Tag

Mondadori

Browsing

Siamo collettivamente programmati per considerare la California un posto degno di essere sognato. Pochi altri luoghi hanno goduto di una fama altrettanto dorata e hanno saputo capitalizzarla, rendendo spesso possibili ascese sfolgoranti e grandi fortune, più o meno basate sull’innovazione tecnologica. Se ci mettiamo i paesaggioni e la costante influenza sulla cultura globale – dal cinema alla musica – dovremmo aver dipinto un quadro più che idilliaco. Chi non vorrebbe vivere in un posto dove c’è ricchezza, occupazione, fermento e inventiva? Università strabilianti, terreno fertile per far germogliare le proprie idee, la promessa continua del progresso e del benessere? Insomma, chi non vorrebbe vivere in California, sembra domandarci il fin qui incoraggiante curriculum dello stato? I californiani, a quanto pare.

Da che mondo è mondo, la gente si sposta per migliorare le proprie condizioni di vita. Le motivazioni possono essere innumerevoli, ma l’ambizione di base è grossolanamente riassumibile in questo modo. Perché mai, dunque, un posto che sembra avere ogni carta in regola per garantire radiosi futuri sta perdendo “popolazione”, invece di guadagnarne come regolarmente è sempre accaduto?
Francesco Costa prova a rispondere, un pezzettino alla volta, a questa domanda complicata in California – in libreria per Mondadori. Perché sì, per quanto controintuitivo possa risultare, qualcosa si è spezzato e i costi della vita californiana stanno cominciando a sovrastare le opportunità, superando anche la dicotomia tra città e centri più piccoli. Tutto tende all’impraticabile, allo sproporzionato, al dispendioso.

Dalle radici profonde di una crisi immobiliare che sta raggiungendo vette surreali all’emergenza umanitaria (mi pare la definizione più accurata) dei senzatetto, dal costo esorbitante della vita all’incubo del traffico, Costa assembla un puzzle pieno di linee di frattura e tesserine bruciacchiate dal fuoco dei frequentissimi incendi. Il paradosso più grande sta forse nella politica che, nel professarsi estremamente virtuosa, “woke” – come viene bollata con insofferenza – e iper vigile e accogliente in fatto di diritti civili, diversity ed equità, non sembra di fatto avere gli strumenti per affrontare una realtà conflittualissima, iniqua e impari. La California pare un posto dove il privilegio estremo viene riconosciuto a parole – sovente di autodenuncia, perché segnalare sempre la propria rettitudine è fondamentale – ma dove è difficile innescare un cambiamento che non sia soltanto cosmetico. Perché restare, si chiedono molti “nuovi” californiani, in un simile ginepraio di potenziali passi falsi e oggettive asperità pratiche? Perché rinunciare a un presente più “semplice” – anche se magari meno glorioso, per certi standard da SE VUOI PUOI – in nome di una promessa che pare sempre più remota o alla portata ci chi partiva già in vantaggio?
Vedremo come si mette? Vedremo come si mette. O al massimo raccoglieremo firme per l’ennesima petizione in difesa di uno status quo che non conviene quasi più a nessuno.

Partirei con un piccolo cappello introduttivo da ascoltatrice dell’audiolibro – se vi interessa sentirlo, lo trovate su Storytel.
Ho scoperto che i suoni che appartengono alla vasta famiglia ASMR risultano più gradevoli ed “efficaci” in base alla struttura del cervello dei potenziali riceventi. Io, per dire, non traggo giovamento alcuno dall’ASMR – anzi, mi fa venire il nervoso -, ma mi sintonizzo a meraviglia sull’onda sonora di Daria Bignardi che legge le sue cose. Sto gradualmente ascoltando tutto quello che trovo di suo perché, oltre a garbarmi mediamente molto quello che scrive, la trovo piacevolissima da sentire. Calma, calorosa, pacata ma non pallosa, lieve e garbata. Così, ci tenevo a sottolinearlo perché sono convintissima che il “successo” di un audiolibro dipenda anche da chi lo legge e da come lo si legge. 

L’evento cardine, in Non vi lascerò orfani, è la scomparsa della madre. Una morte meticolosamente ripercorsa che serve però da spunto per un allargamento dell’orizzonte – e forse anche della prospettiva e dei punti di riferimento, muovendosi nel territorio accidentato dei legami più stretti, di quell’ingombranza difficile (e qualche volta felice) che si portano dietro i vincoli di famiglia.
Nella perdita, Bignardi si scopre parte di un vorticoso sistema solare di relazioni, parentele e storie, attitudini disparatissime e conflittuali, ansie tentacolari e invadenze che non sempre si son potute interpretare come sani impulsi di protezione. C’era già tutto, chiaramente, ma per mettersi a raccontarlo serve talvolta una cesura netta, un evento rivelatorio, una vita “importante” che tramonta, lasciandoci a gestire quel che rimane.
Permettendo alla perdita di attraversarla, Bignardi tratteggia il paesaggio quotidiano della sua condizione di “figlia”: un lessico famigliare divertito e malinconico, che la distanza e una fisiologica pulsione d’indipendenza hanno saputo rendere meno intransigente.
Si può ricordare “bene” una madre accogliendone i limiti, tenendoci vicino tutte le difficoltà che ci ha buttato addosso perché non sapeva fare diversamente. Si cresce grazie a una serie di rinforzi positivi, sembra dirci questa storia, ma si cresce anche in opposizione a quello che ci è stato riservato. Ma si cresce, nostro malgrado. E, qualche volta, lo sguardo che va affinandosi nel tempo ci permette un’indulgenza che non sospettavamo di possedere – e che ci fa bene, nonostante quello che si è passato insieme.

 

Ragazza, serpente, spina di Melissa Bashardoust – uscito per Mondadori nella traduzione di Maura Dalai – può consentirci di sovrapporre le nostre personali pulsioni d’evasione alla necessità molto concreta d’evasione della principessa Soraya, confinata nel palazzo natio da una misteriosa maledizione piuttosto invalidante che la affligge sin dalla nascita. Al contrario del fratello, golden-boy della real schiatta di Golvahar e futuro scià dei litigioso popoli di un regno assimilabile (per leggende fondative e ambientazioni) all’antica Persia, Soraya viene tenuta nascosta al mondo perché è velenosa, ma proprio nel senso letterale del termine. Per intricate menate che verranno dolorosamente alla luce nel dipanarsi del romanzo, infatti, la malcapitata principessa è in grado di stecchire qualunque essere vivente al mero contatto con la sua pelle nuda. Non lo fa apposta e non le piace, ma va così… e prima o poi bisognerà pur uscire dall’ombra per sistemare le cose e imprimere una vertiginosa svolta al destino avverso.

Soraya si dedica con successo al giardinaggio, ma campa di fatto isolata sia dalla sua famiglia (WE DON’T TALK ABOUT SORAYA, tipo) che dal resto del mondo, che venendo a conoscenza del suo “dono” potrebbe dubitare dell’intera stirpe chiamata a governare. Soraya, però, ne ha le tasche piene. Quando il fratello torna in trionfo nella capitale per sposarsi, la situazione comincia a precipitare: una div è stata fatta prigioniera dalle indomite guardie – anzi, da una guardia specifica che ha addirittura sventato un attentato al giovane scià – e Soraya vuole vederla, perché pare siano stati proprio quei mostri – progenie del Distruttore e storici nemici giuratissimi degli umani, dei quali condividono solo a tratti le sembianze – a maledirla. Soraya si domanda se gliel’abbiano raccontata giusta, insomma. Esisterà un modo per sbarazzarsi del veleno che la impregna e condurre finalmente una vita normale?

Non si capisce bene per quale ragione umani e div si detestino così tanto – a parte un generico “i div sono figli dell’oscurità e ci fanno una paura boia!” – e cosa sostenga l’impalcatura cosmogonica del mondo, ma se siete in cerca di un’avventura godibile e movimentata, con un po’ di incastri e ribaltamenti di fronte relazionali – che seguono il sempre gettonato canovaccio enemies-to-lovers (in diverse accezioni, pure) – vi ci potete buttare serenamente senza eccessive pretese, al grido di “amiamoci per quel che siamo o almeno proviamoci”, “MOSTRO A CHI” e “PER FORZA SBAGLIO E PIGLIO CANTONATE È LA MIA IDENTITÀ PIÙ AUTENTICA CHE STO CERCANDO”. D’evasione si parlava… e d’evasione si tratta. 

\\\

Modalità di fruizione? Ve lo potete leggere, chiaramente, e anche ascoltare su Storytel come ho fatto io. Per collaudare, ecco il tradizionale link per una prova gratuita di un mese del servizio.

Non mi sforzerò nemmeno lontanamente di compilare una classifica, che già è stato arduo arrivare a queste sintetiche conclusioni. Quella dei libri preferiti dell’anno è senza dubbio la lista più difficile da assemblare e mi getta puntualmente in un gorgo di dubbio, tentennamenti e FOMO retroattiva. Non si può nemmeno sfuggire a una certa ridondanza, perché se nell’arco degli ultimi dodici mesi ho apprezzato un libro è raro che non l’abbia già dichiarato qua e là, chiacchierandone su Instagram o scrivendone qua sul blog. Insomma, al netto di tutte queste menate, dedichiamoci a quest’impresa di sintesi che risponde alle seguenti coordinate:

  • i libri che mi sento di segnalare fra i preferiti dell’anno X non sono necessariamente usciti nell’anno X, anzi. La mia scarsa reattività al nuovo è tendenzialmente assai spiccata, quindi c’è un po’ di tutto – anche se nel 2021 sono caduta dal pero un po’ meno del solito, mi pare.
  • i criteri son più “sentimentali” e istintivi che rigorosi e bilanciati. Insomma, per una volta mi concedo il lusso di non pensare a equilibri ferrei tra fumetto, narrativa, saggistica, editori e cento altre interpolazioni possibili.
  • nel caso ci siano luoghi dove ho elaborato un po’ meglio le mie impressioni non esiterò a indirizzarvici per approfondire.
  • no, Crossroads di Franzen non l’ho ancora finito. Abbiate pietà per i ritmi altrui.

Benone, ribadendo l’onnipresente problema della fallibilità umana, ecco qua il mio miglior 2021 libresco.

*

Bernardine Evaristo
Ragazza, donna, altro
(Sur)
Traduzione di Martina Testa

Un esperimento narrativo corale che sintetizza senza retorica o condiscendenza tanto del dibattito (finalmente) attuale su rappresentazione, genere, identità e privilegio. Un libro prezioso per innovazione strutturale, piglio bellicoso e per rifocalizzazione del punto di vista.

Ecco qua dove ne avevo parlato in origine.

*

Elizabeth Strout
Olive, ancora lei
(Einaudi)

Traduzione di Susanna Basso

Il ritorno di Olive Kitteridge, la bisbetica più amata del Maine, ha rinnovato la mia ammirazione per Elizabeth Strout, che si conferma splendida ritrattista delle minuzie del tran tran quotidiano e delle testarde meschinità con cui tendiamo a complicarci la vita. È anche un libro che indaga gli effetti del trascorrere del tempo e il coraggio necessario per concederci una seconda possibilità, per quanto tardiva e monca ci possa sembrare.

Serve un approfondimento? Accomodatevi qua.

*

Teresa Ciabatti
Sembrava bellezza
(Mondadori)

Cianciamo tanto della necessità di dipingerci “forti” e poco inclini a compromessi, ci dichiariamo pronte ad accogliere ogni genere di sensibilità – inclusi i personaggi femminili capaci di concedersi l’indubbio lusso di una spigolosità palese e impenitente – e applaudiamo senza remore i più vari elogi dell’imperfezione, ma quanto ci crediamo davvero? Quanto li digeriamo senza subirne con stizza l’urto inevitabile? Forse Teresa Ciabatti non è facile da leggere. Anzi, non è piacevole da leggere. Nella voce narrante che sceglie per Sembrava bellezza non c’è nulla di comodo, edulcorato o strutturato per rassicurarci. Ecco, reduce da un biennio in cui il mondo sembra essersi accorto (con comodo) che anche il pensiero positivo perenne e onnipresente può risultare tossico e colpevolizzante, ho trovato questo romanzo particolarmente liberatorio. Ma non tanto per il gusto di seguire le peregrinazioni di una ragazza “cattiva” che mai metabolizza fino in fondo delle ombre dell’adolescenza, credo sia più una questione di zone grigie. Non c’è desiderio di rivalsa senza insoddisfazione e non c’è narratrice inaffidabilissima che non sia anche profondamente consapevole delle proprie storture e delle proprie mancanze. Non c’è ambizione all’ascesa – sia estetica che di “status” – che non parta da un’intima conoscenza di una distribuzione disomogenea delle fortune. Credo sia anche per questo che ho amato questo libro: è probabile che i personaggi imperfetti la sappiano più lunga di noi perché conoscono sia i loro deficit che quel che occorrerebbe per raggiungere la felicità e l’appagamento. Vivono all’interno di quella distanza impossibile da colmare e ci abitano concedendosi il loro unico guizzo sincero: un’insoddisfazione sacrosanta, velenosa, più vera di ogni tentativo di dipingersi meglio di quel che sono e, nel non sapersi vendicare in prima persona, vendicano noi.

Per una cronaca un po’ più lineare di questo libro, qua si può riguardare la diretta con la sottoscritta, Daniela Collu e – in coda – Teresa Ciabatti, che appare come un cigno-fantasma.

*

Kazuo Ishiguro
Klara e il sole
(Einaudi)

Traduzione di Susanna Basso

Ishiguro è stato uno dei graditi e attesi ritorni – non pochi, devo dire – del 2021. Anche a questo giro il tema al cuore del romanzo è il seguente: che cosa ci rende umani? Per ipotizzare una risposta, Ishiguro si fa aiutare da una schiera di simulacri – molto realistici e credibili, ma pur sempre artificiali – che popolano un mondo rarefatto e socialmente atomizzato. Si piange pure con gli androidi? Già.

Il post provvisto di tutti gli optional e degli upgrade più moderni si può leggere qua.

*

Giulia Caminito
L’acqua del lago non è mai dolce
(Bompiani)

Ho tifato tanto allo Strega – non è servito -, ma Giulia Caminito ha avuto la sua rivincita al Campiello e ne sono stata immensamente felice, di certo per il valore del romanzo ma anche per la soddisfazione di veder riconosciuto, per una volta, il talento di un’autrice limitrofa alla mia condizione anagrafica e che di sconfitte generazionali ha parlato senza piagnistei e deferenza verso l’ordine costituito. Gaia, la protagonista, è una piccola gorgone di lago e anche la lingua che Caminito sceglie per guidarci nella sua lotta quotidiana sconfina quasi nell’incisività e nel piglio del mito. Si parte da una famiglia disastrata, tenuta insieme solo dalla forza di volontà e dall’impermeabilità all’umiliazione dell’ingombrantissima madre, Antonia. Si procede per tappe, verso un riscatto imposto che passa per lo studio e le violentissime reazioni all’accumulo di ingiustizie di quegli anni che ci vengono spesso venduti come i più verdi e belli, ma sono verdi e belli quanto il fondo limaccioso e buio del lago di Bracciano, cornice di questa storia. Non ci si lamenta, non ci si rassegna, non si mostra il fianco. Ma dopo tutta questa fatica, tutta questa brace incandescente che coviamo e che man mano diventa sempre più fredda e rassegnata, dov’è tutto quello che ci è stato promesso? È forse mai esistito?

*

Leigh Bardugo
La trilogia di Shadow and Bone 

La serie di Netflix, almeno nel mio caso, ha prodotto quell’auspicabile esternalità positiva che prevede la trasformazione dello spettatore televisivo in lettore del materiale di partenza. Di solito preferisco arrivare “preparata” alla visione di una serie, ma in casi più rari può anche capitare che ci si trasformi in salmoni che compiono all’inverso il naturale percorso di avvicinamento. I tre romanzi di Tenebre e ossa mi hanno egregiamente tenuto compagnia, generando anche quell’effetto “devo vedere subito come va a finire” che non si manifestava da un po’. Per quanto trovi Alina irritantissima e per quanto io sia perfettamente in grado di scorgere più di un difetto nell’impianto generale e nella “resa” di questi libri, non è stato affatto impervio sedermi là a godermeli lo stesso. Innumerevoli sono stati gli incoraggiamenti a proseguire con Sei di corvi – se non proprio i “lascia perdere i primi tre, puoi leggere direttamente la duologia che è molto meglio”, ma m’è sembrato più opportuno farmi un’idea meno raffazzonata del mondo e dunque eccoci qua con un timbro nuovo di pacca sul passaporto del Grishaverse. Grazie per aver fornito il necessario intrattenimento, Leigh Bardugo. E un saluto anche a te, Ben Barnes.

*

Emmanuel Carrère
Yoga
(Adelphi)

Traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala

Che anno denso di attesi ritorni (non deludenti) e di narratori splendidamente inaffidabili, è il caso di dirlo. Carrère continua a menarci per il naso? È possibile, ma a questa ipotetica grande mistificazione – che forse poi è la mistificazione strutturale che passa per la soggettività del ricordo e di quello che ci raccontiamo per sopportare quello che succede, forse – continuo a cedere volentieri.

Per impressioni un po’ meno nebulose, il post era qui.

*

A cura di Sheila Williams
Relazioni – Amanti, amici e famiglie del futuro
(451)

Dodici racconti – raccolti da Sheila Williams per l’annuale impresa antologica della longeva serie tematica Twelve Tomorrows del MIT – per ipotizzare altrettante nuove strutture dello “stare insieme” in un contesto più o meno dominato dalla tecnologia. Coppia, figli, dating, eredità e memoria… cosa ci riserverà il futuro nel vasto calderone del legame sentimentale, dell’ordine sociale e della relazione umana? Grandi nomi della speculative fiction e della fantascienza cercano di immaginare una risposta – e no, non è detto che sia catastrofica.

Per approfondire, ecco qua.

*

Anna Maria Ortese
Il mare non bagna Napoli
(Adelphi)

Qua c’è un racconto che chissà in quale maniera sconclusionata avevamo letto a scuola. È il racconto della bambina che non ci vede e finalmente riceve un paio d’occhiali, per poi scoprire che tutto sommato stava meglio prima, in una realtà ovattata e nebulosa che le risparmiava l’orrore di una messa a fuoco precisa dell’esistente. E quel che esiste attorno a lei è Napoli, una vertigine urbana che sobbolle e digerisce a ciclo continuo ogni possibile configurazione dell’umano. Non rammento una lezione su Anna Maria Ortese, a scuola, ma il racconto della bambina mezza orba sì. Gli altri quattro movimenti di questa sinfonia dissonante e magnifica sono un tardivo recupero e, credo, anche una prova di coraggio – non tanto per me che leggo, ma più per Ortese che scrive senza pentimenti. Il tempo per pentirsi e limare sarebbe poi arrivato, ma quel che resta è una capacità magnetica di creare una distanza, il distacco necessario ad esercitare la libertà dello sguardo, a inforcare quegli stramaledetti occhiali per esercitare una soggettività unica, inclemente, poetica, mostruosa e viva.

*

Madeline Miller
Circe
(Marsilio)

Traduzione di Marinella Magrì

No, non so ancora dirvi nulla sulla Canzone di Achille. Dopo aver così apprezzato Circe, però, sono certa che lo affronterò presto e con una certa fiducia. Figlia del Sole e della ninfa Perseide, Circe cresce fra i Titani imparando a schivare le folgori delle nuove divinità olimpiche. Da sempre poco malleabile e incomparabilmente meno luminosa dei suoi fratelli, compatisce Prometeo e crea mostri, cercando un luogo dove potersi sentire davvero a casa. Paradossalmente, la vita di Circe sembra germogliare davvero da quella che per dei e mortali potrebbe somigliare alla peggiore delle condanne: l’esilio eterno sull’isola di Eea. Tra animali e piante, Circe asseconda la magia e diventa il cuore pulsante di un universo di prodigi, incontri, lotte secolari e sorti illustri. Una rivisitazione godibilissima e colta che espande il mito e trasforma in protagonista indimenticabile una figura in cui siamo abituati a imbatterci quasi di sfuggita: la comparsa infida ed egoista nella grande epopea dell’astuto e nobile Odisseo assume qui rotondità, mente, cuore e potere. Non solo equipaggi trasformati in maiali, insomma, ma una maga che pur andando ben poco a spasso contiene moltitudini. Viva Circe. E occhio a Scilla.

*

Paolo Cognetti
La felicità del lupo
(Einaudi)

Allora, io a Fontana Fredda non ci vivrei in pianta stabile, ma mi fa piacere soggiornarci per qualche tempo per andare a trovare i personaggi di Cognetti. Forse no, non ho ancora finito la mia decrescita cittadina e non sono ancora pronta a confrontarmi con l’immensità glaciale delle vette montane, ma anche questa volta il sortilegio d’alta quota si è ripetuto. È un romanzo che rallenta il ritmo del quotidiano e lascia intravedere un’alternativa che ha poco della negazione e del rifiuto e molto della ricostruzione ragionata. Pur restando dove sono, è un libro che mi ha fatto bene.

Per qualche impressione un po’ più articolata, vi indirizzo volentieri qui.

*

Concluderei con un ringraziamento un po’ ridicolo. Vorrei ringraziare i libri che sono riuscita a leggere quest’anno – pure quelli brutti o deludenti – per avermi accompagnata per un pezzo di strada. Neanche il 2021 è stato un anno semplice o particolarmente ricco di speranze provenienti dal mondo esterno e poter costruire, leggendo, un rifugio o un’oasi di sano svago ha rappresentato per me un buon punto fermo. Pochi o tanti che siano, i libri che ho letto o ascoltato – e qua nei preferiti ce ne sono diversi che ho ascoltato, da Circe a Il mare non bagna Napoli, ma anche Giulia Caminito – sono stati un puntello e un posto diverso dove far lavorare il cervello. Pochi o tanti che siano, è andata bene così.

Ulteriori rotte per la navigazione:
– siete in ritardo coi regali ma volete fare dei regali “letterari”? Vi lascio un memo per Storytel. Ci sono un casino di gift card e qua c’è sempre il mese gratis che vi donano perché siamo amici.
– a parte Instagram, anche qua nella vetrina Amazon cerco sempre di tenere traccia di quello che leggo man mano.
la lista di Natale “generale”.
la lista di Natale per i piccoli e le piccole.

[Sì, come copertina del post ho scelto un evocativo fotogramma del camino di Netflix, pietra miliare delle feste nella nostra abitazione.]

Poche tradizioni si confermano salde – almeno da queste parti – come il listone dei libri da donare e/o farvi donare a Natale.
Il consiglio metodologico è sempre lo stesso: basiamoci un po’ meno sul mero dato demografico – AKA “cosa regalo a mia figlia che ha 24 anni?” – e cerchiamo di riflettere meglio su interessi spiccati, passioni manifeste e ambizioni esplorative dei destinatari e delle destinatarie. Un dono funziona se asseconda il cuore di chi lo riceve, credo, e la vivace produzione editoriale limitrofa al Natale – la vasta schiera delle famigerate “strenne” – è qua per assisterci con gran lena.

In vista delle feste faccio del mio meglio per assemblare lenzuolate di consigli in grado di inserirsi in maniera chiara in un determinato tema o filone, privilegiando magari le edizioni un po’ più “importanti” del consueto. Troverete dunque libri di grande formato, argomenti disparatissimi e anche parecchi illustrati. L’auspicio generale è di far felice chi aprirà il pacchetto (anche se fate schifo a fare i pacchetti, tipo me) e anche di farvi fare bella figura.

Visto che i libri non scadono, per completezza vi incoraggio anche a consultare le edizioni precedenti delle guide natalizie. Trovate qua quella del 2020 e qua quella del 2019.

Procediamo? Procediamo, che nel mondo c’è scarsità di carta.

***

Mateusz Urbanowicz
Botteghe di Tokyo
(L’ippocampo)

Arrivato in Giappone nel 2016 per lavorare come illustratore di sfondi per uno studio d’animazione di Tokyo, Urbanowicz ha esplorato in lungo e in largo la città armato di macchina fotografica, catturando tanti di quelli che sulle guide turistiche che piacciono alla gente che piace tendono ad essere classificati come “posticini caratteristici”. Ha iniziato a disegnare, con poetica meticolosità, le facciate delle botteghe che più l’avevano colpito, alimentando gradualmente una collezione che nel tempo si è espansa fino a riempire questo meraviglioso volume. Diviso per quartieri, Botteghe di Tokyo è sia un esercizio visivo di rara bellezza che una guida alle numerose attività commerciali, spesso minuscole, che sembrano rievocare un’altra epoca e riportarci a una dimensione di familiare accoglienza e antiche stratificazioni.

*

Irene Cuzzaniti
La casa verde. Piante e composizioni per ogni stanza
24 Ore Cultura

Sono innegabilmente diventata una gattara delle piante. Balcone, salotto, camera da letto… non c’è ambiente che venga risparmiato dalla mia furia verdeggiante. In questo adorabile manuale illustrato – che va benone anche per chi è alle prime armi -, Irene Cuzzaniti ci fornisce le informazioni base per cominciare a fare amicizia con le piante e per scegliere quelle più adatte ai nostri spazi. Il volume è diviso per ambienti domestici e propone anche numerosi tutorial ben fotografati e spiegati per destreggiarvi tra diversi progetti ornamental-orticoli, dai centrotavola al terrario aperto per i cactus.

*

Tracy Turner & Andrew Donkin
La storia del mondo in 25 città
(Nord Sud)

Dall’antica Menfi alla San Pietroburgo degli zar (in odore di sanguinosa deposizione), diecimila anni di storia globale condensati in 25 mappe “parlanti”, per esplorare le città diventate simbolo di una precisa epoca o di un balzo “evolutivo” potenzialmente rivoluzionario per il genere umano. Un volume visivamente splendido – curato dal British Museum – che soddisfa curiosità topografiche e sintetizza con puntualità gli aspetti più salienti di civiltà, popoli e snodi geopolitici irripetibili.

*

Art Spiegelman
Maus
Cofanetto in 2 volumi

(Einaudi)

Stile Libero ospita già da lunghissimo tempo Maus nel suo ricco catalogo e, negli anni, sono usciti anche diversi materiali “extra”, che completano l’universo di Art Spiegelman aggiungendo tasselli sempre preziosi alla sua opera più emblematica. È uno di quei libri per cui vale la pena sprecare l’abusata definizione di “necessario” e, se l’idea è quella di tramandarci un’opera fondamentale e di passare il testimone della memoria a chi ancora non ha avuto occasione di leggerlo, una nuova edizione è rubricabile tra le buone notizie. Dall’immagine si intuisce poco, ma questo Maus è in due volumi – che rispettano la suddivisione originaria di Spiegelman – raccolti in un cofanetto che contiene anche un sedicesimo con disegni preparatori, un albero genealogico dell’autore (pre e post Seconda Guerra Mondiale) e due storie brevi, uscite in altri lidi ma propedeutiche a Maus.

*

Daniela Collu
Perché no? Il libro delle domande… che con le risposte sono tutti bravi
(Mondadori)

Da millenni ci rimettiamo alla presunta sapienza di oracoli di ogni genere, uscendone irrimediabilmente più confuse e confusi di prima. Perché non cominciare, dunque, a porci domande migliori invece di cercare risposte fin troppo semplici? Daniela Collu quest’anno aveva voglia di divertirsi e, prendendo ispirazione dalle surreali sessioni di Q&A che popolano le sue Instagram Stories, ha deciso di ristrutturare il tradizionale Libro delle risposte – feticcio editoriale che popola da quando ne ho memoria l’area limitrofa alla cassa del 100% delle librerie di catena che m’è capitato di frequentare nella vita – ribaltandone l’assunto di base: io non ti rispondo, anzi… son qua per proporti altri abissali quesiti. Per farsi una risata e/o per disinnescare i dubbi – spesso cretinissimi – che ci attanagliano inutilmente.

*

Wally Koval
Wes Anderson, quasi per caso
(il Saggiatore)

Pochi account Instagram riescono a pacificarmi come @accidentallywesanderson. Il fenomeno è ben presto spiegabile, perché le premesse che animano questo ormai articolatissimo progetto fotografico sono le stesse che generano quel pesante effetto ipnotico che ci coglie di fronte alle pellicole di Wes Anderson. Non è più un regista “e basta”, Wes Anderson si è tramutato in una specie di vasta e puntigliosissima esperienza estetica fatta di simmetrie, piani sequenza, prospettiva centrale, un certo gusto rétro e una precisa palette di colorini. Vedendo le sue ultime imprese cinematografiche mi viene da pensare che l’ambizione estetica stia superando quella narrativa e che Wes Anderson sia ormai diventato una macchina perfetta che replica all’infinito i suoi stessi stilemi, ma la riconoscibilità di quel che produce è immediata e affascinante – per quanto io rimpianga la famiglia Tenenbaum. Questo volumone è una collezione di scorci del mondo reale che sembrano usciti da un film di Wes Anderson – ogni “quadro” è accompagnato da precise coordinate geografiche e va a comporre una variegato e pazzissimo atlante che pare l’emanazione diretta, per quanto accidentale, di scenografie, location e scorci andersoniani.

*

Ursula K. Le Guin
La mano sinistra del buio
(Mondadori)

Ursula K. Le Guin non ha avuto in Italia una storia editoriale che grida accessibilità e facile reperibilità. Io l’ho scoperta relativamente tardi, ordinando cose qua e là in lingua originale o ascoltando in inglese su Storytel – le lacune sono ancora molte, per quanto mi riguarda, ma sono felice di registrare un’accresciuta attenzione sia per l’autrice che per il fantastico/fantascientifico. The Left Hand of Darkness è uno dei suoi romanzi più celebri e ricompare ora nella nuova traduzione di Chiara Reali per la brigata di Oscar Vault: un’ottima occasione per far capolino in un universo sterminato e per sostenere una riscoperta che spero possa dimostrarsi ampia e battagliera.

[Visto che siamo in tema “libri che tornano disponibili dopo un passato un po’ singhiozzante”, Fazi ha inglobato Jonathan Strange & il signor Norrell di Susanna Clarke, ripubblicandolo in una bella edizione. Clarke è già approdata da loro con Piranesi.]

*

Caterina Zanzi (& company)
Conosco un posto. Milano
(Magazzini Salani)

Madame Zanzi è per me un molteplice punto di riferimento. Sono una fervente frequentatrice del blog – che in questi anni si è sempre dimostrato una risorsa preziosa per orientarmi a Milano – e considero anche Caterina una specie di collega fidata. Insomma, è una di quelle persone che se fa bene una cosa, come nel caso di questa guida, mi infonde fierezza e mi suscita della sincera partecipazione. Il libro è un lavorone sia di Caterina che della redazione di Conoscounposto, una sintesi ragionata e ben organizzata dal punto di vista della consultazione – sia per zona che per “occasione” – degli indirizzi migliori dove mangiare, bere, svagarsi, fare compere e “vivere” a Milano. Abito ormai da un pezzo in questa città ma non ho ancora finito di esplorarla e tanti degli spunti più azzeccati – che hanno poi prodotto ricordi belli e momenti di gioia in compagnia – li devo a Caterina e ai suoi sodali. Insomma, che siate autoctone/autoctoni o neo-Milanesi, è un tomo utile che non mi farei scappare.

*

COSE – Spiegate bene. A proposito di libri
(Il Post feat. Iperborea)

Da operatrice editoriale ormai quasi veterana, mi trovo spesso (soprattutto su Instagram) alle prese con un vasto e anche legittimo domandone: “il mio sogno è lavorare nel mondo dell’editoria. Da dove comincio? Come si fa?”. Non è un interrogativo banale, anzi. Il mondo dell’editoria viene spesso percepito come una sorta di bolla mitologica popolata da titani della cultura, nobilissimi propositi e stanze ricolme di imperdibili manoscritti. La realtà dei fatti è di certo meno poetica, ma non per questo manca di fascino. Il Post – facendosi di volta in volta aiutare da “collaboratori” d’eccezione – ha lanciato qualche mese fa una rivista a forma di libro, ospitata da Iperborea. Il primo numero – A proposito di libri – mi sta aiutando a rispondere alla domanda di partenza: fornisce un’infarinatura sintetica su come mediamente funzionano le case editrici e offre una panoramica generale su ruoli aziendali e struttura del settore, a metà tra racconto curioso e spiegone introduttivo.
Se il progetto vi interessa, è uscito anche il secondo numero: Questioni di un certo genere.

*

Antoine Pecqueur
Atlante della cultura. Da Netflix allo yoga: il nuovo soft power
(ADD Editore)

Che diamine è il “soft power”? Il concetto è stato coniato nel 1990 da Nye – politologo americano – per definire l’uso dell’arte e dei valori culturali come leva di potere a livello geopolitico. L’Atlante della cultura di Antoine Pecqueur, in trenta capitoli o casi di studio tematici, esplora i meccanismi relazionali, politici, comunicativi ed economici che compongono il grande ingranaggio dei nuovi rapporti di forza mondiali, evidenziando come la cultura – nelle sue molteplici espressioni – si sia affermata come uno dei pezzi più importanti della scacchiera, nonostante spesso rifugga le metriche numeriche “oggettive”.
Per approfondire ulteriormente, qua il post dedicato.

*

Pokémon – L’enciclopedia
(Mondadori)

Qua siamo in realtà in possesso di un vasto catalogo editoriale a tema Pokémon, un po’ perché in questa casa abita un ex-bambino che ha vissuto l’epoca d’oro dei Pokémon e un po’ perché il bambino vero che abbiamo messo al mondo si sta godendo con grande trasporto il revival – già, sono usciti parecchi cartoni nuovi e l’universo dei Pokémon pare destinato a un’espansione infinita. Insomma, non di soli Pikachu, Charizard e Bulbasaur campano i giovani virgulti del presente e questa enciclopedia è un garrulo strumento per aggiornare le vostre antiche conoscenze o passare il testimone alle generazioni future.

*

Brooke Vitale & Teo Skaffa
I Goonies. La storia illustrata
(Nord Sud)

Mi sono infilata nel tunnel del vintage coi Pokémon, tanto vale proseguire con un’altra pietra miliare della mia infanzia: i Goonies! Anche in questo caso l’applicazione è doppia: un ottimo dono per i fan di vecchia data che non si imbattono in un’emanazione “nuova” dei Goonies da un bel pezzo, ma anche piccoli lettori da coinvolgere in un’avventura senza tempo. Ma com’è fatto? È presto detto: è la trasposizione a fumetti del film. A Cesare – anni 5 – lo stiamo leggendo noi senza riscontrare difficoltà di comprensione. Se avete bambini o bambine che leggono per conto loro è assolutamente proponibile in autonomia.

*

Beatrice Mautino
È naturale bellezza
(Mondadori)

Beatrice Mautino è una delle divulgatrici che seguo con più attenzione e gratitudine per l’opera meritoria di informazione e pacato ma inflessibile “debunking” che ogni giorno viene portata avanti sul suo account Instagram – là la trovate come @divagatrice. Tanto si parla di sostenibilità, greenwashing, plastica diabolica, creme miracolose, materie prime da ostracizzare e virtù non sindacabili del “bio”, ma quanto di quello che compriamo o che ci viene venduto come indiscutibilmente buono per la nostra faccia e per il pianeta fa davvero quel che dichiara di fare? Quanto di quello che a suon di slogan pubblicitari abbiamo imparato a considerare benefico e quasi in odore di santità produttiva può dirsi davvero tale? Anche in questo saggio e con la consueta chiarezza argomentativa, Mautino ci offre qualche strumento interpretativo in più – powered by SCIENZA, baby – per accrescere la nostra consapevolezza di consumatori/consumatrici e destreggiarci con un pizzico di razionalità in più anche nel comparto della cosmesi.

*

Angela Nicente
Atlante femminista – Alla scoperta del patriarcato
(Edizioni Clichy)

Grafica e illustratrice, Angela Nicente ha presentato una versione di questo atlante come progetto per la tesi di laurea. Ora è diventato un libro che, tappa dopo tappa – anzi, isola dopo isola – condensa i “temi caldi” del dibattito attuale su femminismo, patriarcato e questioni intersezionali limitrofe. Uno strumento sintetico e visivamente molto ben strutturato che può trasformarsi in un’efficace lettura introduttiva ai molti tasselli di tutto quello che ci fa quotidianamente arrabbiare e che varrebbe la pena demolire insieme. Per ogni isola troverete un riassunto di “cosa si dice”, chi la abita, una mappa territoriale – che in realtà è una mappa concettuale – e un testo con le doverose spiegazioni, fenomeno per fenomeno.

Intanto che siamo in quest’area tematica, vi rammento anche dell’esistenza dell’Atlante delle donne di Joni Seager, uscito per ADD Editore. Lavoro, salute, maternità, alfabetizzazione, contraccezione, diritti… una panoramica multidisciplinare che ambisce a fotografare la condizione femminile nel mondo, avvalendosi di dati assai aggiornati e di un assortimento di infografiche, cartine e grafici.

*

Vivienne Westwood. Sfilate
(L’ippocampo)

Qua scelgo Vivienne Westwood come portabandiera, perché quella delle sfilate è una collana ormai molto ricca di volumi monografici curatissimi e dedicati, di volta in volta, a una diversa casa di moda. Scelgo Vivienne Westwood anche perché mi è particolarmente cara e sono una cliente fedele – non assidua come vorrei o come mi potrebbe disegnare Ai Yazawa, ma non lamentiamoci. Il librone – rivestito di godurioso tartan – è frutto di un improbo lavoro d’archivio e recupero: contiene i look di tutte le sfilate del marchio, dal 1981 a oggi, insieme a un succulento backstage, sia “storico” che filosofico…. perché il Vivienne-pensiero è quasi più avvincente di quel che vediamo transitare in passerella.

*

Quaderno d’inverno. Giochi ed esercizi per adulti
(Blackie Edizioni)

Editori “giovani” con tradizioni ormai solide alle spalle? Eccoci! Blackie ha già sfornato con successo e spasso due eserciziari di compiti per le vacanze estive – sempre rivolti ai grandi – e questo Quaderno è il primo che promette di sostenerci anche nei mesi invernali. Lo spirito è sempre il medesimo: quiz, passatempi, rompicapi, cruciverba e zuzzurellonate varie che attingono alla cultura pop e puntano a intrattenerci con ironia.

Sempre di Blackie – visto che di zuzzurellonate stiamo parlando – segnalo volentieri anche L’arte di essere Bill Murray di Gavin Edwards. Trattasi tecnicamente di una biografia del pacioso attore ma, dato il personaggio, è più che altro un manifesto spirituale. Dagli esordi come spalla ben poco considerata del Saturday Night Live alle leggendarie incursioni alle feste di compleanno di privati cittadini ignari, Bill Murray proietta immancabilmente l’immagine di uno che si diverte moltissimo e che ha imparato a fregarsene al punto giusto. Come fa? Edwards cerca di spiegarcelo, catalogando le sue gesta e provando a restituirci un’immagine più “realistica”, ma non meno assurda e imprevedibile, del Murray che ci pare di conoscere.

*

Zerocalcare
Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia
(Bao Publishing)

Qua io la metterei giù così: c’è in libreria una cosa nuova di Zerocalcare? Perfetto, la si compra a scatola chiusa. Che altro vi serve sapere? Niente. Esatto.
Mi rendo però conto che molti “nuovi” fan, complice Strappare lungo i bordi, possano sentirsi un po’ persi nella produzione ormai molto consistente dell’ottimo Zerocalcare e che amerebbero ricevere qualche indicazione per cominciare a volergli bene non solo su Netflix ma anche leggendo. Ebbene, Bao ha già fatto i compiti per me: qua trovate una comoda guida che, tra cavalli di battaglia e lista ragionata delle gesta, mappa efficacemente il lavoro del trafelato Michele. Se volete sapere la mia, per chi parte da una base non ancora nutritissima voterei per un approccio cronologico, visto che tanto di quello che racconta Zerocalcare procede per accumulazioni autobiografiche.

*

Italia in 52 weekend. Itinerari inconsueti tra natura, arte e tradizioni
(Lonely Planet – EDT)

Ah, signora mia! Andiamo tanto lontano ma poi non apprezziamo le meraviglie della nostra splendida terra! Sembra una di quelle frasi da vecchi tromboni e trombone a cui reagire alzando con veemenza gli occhi al cielo, ma non posso negare che nasconda un fondo di verità – maledizione, quanto detesto dover dare ragione alla categoria dei tromboni. Comunque, regalare una guida di viaggio mi sembra sempre un gesto di sommo buon auspicio: vai, ti divertirai, scoprirai delle cose nuove, trascorrerai momenti spensierati. Di questi tempi – coi viaggi a lungo raggio tornati nemmeno troppo all’improvviso più impervi – una raccolta di itinerari “italiani” potrebbe rappresentare una validissima soluzione. Lonely Planet ne raccoglie qua 52 – uno a settimana per un anno intero, in pratica – occupandoci egregiamente i weekend ed esortandoci a vagare per borghi, città e luoghi relativamente vicini ma forse ancora poco battuti.

*

Leonardo Bianchi
Complotti! Da Qanon alla pandemia, cronache dal mondo capovolto
(Minimum Fax)

Ho condiviso con Leonardo Bianchi un divano al Salone del Libro. Io ho espresso la mia simpatia per quell’innocuo complotto che teorizza l’immortalità di Keanu Reeves e lui, che ai complotti ha deciso di dedicare un saggio intero, mi ha raccontato come si “costruiscono” le fandonie di maggior successo e cosa può trasformarle in ostacoli veri per la convivenza civile, oltre a un potente veleno che deforma il dibattito pubblico. Dal Pizza-gate agli Illuminati, un testo per esplorare la faccia più irrazionale del nostro rapporto con la realtà, l’informazione e la scienza. Se li conosci li disinneschi, mi verrebbe da pensare… ma forse la faccenda è assai più complicata di così. Nel dubbio, vi auguro di non trovarvi a Natale seduti a tavola con una schiera di complottisti agguerriti. Voi, se potete, opponete una strenua resistenza.

*

Con la certezza di aver scordato circa l’86% dei libri che volevo segnalare, spero comunque di essere riuscita a fornire qualche spunto sfizioso per i vostri doni. Se ce la faccio, mi piacerebbe molto sfornare anche una lista focalizzata sulla narrativa. Vediamo come va. Nel caso servissero consigli miratissimi e personalizzati, mi trovate con indefessa costanza su Instagram o nel nostro bellissimo gruppo Telegram. Per frugare ulteriormente, vi indirizzerei senza indugio anche alla ricca categoria Libri qua sul blog.

 

Dunque, di fronte all’enormità del reale e alla mole di stimoli che dobbiamo elaborare per orientarci e agire nel mondo, il nostro cervello tende a semplificare, raggruppare, generalizzare. In poche parole, punta a sintetizzare e ridurre al minimo gli sforzi per non dover ogni volta imparare l’universo da capo. Ridurre lo sforzo per massimizzare la resa, creando nessi e percorsi rodati. Gli stereotipi, i luoghi comuni e le credenze radicate (ma spesso infondate) sono figlie di questi meccanismi strutturali di elaborazione dati, che possono però talvolta generare inesattezze devastanti e pregiudizi distruttivi, per quanto “involontari”.

Con Pregiudizi inconsapevoli, un saggio spigliato, schietto e concreto, Francesca Vecchioni si appoggia alla psicologia comportamentale per farci riflettere sulle scorciatoie che applichiamo quasi inconsciamente nella nostra percezione della realtà. Da come percepiamo/categorizziamo gli altri a come ci muoviamo nelle nostre società umane, Vecchioni ricostruisce l’influenza che queste sommarie generalizzazioni esercitano sul nostro linguaggio e sui nostri atteggiamenti quotidiani.
Da come scegliamo un prodotto da acquistare a come ci identifichiamo a livello sociale e culturale, le “corsie preferenziali” che la nostra mente costruisce per semplificarsi il lavoro sono un labirinto affascinante ma potenzialmente insidioso. Capire meglio come pensiamo e come fabbrichiamo queste trappole travestite da attrezzi utili può essere, di sicuro, un primo passo per cominciare a farci le domande giuste, oltre che per sopire le derive meno auspicabili del pensiero per compartimenti stagni.
Oltre a utili portabandiera del calibro del dottor Spock e Homer Simpson – insieme a numerosi esempi concreti -, il libro contiene anche un “bigino” che riassume e raggruppa i bias cognitivi in cui incappiamo strutturalmente mentre facciamo del nostro meglio per non farci esplodere il cervello e che ritroviamo man mano argomentati nel corso dei capitoli.

Insomma, anche quello che diamo per scontato è frutto di una costruzione che risponde a meccanismi precisi e che non sempre fotografano la realtà per come è davvero, sia a livello di “dati” che di “valori” e giudizi qualitativi che da quelle rilevazioni iniziali dipendono. Vecchioni prova a demolire un po’ di specchi deformanti per aiutarci, con chiarezza e grande accessibilità, a pensare in modo più rotondo, libero e stratificato. Il bianco e il nero sono di certo più semplici da gestire, ma il grosso di quello che dobbiamo elaborare, vivendo e rapportandoci agli altri, abita nel vasto territorio del grigio.

Qua ci sono io che arrivo in ritardo di un anno buono sulla vittoria dello Strega Giovani e ancora più in ritardo rispetto al tempo di reazione canonico che si riserva alle novità, ma pazienza. L’importante è arrivare. Che potenza, Tutto chiede salvezza. Mencarelli regala ossa e un passo più lungo alla sua poesia e, qui, compone il diario di una permanenza in un posto dove non si approda mai per volontà e consapevolezza, un luogo di mezzo che può rappresentare un momento di passaggio o un buco in cui si sprofonda in via definitiva.

A vent’anni, nell’estate del 1994 – quella dei primi mondiali che pure io mi ricordo bene – Daniele viene sottoposto a TSO per un episodio di furore violento. Demolisce casa, fa venire un mezzo coccolone a suo padre e riacquista lucidità solo in ospedale, nel reparto “dei matti”. La prima cosa che si ricorda è il suo vicino di letto – uno che parla con la Madonna e basta, ripetendo sempre la medesima formula – che cerca di dargli fuoco ai capelli.
Questo libro è il diario quotidiano della settimana che Daniele trascorrerà rinchiuso con altri cinque pazienti che, come lui, hanno smesso ad un certo punto della loro vita di “funzionare” correttamente – almeno in base agli standard di normalità in cui tendiamo a classificarci e in base al grado di sofferenza “privata” che siamo capaci di sopportare prima di sfaldarci.
Tutti quelli in grado di sostenere una conversazione vivono il TSO con un misto di sconfitta e di sollievo, come una bolla in cui potersi rapportare agli unici che capiscono davvero – gli altri “matti” – e staccarsi da una realtà che periodicamente li destabilizza, li rifiuta, li ferisce. Il mondo vero è dove si vuole stare, ma il mondo vero è anche capace di scatenare quello che vorrebbero tenere sepolto. Gran parte dello star male, si raccontano i compagni di stanza, è convivere con il timore che la pazzia torni, senza più riuscire a scacciarla.

Daniele è già stato in cura e ha sperimentato una nutrita sfilza di farmaci, ma continua a non digerire l’indifferenza con cui il mondo distribuisce sofferenza, assurdità arbitrarie, accidenti e disastri. È come se gli mancasse la pelle, quel minimo di scorza che rende sopportabile l’immagine del futuro. Vorrebbe proteggere chi ama, vorrebbe trovare un angolo di pace dove rifugiarsi quando riaffiora il pensiero che sforzarsi è inutile, perché tutto è destinato a sbriciolarsi e a svanire. Come si può gestire il presente se non vediamo altro che la polvere che resterà di noi?

Nella settimana di TSO, conosceremo con Daniele medici, approcci terapeutici, porte chiuse, padri che imboccano e pettinano figli catatonici, infermieri spavaldi e spaventati. Impareremo a orientarci insieme a lui in un reparto dove non c’è nulla da fare, a parte provare a star tranquilli in attesa della seduta giornaliera con lo psichiatra, che ben di rado si rivela risolutiva. Sarà un’incursione in un microcosmo inconcepibile anche a chi ci si ritrova ricoverato, perché nessuno ha chiesto davvero di starci, così come nessuno ha chiesto di star male o di rimanere congelato all’improvviso con lo sguardo fisso nel vuoto.
È un posto dove si cercano le motivazioni di una sofferenza che spesso non ha nome, che si palesa acquisendo la forma di quello che distruggiamo quando si impadronisce di noi. È un posto dove si lotta per continuare ad essere percepiti come persone e dove la scienza prova a ricomporre il caos, facendosi spesso scudo con una scorza ispida di cinismo difensivo.

Insomma, è un libro magnifico.
Mencarelli riesce a raccontare delle enormità con la grazia che nasce da una consapevolezza e da un rispetto profondi. Credo venga da lì anche la scelta linguistica di far parlare le persone come davvero parlano le persone – con le loro sfumature geografiche e gergali, senza ripulire i dialoghi uniformando ogni voce a un italiano asettico “da libro”. In un reparto dove si finisce perché si perdono i punti di riferimento, mi è parso opportuno, corretto e “giusto” lasciare a chi ci transita la possibilità di farsi sentire per quel che è. C’è chi perde anche la voce e, se è rimasta, Mencarelli sceglie di restituircela così com’è.

Per provare a tirare le fila, è un libro magnifico, ma è anche un libro che fa paura, perché quello che si intravede incessantemente è la porosità del confine. Non si scegliere se stare dentro o fuori. Non dipende dalla volontà, dall’impegno o da quanto pensiamo di essere in credito col mondo, perché anche noi – con intensità diverse – cerchiamo ogni giorno di venire a patti con la grande paura definitiva di Daniele: il terrore che, in fondo, nulla di tutto questo abbia senso. Che quell’angolo in cui siamo salvi, al sicuro, sia solo una delle tante storie che ci raccontiamo.

Ai libri animati da ottime intenzioni e da un forte messaggio positivo sono propensa a condonare più di una pedanteria, lo dichiaro con serena gioia. Di base, sono anche molto avversa ai libri che necessariamente devono provare a insegnarti qualcosa, perché molta meraviglia letteraria nasce anche dal raccontare liberamente quello che fa schifo di noi. Qua, però, c’è qualcosa di così avvolgente e confortante che, per una volta, mi sento di lasciar germogliare la speranza.

Che accade? Un fantozziano assistente sociale stipendiato da un dipartimento statale ultra burocratizzato che ha lo scopo di monitorare l’attività della gioventù magica viene spedito su un’isola remota per un incarico segretissimo: ispezionare un orfanotrofio che ospita bambini ancora più inusuali (e potenzialmente pericolosi per la collettività) del “solito”.
Linus Baker parte (tremebondo) per l’isola con la convinzione di poter tenere alla larga i sentimenti, spedendo per un mese alla Suprema Dirigenza scrupolosi rapporti super obiettivi e asettici. Nulla sembra poter scalfire la sua bolla di abitudini, remissiva routine impiegatizia e senso del dovere, ma l’orfanotrofio di Marsays non è un luogo che ama lasciarsi incasellare da convenzioni e regolamenti.
Cosa succede quando un grigio burocrate incontra il magico – il diverso – in tutto il suo assurdo potere?

Ora, là fuori ci sono romanzi sicuramente meno didascalici che intendono raccontarci il potere dell’ascolto e dell’incontro, il valore fondamentale che anima la necessità di comprendere quello che non conosciamo prima di respingerlo, odiarlo, ostracizzarlo e cancellarlo. Uscito per gli Oscar Mondadori nella traduzione di Benedetta Gallo, La casa sul mare celeste allarga l’approccio queer – forse rendendogli le vaste applicazioni rappresentative che davvero incarna – per farci riflettere in maniera sfaccettata sulla non conformità – fisica, comportamentale, psicologica, anagrafica e morale, se con “morale” intendiamo quello che una massa compatta e allineata alla struttura di potere vigente ritiene lecito, rassicurante e legittimato a esistere.
Ecco, la fuori ci sarà sicuramente qualcuno che raggiunge obiettivi similari avvalendosi di metodi meno “spiegottosi”, ma è anche probabile che il contesto in cui ci muoviamo possa beneficiare degli spiegotti e di una storia che con semplicità, accessibilità e molto calore illustra un messaggio basilare che sembra non essere ancora del tutto passato.
Nemmeno troppo tangenzialmente, poi, è una storia che cerca anche di farci riflettere sul peso enorme della responsabilità individuale, sul potere che ogni granellino di sabbia potenzialmente può esercitare, per quanto insignificante si ritenga. È una storia che sì, ci esorta anche a smettere di sussistere e a iniziare a vivere, ma la sincera contentezza che ti viene spontaneo provare per il personaggi – per quanto tanti, specialmente i bambini, siano sbozzati su un canovaccio che resta un po’ sempre il medesimo – compensa il rischio della stucchevolezza.

Insomma, è un romanzo appetibile per un pubblico assai trasversale – gioventù compresa… anzi, gioventù in primis – che, per quanto ricordi altro che già possiamo aver letto (Miss Peregrine, tanto per dirne una) resta un piccolo faro di pace e sudatissima armonia, senza tralasciare le molte oscurità e le innumerevoli lotte quotidiane che ogni “disallineato” o “disallineata” ben conosce. Ancora adesso. Ancora oggi.
Il fantastico è sempre stato una potente macchina di metafore per riflettere su chi siamo e sulla traiettoria che potrebbe assumere il nostro futuro. E di chi mai dovrebbe essere questo futuro, se non di tutt*?

Benvenute e benvenuti nell’angolo della speculative fiction, un anfratto in cui la narrativa piglia una cosa del presente che fa già schifo (o comincia a puzzarci) e la sposta in una dimensione alternativa per farla degenerare fino in fondo.

Radicalized di Cory Doctorow raccoglie quattro racconti in bilico tra sociologia, economia e tecnologia che amplificano con dovizia di particolari e doveroso realismo (perché se non ci sono abbastanza dettagli minuti non funziona mai bene) alcune ansie emblematiche del nostro tempo.
Una ricognizione veloce per inquadrare meglio i temi.

I.
Rifugiati che cercano di adeguarsi alla realtà vessatoria del paese che li “accoglie”, aziende che controllano i tuoi consumi tramite l’hardware (qui: fornetti ed elettrodomestici di casa), palazzi in cui gli ascensori funzionano solo per i ricchi, l’illusione di poter ingannare un sistema sbagliato, la lotta per la dignità basilare.

II.
Due versioni parallele di Superman e Batman alle prese con un dilemma etico: schierarsi attivamente dalla parte di cui, nel silenzio e nella “comodità” generale, è da sempre la minoranza vessata? Intromettersi migliora le cose? Una riflessioni coi supereroi nel seminato di #BlackLivesMatter per riflettere, tra le altre cose, sull’idea di privilegio e sull’amministrazione della giustizia – che no, non è uguale per tutti.

III.
Un forum popolato da uomini che hanno perso o stanno per perdere gli affetti più cari perché le assicurazioni private si rifiutano di pagare cure che potrebbero invece rivelarsi decisive e salvifiche. Saluto, profitto, gestione pubblica della sanità, vendetta.

IV.
Un megalomane maniaco del controllo sfondato di soldi costruisce una cittadella fortificata in cui rifugiarsi con pochi eletti (altrettanto ricchi e/o dotati di particolari skill “utili”, tra cui figura anche la scopabilità) all’indomani della disgregazione del vivere civile. Andrà tutto BENONE.

Insomma, se Black Mirror Love, Death + Robots non vi hanno terrorizzato a sufficienza, o se non vi è bastato Mark O’Connell in versione apocalittica – molto di quello che troviamo nel quarto racconto è già in via di edificazione – Doctorow vi assesterà la mazzata finale. Non riesco bene a capire se il mio apprezzamento per il genere dipenda dall’intrinseca spettacolarità che possiamo ricavare dall’implosione di un immenso costrutto (o di una civiltà) o da una volontà che ricorda molto quella del prepper che dorme con sotto al letto lo zaino col suo kit di sopravvivenza in caso di fine del mondo. In ogni caso, il collasso sembra vicino… e anche questa settimana abbiamo finito il tonno.

Che difficoltà, gente. Sto invidiando con ogni mitocondrio del mio organismo chi, in questo periodo gramo, ha trovato nella lettura un benefico rifugio. Io, da essere umano che considera la lettura un elemento saldissimo della quotidianità, sto arrancando. Perché tanti sono stati gli aggiustamenti necessari per farla funzionare, questa nuova versione della quotidianità, e nello scombussolamento generale mi sono un po’ arenata e ben poche pagine sono state macinate. Diciamo anche serenamente che è già andata bene se sono riuscita ad andare avanti con il romanzo che sto traducendo e con le altre attività da PRODIGIOSA content-creator, ma non lamentiamoci.
Così a naso, però, mi pare di non essere l’unica ad aver subito un certo rallentamento.
Ecco dunque perché mi è sembrato interessante provare a compilare una listina di libri smilzi (da 200 pagine, all’incirca e suppergiù) per provare a ripartire con slancio.
Anzi, per dirla con maggiore veemenza:

Procediamo?
Procediamo.

M. T. Anderson – Paesaggio con mano invisibile

160 pagine.

Per chi apprezza la fantascienza stramba: alieni VUUV che colonizzano la terra, diciassettenni che cercano di riscattarsi con l’arte, umanità che si arrabatta (senza riuscirci), un finto idillio creato a uso e consumo degli invasori, dei gran problemi intestinali.

*

A. S. Byatt – Ragnarök

142 pagine.

Per chi gradirebbe allargare i suoi orizzonti mitologici: una bambina seccolina (che diventerà poi una grande scrittrice) cerca di dimenticarsi della guerra rifugiandosi ad Asgard. I miti norreni più celebri, rielaborati per noi seguendo una lente lirica, autobiografica e maestosa… come un lupo gigante che divora il sole. 

*

 

Peter Cameron – Gli inconvenienti della vita

122 pagine.

Per chi apprezza gli svisceramenti interpersonali: due racconti lunghi per altrettante coppie inquiete, traballanti e ormai impermeabili al potere protettivo del “facciamo finta che vada tutto benone”.

*

Diego De Silva – La donna di scorta

148 pagine.

Per chi è stufo di leggere sempre le solite menate sulle relazioni extraconiugali: un marito fedifrago, un’amante che non gli rompe l’anima per sostituire la legittima consorte. Anzi.

*

Jeffrey Eugenides – Le vergini suicide

216 pagine.

Per chi… per le tre persone al mondo che non l’hanno ancora letto, credo. Le cinque sorelle Lisbon, che s’ammazzano tutte nell’arco di pochi mesi, vengono ricordate a distanza di vent’anni, tra nostalgia e vero enigma, dai ragazzini che hanno assistito alla loro breve, enigmatica e sfolgorante parabola esistenziale.

*

Hiraide Takashi – Il gatto venuto dal cielo

132 pagine.

Per chi ha bisogno di una storia lieve e delicata dove non succede praticamente niente, a parte un gatto che fa avanti e indietro e cerca di scroccare da mangiare (mantenendo una certa dignità) a una coppia serena ma malinconica.

*

Rachel Ingalls – Mrs. Caliban

148 pagine.

Per chi ha più paura dei mostri “normali” che dei mostri-mostri: una casalinga perfetta si innamora di un uomo-rana scappato da un laboratorio segreto. Giuro. È meraviglioso.

*

Francesco Piccolo – L’Italia spensierata

162 pagine.

Per chi ormai si rimetterebbe volentieri anche in coda sull’autostrada: una raccolta di mini-reportage sui grandi riti collettivi del nostro Bel Paese… ma anche un po’ un viaggio in tutte quelle esperienze che tendiamo a rinnegare, ma poi ci caschiamo dentro comunque… non senza un certo godimento.

*

Yasmina Reza – Felici i felici

168 pagine.

Per chi è affascinato dagli infiniti garbugli della commedia umana: non c’è legame affettivo o di parentela (ma pure alla lontana) che Yasmina Reza non passi al setaccio e non punzecchi con raro acume – e pure un po’ di compiaciuta cattiveria. Ah, che benessere.

*

Kurt Vonnegut – Ghiaccio-nove

224 pagine.

Per antropologi in erba e paciosi cultori dell’inevitabilità della catastrofe: che cosa succede se su una bizzarra isoletta caraibica convergono gli eredi a lungo trascurati dell’inventore di una sostanza capace di congelare all’istante tutta l’acqua del pianeta? Vonnegut, patrimonio UNESCO.

*

Amélie Nothomb – Stupore e tremori

105 pagine.

Per chi pensa di lavorare in un postaccio e ha voglia di consolarsi un po’: il devastante disfacimento di un’impiegata occidentale che cerca di districarsi in una MEGADITTA giapponese, soccombendo con caparbia inventiva e inanellando una tampa dopo l’altra. Un auto-sabotaggio magistrale. La mia prima Nothomb non si scorda mai.

*

David Foster Wallace – Questa è l’acqua

162 pagine.

Per chi si chiede con cosa convenga cominciare a leggere David Foster Wallace, probabilmente. Diciamo che possono esserci diversi approcci, ma Questa è l’acqua, forse, è una delle rappresentazioni più sintetiche, per quanto sfaccettata e profonda, di quello che è stato in grado di raccontarci. Sono sei “pezzi”, scritti tra il 1984 e il 2005, per cominciare a fare amicizia con l’autore… o per cominciare a chiamare per nome i grandi casini, belli e brutti, che gestiamo campando.