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Benvenuti, questo è il Vedileggi. La rubrica che esiste – suo malgrado – per raccontarvi che cosa ho letto e visto nel mese X. Questo mese – e solo per questo mese -, X = febbraio. Grande Giove! Sembrerebbe una gloriosa rottura di balle… e invece no. Perché ci sono le GIF animate.

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Lucy

Sono dieci minuti che provo a scrivere qualcosa su questo film di Luc Besson, ma non so da che parte cominciare. Sul serio, il disagio mi strangola. Atteniamoci dunque ai fatti. Scarlett Johansson, sfigurata da un infelice taglio di capelli, viene rapita da un pingue gangster asiatico e, dopo un intervento chirurgico incredibilmente rapido, si ritrova con la pancia imbottita di bizzarri sacchetti di droga. A questo punto, Scarlett-Tacchino-Ripieno-Johansson viene presa a calci da un carceriere poco lungimirante e, grazie a una qualche diavoleria cellular-metabolico-molecolare, la droga comincia massicciamente a fondersi con il suo nobile organismo, trasformandola in una specie di Gesù telecinetico che tutto vede, tutto sa e tutto può. Il domandone generale è il seguente: che cosa accadrebbe se usassimo il 100% delle nostre facoltà cerebrali? Che problema c’è, chiediamolo a Morgan Freeman. Il distinto signor Freeman, ancora una volta, viene chiamato ad interpretale uno dei tre ruoli che ha passato la vita a perfezionare: la divinità, il saggio, il presidente degli Stati Uniti. Qua, visto che fa il genetista – o qualcosa del genere – possiamo farlo passare per saggio. Senza riuscire a nascondere il proprio imbarazzo – ogni volta che dice qualcosa, infatti, Besson ci attacca dietro degli improbabili spezzoni di documentario pieni di mufloni che crepano, coccodrilli che nuotano e mangrovie che crescono -, Morgan Freeman accoglie Scarlett-Gesù nel suo laboratorio, assistendo alla sua trasformazione finale in un mucchio di nafta semovente.
Ma quindi il senso della vita…?
Ma allora l’umanità dovrebbe…?
Cioè ma cosa possiamo imparare da questa strabiliante metafora di…?
Ma noi…?
Ma allora la scienza…?
Non ci sarà dunque mai dato sapere come fare a…?
…io non lo so. Sarà che uso una porzione troppo esigua del mio cervello.
E un gigantesco WTF solcò il cielo.

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Nymphomaniac II

Cosa facevamo, ne guardavamo solo un pezzo? Giammai!
Mi ha messo una tristezza unica, questo secondo capitolo. E non tanto perché la povera Jo sia una che si diverte a farsi prendere a scudisciate da Billy Elliot, macché, è il finale. Ci sono rimasta male. Malissimo. Disperazione e scoramento. Non perché sia un “brutto” finale – anzi, è assolutamente glorioso -, ma perché è proprio uno sputo in faccia a tutto quello che di buono e bello ti aspetteresti dall’umanità. Una tempesta di cacca che investe il bucato bianco di vostra nonna. Una slavina che travolge una capanna piena di gattini e speranza. Il cavallo Artax che affonda nelle sabbie mobili, mentre il Nulla vi fa dei pernacchioni.
Aaaaah! Ma andatevene tutti quanti a quel paese!

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Marco Peano, L’invenzione della madre (Minimum Fax)

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Quando è uscito questo libro, l’intera galassia ha esclamato ERA ORA, PERBACCO! Non si sa perché, ma tutti sanno – da sempre – che Marco Peano è uno scrittore. Dev’essere l’andatura. La roba strana che ti racconta. O l’incredibile coerenza che lo spinge a vestirsi sempre e solo di nero. O Michele Mari che vuole essere seguito solo da lui, quando gli esce un Supercorallo nuovo. Non so, se si fida Michele Mari, chi siamo noi per dubitare. Insomma, si sapeva già, che Marco Peano avrebbe scritto qualcosa, prima o poi. E finalmente abbiamo L’invenzione della madre.
Non so cosa mi aspettavo, da questo libro. Quando una persona che conosci – anche solo un pochino – scrive qualcosa, si cerca di fare un passo indietro e di non partire prevenuti. Ti viene anche un po’ d’ansia… e se poi è una scemenza? E se non lo capisco? Insomma, se una persona che conosci scrive un libro, senti il bisogno di creare una piccola distanza, e di fartelo piacere. Ecco, L’invenzione della madre vi toglierà dall’imbarazzo. Una storia così non ti può piacere. Almeno non come potrebbe garbarti una tortina tutta glassatina, fruttatina e zuccheratina. L’invenzione della madre, tanto per farvi capire, è un po’ come pigliare uno che soffre di vertigini e appenderlo a un viadotto. È un libro durissimo, indigesto, doloroso. Vi verrà voglia di sbudellarvi in Piazza Duomo, coi piccioni che vi becchettano le palle degli occhi. Un libro capace di conciarvi in una maniera così miserabile è raro e prezioso. E sono felice che Peano sia finalmente riuscito a farcelo leggere.
Tié.

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Antonio Riccardi, Cosmo più servizi (Sellerio)

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In questo volumino troverete incresciosi segreti di famiglia, animali impagliati – a Parigi, mica a Buccinasco -, giardini congelati, pietrificatori di materia viva, diorami, montagne di gazzelle artisticamente carbonizzate, cimiteri monumentali e vecchie zie veramente devotissime. Questa raccolta di saggi, in pratica, è una puntata di Mistero… solo che non c’è Pinketts che ronfa su una seggiola. Ci sono, invece, curiosità super leggiadre e meraviglie nascoste, ricordi che si mescolano a pomeriggi passati al museo, cose antiche – spesso decomposte – e installazioni iper tecnologiche, libri, bellezza e carabattole.
Gioia, amici. Gioia.

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Birdman

Amore del Cuore, ma hai visto? Sembra un unico piano sequenza! E quanto è stronzo Edward Norton? Cioè, è proprio Edward Norton! Anche Michael Keaton è lì che racconta la sua vita! E c’è addirittura Carver! E gli occhi di Emma Stone SONO SEMPRE PIÙ GROSSI! Come diavolo è possibile! Non ci credo, la batteria che ci rintrona da mezz’ora? È quel tizio lì! …ma dici che vola veramente? Che dialoghi interessanti e ingarbugliati… va bene, certe volte parte un pippolone, ma mi sorbisco volentieri anche quello. Cielo, la magia del teatro! La telecinesi!
Birdman mi è piaciuto moltissimo. Sarà perché è un po’ un oggetto volante non identificato. Sarà perché è qualcosa di incredibilmente bizzarro e originale. Sarà che è bello quando il cinema, di tanto in tanto, ti spiazza con qualcosa che non ti aspetti. Stupore, amici dei cuccioli. Stupore.

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Better Call Saul – 1×01 + 1×02

Orfani di Breaking Bad, accorrete – ma non troppo velocmente! Saul Goodman è venuto a soccorrerci… anzi, Saul Goodman e una valanga di altra gente in vena di divertirci con assurdi cameoS. Cameo ce l’ha un plurale? Perché CAMEI mi suona veramente malissimo.
Comunque.
Better Call Saul comincia in bianco e nero. All’insegna della mestizia, del fallimento e della pasticceria industriale. E non è che la vita del nostro eroe, prima di diventare effettivamente il Saul Goodman che conosciamo, sia poi tutta questa gran festa. Scopriremo che, da giovincello, si guadagnava da vivere spaccandosi le gambe sul ghiaccio. Di proposito. Ci troveremo di fronte ad abissi di squallore senza fondo, da studenti che si accoppiano con teste mozzate ad uffici-ripostiglio nel retro di deprimenti saloni di bellezza cinesi. Better Call Saul è un mini-festival del grottesco, dell’espediente maldestro e del malinteso. E, no, per ora non è Breaking Bad, ma ho molta voglia di vedere come andrà a finire. Saul, d’altra parte, ha sempre bisogno di un pochino di tempo per carburare. In alto i bicchieroni di caffé.

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Vikings – 1×03 + 1×04

Ve lo dico con sincerità. Vikings lo guardo solo perché sono tutti incredibilmente arroganti, biondi e sbruffoni. E per imparare a farmi le trecce come una vera guerriera. Nemmeno nel diamine di Trono di Spade ci sono delle pettinature così gloriose, improbabili e barocche. Lagertha, conducimi dal tuo parrucchiere!

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Italiano medio

Maccio Capatonda ha allietato gli anni migliori della mia vita. Una sera l’ho pure incontrato nel posto meno avvincente del mondo. A Piacenza c’è questo locale che si chiama Baciccia. Una specie di cascina trasformata in un serraglio per gli amici della birra. Niente, una sera – come sempre senza senso – siamo andati al Baciccia e ci siamo accorti che, lì in mezzo agli altri esseri umani, c’erano Maccio Capatonda e Rupert Sciamenna. Perché erano lì? Che cosa speravano di trovarci? Da dove arrivavano? Avevano già fatto visita al sudicio paninaro in fondo alla strada? Che ne pensavano della mia città natale? Ci sarebbero mai tornati? Chi lo sa. Ci siamo fatti una foto insieme e tanti saluti.
Perdonatemi, ma ci tenevo proprio a raccontarlo. Tutti hanno un aneddoto insignificante, da qualche parte. Se c’è un VIP, poi, ancora meglio. Per dire, MADRE ripete da trent’anni che, una volta, Ornella Muti mi ha presa in braccio. Anche lì, nessuno ha mai capito perché. Ornella, ti prego, spiegamelo.
Dicevamo?
Ah.
Dicevamo che Maccio Capatonda è stato molto importante per me. Ho passato settimane bianche a intonare i lamenti di Mariottide in seggiovia. Ho cercato invano di scoprire che faccia avesse il piccolo Riccardino Fuffolo. Tutt’ora, alla bisogna, dichiaro di avere i pugni nelle mani. E, ogni volta che vedo un medico, la prima cosa che vorrei fare è strillargli DOTTORE CHIAMI UN DOTTORE. Maccio Capatonda è un genio. È il maestro indiscusso della trollaggine. Ed è il capo degli zarri, anche se riesce a farsi passare per un acuto e illuminato mago della satira.
Ma chi se ne importa.
SCOPARE!
Per me, alla fin fine, Italiano medio è soprattutto un collage di antiche felicità. Certo, fa ridere. Chiaro, si potrebbe addirittura sostenere che smascheri con sagacia e impareggiabile acume ogni bruttura della nostra società, dal menefreghismo dilagante all’ignoranza più gretta e distruttiva. Io, però, mi diverto un sacco anche a guardare cinque minuti di Anna Pannocchia in tutù rosa – e rasta – che balla in un corridoio.

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Lehman Trilogy (Piccolo Teatro)

Avevo vicino questa signora fastidiosa. La classica signora con il sedere ripieno di suricati, quelle che vanno a teatro perché così possono dire che sono intelligenti, quelle che fanno SHHHH se qualcuno osa ridere un po’ più forte degli altri e che si stizziscono se, accidentalmente, la codina della tua sciarpa finisce per invadere – di massimo un centimetro – il loro spazio vitale. Ebbene, io – che passo le giornate a guardare le lontre neonate su internet – ho spavaldamente affrontato cinque ore di spettacolo senza battere ciglio. La signora, invece, si è ingloriosamente addormentata a metà del primo atto, facendomi incazzare come una bestia. Ma che storia è! Vieni qua a fare la paladina delle arti, ci rompi i coglioni per un colpo di tosse e a “Lo spettacolo sta per iniziare. Si prega di silenziare i cellulari” commenti “Ah, sarebbe anche ora…”, e poi ti addormenti come una mondina devastata dagli stenti e dalla disidratazione. Non sai dove buttare i tuoi 40€? Dalli a me, invece di comprarti i biglietti di Lehman Trilogy! Maledetta!

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Sempre alla fine del primo atto – della durata di due ore e trentacinque minuti -, i vicini di Amore del Cuore ci hanno deliziato con la seguente conversazione.
Ah, ma no, il Giangi tirerà su duecentomila l’anno.
Vabé, capirai.
Eh. Ma ti pare?
Ma guarda te.
Senti, però. Ti chiedo una roba, che non so mica se ho capito.
Dimmi, ciccia.
Ma questi Lehman qua.
Eh.
Sono quelli della Lehman Brothers, no? Che magari mi sono persa qualcosa, non lo so.
Sono loro, ciccia.
Ah, ecco.
Sono quelli che hanno causato la crisi!
…merde!
Luca Ronconi, grazie al cielo, non è stato costretto ad assistere a questo scempio. Comunque, Lehman Trilogy viene da un libretto di Stefano Massini (che potete comodamente leggervi anche nella Collezione di Teatro made in Einaudi). E noi ce lo siamo visto al Piccolo (QUELLO IN VIA DANTE, PER CARITÀ, NON COMMETTETE IL NOSTRO ERRORE), con grandissima felicità. La storia è quella della famiglia Lehman, dei tre fratelli bavaresi che, arrivati in America alla metà dell’Ottocento, sono riusciti a costruire dal nulla – ma dal nulla vero – uno dei colossi della finanza moderna. È una storia di usanze, religione, origini, sangue e tradizioni. E di soldi, scambi e controllo. Meravigliosamente recitato, saggiamente minimalista e assolutamente ipnotico, Lehman Trilogy è istruttivo, affascinante e per nulla pomposone. Il capitalismo spiegato a chi non sa usare un foglio Excel! E, cosa non da poco, non dovete per forza vedervelo in cinque ore filate. Lo fanno anche spezzettato in due. Chiedete al Giangi se vi trova un paio di biglietti. Sempre che il crollo della Lehman non l’abbia mandato in rovina…

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Sentiti ringraziamenti ad Amore del Cuore per questo banner spaccainternet.

 

Visto che Steven Soderbergh me l’ha chiesto espressamente – ma proprio di persona, con un cabaret di pasticcini in mano e un ghepardo rosa al guinzaglio -, ho deciso di provarci anch’io. Perché l’idea è quantomai avvincente, nella sua grassa semplicità. Il domandone è il seguente: che cosa hai visto/letto nell’intervallo di tempo X? Valgono i libri, gli spettacoli teatrali, le serie TV, i film, le mostre, i fumetti, le etichette della crema idratante, l’opera, il burlesque e pure gli scontrini dell’Esselunga. Insomma, faccende culturali, ludiche e curiosone. Soderbergh, che non ama pettinare le bambole, la lista la mette insieme una volta l’anno. Io, che ambirei ad aggiungere anche qualche commentino a quello che ho masticato, vorrei provare a sfornare un piccolo papiro mensile, divertendo le folle e seminando il disordine. Il mostruoso esperimento, qua nei Tegamini, si chiamerà Vedileggi. E che il cielo ci protegga.
Provo?
Provo. In rigoroso ordine cronologico. E senza vergogna.
Molto bene.

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Fuori in 60 secondi

Sei sul divano con la sacra copertina di ciniglia, cambi canale a caso e, magimagia, esce il faccione di pietra di Nicolas Cage. In uno dei suoi ruoli più acclamati, poi. Vedi Nicolas Cage e una forza misteriosa ti impedisce di scappare. Nicolas Cage balena sullo schermo – con una certa flemma – e te devi per forza dargli retta. Che facciamo, Amore del Cuore? Cioè, è Fuori in 60 secondi. Dobbiamo guardarlo. È una missione, in pratica… se non lo facciamo, lo scaffale con la nostra sarcastica collezione di DVD di Nicolas Cage ci crollerà in terra. Anzi, cadrà sul gatto e ce lo acciaccherà irrimediabilmente. È proprio una questione di coerenza. E poi c’è anche Angelina Jolie coi rasta fatti col dentifricio. LA VITA.
E niente. Siamo rimasti lì a guardare Fuori in 60 secondi. Felici come gli ultimi imbecilli della Terra.

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The Imitation Game

Durante i primi ventisei minuti di questo film, la mia preoccupazione principale è stata una focaccia al pomodoro. Rovente. Untissima. Impossibile da mangiare al buio. Avevo questa focaccia sulle ginocchia, adagiata sul suo civilissimo cabaret. Nonostante il cabaret, un tovagliolo di carta al collo e pure le posate, sono riuscita a tirarmi addosso di tutto. Litrate di sugna. Pezzi di formaggio. Grasso di balena. Gnomi. Nasi finti. Mentre io lottavo con una focaccia, Benedict Cumberbatch – la lontra più espressiva del mondo – combatteva la sua personale battaglia contro il nazismo, i pregiudizi della società, Nonno Lannister, le parole crociate, le clavicole a punta di Keira Knightley, l’impressionante panza che è spuntata all’improvviso all’autista di Downton Abbey e le continue lamentele di Amore del Cuore – il laureato in storia più pignolo e rompicoglioni di sempre… soprattutto quando gli toccano la Seconda Guerra Mondiale.

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Come sottofondo generale – a parte il mio scartocciamento di focaccia e le puntualizzazioni stizzite del mio consorte -, c’erano i vecchi dell’ultima fila, telecronisti mancati. Quando s’è scoperto chi era davvero la spia sovietica, nessuno è stato più in grado di tenerli. Al mio fianco, per peggiorare ulteriormente la situazione, c’erano due fangirl (VECCHISSIME) di Sherlock. Quando il signor Turing s’è messo a correre in braghette corte, hanno praticamente cominciato a strofinarsi sul bracciolo della poltrona, mugolando come scimmie bonobo. E io là con la mia focaccia, troppo disorientata per riuscire a pigliarmi bene per questo film, nonostante l’infinita ammirazione che nutro per il genio di Alan Turing e l’immane sdegno per l’ingiusto e ripugnante destino che gli è toccato.

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Franca Valeri – Bugiarda no, reticente

Franca Valeri bisognerebbe utilizzarla come un oracolo. Costruirle una specie di salottino e metterla lì a dispensare saggezza, fino alla fine dei tempi. Questo libro è una specie di autobiografia, un album di ricordi che parla di carriera, amore, infanzia, teatro e storie. La roba davvero speciale di questo libro, però, è che riesce quasi a rendere comprensibile uno dei misteri più ingarbugliati dell’universo: l’ironia.

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Keith Gessen – Tutti gli intellettuali giovani e tristi

Sarò io che non sono abbastanza sensibile, ma questo libro mi è sembrato involontariamente buffo. Mark, Sam e Keith sono veramente tre cialtroni. Lo spaesamento, il declino post-Clintoniano, la becera era-Bush, gli ideali, le tesi di dottorato, i parcheggi che non si trovano, i grandi punti di riferimento, il viaggio come scoperta del proprio cuore, le differenze. La verità è che a Mark, Sam e Keith interessa solo scopare. Tutto il resto succede perché non ci riescono mai.

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Big Eyes

Ci provo sempre, perché è Tim Burton. Io ci provo, ma non c’è niente da fare. Tutto quello che mi piaceva di Tim Burton è praticamente scomparso. Alice in Wonderland è stato un duro colpo, e dubito che riuscirò mai a dimenticarlo. Dark Shadows mi aveva fatto ben sperare, visto che si trattava di una storia di freak, mostri e scherzi della natura. Ma niente, non ha funzionato neanche quello. I film che cercano disperatamente di essere divertenti mi mettono in imbarazzo. È una situazione tremenda. Ti si stringe il cuore e ti dispiaci un casino, ma proprio non riesci a spassartela. Ti prego, apprezza il nostro umorismo un po’ vintage e strambo! Ti scongiuriamo, amaci!
Zero.
Big Eyes, come succede sempre nella fase “Gente, esce un nuovo film di Tim Burton!” mi ispirava parecchio. Ci credevo. Ero pronta a sfidare il gelo serale e il torpore post-ufficio per trascinarmi al cinema. Insomma, c’è Christoph Waltz. C’è questa matta che dipinge bambini derelitti con gli occhi giganti! Sarà fantastico, me lo sento! Adesso… non è mica un brutto film, per carità. È un film dignitoso. Non ti fa arrabbiare, è pieno di colorini pastello e non insulta eccessivamente la tua intelligenza – a parte la battuta cardine di tutta quanta la baracca: “Perché disegni questi grandi occhi?”, “Perché gli occhi sono lo specchio dell’anima…”. Solo che… è un film senza cuore. E pure un attimino palloso. Cioè, poi magari è colpa mia, mi sarò trasformata in un’arida istitutrice con una gamba di legno… sarò diventata un personaggio di Bret Easton Ellis. Io non lo so, ma guardare Big Eyes è stato come sedermi per due ore a fissare un ragazzino che non ha voglia di fare i compiti.
Ma forse sono io che ho gli occhi troppo piccoli.

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Guardians of the Galaxy

Meritano tutto il nostro amore. Ora e per sempre.

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Nymphomaniac – Part 1

Tutti a pesca con Stellan Skarsgård!
Tutti ad abbracciare un frassino!
Tutti a prendere lezioni d’organo!
Diamine… CIT.
Non pensavo di essere tagliata per i polpettoni da intellettuali erotomani – ossessionati dalle tonalità più tristi del beige -, ma Nymphomaniac mi è garbato. Sarà che stavo sorseggiando del genepì, ma l’ho trovato estremamente interessante. È un documentario, in pratica. E io adoro i documentari. Non riesco ad accettare che il naso della giovane Jo si sia in qualche modo evoluto fino a trasformarsi nel canappione della vecchia Jo, ma consideratemi a bordo per tutto il resto. Giaguari compresi.

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Joan Didion, The Year of Magical Thinking

Cielo, c’è addirittura una recensione seria!

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La maschera di Zorro

Dopo circa una settimana di diretta dedicata all’elezione del Presidente della Repubblica, Mentana ha deciso di andare a farsi una doccia, lasciandoci in balia del palinsesto di La7. La7, quando non c’è il telegiornale o un talk-show di approfondimento o la Bignardi che intervista casi più o meno umani, si trasforma uno straordinario pentolone di assurdità cinematografiche. L’altra sera, dal niente, è apparso un film imperdibile: La maschera di Zorro, con Anthony Hopkins che fa Zorro vecchio, Banderas che fa lo Zorro-stagista e Catherine Zeta-Jones che fa l’emoticon della ballerina di flamenco. Tra peones cenciosi, sadici soldati ariani, il limone più duro mai apparso sul grande schermo e tramonti dipinti con le tempere, spicca il maestoso cavallo Tornado… vero uomo-partita-Sky della mirabile pellicola. Io me ne vergogno – anche perché non riesco più a distinguere Banderas dal mugnaio pazzo del Mulino Bianco -, ma mi sono divertita un casino. Con buona pace della pancera di Hannibal Lecter e dell’infelice gallina Rosita.

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Joan Didion, Play It As It Lays

Da qualche parte in copertina, c’è scritto che la Didion scrive col rasoio. Zac. Zac. Zac. Implacabile, affilata e precisissima. La copertina, per una volta, dice la verità. Play It As It Lays è il primo Didion-romanzo che leggo – visto che, purtroppo, L’anno del pensiero magico è una storia autobiografica – e continuo ad essere una piccola fan in pieno entusiasmo da super scoperta recente. In questo libro si sale in macchina con Maria, attrice dalla carriera breve e neanche un po’ folgorante, e si guida in giro per Los Angeles. È una storia di fuga, di vuoti perpetui, di aspettative disattese, di chiacchiere e lunghe giornate senza senso. Più che un essere umano, Maria è una specie di pianta che secca, una persona che si trasforma gradualmente in un fossile mentre il resto del mondo continua a girare – che tutto questo girare, poi, possa rivelarsi senza scopo e senz’anima, è un altro paio di maniche. E in queste maniche dovreste proprio infilarvici.
Team-Didion!

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E per questo mese, cari tutti, abbiamo visto e letto a sufficienza.
Per il prossimo Vedileggi – e per ammirare ancora una volta l’header più straordinario di sempre -, ci si ritrova a fine febbraio. Ho già chiamato il Piccolo Teatro per i biglietti di Lehman Trilogy, quindi potrò cominciare a darmi un tono anche come altolocata consumatrice d’impegnata drammaturgia – impegnata e costosissima, cazzo.
Che gli alpaca proteggano le vostre avventure da divano. E raccontatemi i vostri Vedileggi, se ne avrete voglia.

 

Non so bene cosa piaccia a voi, ma io sono una grande fan dei punti di vista. Se mi piovesse in testa un superpotere, credo che sceglierei una roba alla Professor X, supremo aggeggiatore di pensieri altrui. Anche una spolveratina di telecinesi – garanzia di tette sodissime per tutta la vita – non sarebbe male, ma già col pacchetto Telepatia-Base mi sentirei più che a posto. Che cavolo, le altre persone sono interessanti. Quale enigma è più gigantesco dei frullaggi di cervello di chi ci sta attorno? Che cosa passa per la testa dei nostri congiunti? Che cosa sappiamo davvero? C’è qualcosa che ci nascondono? Di chi cavolo ci siamo innamorati? Il mondo che ci siamo costruiti è solido come pensiamo?
Che ansia, lo so. Ma che ti frega di come la pensano gli altri. Ma vai a mangiarti un gelato. E invece no, non si può. Non si può Perché Gillian Flynn non vuole. Gillian Flynn ha deciso di prendere la nostra serenità e di farci dei complicatissimi origami a forma di pernacchia. E noi, per questo, dovremmo addirittura ringraziarla. Perché Gone Girl in italiano si chiama L’amore bugiardo e lo pubblica Rizzoli – è un bellissimo giocattolo. E, faccenda estremamente succulenta, è anche un romanzo di punti di vista.

Non intendo tediarvi più del dovuto, ma due cose su come comincia questo benedetto libro ve lo devo anche dire. Nick e Amy si conoscono per caso a una di quelle feste per giovani professionisti del genere mega-creativi-YEA-Brooklyn-caput-mundi, fanno di tutto per conquistarsi reciprocamente, si innamorano molto, vanno a vivere insieme e si sposano. Nick scrive di film, tv e libri per una rivista. Amy, invece, si inventa quiz – tipo “metti una crocetta e ti dirò chi sei” per pubblicazioni un po’ meno nobili ma comunque rispettabili. I genitori di Amy, entrambi psicologi, si sono vergognosamente arricchiti con una serie di libri liberamente ispirati alle prodezze della loro perfettissima figlia che, nella stucchevolezza generale dei romanzi, sfiora quasi la santità. Nick, invece, è un ragazzone del Missouri con una famiglia incasinata alle spalle – con tanto di sorella gemella scaricata a rullo da fidanzati e datori di lavoro, e genitori separati che non li hanno certo tirati su a macarons e succhi macrobiotici. Comunque. Nick e Amy sono belli, brillanti e svegli, hanno una splendida casa, un ottimo lavoro e un sacco di cose da dirsi. L’universo li invidia. Il globo intero vorrebbe la loro vita. E poi niente, va tutto in vacca. Va tutto in vacca in Missouri, poi. Che se ti rovini la vita a New York ne possiamo ancora parlare, ma ritrovarsi col culo per terra a New Carthage, cittadina devastata della provincia profonda, è un bel problema. Lo sfascio matrimoniale, finanziario e professionale si trascina per qualche tempo, i due si allontanano, il risentimento si accumula e poi, nel giorno del loro quinto anniversario, Amy scompare. Ma così, senza senso.
Ta-daaaaa.
E chi sarà stato? Ma è morta? Ma è viva? Possibile che Nick non sospettasse niente? Non ce la racconti giusta, Nick. E non sembri neanche così dispiaciuto. Indaghiamo!
Allora. Io non sono una che si prende bene con i misteri, le investigazioni, le forze dell’ordine che raccolgono unghie dei piedi dal tappeto e le mettono dentro a delle bustine di plastica, i processi, gli avvocati, i vicini impiccioni e i tribunali. Anzi, non potrebbe fregarmene di meno. Crepa qualcuno? Sparisce della gente? Pazienza. Me ne dispiaccio, ma non impazzisco per scoprire chi è l’assassino. O il malvagio che trama nell’ombra. Con Gone Girl non puoi infischiartene. Devi sapere. E’ un libro fatto per creare dipendenza. C’è un capitolo raccontato da Amy. E c’è un capitolo raccontato da Nick. Ci sono piani temporali diversi – con sovrapposizioni super intelligenti di dettagli ed episodi – e una strabiliante analisi di quello che ci passa per la testa. Di come scegliamo di cambiare per adattarci ai desideri degli altri e del perché pensiamo che, così come siamo, non potremmo mai trovare qualcuno che ci ami davvero. La cosa veramente interessante, a parte la costruzione chirurgica della trama, è proprio l’alternanza dei punti di vista, lo strano crepaccio che si spalanca quando due persone raccontano – in maniera radicalmente diversa – la vita che condividono. Griderete a pieni polmoni NON CI CREDO! e vi partirà via la faccia più o meno ogni venti pagine. E mai, anche quando le cose prenderanno una piega piuttosto estrema, penserete che le motivazioni dei disgraziati personaggi siano prive di fondamento. Vi metterete lì, con una tazza di Nesquik in mano, e penserete che è vero, la realtà è uno strano specchio, che spesso deforma anche il nostro riflesso. Ma soprattutto, vi accorgerete che Gillian Flynn è riuscita a intortarvi alla grandissima. E che il libro, cascasse il mondo, non potete proprio metterlo giù. E mica capita spesso.

Per chi, fra qualche settimana, vorrà continuare a farsi fantasticamente prendere per il naso, ci sarà anche il film. Di David Fincher. Uscirà il 18 dicembre e sono piuttosto certa che sarà una gran bella cosa. E che il cielo protegga le nostre vite sentimentali.

 

Non so perché, ma Guardians of the Galaxy in Italia esce il 22 ottobre. Sarà che qua d’estate i cinema chiudono. Sarà che ormai in casa la gente ha l’aria condizionata e in agosto non sente il bisogno di andarsi a rinfrescare le ascelle alla multisala. Sarà che il doppiaggio di Groot, l’albero senziente che dice solo I AM GROOT, si è dimostrato più complesso del previsto. Io non lo so, ma va così. Visto che ero in America al momento giusto, però, io i Guardiani della Galassia sono andata a vederlo. A Santa Monica, dove i ricchi passano le vacanze. In un cinema con lo schermo così grosso che spanciava nel mezzo e un sottofondo di gente che masticava senza sosta. In America c’è sempre qualcuno che mastica rumorosamente o che minaccia di andare in giro senza scarpe. Comunque, visto che uscirà fra secoli e che la mia prosa è irresistibile – una giovane donna, su Twitter, mi ha sgridata perché le ho spoilerato Spiderman… Ma scusa, io lo scrivo sempre all’inizio del post se ci sono degli spoiler. Eh, lo so, ma non riuscivo a smettere di leggere. MADRE le avrebbe detto di andare a pescare, io le ho mandato un cuorino -, insomma, per tutti questi validissimi motivi ho pensato di fare una di quelle recensioni da personcina professionale, senza dire un cavolo di quello che succede e dedicandomi semplicemente al com’è questo film. Visto che ho difficoltà ad elaborare delle argomentazioni organiche e ben strutturate perché non sono abituata a litigare con le persone sui social network, si procederà in ordine sparso – ma non senza entusiasmo.

guardians of the galaxy poster

La Marvel ha annunciato il nuovo film!
FIGATA!!!! Cos’è?
Guardiani della Galassia!
…e chi diavolo sono?

Ecco.
Quando ho dovuto spiegare ad Amore del Cuore – che non aveva visto manco il trailer e, in genere, subisce con pazienza e diffuso disinteresse la mia fissazione per i supereroi -, insomma, quando ho dovuto spiegargli che cosa sapevo del nuovo polpettone Marvel, mi è uscita all’incirca questa descrizione. Amore del Cuore, in questo film ci sono una gnocca verde – quella che in Avatar faceva la zebrona blu che tirava le frecce e dopo un po’ stava in plancia sull’Enterprise -, un procione parlante che spara, Batista – quello del wrestling col collo grosso come una mortadella, dai, quello della Batista Bomb -, uno sbruffone biondo mai visto in vita mia e una specie di albero semovente alto tre metri. Non ho idea di che cosa ce ne faremo di questa gente o del perché questo film esista, non ho capito chi è il cattivo e, in generale, non so una mazza di niente, ma dobbiamo vederlo assolutamente. Sono nello spazio! Ci sono le astronavi! C”è UN PROCIONE CHE PARLA… anzi, c’è un procione che parla con la voce di Bradley Cooper! E l’albero è Vin Diesel!
Sul serio, non vi serve sapere altro. Pensano a tutto loro. E sono adorabili.
Guardiani della Galassia è un po’ la Marvel che va a sedersi al bar di un villaggio turistico. Quei bar in mezzo alla piscina, tipo. Che ne facciamo di tutte queste strampalate scene post-credits che disseminiamo in giro da almeno un lustro? Non possiamo mica buttar via un Benicio Del Toro incredibilmente ossigenato! Ebbene, quelli che odiano gli sprechi di idee e di incastri saranno contenti di accogliere nei loro esigenti cuori un bel po’ di mondi nuovi, roba che completa e rende più comprensibile quello che abbiamo già visto succedere. Ah, gli anguilloni corazzati degli Avengers, ma da dove verranno? Eh, da quei posti lì della fantascienza caciarona. Perché va così, è un bel film di fantascienza come si deve. Anzi, è un film di fantascienza super divertente. Era un po’ che non sentivo dei dialoghi così spassosi. E vedere quei cinque coglioni lì tutti assieme è una felicità. Non ce n’è neanche uno che riesca vagamente a non interessarti, albero e procione compresi. Cioè, Groot è il mio nuovo idolo. Se dovessi scegliermi adesso un testimone di nozze piglierei Groot, ma senza pensarci cinque minuti. In generale, ogni scena è una sorpresa. C’è quella leggerezza intelligente che ti fa contento, ma senza smenarci dal punto di vista della tensione o dell’empatia. Vuoi bene a tutti, ti preoccupi, ti prendi male. Ma c’è proprio della gioia, anche. Saranno le musicassette vintage e le spacconate, sarà che quei cinque lì sono – a loro modo – degli sfigati e dei fenomeni da baraccone, sarà che è facile tifare per la gente simpatica che – nonostante le apparenze – ha anche un casino di senso della giustizia, dell’amicizia e dell’onore. Non capisco bene che cosa sia successo, ma questo film è un mezzo prodigio. E c’è pure Lee Pace. Lee Pace dovrebbe diventare patrimonio Unesco. Bisognerebbe costruirgli attorno un museo. Te entri e vai a guardare Lee Pace che vive la sua vita, coi suoi sopracciglioni.  In questo film ha un costume corazzato che lo fa somigliare a una suora-samurai ricoperta di bitume fosforescente. Uno spettacolo. Ed è sempre incazzato come una biscia. E non vi parlo neanche di chi rivedrete nella scena post-credits… quella roba lì è una perla immortale. Un tributo alla vostra infanzia – se ne avete avuta una come si deve. Insomma, ho ritrovato la fede nella fantascienza felice. Vi esorto con veemenza a presentarvi al cinema il 22 ottobre… e informo gli arcigni uffici stampa che se mi vogliono regalare un costume da Gamora sono pronta anche ad andare un po’ a correre al parchetto. In alternativa, si accettano dei Groot per il giardino. O dei contrabbandieri-redneck da scatenare contro le forze del male. Van bene anche un paio di Gemme dell’Infinito, a farle montare ci penso io.
Viva i Guardiani.
Viva i procioni!
Viva Zoe Saldana, che non si capisce perché la debbano sempre dipingere come una matta, povera stella.
E in bocca al lupo a Batman vs Superman, che se pigliano anche uno solo di questi qua e lo mettono vicino a Tony Stark la galassia esplode in un trilione di coriandoli a forma di unicorno bionico!
Ah, la vita è meravigliosa.

 

Spoiler?
OVVIO.
Beware.

Amazing-Spider-Man-International-Poster-31

Leviamoci subito il pensiero.
È un film piacevolone? Ma certissimo.
Vi cambierà la vita? Ma proprio no. 
E quindi? E quindi guardatevelo con spirito giocoso, questo Spider-Man, che mica stiamo al mondo per patire. Mica siamo dei Peter Parker, con centosei cattivi da combattere ogni santa volta e un guardaroba estremamente limitato. Noi non scorgiamo il padre defunto della nostra fidanzata agli angoli della strada. Non dobbiamo lottare per farci la lavatrice da soli, che se no nostra zia May si accorge che siamo dei supereroi. Non abbiamo amici potenti che bramano il nostro sangue per guarire da una malattia di inaudita rarità che somiglia al drammatico incrocio tra la lebbra e la peste bubbonica. I nostri lanciaragnatele non si friggono e, superata con successo l’adolescenza, non sentiamo il bisogno di ricoprire di fotografie e metri di nastro adesivo le pareti delle nostre camerette. Non siamo nemmeno ingegneri elettronici col riporto e i pantaloni scappati. Oxford non ci telefona per regalarci una borsa di studio. Una cosa che, invece, forse saremmo capaci di fare anche noi – e senza un impiego alla Oscorp – è bloccare una centrale elettrica schiacciando semplicemente il bottone STOP, ma questo è un altro paio di maniche. Perché questo film è pieno di stupidaggini, ma bisogna un po’ prenderla come fa Paul Giamatti, in arte Rhino. Paul Giamatti si è divertito come un bambino, si vedeva proprio. C’è per sei minuti, ha questo fenomenale accento russo da barzelletta e devasta una decina di isolati con un camion pieno di plutonio, indossando una comoda tuta dell’Adidas da gangster dell’est e due chili buoni di collanazze d’oro. E tutto questo ancora prima di ricevere un’armatura a forma di rinoceronte corazzato.

Paul Giamatti On The Set Of 'The Amazing Spiderman 2'

rhino giamatti

Così, bisogna fare. C’è da buttarla in caciara, come c’insegna il prezioso Giamatti.
Perché Electro ha la faccia così gonfia? Le anguille fotovoltaiche erano forse piene di cortisone? Perché è così incredibilmente lento e rincoglionito? RHAAAAAAAAA, vi distruggerò perché non mi facevate posto in ascensore! MAAAAAAAAX, mi chiamo MAAAAAAX, come hai potuto dimenticarmi?
E Harry? Harry comincia ad ammalarsi e a riempirsi di croste nell’esatto istante in cui il suo augusto genitore, impareggiabile simpaticone, gli comunica che in casa loro c’è questo lieve problemino genetico. Prima non aveva niente – a parte l’hobby di covare invincibili rancori – e all’improvviso ALE’, morte che incombe e serpeggia, tra una giacchetta di sartoria e l’altra.
Anche Parker-padre, poi, è uno che fa le cose in grande. Per lasciarti in eredità una video-spiegazione lui non si accontenta di seppellirti una chiavetta in un contenitore ermetico, in un qualche posto segreto e sicuro. Una roba che si fa in due ore. No, per farti vedere un video lui ricicla un’intera stazione abbandonata della metropolitana, con tanto di treno-laboratorio che emerge dalle profondità della terra. E suo figlio si siede lì, guarda il filmato e tanti saluti, non gli viene manco in mente di farci qualcosa, con quelle gloriose tonnellate di attrezzature scientifiche. Che io non so, con zia May patisce la fame da quand’è piccolo… ma suo padre non poteva comprare un acceleratore di particelle in meno e lasciargli una valigia piena di soldi per vivere un po’ più decorosamente?
Ma soprattutto, QUANTO PIANGE SPIDER-MAN? Fateci caso, non c’è una scena in cui Peter Parker non singhiozzi. Piange, piange e piange. Piange perché vuol bene a sua zia, piange per la frustrazione, piange tutte le volte che deve fare qualcosa con Gwen – si lasciano e piange, la rivede e piange, limonano e piange -, piange perché la faccenda di Harry lo tormenta, piange nel diamine di treno-laboratorio, piange sulla schiena spezzata della sua fidanzata e per i cinque mesi successivi al suo funerale. Lui, semplicemente, piange. Piange quand’è in borghese e, sicuramente, piange pure nella maschera, con conseguenze di scomodità e appiccicatume che preferisco non prendere in considerazione.

spiderman garfieldHarry, ben ritrovato! Sono il tuo unico amico d’infanzia, non mi abbracci neanche?
Oh, ciao, Peter. E’ bello rivederti, ma sono in riunione. Se vuoi un abbraccio vai a chiederlo a tua zia.

spiderman electroMAAAAAAAAX! Friggerò i vostri ascensori! MAAAAAAAAAAAX!
Perché non m’avete fatto snello come il dottor Manhattan, perché!

spiderman garfield stoneFuori rido. Ma dentro, PIANGO.

spiderman goblinPerché non l’hai chiusa in un bunker, la tua fidanzata! Perché mi costringi a scaraventarla giù per una torre piena d’ingranaggi? Perché voi siete così tenerelli e io devo star qui con la faccia verde e una montagna di pustole bavose! Maledetti! 

La verità è che Andrew Garfield è troppo adorabile. E anche il suo Spider-Man è afflitto da questo insormontabile problema. Arrendiamoci: si può provare a prendere in giro questo film, ma non c’è niente da fare, è comunque uno spasso. E’ come quando Amore del Cuore cerca di sgridare Ottone von Accidenti perché butta in terra la macchina del caffè nel cuore della notte. Una volta è sceso dal soppalco per amputargli le zampe – zampe che Ottone utilizza per raspare forsennatamente su sacchetti, bottiglie, mobili e qualsiasi cosa faccia un rumore infernale… e sempre alle 4 del mattino -, ma poi me lo sono visto che risaliva la scala col gatto in braccio. “Ho provato ad arrabbiarmi, ma è troppo carino”. Ecco. Cosa gli puoi dire a uno che scrive TI AMO con le ragnatele sul ponte di Brooklyn, che ti guarda dalla cima di un palazzo mentre vai a mangiare immonde polpette coreane coi tuoi amici, che rischia la vita per attraversare una strada quando c’è rosso, perché tu sei dall’altra parte e lui è troppo travolto dai sentimenti per far caso a macchine, tir, cingolati e autobus? E’ uno che difende i bambini e i loro esperimenti di scienze dai bulletti del quartiere, per la miseria! I pompieri gli prestano il casco! Ed è così coordinato! E ci sono tutte le piccole gag simpatiche!
Insomma, io ci ho provato. Ma non posso vincere, quando si tratta delle chiappette d’oro di Andrew Garfield. E a me gli smilzi non piacciono neanche, figuratevi un po’.

captain america poster

Io non so perché mi vogliano così bene, i caroni di BadTaste. Ma me ne vogliono sul serio. E hanno il coraggio di pubblicare sul loro sito – che è una cosa seria, super professionale, ben documentata e piena di informazioni importanti, raccolte con amore e dedizione – una delle mie recensioni coi gridolini. Io li ho avvertiti: volete che fangirli? Fangirlerò, mettetevi al riparo. Ma loro non si sono scomposti, mi hanno portata a vedere l’anteprima di Captain America. The Winter Soldier e hanno accettato di buon grado le mie stupidaggini. E io sono improvvisamente diventata l’unica che può scrivere cento volte FIGATA in un pezzo per un posto così rispettabile.
Perché di FIGATA trattasi.

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Iron Man 3 vi aveva messo l’angoscia?
Thor. The Dark World era una stupidaggine colossale, nonostante la salvifica presenza di Loki?
Non temete, Steve Rogers ha deciso di salvare la situazione. L’unico Avenger che m’è sempre sembrato palloso, retorico e, diciamolo, anche un po’ inutile, è finalmente diventato un superbullo clamoroso (senza per questo gettare alle ortiche il suo cuoricione d’oro). Cento punti a Captain America e ai suoi bei coscioni.
Ecco. Allora armatevi di un degno accessorio da supereroe – all’anteprima mi hanno donato un THOR-CERCHIETTO! – e andate a leggere che è successo.

Captain America. The Winter Soldier – La Tegamini-fangirl-recensione su BadTaste!

HER

Il mio papà ha un rapporto fantastico con la tecnologia. Il giorno della mia Prima Comunione, tanto per farvi capire, nell’unica foto che ha scattato volentieri ci sono io, col vestito bianco e le maniche a sbuffo, seduta davanti a un 486 che fingo di essere un genio. Il mio papà ama così tanto la tecnologia che, quando uno dei suoi PC si rompe o si pianta, lui è contento, perché così può smanettarci dietro per giorni per risolvere il problema. La vera svolta, però, è arrivata con l’iPhone. L’ammirazione che il mio papà nutre per chi ha saputo inventare, assemblare e far funzionare una roba del genere sfiora il misticismo. E, ora che ha anche un iPad, è tutto più interessante. Si è addirittura rimesso a parlare con Siri, che giace inutilizzata e comatosa nelle profondità del suo telefono da tempo immemore. E le parla, le chiede le cose, si diverte un mondo a sentire come gli risponde. Ed è come se la incontrasse per la prima volta… su una spiaggia al tramonto. Violini. Balene canterine. Petali. Manghi. E la seguente telefonata.

TEGAMINI – Allora, come procede con l’iPad?
IL MIO PAPA’ – Ah, benissimo. Pensa che ieri eravamo in campagna e ho fatto un po’ di foto col telefono… poi ho acceso l’iPad ed erano già lì!
TEGAMINI – Un prodigio!
IL MIO PAPA’ – Ma non mi ha neanche chiesto se volevo sincronizzare, ha fatto tutto da solo.
TEGAMINI – Sia lodato il Cloud!
IL MIO PAPA’ – …poi c’è Siri. Ad un certo punto volevo vedere se mi riconosceva. E allora le ho chiesto “Siri, chi sono io”?
TEGAMINI – Per quel genere di cose devi installare iSensoDellaVita, secondo me.
IL MIO PAPA’ – E lei mi ha risposto “Domenico, devo dirtelo io?”. Domenico, perché sulla Apple sono registrato così…
TEGAMINI – Papà, lo so che ti chiami Domenico.
IL MIO PAPA’ – Poi c’era tua madre che era agitata perché ieri sera non hai chiamato…
TEGAMINI – Puoi spiegare a MADRE, una volta e per sempre, che anche il suo telefono ha la facoltà di inviare chiamate? Se è lì, schiacciata dalla preoccupazione e dal terrore, perché non chiama lei, invece di lamentarsi che non chiamo? E ricordiamoci che vi chiamo DUE VOLTE AL GIORNO.
IL MIO PAPA’ – Eh, ma lo sai com’è fatta lei.
TEGAMINI – Male, è fatta.
IL MIO PAPA’ – Comunque, dove sarà la bambina? E che cosa sarà successo, che non chiama? E che fa? Insomma, ho detto a Siri di cercarti, così almeno taceva.
TEGAMINI – …ma è perché deve pagare la telefonata? No, perché non capisco proprio.
IL MIO PAPA’ – Ma no. Ho detto a Siri di cercarti. Le ho detto “Dov’è mia figlia?”
TEGAMINI – Papà, ma che cazzo ne sa Siri di dove sono?
IL MIO PAPA’ – Solo che non lo sapeva che eri tu mia figlia. Allora le ho detto di cercarti col nome della rubrica: “Siri, dov’è Bimba?”
TEGAMINI – Dio Onnipotente. Ma telefonatemi. Telefonatemi se volete sapere dove sono. Cosa chiedete a un’intelligenza artificiale di localizzarmi?
IL MIO PAPA’ – Massì, era per divertirci. Aspetta che ti passo tua madre che se no si offende perché dice che parli sempre con me e con lei mai.
TEGAMINI – Per forza, o si lamenta o mi fa dei versi inarticolati!
IL MIO PAPA’ – Eh, va così. Aspetta che te la passo.
MADRE – GHEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!
TEGAMINI – …….FRUUUUU?
MADRE – GHEEE! …Allora?
TEGAMINI – Niente. Adesso vado a pranzo. Te che fai?
MADRE – Tuo padre continua a parlare con quella roba lì, nel telefono. Io la chiamo Ninetta.
TEGAMINI – Siri? Te Siri la chiami Ninetta?
MADRE – Già. Perché Ninetta è un nome da cameriera.

Maleficient poster

Sono emozionata, dai. È un mio diritto, anagraficamente parlando. E lo sa pure la Disney. Maleficent non lo fanno mica per le bambine che sono piccole adesso. Lo fanno per le ex-bambine tipo me. Perché noi c’eravamo, quando Malefica prendeva a rovi in faccia il principe e sputava fuoco verde a destra e a sinistra e augurava ogni sventura a innocenti principessine neonate. E le entrate ad effetto? Parliamone. Prima di vederla sul serio, c’erano sempre almeno cinque minuti di questa ombra lunga e cornuta che si avvicinava, implacabile. A me faceva paura per davvero, diamine. E la rispettavo profondamente. Voglio dire, trasformatevi voi in un drago. Terrorizzatelo voi un intero regno, senza manco rovinarvi la manicure. A noi sceme un corvo non darebbe mai retta, ci farebbe la cacca su una spalla e ci mangerebbe un occhio. A noi il viola sta male, ci sbatte. A Malefica no. È è la cattiva Disney con la miglior coordinazione tra rabbia e ondeggiamenti furiosi del vestito. Un mantello antigravità. Quando Malefica si arrabbia e agita i pugni per aria, tutto quanto il mantello si arrabbia insieme a lei. In pratica le levita attorno, bello puntuto e minaccioso. Che lei peserà quindici chili, ma con quel mantello lì sembra grossa come un continente.

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Niente, volevo dire che sono contenta che facciano questo film. E anche Angelina Jolie mi garba, come Malefica del cuore. Ha gli zigomi adatti, per un ruolo del genere, ma anche prima dei ritocchi digitali. Con quegli zigomi lì ci si può affettare il kevlar. Gli zigomi sono tutto, nella vita. Sono contenta, molto curiosa e anche un po’ preoccupata. Perché mi piacerebbe tanto che questo Maleficent non fosse una divagazione inutile. Sarebbe bello se avesse una storia bizzarra e intelligente. Se ci fosse qualcosa di interessante, oltre all’Angelina che fa la strega sbruffona e ci insegna come si trascina in giro un costume meraviglioso con uno strascico che arriva fino a casa vostra. È plausibile aspettarsi un qualche cosa, da questo film? Cioè, stiamo parlando dei miei ricordi d’infanzia. È una faccenda seria. Se non ho mai imparato a cucire è anche un po’ colpa della Bella Addormentata. Le fiabe sono importanti, ti rovinano per sempre. Ti convincono che puoi parlare coi coniglietti del bosco e roba del genere. Vorrei del sacro rispetto, per la Malefica che mi ricordo io. Magari anche un po’ più di ombretto sulla faccia di Angelina. O uno zigomo-party per il lancio del film, con uno che mi prende, mi trucca e mi caccia in un costume da Malefica… abbiamo bisogno di crederci. Abbiamo bisogno che il corvo parli. E che i rovi siano un po’ più belli e spaventosi, mica quei cavolfiori cicciardi che si vedono nel trailer. Perché siamo diventate più grosse, alte e piene di occhiaie, ma ci ricordiamo vagamente come si stava bene da piccole. E i film come questi servono a farcelo tornare in mente sul serio. Va bene, Disney? Vi siete segnati tutto? Anche le fate madrine sono orribili. Date una bella sistemata generale. E lavorateci sul serio, al party. E invitateci, che poi va a finire in un disastrone sanguinario, come il battesimo di quella narcolettica di Aurora. Ok? Stiamo tranquille? Ci fidiamo? Perfetto, allora, fateci vedere una cosa fatta bene. E tante care cose. That’s all…

maleficent

walter mitty torta

Animata da un’incomprensibile fiducia, sono andata a vedere I sogni segreti di Walter Mitty, storia di un omino che non possiede maglioni e si mette la giacca a vento direttamente sopra la camicia, ma in serenità, senza strati intermedi. A parte quello, Walter Mitty lavora alla rivista LIFE – in qualità di GesùCapo dei Negativi Fotografici – e ha l’abitudine d’incantarsi come un barbagianni, sognando mirabolanti avventure ad occhi aperti. Ama in silenzio Kristen Wiig – quell’attrice che fa tanto ridere e che, probabilmente, una mattina si è svegliata con l’impellente bisogno di fare un film pieno di cuore e sentimento, così, tanto per non restare intrappolata nell’angusta categoria delle simpaticone a tutti i costi – dicevamo, Walter Mitty ama in silenzio questa sua collega – in stage a 50 anni, tipo – e coltiva una solida e fraterna relazione professionale con Sean Penn, il fotografo più geniale del mondo, uno che non sta mai fermo, un eroe del reportage, uno che potrebbe fare bunjee jumping appeso a un cavo elastico fabbricato con le budella di un muflone andino, uno che risale le cascate coi salmoni e si fa incatenare sull’ala di un biplano per volare in mezzo a una nube di cenere bollente. Comunque, il film parla di questo Walter Mitty che, all’improvviso, deve scrollarsi di dosso il grigiore della pavida esistenza che si è ritrovato a condurre per tuffarsi a testa avanti in quei mondi fantastici che ha sempre avuto solamente il coraggio di immaginare. Squilli di tromba! Longboard! Baratti con ragazzini imbecilli! Groenlandia! Partite di calcio al tramonto con simpaticissimi abitanti delle steppe! Una vita degna di essere vissuta!

walter-mitty-sean-penn

Ora, per carità, son tutte cose belle, buone, giuste e condivisibili. Il film finisce, te ti alzi, raccatti le cartacce, ti metti il cappotto e senti della sincera contentezza per Walter Mitty. Nonostante ciò, proseguirai per la tua strada continuando a fottertene spavaldamente del buon Walter, dei suoi problemi e delle sue allucinazioni aspirazionali. Perché è noiosone, questo film. Ci sono un casino di bei paesaggi e una simpatica gag con uno squalo, ma dopo un po’ uno si rompe anche le balle. Almeno, io che ho un cuore di pietra ho cominciato a sbadigliare quando ancora Ben Stiller – regista e interprete di questo tenerissimo film non proprio necessario – stava a New York a raddrizzarsi il fermacravatta. Al ventesimo luogo comune sul senso della vita, però, ho scagliato la borsetta in terra, ho accavallato le gambe e, con la bocca piena di pop-corn – che qualcosa devi anche fare, al cinema, se ti stai solennemente tediando – ho esclamato:

MA SANTO IL DIO, BEN STILLER, MA NON POTRESTI USARE UN PO’ MEGLIO IL TUO TEMPO? CHE NE SO, FACENDO ZOOLANDER 2, INVECE DI QUESTA MINESTRINA DI WALTER MITTY? CHE SENZA WALTER MITTY  STIAMO BENE UGUALE, MA NON SO QUANTO POTREMO ANCORA RESISTERE SENZA ZOOLANDER 2, DIAMINE E FULMINI!

Walter Mitty è una specie di film-caramella, una giuggiolona già ciucciata da qualcun altro, magari mentre ammirava una pietraia islandese baciata dal sole del meriggio, tra una sorgente termale e l’altra. Zoolander, invece, è pura gloria! Zoolander è necessario! Serve! Zoolander è importante! Altroché imbambolarsi in mezzo a un ufficio con una torta in mano… vogliamo Mugatu!
Cioè, guardiamo questa faccia, per cortesia. Fermiamoci un momento e osserviamola con attenzione.

walter mitty

Questa faccia, così com’è, con quell’aria lì da idiota sapiente che va al campeggio, non ci serve a niente. Ci serve una faccia da idiota conclamato che fa la Magnum. Ci serve un Sirenetto! Vogliamo vedere la nuova collezione DERELICTE! Abbiamo bisogno di applaudire l’inventore della cravatta-tastiera! Altroché fotografi filosofi che fuffeggiano sul cucuzzolo di un picco himalayano, ma che ci frega! Dove sono i manisti con le estremità protette da mini-camere iperbariche?

Ahhhh!!

zoolander_hypnotize

Potevi non dirci niente, Ben Stiller. Potevi non dircelo che avevi cominciato a lavorare a Zoolander 2. Così noi non ci agitavamo. E invece no. Sono anni che si parla di chi ritornerà nel cast, della sceneggiatura che è pronta e poi non è vero che è pronta, di si fa/non si fa/chi può dirlo e via così, tutti a rotolare in giro, travolti da un tornado di dubbio, incertezza, tentennamenti e titubanze che spezzano il cuore. Taci, no? Ce lo vieni a dire quando lo sai, maledizione, così possiamo sorbirci il resto dei tuoi film – che, ci spiace, ma mai potranno eguagliare un capolavoro come Zoolander – senza contorcerci e adirarci per tutto il tempo che stai perdendo dietro a questa roba che non ci serve, mentre – invece – potresti deciderti una volta e per sempre a finire ciò che il mondo brama. E non peggiorare le cose con dichiarazioni di questo tenore:

What’s the latest on Zoolander 2? Will it ever happen?

Right now, it’s on hold. There’s a script we like, but I don’t want to force it, because people who love that movie really love it, so I want to make sure we do the sequel the right way. Mike Myers did it well with the Austin Powers movies – they were all funny, and very ‘of their time’. And Zoolander is ‘of its time’, too, so it’s about how we could bring it up to date, to the present day.

Presumably, Derek will be rolling out ‘Blue Steel’ again in the sequel…

Not ‘Blue Steel’ again, no. He’s got a new look. I think part of the sequel will be about how the fashion world moves so quickly. So, the movie will begin at a time when the whole world has moved on from Derek and Hansel because they’re so ancient history. It’s about them having to reinvent themselves and try to become relevant again.

Ci devi lavorare? MA VA. Bisogna farlo bene, che se no ci innervosiamo? MA VA. E serve del tempo, per produrre questa cosa ben fatta? MA VA.
E allora smettila di sperperare i tuoi giorni in menate marginali! Impegnati, invece di propinarci dei Walter Mitty che manco capiscono come si mette un maglione, figuriamoci se sanno come funziona la haute-couture! Maledetto Ben Stiller! Fatti incatenare da Milla Jovovich a un albero maestro rivestito di piumino Moncler! Esaudisci i nostri sogni più imbecilli!

Aaaaahhhhh!

Stavo bene, più o meno, e adesso sono arrabbiata. Mai una gioia. Mai. Basta, mandate a chiamare la mia carrozza, non posso resistere un minuto di più.

mugatu

Perché la verità è che Ben Stiller è uno stronzo. E ci odia. Noi e il Primo Ministro malese.

 

loki thor

Thor – The Dark World è, senza dubbio, il film più rispettoso della mitologia norrena che mai vedremo al cinema: se non c’è in mezzo Loki, non succede un Mjolnir di niente. Ok, ok. Va bene, tecnicamente qualcosa succede. C’è una stirpe di elfi fantasticamente abili nel farsi le trecce che vuole far sprofondare l’universo nell’oscurità e nella tenebra più disperante. Addormentati da qualche migliaio di anni dietro a un paio di asteroidi, gli elfi dai fascinosi capelli si svegliano all’improvviso quando Jane Foster – alla faccia di Natalie Portman e del suo appello “più femmine senzienti e interessanti per la Marvel e per il cinema tutto” – decide di infilare una mano tra due monoliti fluttuanti che irradiano malvagità e terrore a ettametri di distanza. Ed è una scienziata, Jane Foster, mica una sciampista in stage. D’accordo, le garbano i deltoidi gibbosi e le barbe incolte, ma è comunque una luminosa rappresentante dell’eccellenza del sapere astrofisico internazionale. E vede una roba rossa tutta schifosa e sibilante che si agita in mezzo a due menhir magici sull’orlo di un precipizio, e ci caccia dentro le mani. Ma santa pace, Jane Foster, ma da piccola non li hai presi due sganassoni, quando cercavi di raccogliere le schifezze dal marciapiede? Se MADRE potesse dire qualcosa a Jane, le suggerirebbe di tagliarsele, quelle manacce di merda.
Ma ci stiamo già perdendo per le radici di Yggdrasil.
Quel che volevo davvero dire – mettendo incidentalmente il Cono della Vergogna a Jane Foster – è che questi nostri polpettoni del cuore dovrebbero cercare di far procedere la narrazione indipendentemente dalla stupidità dei loro protagonisti. Perché non posso accettare che l’universo rischi l’oscurità eterna solo perché la fidanzata di Thor è pirla. E nemmeno posso accettare che, limonando cretinamente per un prato di Greenwich, due comprimari altrettanto inetti contribuiscano a salvare il benedetto universo, e senza manco capire perché. Insomma, le motivazioni sono importanti. Per i buoni e un sacco di più per i cattivi.
BU! Sono un elfo oscuro! Esisto da prima del mondo! Ho questa roba rossa che solo io so controllare! I miei capelli sono strabilianti! E stamattina mi sono svegliato male: meritate di sprofondare nel buio!
Molto piacere, elfo oscuro. Noi qua non conosciamo a memoria la storia di ogni mondo governato da Odino, ma ci sembra proprio di averti incontrato per caso. Ti vuoi vendicare perché novemila anni fa gli asgardiani hanno sterminato la tua gente? Capirai. Saremo insensibili e ottusi, ma non ci siamo preoccupati neanche per un momento, e non perché polpettone-Thor sia un pozzo di strategia o una forza inarrestabile della natura. Non ci interessa niente perché la gente che vuole solo vendicarsi e fare qualcosa di definitivo e irreparabile al mondo è una roba che abbiamo già visto ennemila volte. E un po’ meglio, anche. Ecco, allora, prendi il numerino al banco salumeria e mettiti in fila dietro alla signora Franca, che vuole sciogliere la calotta polare col phon.
E’ per questo che ogni volta che fan fare qualcosa a Loki sembra che entri in scena, che ne so, una versione sorniona e piacevolmente malvagia di Immanuel Kant. GENIO! IRONIA! UNO SCOPO PRECISO! UNA SACROSANTA VENDETTA! L’IRREFRENABILE IMPULSO DI CAVARE A ODINO PURE L’ALTRO OCCHIO! UMORISMO! UN PIANO! ESPRESSIONI FACCIALI!

The Marvel Studios: "Thor: The Dark World" And "Captain America: The Winter Soldier" - Comic-Con International 2013

E via, poi tutti a stupirsi per il tornado di mutandine che Tom Hiddleston è costretto a schivare ogni volta che decide di uscire di casa. 
Sbaglio? Perché è vero, credo. Ero seduta lì, coi miei pop-corn e una sana e robusta propensione ad apprezzare i manzi armati di martello che piombano sul mio pianeta all’improvviso solo perché Idris Elba s’è per un attimo cecato, ma niente. Noia. Fastidio per Natalie Portman, ULTRAODIO per l’invadentissima Darcy – che è ovunque… e dovrebbe far ridere, senza mai riuscirci – e tanta comprensione per la povera Lady Sif, che sa andare a cavallo al contrario bevendo alla goccia un litro di idromele ma nessuno se la fila. Mi sono un po’ ripigliata quando Frigga del cuore ha preso a calci in culo l’elfo oscuro cantandogli le bionde trecce, ma poca roba. Per il resto è stato tutto un dov’è Loki? Dov’è Loki? Che fa? Legge? Spacca i tavolini? Si sarà pettinato un po’? Lo liberano? Non lo liberano? Che dice? Ma quindi? Che tramerà? Adesso capisco perché gli hanno fatto fare un mucchio di scene aggiuntive, in mezzo a questo sfacelo! E a Thor, ma gli vorrà un po’ bene? Ma un ceffone glielo possiamo mollare pure noi della quinta fila? Avrà bisogno di un lancio di mutandine, così, tanto per incoraggiare?
Nel dubbio tirategliele. Anche voi ometti. Che se ne accumuliamo una montagna sufficientemente alta e scoscesa magari riusciamo anche a farcelo venire fuori, un Loki-film-solista. ANT-MAN, fanno. Mi vien voglia di mettere una mano in mezzo a dei macigni malvagi. O di andare a raccogliere personalmente tutte le gemme dell’infinito, o come si chiamano, per regalarle a Loki, che sicuramente troverebbe qualcosa di strabiliante da farci.

Insomma. Tenetevi Polpettone-Martellone.
Qua si tifa per la megalomania, l’inganno e il capello unto.

…stavo per gridare SERPEVERDE, ma poi ho capito che la stavo pigliando troppo alla larga.