco di impegni, ragguardevoli momenti gastronomico-conviviali e dibattiti pubblici, compresa la cerimonia di accettazione del riconoscimento alla Certosa di San Giacomo. Per quest’edizione, la ventiseiesima dalla “fondazione” e la dodicesima dal rilancio a cura di Gabriella Buontempo e Ferrarelle Società Benefit, Labatut ha presentato Maniac, il suo nuovo lavoro, e ha dialogato con Guido Tonelli, fisico tra i più autorevoli del CERN e magnifico “duellante”. Perché sì, Labatut di base non concorda, ma anche la sua è una potentissima e abissale forma di ricerca. Ho avuto la vasta fortuna di poterci conversare e qui trovate la generosa intervista… con tanto di intervento divino, abbiamo ipotizzato. 


Uno dei temi che emerge più di frequente, quando si discute del tuo lavoro, è la relazione tra scienza, verità fattuale e letteratura. Quanto possiamo fidarci dei fatti e dove comincia la finzione? Perché partire proprio dalla scienza – che collettivamente suscita aspettative di certezza – per fare letteratura?

La scienza deve descrivere la realtà, ma non è quello il compito della letteratura. Il ruolo della letteratura è raggiungere i posti che la scienza non può raggiungere. Riguarda significati più oscuri, più insoliti, parla del mondo nella nostra testa. Qui non c’è esperimento che tenga o che possa condurci a una verità “psicologica”, come si può invece fare quando si indagano gli atomi. La scienza si basa sul principio che il mondo si possa comprendere, che sia ordinato e si possa decifrare, anche se ci sono molti aspetti che restano impossibili da afferrare. Per quel che ne so, non è possibile comprendere la fenomenologia dell’umano usando soltanto i fatti. Non è così che viviamo. Non è così che le nostre menti funzionano. Siamo esseri fatti di desiderio, dolori, sogni, incubi. Le nostre immaginazioni sono portentose, siamo inseguiti da strati e strati di significato, molti dei quali sono finzione pura, che scaturisce solo dalle nostre menti. Nei miei libri c’è una commistione voluta, non una distorsione della verità, perché la letteratura può arrivare ad aspetti che nessun altro metodo permette di scorgere. Ce lo siamo dimenticato, abbiamo finito per credere che da un lato ci sia la verità e che dall’altro ci sia l’immaginazione, quello che inventiamo – ma non funziona così. Ogni istante delle nostre vite è una mescolanza orrenda, spaventosa e caotica di tutto questo… e ci sono altri elementi ancora che si aggiungono. E la verità, la parte più importante del mio lavoro di scrittura riguarda questi elementi aggiuntivi che né la scienza né la letteratura possono gestire. Non abbiamo un linguaggio, un metodo per avvicinarli. L’incognito assoluto è qualcosa che esiste oltre la scienza, oltre la letteratura, oltre le parole. Ecco qual è il cuore di quello che provo a scrivere. So che è là, da qualche parte. Non posso descriverlo, ma so che c’è.

È da qualche parte, ma è anche dentro di noi?

Dentro e fuori di noi, ma più che altro fuori. Se guardiamo dentro di noi ci troveremo il mondo, il mondo con la M maiuscola. Il mondo è di una stranezza estrema e inconcepibile. Tendiamo a separarcene, ma quando torniamo a guardarlo – e quello è il fulcro di molte delle storie di Quando abbiamo smesso di capire il mondo – all’improvviso ritroviamo quello che pensavamo di aver perso strada facendo. Troviamo cose caotiche, indocili e incomprensibili che superano le capacità delle nostre menti. Siamo abituati a credere che i misteri abitino “fuori” – il mondo era popolato dagli déi, pullulava di spiriti -, ma ora pensiamo che sia tutto nella nostra testa. La verità è una via di mezzo fra questi due estremi e arrivarci è molto difficile.

In Quando abbiamo smesso di capire il mondo, i matematici e i fisici che utilizzi per esplorare questa frontiera si trovano spesso alle prese con un limite espressivo: le loro teorie sembrano difficilmente codificabili. La scoperta “profonda” rende necessari linguaggi nuovi?

No, in realtà. Usano i linguaggi che abbiamo già a disposizione. Le nostre menti funzionano manipolando dei simboli – possono essere parole o può essere la matematica – ma la nostra intelligenza ha a che fare con la manipolazione dei simboli. Certo, è solo una delle porzioni delle nostre menti, la parte con cui siamo in comunicazione e che riusciamo a spiegarci. Ma esistono anche creature come i corvi, che non usano simboli ma sono intelligenti, immagazzinano ricordi, hanno coscienza di sé. C’è una forma di intelligenza che scaturisce dall’attività connettiva dei neuroni – è un’intelligenza molto diversa dall’esperienza “conscia” ed è qualcosa che stiamo iniziando a costruire ora con le nuove tecnologie, come l’IA. L’IA funziona così, è un’intelligenza scorporata e senz’anima.
Insomma, non penso che si tratti della creazione di linguaggi nuovi, non so se esista una via capace di superare la matematica o le parole. Non lo so. Io posso arrivare solo fin lì… e non è che sia andato chissà quanto lontano.
Visto che scrivo, però, sono pienamente conscio – come ogni scrittore – di cosa sono le parole e di cosa possono fare, dell’impatto che producono su di noi. Ma sono anche tragicamente consapevole di quanto poco contino. È l’aspetto più superficiale e meno rilevante di chi siamo. Ci siamo del tutto consegnati alla ragione, al linguaggio, al pensiero – e oggi anche alla frangia più patetica di questo aspetto: l’opinione. Le opinioni sono come il buco del culo, tutti ne hanno una. Il centro di tutto diventa quello, ciascuno si preoccupa unicamente del proprio buco di culo. È incredibile. [ride] Ma le cose che ci interessano davvero, come esseri umani, sono le cose che sentiamo, che intuiamo, che patiamo, le cose che ci travolgono. Quello che cerco di fare nei miei libri, il motivo per cui i miei protagonisti si comportano così, è che sono invasi, posseduti, innamorati… ed è un’esperienza dolorosa.

E leggendo lo si avverte. Non c’è scienziato fra le tue pagine che non attraversi un momento di crisi profonda o che possa dirsi allineato ai ritmi del mondo. Sono ricerche che li assorbono completamente, isolandoli dalla realtà e facendoli sprofondare nell’ossessione.

L’ossessione è una forma d’attenzione potenziata, è l’attenzione che si trasforma in arma. E l’attenzione, per citare Roberto Calasso, è il potere che permette agli dèi di costruire l’universo. È ardore, calore, energia sessuale, oltre che intellettuale. È la mente che costruisce, pensiero dopo pensiero, qualcosa degno di sacrificio. Ecco perché porto i miei personaggi a quegli estremi, perché è lì, quando si patisce questa sorta di possessione, che rinunci a te stesso e che ti esponi al tormento. È il nucleo fondamentale, perché sfugge a ogni controllo ed è in quel momento che le cose nuove vengono messe al mondo. Ho incontrato persone così, parecchie. Ci si aspetta che gli artisti siano ossessivi… e quello che ammiravo negli artisti, crescendo, era proprio questo atteggiamento “religioso”. Ti consegni a qualcosa che è più grande di te e lo fai anche se sai che ti distruggerà. Quello per me era il fulcro della questione. Ci vuole coraggio.

E fede, magari?

No, la fede non basta.

[Siamo seduti sotto a un albero. In questo preciso istante un frutto si stacca da un ramo, chissà dove, e precipita in mezzo a noi sul tavolo. Non posso fare a meno di esclamare FLEABAG!]

Esatto! [ride]

La volpe di Fleabag, se ci pensiamo, è “il segugio dei cieli” – e sarà anche il titolo del mio discorso di accettazione del Premio Malaparte. Il segugio dei cieli è una figura molto importante per me: è Dio che insegue chi più ama, incalzandolo senza tregua. Quella è l’esperienza a cui voglio arrivare. Non sei tu che cerchi qualcosa, è quel qualcosa che insegue te. E le persone che mi interessano sono quelle inseguite dal segugio. La fede non basta. È la morte del pensiero, per me. Non si crede nell’amore, lo si subisce. Se hai fede puoi anche smettere di pensare. Ma il pensiero è doloroso proprio perché serve a dubitare, ti scava dentro come ogni cosa che è davvero importante. Il punto è non essere lasciati in pace, mai. Non siamo esseri intellettivi, siamo senzienti… cioè sentiamo, soffriamo e ogni conoscenza che otteniamo si guadagna con il dolore. Quanto vorrei che non fosse così… [sorride]

Anche il tuo processo di scrittura risponde a questa dinamica? Gli argomenti ti inseguono e ti impongono di trovare risposte? Si scrive per ossessioni?

Certo, non si può scrivere in altro modo. Cioè, dovresti essere capace di perdere momentaneamente la ragione, dovresti riuscire a scrivere senza distruggere chiunque ti circondi, dovresti riuscire a cercare la verità senza perdere te stesso, ma non è possibile… non veramente. Ci sono parti di te che perderai – e dovrai farci i conti. Se vuoi scrivere bene e se il libro è autentico, ti modificherà, se glielo permetterai. Ti mostrerà aspetti orribili di te e ti obbligherà a prenderne atto. Sfogliando quel libro non ti verrà mai in mente di esclamare “Oh, ma è meraviglioso!”… sarà proprio il contrario. La copertina italiana di Maniac mi piace moltissimo, perché esprime esattamente quello che dovremmo scorgere. Dobbiamo vedere l’ombra, questa tenebra che aleggia alle nostre spalle. La scrittura migliore viene dall’ombra e questo spiega perché così tanti miei colleghi sono disperati e finiscono per ammazzarsi.

E cosa succede a chi legge?

Non mi interessa. Voglio dire, i calciatori non prestano la minima attenzione agli spettatori in tribuna. Sono innamorati della palla e non pensano ad altro. Non ci si può concentrare, non si può fare gol altrimenti. Badare al resto non è nemmeno un’opzione. Chiaro, alcuni possono essere gentili con i loro fan e dar corda alle persone che li ammirano… e possono anche essere degli stronzi – entrambe le alternative sono assolutamente legittime, ma sono innamorati del gioco. Io sono innamorato della scrittura. I lettori leggono, ma io sono uno scrittore.

È interessante perché molti lettori cercano l’immedesimazione, invece. Vogliono ritrovarsi nei personaggi e capita che apprezzino di più le storie in cui si riconoscono…

Ma quello non è leggere. Quello è specchiarsi. Dovrebbero guardare la tv. Non parlo di buon cinema, intendo proprio la tv. Quella fa per loro. Perché nemmeno il cinema funziona in quel modo. Un libro non dovrebbe mostrarti chi sei. Dovrebbe mostrarti il mondo.

O quello che per conto tuo non sei capace di vedere.

Assolutamente, nel migliore dei casi. O dovrebbero mostrarti gli aspetti più terrificanti di te. C’è una meravigliosa tradizione di mostri, in letteratura. Uomini mostruosi e donne mostruose. È fondamentale che esistano anche libri scritti da mostri perché l’immagine del mostruoso ci mette di fronte a quello che davvero abbiamo più bisogno di vedere. Dovrebbe essere uno spettacolo difficile da guardare, dovrebbe spaventarci. I libri dovrebbero farci paura.

Pensi che questa ricerca di rassicurazioni e certezze riguardi anche la scienza? Scienza, spiegami il mondo. Dimmi in cosa devo credere e come funzionano le cose.

Non bisogna confondere il pubblico – e il consumo “generalista” della scienza – con la scienza in sé e per sé. La scienza funziona scavando dei buchini minuscoli nelle cose. Gli scienziati sono ossessionati da dettagli infinitesimali. Sono artigiani… anzi, rispetto agli altri esseri umani appartengono proprio a una specie diversa. I veri scienziati sono le persone più strambe che si possano incontrare. Ho un amico ossessionato dall’apparato riproduttivo degli scarafaggi. Ma quella è scienza. Può riguardare un dettaglio simile o l’origine dell’universo. Chiunque possa davvero definirsi scienziato è fin troppo conscio – in senso platonico e socratico – di quello che ancora non comprende, di quello che ancora non sa. E se sa qualcosa si chiederà quanto è approfondita la conoscenza che abbiamo accumulato, quanto ancora possiamo scoprire. È una disposizione estremamente diversa. Il consumo pubblico è religioso, semplicemente. Mostrami come funziona il mondo, giusto? Rassicurami. Va benissimo, anch’io mi sono prefissato di imparare il più possibile sul funzionamento del mondo. Non sto assolutamente deridendo l’impulso di chi vuole imparare qualcosa in più – lo facciamo tutti. Ma quello che mi interessa somiglia a un atto di magia, a un gioco di scatole cinesi: vogliamo afferrare gli aspetti dell’universo che superano la nostra comprensione… ed è quello che ci tiene in vita, che permette a tutto di evolversi. È il caos bizzarro che rende le nostre vite vivibili.

Abbiamo perso la magia? Intendendola come strumento “laterale” che può aiutarci ad allargare la prospettiva e a concepire l’assoluto.

La magia è incasinata e anche molto, molto pericolosa. È sempre stato così. Gli sciamani vivono fuori dalla comunità. Sono emarginati. Puzzano. La società li esclude. Ma il ruolo dello sciamano è proprio quello. Fanno paura, sono ossessionati dal sesso e mangiano i bambini. [ride]. Al giorno d’oggi non c’è spazio per la conoscenza occulta. Le persone vogliono sapere tutto, vogliono che ogni cosa venga loro spiegata, ma la magia non funziona così. Chiunque si avvicini anche solo tangenzialmente alla magia è disposto a mettere in pericolo la propria anima e non penso che in molti lo vogliano fare. Non oggi.

Anche la scrittura può diventare un pericolo per l’anima?

A volte. Voglio dire, dipende dal periodo specifico. Non lo si può fare sempre, altrimenti si finisce per diventare degli idioti pomposi. E so benissimo di cosa sto parlando perché anch’io sono un idiota pomposo. Ma bisognerebbe lasciar filtrare un pezzettino di mondo. Crescendo, si impara a sentirsi coraggiosi quando ci si imbatte in un’idea, si pensa di conoscersi perché sono tante le cose che si apprendono. Uno scrittore pensa anche di saperla più lunga della gente che lo circonda, ci cresci proprio. Leggi tutti i libri possibili e immaginabili… e poi ne leggi degli altri. Pensi di capire benissimo le cose. E poi la vita ti dimostrerà che non è vero. È durissima. Quando l’ego di uno scrittore viene calpestato è un’esperienza davvero lancinante, perché di solito è tutto quello che ha, è l’unica cosa che ha davvero sviluppato. Ha sviluppato il suo ego perché è con quello che si scrive. Non si scrive con chissà che altro, scrivi col tuo ego. Cerchi di lucidarlo per benino, ma quando viene calpestato – e se fai bene il tuo lavoro – corri un grande pericolo. In più, come chiunque, devi evitare l’alcolismo, l’egotismo, il narcisismo. Funziona così per tutti, ma gli scrittori ne sono più consci. Ce l’hai sempre in mente: rovinerò la mia vita se vado avanti così.

Ma si va avanti lo stesso?

Non lo so. Adoro gli scrittori che smettono di scrivere. Ho un giardino anch’io… magari mi dedicherò a quello.

Cosa succede quando scrivi? C’è un processo di ricerca e poi di stesura?

Preferisco non parlarne. Perché una grande componente è un po’ esoterica. Devi chiedere, devi implorare. Il nocciolo sta lì. La ricerca… [ride]… la ricerca è facile, è facilissima. Basta leggere! Bisogna leggere e sottolineare… quanto può essere complicato da fare per chi già legge per il piacere di farlo? Non è difficile. Il difficile sta nel raggiungere la verità della cose, ecco perché sono ossessionato da scrittori come Eliot Weinberger, Juan Forn, Roberto Calasso. Loro capiscono, che è molto diverso dall’accumulare documentazione. Un libro ben documentato può essere del tutto morto, ma cos’è che serve a un libro per essere vivo? Quella sì che è una questione complessa e ogni scrittore deve trovare una risposta, in qualche modo. Il processo, insomma, è caotico, prevede diversi rituali ma la costante è che bisogna sempre chiedere e implorare – in ginocchio, se possibile. [ride]

E Maniac dove ci porterà?

È un libro sull’intelligenza, raccontata attraverso tre storie. La prima è la storia vera di un fisico, Paul Ehrenfest, uno dei migliori amici di Einstein. Era un buon fisico… ma di “fascia media” in Europa, dove a quei tempi venivano svolte le ricerche più brillanti del Ventesimo secolo. Soffriva di depressione melanconica, aveva un figlio piccolo con la sindrome di Down ed era anche un ebreo che vedeva nazisti spuntare da tutte le parti. All’improvviso, sprofondò in una crisi enorme. Sparò a suo figlio e poi si suicidò. Nella parte del libro che è totalmente basata sui fatti, racconto di quella che Ehrenfest definì come “peste matematica”, un tipo preciso di razionalità che stava prendendo vita. Quel genere di razionalità, per me, si esprime pienamente nel vero protagonista del libro, il matematico John von Neumann. Era una specie di “dio infantile”. Per lui ho usato il linguaggio della religione perché sarebbe stato molto difficile descriverlo in un altro modo. Era un computer prima ancora che i computer venissero concepiti. La realtà è che è stato lui a creare il computer moderno. Era una mente di un’acutezza affilatissima. L’elemento che ha preso vita in von Neumann era la logica, il Dio della logica. E racconto la sua storia fino al giorno della sua morte, farneticante, con il cervello divorato dal cancro. Il libro si chiude con le partite disputate tra un’intelligenza artificiale – che all’epoca era la più avanzata che ci fosse – e un campione di go, un autentico artista che credeva nella bellezza come traguardo a cui aspirare. L’intelligenza artificiale lo distrugge, sebbene oggi il nostro problema non sia la distruzione… il problema è la creazione.


Vi rimando al sito Adelphi per appuntamenti e risorse di ulteriore approfondimento.
Il mio post su Quando abbiamo smesso di capire il mondo – che ho linkato anche in cima – è sempre qua.

 

 

Allora, il libro “fonte” che Christopher Nolan ha usato per Oppenheimer è quello di Kai Bird e Martin J. Sherwin – in italiano è uscito per Garzanti. Io non l’ho letto e questo vuole essere un cenno puramente informativo. Se il tema vi intriga, però, La brigata dei bastardi è un suggerimento collaudatissimo e di sorprendente godibilità. E no, non parla solo di Oppenheimer.

Sam Kean scrive di scienza e di contese scientifiche col piglio di un avventuriero e con il godimento palpabile di chi adora un argomento e vuol renderlo fruibile anche a me che non ho mai preso più di 3 in una verifica di fisica.
La brigata dei bastardi – pubblicato da Adelphi con la traduzione di Luigi Civalleri è un librone molto ambizioso e intricato – sia per complessità del tema che per sterminata ricchezza delle fonti – che spazza via col piglio deciso ogni sospetto di noia o pedanteria. Di che parla? Della corsa alla bomba atomica e del perché gli Alleati ci siano “arrivati” prima, nonostante la Germania avesse inaugurato il suo programma con un paio d’anni buoni di vantaggio. Partendo dalla ricerca sull’atomo e dalla sequenza di scoperte strabilianti dell’era pre-bellica, Kean posiziona sulla scacchiera premi Nobel, generali, spie e guastatori per raccontarci un tassello decisivo della Seconda Guerra Mondiale e, nemmeno troppo incidentalmente, la perdita dell’innocenza della scienza.

Non vi tedierò con del name-dropping che risulterebbe molto più prolisso e meno interessante di come se la cava Kean nella descrizione dei personaggi chiave – fenomenali, anche i più biechi – e non vi tedierò neanche col bigino del testa a testa tra Club dell’Uranio e Progetto Manhattan, ma spero vi basterà sapere che qua dentro troverete la degna cronaca di un’impresa umana di rara complessità, sia per l’estrema difficoltà “concettuale” ma anche per l’abisso etico che ha spalancato. Mai forse nella storia tante menti eccelse, tanti soldi e tanti sforzi produttivi si sono coagulati attorno a un unico obiettivo. Quel che ne è uscito è un terrore fuori scala e un atto inventivo che ha cambiato per sempre il nostro modo di intendere i conflitti, il potere, la civiltà, la responsabilità e il mondo intero.


Un altro paio di spunti?
La storia della bomba atomica in versione graphic-novel – con un approccio che non mi è parso troppo dissimile da quello di Kean: La bomba di Alcante, Bollée e Rodier, uscito per l’Ippocampo.
E un romanzo corale che racconta il progetto Manhattan dal punto di vista delle consorti degli scienziati impegnati nelle ricerche in New Mexico: Le mogli di Los Alamos di Tarashea Nesbit.

 

Sarò sintetica. Nel 2022 ho letto un po’ di meno rispetto al 2021. Ne prendo atto con spavalda noncuranza al grido di E VORREI BEN VEDERE. Mi piace però arrivare in fondo riordinando un pochino i pensieri. Anzi, mettendo in fila i libri che, qua dalle mie parti, hanno saputo suscitare ammirazione, sorpresa, curiosità e moti assortitissimi dello spirito. Non sono necessariamente novità editoriali del 2022, ma sono libri che ho incrociato quest’anno. Visto che ne ho invariabilmente già scritto, per approfondimenti vi rimanderei ai post originari, che trovate linkati con allegria e grandi slanci funzionali in corrispondenza dei titoli.
Fine del preambolo, vostro onore. Ecco qua i miei preferiti del 2022. 🙂


Daniel Mendelsohn – Un’Odissea
Traduzione di Norman Gobetti
Einaudi


Matthew Baker – Perché l’America
Traduzione di Marco Rossari e Veronica Raimo
Sellerio


Robert Kolker – Hidden Valley Road
Traduzione di Silvia Rota Sperti
Feltrinelli


Inés Cagnati – Génie la matta
Traduzione di Ena Marchi
Adelphi


Sarah Perry – Il serpente dell’Essex
Traduzione di Chiara Brovelli
Neri Pozza


Hernan Diaz – Trust
Traduzione di Ada Arduini
Feltrinelli


Brian Phillips – Le civette impossibili
Traduzione di Francesco Pacifico
Adelphi


Jackie Polzin – Quattro galline
Traduzione di Letizia Sacchini
Einaudi


Claire Keegan – Piccole cose da nulla
Traduzione di Monica Pareschi
Einaudi

 

“Regala un libro che non sbagli mai”: MADORNALE ERRORE, TRAGEDIA, MENZOGNA!
Donare un libro è potenzialmente meraviglioso, ma bisogna metterci del doveroso impegno e lasciarsi pervadere dalla nobile necessità di assecondare – o almeno di intuire – gli interessi altrui. È anche un po’ per favorire questa sana ricerca di argomenti e aree di curiosità che, specialmente a Natale, tendo a procedere per temi ben riconoscibili. Quando si può, provo anche a individuare delle edizioni “importanti”, perché mi preme farvi fare doppiamente bella figura. Ma guarda, questo libro è perfetto per me ed è pure MAGNIFICO a vedersi! Ecco, non sempre si arriverà a quest’intersezione eccellente tra contenuto e involucro – che poi è anche un po’ la definizione condivisa di “strenna” – ma vale la pena tentare.
Altre note metodologiche? Non necessariamente troverete solo novità freschissime – perché i libri, per nostra fortuna, non scadono. Sì, i link puntano ad Amazon – ma se non vi va di comprare lì e di convogliare ESORBITANTI % di affiliazione nella mia direzione potete felicemente segnare tutto e rivolgervi alla vostra libreria preferita.

Procediamo?
Procediamo, che queste premesse non ha mai voglia nessuno di leggerle.


Giampaolo Barosso
Dizionarietto illustrato della lingua italiana lussuosa

Elliot

Gramolazzo! Caccugnare! Lampasco! E suppergiù altre 2000 voci qui collezionate, spiegate e commentate con sagace ironia e un autentico gusto per la stravaganza linguistica.
Per chi coltiva una vivace passione per la lingua italiana ma – grazie al cielo – è immune da pretenziosità e parrucconerie.


Jenny Uglow
Il libro di Quentin Blake
L’ippocampo
(Traduzione di Paolo Bassotti)

Uno splendido compendio per immagini della carriera e della vita professionale (e non) di uno degli illustratori più amati della galassia tutta, dagli esordi al sodalizio leggendario con Roald Dahl.
Per chi ha voglia di curiosare nell’archivio di un artista che ha profondamente popolato il nostro immaginario, accompagnando le storie della nostra infanzia con estro e accuratissima crudeltà. 🙂


James Mottram
Jurassic Park – The Ultimate Visual History
Insight

Inaugurata nel 1993 da Spielberg – su materiale romanzesco di Michael Crichton – la saga di Jurassic Park ci ha accompagnato in varie vesti fino a pochi mesi fa, con il terzo e ultimo capitolo dell’inevitabile reboot che tocca a tutti i prodotti di successo delle nostre infanzie. Questo volume – che fa parte del catalogo favolosamente pop di Insight – è una gloriosa cronaca del backstage del primo film e chiude simbolicamente il cerchio ospitando anche i contributi di Sam Neill, Laura Dern e Jeff Goldblum, oltre a una valanga di fotografie inedite e “documenti” di lavorazione.
Per chi ama i libroni dedicati al cinema e continua a non accettare i dinosauri con le piume. Sì, vi sto specificamente segnalando l’edizione originale in inglese.


Omero
Odissea
Blackie Edizioni
(Traduzione di Daniel Russo)

Blackie inaugura con questa prima illustrissima uscita il suo filone dei “Classici Liberati” AKA un progetto che ambisce a conciliare rigore filologico e accessibilità, riconsegnandoci i testi fondanti della nostra cultura in una chiave ad alto tasso di godibilità, senza sminuirne la profondità o semplificarne la portata. Come si fa? Ottima domanda. Blackie si affida qui alla traduzione di Daniel Russo, basata sulla versione in prosa di Samuel Butler – celeberrima per la sua eleganza e leggibilità – e a un impianto iconografico giocoso e puntuale, senza tralasciare annotazioni e commento.
Per chi a scuola ha sofferto ma vuole rifarsi, per chi già ama i classici e vuole continuare coltivarli.

Bonus track: Daniel Russo che parla del lavoro sull’Odissea chez Tienimi Bordone.
Bonus track inevitabile, visto che parliamo di Blackie: il famigerato (e regalabilissimo) quaderno dei compiti delle vacanze per adulti c’è anche quest’inverno.
Bonus track correlato, visto che abbiamo tirato in ballo un libro “interattivo”: era uscito quest’estate per accompagnarci sotto l’ombrellone, ma i casi da risolvere di Scena del crimine continuano ad essere una valida idea per chi apprezza gialli e rompicapo.


Janina Ramirez
Divine – 50 storie meravigliose di dee, spiriti e streghe
Nord Sud Edizioni

Dalle valchirie a Medusa, da Rangda a Venere, un’indagine splendidamente illustrata sul rapporto tra femminilità e trascendenza. Il libro cataloga le sue cinquanta “dee” per aree tematiche – Guida e governo, Nuova vita, Morte e distruzione, Amore e conoscenza, Natura e animali -, passando in rassegna le mitologie e la storia di un ampio ventaglio di popoli e culture.
Per chi sta costruendo una biblioteca femminista, per le fattucchiere del vostro cuore e per chi apprezza leggende e folklore.


Barbara Sandri & Francesco Giubbilini
Progetto grafico di Camilla Pintonato

Il gallinario
Quinto Quarto

Dunque, vorrei in realtà segnalarvi Quinto Quarto in blocco, ma uso questa esaustiva enciclopedia delle galline come testa di ponte. Non so cosa ci sia nelle scelte grafico-visuali di Camilla Pintonato, ma questo libro mi mette addosso una serenità indescrivibile – e il serraglio è in via d’espansione, pure. Volete dedicarvi agli ovini? Perfetto, c’è Il pecorario. Vi piacciono i maiali? Ottimo, c’è Il porcellario.
Per chi sogna di governare una fattoria ma sta in 34mq a Milano e per chi ama la saggistica zoologica ben illustrata (in tutti i sensi).


Jean Giono (con le illustrazioni di Tullio Pericoli)
L’uomo che piantava gli alberi
Salani

Una caparbia impresa solitaria – portata avanti con l’unico intento di far tornare a vivere un territorio disgraziato – che non smette di scaldare il cuore e di generare edizioni stupende. Qui il testo di Giono è accompagnato dalle illustrazioni di Pericoli, che si trasformano in una sorta di narrazione parallela – con tanto di musica da ascoltare grazie a un QR.
Per chi non abbandona la speranza e crede ancora nel potere della generosità disinteressata.


Cecily Wong & Dylan Thuras
Food Obscura – Guida alle meraviglie gastronomiche del mondo
Mondadori
(Traduzione di Manuela Faimali e Teresa Albanese)

La versione gastronomica del beneamato Atlas Obscura promette di condurvi ai quattro angoli del globo alla scoperta dei cibi e delle specialità più intriganti.
Per chi ama viaggiare, sperimentare mangiando ed esplorare luoghi insoliti.


Craig A. Monson 
Suore che si comportano male
Il saggiatore

(Traduzione di Luisa Agnese Della Fontana)

Geniale copertina che rende omaggio a Cronaca Vera e contenuto di raro rigore storico, per quanto si parta da premesse indocili e riottose. Scandagliando registri e una vasta documentazione d’archivio, Monson costruisce qui una hall of fame delle monache italiane che fra il XVI e il XVIII secolo cercarono di ribellarsi – talvolta violentemente – alle imposizioni di una vita che non avevano scelto.
Per gli spiriti liberi di ogni tempo, per chi mal tollera soprusi e costrizioni, per chi ama la saggistica storica più spigliata.


Comics & Science – Vol. 1 e 2
A cura di Roberto Natalini e Andrea Plazzi
Feltrinelli

I due volumoni di Comics & Science raccolgono l’immenso lavoro divulgativo portato avanti dal 2012 dal CNR in collaborazione con una folta schiera di straordinari fumettisti italiani. Le storie sono in precedenza uscite in fascicoli tematici ma trovano qui per la prima volta una dimora “complessiva”… e il risultato è davvero magnifico. Dalla matematica all’esplorazione spaziale, dalle scoperte informatiche al collasso delle stelle, il disegno incontra la ricerca per farsi accessibile, divertente, chiaro e limpido.
Per chi impara meglio quando se la spassa, per chi studia volentieri e per chi vuole capire meglio il presente per riuscire a intravedere il futuro.


Michael Leader & Jake Cunningham
Ghiblioteca – La storia dei capolavori dello Studio Ghibli
Magazzini Salani

Tornerei volentieri a rimpolpare il filone “backstage del cinema” con questa enciclopedia (necessariamente) illustrata della filmografia pluridecennale dello Studio Ghibli. Un eccellente tour guidato che approfondisce prodezze tecniche, significati e fonti d’ispirazione, da Totoro alla Città incantata.
Per chi ama Hayao Miyazaki, l’arte e l’animazione giapponese.


Francesco Costa
California
Mondadori

Che cosa sta succedendo alla California? Come è possibile che uno stato che produce così tanta ricchezza e sul quale abbiamo riversato così tanti sogni stia diventando un posto in cui si campa fondamentalmente male? Costa torna alla sua specialità – gli Stati Uniti del nostro presente – per cercare di districare una matassa di non facile interpretazione.
Per chi ascolta Morning con trasporto, per chi si interessa di macro-fenomeni “esteri” che riguardano pure noi (più del previsto) e per chi sta combattendo col mercato immobiliare delle nostre grandi città.

Bonus track a tema Costa-Il Post: la collana delle Cose spiegate bene co-prodotta con Iperborea è arrivata ormai al quarto volume. Se fra i destinatari dei vostri doni c’è chi vorrebbe approfondire il funzionamento della filiera editoriale o le droghe, la giustizia e le questioni di genere, dateci un occhio.


Mervyn Peake
Gormenghast – La trilogia
Adelphi

(Traduzione di Anna Ravano e Roberto Serrai)

Descrivere Gormenghast è un problema. Ci ho provato qui, partendo dal primo libro della trilogia. È un’opera folle, labirintica, terrificante e superba che non somiglia a niente e reinventa molto di quello che può risultarci noto. Adelphi, con uno slancio di notevole coraggio, ha deciso di far convergere i tre atti di Gormenghast in un unico volume che immagino possa tornarvi utile anche come elemento architettonico per edificare il vostro personalissimo torrione maledetto.
Per chi non teme nulla – e fa male -, per chi vuole revisionare completamente la sua idea di gotico, per chi ama i gatti bianchi in grandi quantità.


Alex Johnson & James Oses
Una stanza tutta per sé – Dove scrivono i grandi scrittori
L’ippocampo

Da Jane Austen a Paolo Cognetti, un’indagine illustrata sugli spazi creativi di chi amiamo leggere da tempi più o meno recenti. Ogni stanza è raccontata da Johnson e illustrata sapientemente da Oses, per dar vita a una grande residenza collettiva abitata da penne illustri.
Per chi legge volentieri storie e romanzi ma vuole anche sapere meglio da dove arrivano.

Corollario: se il titolo vi suscita moti d’amore per Virginia Woolf, c’è anche Stanze tutte per sé, che si concentra sulle dimore più significative per il gruppo Bloomsbury degli anni Venti (Edward e Vita Sackville-West in testa).


Valentina Divitini
Leggere i tarocchi – Una guida e molte idee per esperti e principianti
Magazzini Salani

Una guida lontana dal nozionismo per scacciare le diffidenze e padroneggiare uno strumento di ragionamento alternativo, tra immaginazione e simboli condivisi. Ne avevo parlato anche qua e vi incoraggio ad approfondire, se serve. 🙂
Per chi intuisce il fascino delle storie e vuole provare a farsi le domande giuste.

Bonus track illustre: Dizionario dei simboli di Juan-Eduardo Cirlot.


Gribaudo
La collana Straordinariamente

Vi fornisco un link approssimativo, ma sappiate che la collana Straordinariamente – popolata da questi volumi di grande formato dalla grafica di copertina assai riconoscibile – contiene suppergiù ogni branca dello scibile umano. Che vi interessiate di Black History o di medicina, di economia o di Sherlock Holmes, è assai probabile che ci sia un tomo per voi. L’idea di base è quella di rispondere ai quesiti fondamentali di una determinata “materia”, sviscerandone i casi esemplari e sintetizzando in maniera accessibile e graficamente vispa le curiosità e i fenomeni più rilevanti.
Per chi ama gli approfondimenti “verticali” e vuole umiliarci a Trivial Pursuit.


Nicolas Guillerat & John Scheid
Infografica della Roma antica
L’ippocampo

Tutte le volte che compilo questi listoni mi trovo a esclamare “diamine, stai mettendo troppi libri dell’Ippocampo!”. Ma come si fa? Sono perfetti per queste circostanze. Beccatevi dunque anche la storia di Roma raccontata per prodezze a base di data-visualization – dagli eventi bellici all’organizzazione della res publica, dall’economia ai divertimenti popolari. Se l’approccio vi affascina, i medesimi curatori hanno sfornato anche l’Infografica della Seconda Guerra Mondiale.
Per chi apprezza un approccio innovativo alla ricostruzione storica e per chi già vuol bene ad Alberto Angela.


Seymour Chwast & Steven Heller
Hell – Guida illustrata agli inferi
Corraini

Va’ all’inferno! …sì, ma quale? Ogni cultura ha il suo, ogni cosmogonia ne ha immaginato uno, per non parlare dell’arte, della letteratura e delle religioni. Questa agile guida illustrata ci accompagna alla scoperta delle dimensioni infernali più emblematiche, tra ustioni e supplizio eterno.
Per chi ci finirebbe volentieri, perché si vocifera che la compagnia sia interessante.

Bonus track: per un approccio meno pop ma di sconfinato fascino e abissale terrore, ecco il catalogo di Inferno, la ragguardevole mostra del 2021 ospitata dalle Scuderie del Quirinale. 


Altre idee inerenti all’universo libresco-editoriale? Eccoci.

La Revue Dessinée Italia

È un progetto indipendente che “adatta” al nostro contesto l’omonima rivista francese e che ha ben debuttato quest’anno con i primi tre volumi – ricevendo anche il premio Gran Guinigi di Lucca Comics come miglior iniziativa editoriale del 2022. Esce ogni tre mesi, non s’avvale di pubblicità e ogni numero è frutto della collaborazione tra giornalist* e artist*. Il risultato è una raccolta di reportage, rubriche e inchieste a fumetti “multidisciplinari” che affrontano temi d’attualità e offrono un punto di vista critico su molte magagne o fenomeni rilevanti del presente.
Si possono acquistare qua i singoli numeri, abbonarsi o donare un felice abbonamento 2023.

Donare un abbonamento vi pare un’idea saggia? Concordo e vi rammento dell’esistenza di Storytel – scegliendo una gift-card che copre periodi medio-lunghetti c’è anche un buon margine di sconto.


Treccani Emporium

Treccani Emporium si presenta come “il negozio online della cultura italiana”… e se non scelgono loro una definizione adatta non so francamente chi mai potrebbe farlo. 🙂
Oltre alle proposte editoriali di Treccani troverete anche una selezione di oggetti di design e alto artigianato e una nutrita linea di cartoleria basata proprio sulle definizioni.


Altre risorse utili già pubblicate? Perché no. 
Ecco qua la lista natalizia del 2021.
E la lista del 2020.
Questa, invece, è la lista dello scorso anno dedicata ai bambini e alle bambine.
Vi rammento anche l’intera categoria Libri, che male non fa.
Per spiccati interessi naturalistici, vi rimando volentieri al catalogo di Aboca – qua c’erano i percorsi di lettura che avevo individuato qualche tempo fa e che ho aggiornato dopo il debutto della collana Kids.
Per un colpo d’occhio rapido, ecco la vetrina Amazon – segnalo in particolare la sezione degli atlanti e la grande sezione delle strenne. Sempre lì, parecchi spunti anche per l’infanzia.

Felici doni libreschi a voi! 🙂

Dunque, quando ho finito il libro sono andata subito a cercare Grantland, la rivista che Brian Phillips – da quanto ci risulta dalla bandella – ha contribuito a fondare e animare con i suoi scritti. Voi risparmiatevlo perché posso già dirvi io che Grantland ha chiuso bottega e online restano solo gli archivi – vi metto il link, in nome della speleologia. Mi sono rattristata istantaneamente, perché immaginavo già di poter leggere a cadenza regolare una sorta di versione in tempo reale di questa raccolta di reportage, ma poi ho deciso che m’andava già benone aver incontrato Phillips nelle Civette impossibili – in libreria per Adelphi nella traduzione di Francesco Pacifico. Chissà, credo di essere diventata una che vede il bicchiere mezzo pieno, probabilmente perché visualizzo un bicchiere di rosso e non un bicchiere d’acqua.

Ma di che parla questo libro? Di varie ed eventualissime imprese umane, dalla corsa storica dei cani da slitta in Alaska (BALTO NON TI ABBIAMO DIMENTICATO) a quel che passa per la testa della famiglia reale britannica, dalle gerarchie del sumo a Locutus dei Borg. Ci sono tigri da avvistare nel folto di una foresta indiana e blockbuster caciaroni, le macerie di una famiglia di petrolieri e una gita all’Area 51 – spoiler: non si vede niente, c’è solo un cartello minaccioso in mezzo al deserto.

Sono reportage che non deragliano a causa di un’eccessiva invadenza del narratore ma che ne rispecchiano la curiosità sorniona e un po’ malinconica, il gusto per l’insolito misto a un buon occhio per il surreale
. Quel che c’è qui, anzi, è una grande collezione di episodi che paiono manifestarsi in universi lontani, popolati però da protagonisti che ne hanno fatto il loro orizzonte di normalità.
Ho un debole per la capacità d’osservazione altrui. E anche per le avventure. Non so cosa si provi a prendere un aereo per andare a sincerarmi di come si comportino i miti nel posto in cui si rendono accessibili agli esseri umani, ma mi sono goduta ogni incursione con l’interesse vispo che si produce solo all’intersezione tra narratore azzeccato e storia che vale la pena di raccontare – perché non ne sappiamo ancora abbastanza o perché c’è un modo “migliore” per avvicinarla, un’angolazione più propizia del nostro sguardo.

 

[Bonus track: un capitolo è dedicato a Norstein e al suo lavoro geniale, che si sviluppa in una sorta di mondo parallelo immune dalle scadenze ma tristemente soggetto alle necessità materiali.
Non so se mai vedremo l’adattamento animato del Cappotto di Gogol che cerca di portare a termine ormai da qualche decennio, ma Il riccio nella nebbia vive e lotta con coi. Lo trovate su Youtube e anche in questa versione libresca.]

 

 

“Con la mia testimonianza volevo rendere meno assurde certe vite fatte solo di miseria”: uscito nel 1976, Génie la matta di Inés Cagnati – in libreria per Adelphi nella traduzione di Ena Marchi – è uno di quei “ripescaggi editoriali”, se così vogliamo chiamarli, che riportano al presente romanzi o autor* che ci hanno sfiorato un po’ alla lontana o che, nel nostro contesto, son pervenuti poco o niente.
Inés Cagnati arriva da una famiglia di contadini veneti emigrati in Francia e da molto di quello che ha vissuto e conosciuto in prima persona (anche dal punto di vista del lavoro agricolo) spunta come un’erbaccia tenace questa storia asciutta e tremenda che gravita sul rapporto simbiotico – per quanto sbilanciatissimo, almeno all’apparenza – tra una madre e una figlia, entrambe emarginate da una comunità rurale che mal le tollera ma non esita a sfruttarle. 

Génie campa come camperebbe una bestia da soma. Sua figlia le trotta attorno dimostrandole una devozione assoluta e disperata, crescendo di fatto da sola in una specie di cono d’ombra fatto di attesa e dubbio (la mamma tornerà? Per quanto ancora dovrò aspettarla e starle alle calcagna nel timore che mi lasci indietro? Ma mi vorrà un po’ bene, anche se non me lo dimostra?). Marie si spiega il mondo (e ce lo racconta) con i pochi strumenti che ha, imparando gradualmente a immaginare un altrove più clemente che non sarà mai davvero alla sua portata.
Génie e Marie vivono in una casupola lontana da tutto, mangiando quello che Génie riceve in cambio delle sue titaniche fatiche nelle fattorie vicine. La famiglia d’origine di Génie è assai benestante e rinomata nel circondario, ma la piccola Maria è nata da una violenza di cui OVVIAMENTE viene ritenuta responsabile solo la madre e, per questo “peccato”, entrambe dovranno continuare a portare il peso della vergogna e del disonore, forse per sempre.

A parte la ricostruzione minuziosa della vita materiale – Albero degli zoccoli, se tu? -, uno dei temi più rilevanti è quello della follia come stigma sociale.
Génie non è “matta”, ma fa comodo a tutti dipingerla così. Si chiude nel silenzio, rifiuta di partecipare in maniera canonica alla vita di una comunità che l’ha scacciata per una colpa non sua e, deviando dalla norma, sia dal punto di vista relazionale che economico, si guadagna l’etichetta di pazza e perde il diritto di essere trattata come una persona. Il matto, come osserva anche Cagnati nell’intervista che trovate in appendice al volume, serve sia a confermare la nostra normalità e la nostra piena adesione al sistema sociale a cui apparteniamo che a fornirci un comodo appiglio per disumanizzare chi si ribella. Non solo creiamo un bersaglio posticcio, ma anche i presupposti su cui far leva per sentirci in diritto di fare del nostro peggio alle spese del soggetto deviante di turno.
Finché Génie darà mostra di accettare il ruolo di matta che le è stato assegnato – in un posto del genere l’isolamento somiglia a una forma di libertà -, tutti le permetteranno di continuare a esistere, per quanto in maniera miserabile, all’interno di un meccanismo iniquo di sfruttamento. Appena rialzerà la testa per cercare di condurre una vita canonicamente ritenuta “normale”, però, gliela faranno pagare amaramente.

Génie la matta è una delle cose più tristi, ingiuste e scoraggianti che io abbia mai letto? Penso proprio di sì.
È un libro che avanza di stagione in stagione come una filastrocca mesta – e delle filastrocche rispecchia la futilità, credo, soprattutto se vogliamo vederci un parallelo con quello che Génie deve fare per sopravvivere, un giorno dopo l’altro, come un mulo che non può concedersi di pensare – e precipita in un finale repentino che mai e poi mai, finché starò al mondo, riuscirò a metabolizzare.
SANTO IL CIELO, SIGNORA MIA.

Perché non documentarsi sull’avvincente esistenza della formica tagliafoglie, mi domando. Chi siamo noi per tirarci indietro di fronte a questo prodigio organizzativo della natura. Cosa ci impedisce di affrontare la saggistica zoologica con la meticolosità che merita. LE FORMICHE TAGLIAFOGLIE SONO CAPACI DI COLTIVARE, PERBACCO.

Se devo esternare un solido parere sul grado di complessità di questo libro, va sinceramente detto che non si tratta di uno di quegli ameni testi di divulgazione “pop” – o puramente aneddotici – tipo “le lontre marine si tengono per mano per non andare alla deriva AWWW CHE TENEREZZA INSOSTENIBILE”. Gli autori, illustri mirmecologi di lungo corso, non ci risparmiano dissertazioni particolareggiate su enzimi, esperimenti intricati, struttura del sistema nervoso e polisaccaridi fogliari. Per qualche prodigio, però, Le formiche tagliafoglie di Bert Hölldobler e Edward O. Wilson – tradotto da Isabella C. Blum per la sempre fascinosa collana Animalia di Adelphi – fila via relativamente bene. Credo molto sia dovuto al fascino del tema.

Che mai faranno, queste benedette formiche? Parecchio.
Le tagliafoglie sono classificabili come superorganismi simbiotici: non ha senso prendere in considerazione una singola formica, perché la titanica espressione della sua “intelligenza” e destrezza strategica si esprime nella colonia. E la colonia esiste con lo scopo di espandersi e di sostenere la propria crescita. Come? Mantenendo salda una relazione di simbiosi: le tagliafoglie non raccolgono con precisione militare la materia vegetale per mangiarla, lo fanno per “nutrire” la loro vera fonte alimentare, un fungo che viene collettivamente coltivato nei nidi.
Insomma, le foglie dan da mangiare al fungo (che prolifera e garantisce prosperità alla colonia solo in determinate condizioni) e la formica mangia quello. Et voilà, ecco l’agricoltura ed ecco due specie – una formica e un fungo – che collaborano e comunicano. Se la fungaia muore anche la colonia muore e sia il fungo che la formica hanno tutto l’interesse a continuare a sostenersi a vicenda.

Perché mi intrippo con queste cose? Perché siamo abituati a classificare l’intelligenza basandoci su quanto somiglia alla nostra. La natura non ha affinato le società delle formiche tagliafoglie per stupirci o offrirci uno spettacolo – anche se incidentalmente succede – ma per cogliere un’opportunità, esplorare una possibilità di specializzazione estrema e di “pensiero”. È pensiero che si basa su assunti differenti dai nostri – e di certo usa altri parametri ancora per stabilire in cosa consista il “successo” di un processo evolutivo – ma riesce ad amministrare alla perfezione milioni di individui che perseguono tenacemente uno scopo condiviso.
Quel che pare innato negli animali, quella misteriosa direzione precisa che sintetizziamo con il concetto di “istinto” non ha niente di miracoloso: è lo spazio in cui si esercita la capacità minuscola di risolvere un problema – sopravvivere – partendo da presupposti quasi inconcepibili per noi. La meraviglia della scienza forse sta proprio in quello spazio di possibilità lì: imparare a vedere quello che governa in silenzio noi, i funghi e le formiche che li coltivano… da molto prima dell’uomo.
Lunga vita alle tagliafoglie – e ai loro funghi!

***

[Bonus track]
Insetti più “fruibili”? Magari anche alla portata dei bimbi? Ecco qua una lista a tema.

Non mi sforzerò nemmeno lontanamente di compilare una classifica, che già è stato arduo arrivare a queste sintetiche conclusioni. Quella dei libri preferiti dell’anno è senza dubbio la lista più difficile da assemblare e mi getta puntualmente in un gorgo di dubbio, tentennamenti e FOMO retroattiva. Non si può nemmeno sfuggire a una certa ridondanza, perché se nell’arco degli ultimi dodici mesi ho apprezzato un libro è raro che non l’abbia già dichiarato qua e là, chiacchierandone su Instagram o scrivendone qua sul blog. Insomma, al netto di tutte queste menate, dedichiamoci a quest’impresa di sintesi che risponde alle seguenti coordinate:

  • i libri che mi sento di segnalare fra i preferiti dell’anno X non sono necessariamente usciti nell’anno X, anzi. La mia scarsa reattività al nuovo è tendenzialmente assai spiccata, quindi c’è un po’ di tutto – anche se nel 2021 sono caduta dal pero un po’ meno del solito, mi pare.
  • i criteri son più “sentimentali” e istintivi che rigorosi e bilanciati. Insomma, per una volta mi concedo il lusso di non pensare a equilibri ferrei tra fumetto, narrativa, saggistica, editori e cento altre interpolazioni possibili.
  • nel caso ci siano luoghi dove ho elaborato un po’ meglio le mie impressioni non esiterò a indirizzarvici per approfondire.
  • no, Crossroads di Franzen non l’ho ancora finito. Abbiate pietà per i ritmi altrui.

Benone, ribadendo l’onnipresente problema della fallibilità umana, ecco qua il mio miglior 2021 libresco.

*

Bernardine Evaristo
Ragazza, donna, altro
(Sur)
Traduzione di Martina Testa

Un esperimento narrativo corale che sintetizza senza retorica o condiscendenza tanto del dibattito (finalmente) attuale su rappresentazione, genere, identità e privilegio. Un libro prezioso per innovazione strutturale, piglio bellicoso e per rifocalizzazione del punto di vista.

Ecco qua dove ne avevo parlato in origine.

*

Elizabeth Strout
Olive, ancora lei
(Einaudi)

Traduzione di Susanna Basso

Il ritorno di Olive Kitteridge, la bisbetica più amata del Maine, ha rinnovato la mia ammirazione per Elizabeth Strout, che si conferma splendida ritrattista delle minuzie del tran tran quotidiano e delle testarde meschinità con cui tendiamo a complicarci la vita. È anche un libro che indaga gli effetti del trascorrere del tempo e il coraggio necessario per concederci una seconda possibilità, per quanto tardiva e monca ci possa sembrare.

Serve un approfondimento? Accomodatevi qua.

*

Teresa Ciabatti
Sembrava bellezza
(Mondadori)

Cianciamo tanto della necessità di dipingerci “forti” e poco inclini a compromessi, ci dichiariamo pronte ad accogliere ogni genere di sensibilità – inclusi i personaggi femminili capaci di concedersi l’indubbio lusso di una spigolosità palese e impenitente – e applaudiamo senza remore i più vari elogi dell’imperfezione, ma quanto ci crediamo davvero? Quanto li digeriamo senza subirne con stizza l’urto inevitabile? Forse Teresa Ciabatti non è facile da leggere. Anzi, non è piacevole da leggere. Nella voce narrante che sceglie per Sembrava bellezza non c’è nulla di comodo, edulcorato o strutturato per rassicurarci. Ecco, reduce da un biennio in cui il mondo sembra essersi accorto (con comodo) che anche il pensiero positivo perenne e onnipresente può risultare tossico e colpevolizzante, ho trovato questo romanzo particolarmente liberatorio. Ma non tanto per il gusto di seguire le peregrinazioni di una ragazza “cattiva” che mai metabolizza fino in fondo delle ombre dell’adolescenza, credo sia più una questione di zone grigie. Non c’è desiderio di rivalsa senza insoddisfazione e non c’è narratrice inaffidabilissima che non sia anche profondamente consapevole delle proprie storture e delle proprie mancanze. Non c’è ambizione all’ascesa – sia estetica che di “status” – che non parta da un’intima conoscenza di una distribuzione disomogenea delle fortune. Credo sia anche per questo che ho amato questo libro: è probabile che i personaggi imperfetti la sappiano più lunga di noi perché conoscono sia i loro deficit che quel che occorrerebbe per raggiungere la felicità e l’appagamento. Vivono all’interno di quella distanza impossibile da colmare e ci abitano concedendosi il loro unico guizzo sincero: un’insoddisfazione sacrosanta, velenosa, più vera di ogni tentativo di dipingersi meglio di quel che sono e, nel non sapersi vendicare in prima persona, vendicano noi.

Per una cronaca un po’ più lineare di questo libro, qua si può riguardare la diretta con la sottoscritta, Daniela Collu e – in coda – Teresa Ciabatti, che appare come un cigno-fantasma.

*

Kazuo Ishiguro
Klara e il sole
(Einaudi)

Traduzione di Susanna Basso

Ishiguro è stato uno dei graditi e attesi ritorni – non pochi, devo dire – del 2021. Anche a questo giro il tema al cuore del romanzo è il seguente: che cosa ci rende umani? Per ipotizzare una risposta, Ishiguro si fa aiutare da una schiera di simulacri – molto realistici e credibili, ma pur sempre artificiali – che popolano un mondo rarefatto e socialmente atomizzato. Si piange pure con gli androidi? Già.

Il post provvisto di tutti gli optional e degli upgrade più moderni si può leggere qua.

*

Giulia Caminito
L’acqua del lago non è mai dolce
(Bompiani)

Ho tifato tanto allo Strega – non è servito -, ma Giulia Caminito ha avuto la sua rivincita al Campiello e ne sono stata immensamente felice, di certo per il valore del romanzo ma anche per la soddisfazione di veder riconosciuto, per una volta, il talento di un’autrice limitrofa alla mia condizione anagrafica e che di sconfitte generazionali ha parlato senza piagnistei e deferenza verso l’ordine costituito. Gaia, la protagonista, è una piccola gorgone di lago e anche la lingua che Caminito sceglie per guidarci nella sua lotta quotidiana sconfina quasi nell’incisività e nel piglio del mito. Si parte da una famiglia disastrata, tenuta insieme solo dalla forza di volontà e dall’impermeabilità all’umiliazione dell’ingombrantissima madre, Antonia. Si procede per tappe, verso un riscatto imposto che passa per lo studio e le violentissime reazioni all’accumulo di ingiustizie di quegli anni che ci vengono spesso venduti come i più verdi e belli, ma sono verdi e belli quanto il fondo limaccioso e buio del lago di Bracciano, cornice di questa storia. Non ci si lamenta, non ci si rassegna, non si mostra il fianco. Ma dopo tutta questa fatica, tutta questa brace incandescente che coviamo e che man mano diventa sempre più fredda e rassegnata, dov’è tutto quello che ci è stato promesso? È forse mai esistito?

*

Leigh Bardugo
La trilogia di Shadow and Bone 

La serie di Netflix, almeno nel mio caso, ha prodotto quell’auspicabile esternalità positiva che prevede la trasformazione dello spettatore televisivo in lettore del materiale di partenza. Di solito preferisco arrivare “preparata” alla visione di una serie, ma in casi più rari può anche capitare che ci si trasformi in salmoni che compiono all’inverso il naturale percorso di avvicinamento. I tre romanzi di Tenebre e ossa mi hanno egregiamente tenuto compagnia, generando anche quell’effetto “devo vedere subito come va a finire” che non si manifestava da un po’. Per quanto trovi Alina irritantissima e per quanto io sia perfettamente in grado di scorgere più di un difetto nell’impianto generale e nella “resa” di questi libri, non è stato affatto impervio sedermi là a godermeli lo stesso. Innumerevoli sono stati gli incoraggiamenti a proseguire con Sei di corvi – se non proprio i “lascia perdere i primi tre, puoi leggere direttamente la duologia che è molto meglio”, ma m’è sembrato più opportuno farmi un’idea meno raffazzonata del mondo e dunque eccoci qua con un timbro nuovo di pacca sul passaporto del Grishaverse. Grazie per aver fornito il necessario intrattenimento, Leigh Bardugo. E un saluto anche a te, Ben Barnes.

*

Emmanuel Carrère
Yoga
(Adelphi)

Traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala

Che anno denso di attesi ritorni (non deludenti) e di narratori splendidamente inaffidabili, è il caso di dirlo. Carrère continua a menarci per il naso? È possibile, ma a questa ipotetica grande mistificazione – che forse poi è la mistificazione strutturale che passa per la soggettività del ricordo e di quello che ci raccontiamo per sopportare quello che succede, forse – continuo a cedere volentieri.

Per impressioni un po’ meno nebulose, il post era qui.

*

A cura di Sheila Williams
Relazioni – Amanti, amici e famiglie del futuro
(451)

Dodici racconti – raccolti da Sheila Williams per l’annuale impresa antologica della longeva serie tematica Twelve Tomorrows del MIT – per ipotizzare altrettante nuove strutture dello “stare insieme” in un contesto più o meno dominato dalla tecnologia. Coppia, figli, dating, eredità e memoria… cosa ci riserverà il futuro nel vasto calderone del legame sentimentale, dell’ordine sociale e della relazione umana? Grandi nomi della speculative fiction e della fantascienza cercano di immaginare una risposta – e no, non è detto che sia catastrofica.

Per approfondire, ecco qua.

*

Anna Maria Ortese
Il mare non bagna Napoli
(Adelphi)

Qua c’è un racconto che chissà in quale maniera sconclusionata avevamo letto a scuola. È il racconto della bambina che non ci vede e finalmente riceve un paio d’occhiali, per poi scoprire che tutto sommato stava meglio prima, in una realtà ovattata e nebulosa che le risparmiava l’orrore di una messa a fuoco precisa dell’esistente. E quel che esiste attorno a lei è Napoli, una vertigine urbana che sobbolle e digerisce a ciclo continuo ogni possibile configurazione dell’umano. Non rammento una lezione su Anna Maria Ortese, a scuola, ma il racconto della bambina mezza orba sì. Gli altri quattro movimenti di questa sinfonia dissonante e magnifica sono un tardivo recupero e, credo, anche una prova di coraggio – non tanto per me che leggo, ma più per Ortese che scrive senza pentimenti. Il tempo per pentirsi e limare sarebbe poi arrivato, ma quel che resta è una capacità magnetica di creare una distanza, il distacco necessario ad esercitare la libertà dello sguardo, a inforcare quegli stramaledetti occhiali per esercitare una soggettività unica, inclemente, poetica, mostruosa e viva.

*

Madeline Miller
Circe
(Marsilio)

Traduzione di Marinella Magrì

No, non so ancora dirvi nulla sulla Canzone di Achille. Dopo aver così apprezzato Circe, però, sono certa che lo affronterò presto e con una certa fiducia. Figlia del Sole e della ninfa Perseide, Circe cresce fra i Titani imparando a schivare le folgori delle nuove divinità olimpiche. Da sempre poco malleabile e incomparabilmente meno luminosa dei suoi fratelli, compatisce Prometeo e crea mostri, cercando un luogo dove potersi sentire davvero a casa. Paradossalmente, la vita di Circe sembra germogliare davvero da quella che per dei e mortali potrebbe somigliare alla peggiore delle condanne: l’esilio eterno sull’isola di Eea. Tra animali e piante, Circe asseconda la magia e diventa il cuore pulsante di un universo di prodigi, incontri, lotte secolari e sorti illustri. Una rivisitazione godibilissima e colta che espande il mito e trasforma in protagonista indimenticabile una figura in cui siamo abituati a imbatterci quasi di sfuggita: la comparsa infida ed egoista nella grande epopea dell’astuto e nobile Odisseo assume qui rotondità, mente, cuore e potere. Non solo equipaggi trasformati in maiali, insomma, ma una maga che pur andando ben poco a spasso contiene moltitudini. Viva Circe. E occhio a Scilla.

*

Paolo Cognetti
La felicità del lupo
(Einaudi)

Allora, io a Fontana Fredda non ci vivrei in pianta stabile, ma mi fa piacere soggiornarci per qualche tempo per andare a trovare i personaggi di Cognetti. Forse no, non ho ancora finito la mia decrescita cittadina e non sono ancora pronta a confrontarmi con l’immensità glaciale delle vette montane, ma anche questa volta il sortilegio d’alta quota si è ripetuto. È un romanzo che rallenta il ritmo del quotidiano e lascia intravedere un’alternativa che ha poco della negazione e del rifiuto e molto della ricostruzione ragionata. Pur restando dove sono, è un libro che mi ha fatto bene.

Per qualche impressione un po’ più articolata, vi indirizzo volentieri qui.

*

Concluderei con un ringraziamento un po’ ridicolo. Vorrei ringraziare i libri che sono riuscita a leggere quest’anno – pure quelli brutti o deludenti – per avermi accompagnata per un pezzo di strada. Neanche il 2021 è stato un anno semplice o particolarmente ricco di speranze provenienti dal mondo esterno e poter costruire, leggendo, un rifugio o un’oasi di sano svago ha rappresentato per me un buon punto fermo. Pochi o tanti che siano, i libri che ho letto o ascoltato – e qua nei preferiti ce ne sono diversi che ho ascoltato, da Circe a Il mare non bagna Napoli, ma anche Giulia Caminito – sono stati un puntello e un posto diverso dove far lavorare il cervello. Pochi o tanti che siano, è andata bene così.

Ulteriori rotte per la navigazione:
– siete in ritardo coi regali ma volete fare dei regali “letterari”? Vi lascio un memo per Storytel. Ci sono un casino di gift card e qua c’è sempre il mese gratis che vi donano perché siamo amici.
– a parte Instagram, anche qua nella vetrina Amazon cerco sempre di tenere traccia di quello che leggo man mano.
la lista di Natale “generale”.
la lista di Natale per i piccoli e le piccole.