Sentimenti burrascosi! Notturni! Letteratura! Rovine! Dirupi! Sogni e turbamenti!
No, temo di non essere riuscita a riassumere in maniera esauriente le molteplici e fascinose sfaccettature del Romanticismo, corrente “multidisciplinare” che tra Settecento e Ottocento ha attraversato l’Europa modificando in maniera radicale la nostra sensibilità estetica, filosofica, musicale e artistica. Poco male, però, perché fino al 17 marzo potrete beneficiare di una mostra dal vasto potenziale esplicativo e dal magnetismo indiscusso e, magari, dilettarvi anche con un piccolo tour. Milano, infatti, è stata una delle grandi capitali romantiche del continente e conserva le tracce di questo passato, valorizzandone l’eredità tappa dopo tappa.
Ma procediamo con ordine.
A San Valentino non sono stata fortunatissima sul fronte delle rose rosse o delle scatole di cioccolatini a forma di cuore – e, vi dirò, va anche bene così – ma la bellezza non è di certo mancata. L’itinerario è ricchissimo, ma agevolmente replicabile.
Tappa uno! Romanticismo alle Gallerie d’Italia
La mostra, con le sue 200 e passa opere esposte, riesce a fare contemporaneamente due cose molto pregevoli: affrontare i temi principali del Romanticismo sviscerandone le manifestazioni più emblematiche e i temi ricorrenti, ma anche mettere a fuoco le ricchissime peculiarità milanesi, restituendoci il dialogo costante tra città, arti (non solo figurative) e identità storica. Insomma, troveremo i rimescolamenti interiori e gli orizzonti sterminati di Caspar David Friedrich, ma anche Francesco Hayez che ritrae Manzoni o affida a una fanciulla a seno scoperto un messaggio politico di libertà, celebrando i tumulti cittadini delle Cinque Giornate. Il risultato è un percorso molto ben costruito tra concetti che trovano terreno comune in un’epoca dalle caratteristiche condivise – indipendentemente dal luogo – e declinazioni cittadine e nazionali. Bonus non trascurabile: lo spazio espositivo è magnifico.
Tappa due! Romanticismo al Museo Poldi Pezzoli
La mostra si sviluppa su due sedi. Il “grosso” è alle Gallerie d’Italia, ma la visita prosegue al Poldi Pezzoli – dopo una passeggiatina di circa due minuti. Il Poldi Pezzoli è uno dei miei posti preferiti a Milano e ospita spessissimo mostre piccole ma estremamente curate, oltre ad essere un luogo valentissimo per conto suo – c’è una collezione permanente e si può andare a zonzo per le stanze, invidiando molto il gusto eclettico di messer Gian Giacomo. COMUNQUE. Perché proprio il Poldi Pezzoli? Perché la famiglia Poldi Pezzoli non si risparmiò durante i moti rivoluzionari del 1848 e la dimora rappresentò uno dei punti nevralgici dell’attività culturale e artistica della Milano romantica. Allargate il giro e non perdetevi Raffaello che abbraccia la Fornarina o le “istantanee” della città in subbuglio.
Tappa tre! La casa del Manzoni
Poco incline a farsi ritrarre – anche se per Hayez si sentì di fare un’eccezione -, Alessandro Manzoni era ritenuto schivo e assai riservato. In questa casa amatissima, però, visse e morì con la sua grande anche se non fortunatissima famiglia, accogliendo con autentico affetto amici, intellettuali e personalità di spicco del suo tempo – E GUARDA UN PO’ SIAMO PROPRIO IN PIENO PERIODO ROMANTICO. Mantenere la dimora non fu una passeggiata: nonostante il successo nazionale e le traduzioni estere dei Promessi sposi, infatti, all’epoca non esisteva il diritto d’autore e Manzoni, di fatto, passò decenni a combattere la pirateria, impegnandosi anche a livello pubblico e politico per istituire una norma che tutelasse le opere letterarie e i loro creatori. Ma pensa un po’.
Tra prime edizioni, gallerie di ritratti e approfondimenti sull’intricata acconciatura di Lucia Mondella, due ambienti della casa – quelli conservati proprio come Manzoni li aveva lasciati – valgono il giro: la camera da letto in cui lo scrittore si ritirò dopo la morte della seconda moglie – in un cassetto ci sono ancora le pantofole – e lo studio al piano terra, completo di tabacchiera – da cui Manzoni non si separava mai – e vista sul giardino.
Tappa quattro! Il Teatro alla Scala
Un tour “essenziale” della Milano romantica non può non comprendere il Teatro alla Scala. Perché è qui che il bel mondo si incontrava – anzi, che il mondo in generale confluiva per godere di quel che accadeva in scena ma, anche, per rispondere a pure esigenze di socialità, affari, divertimento, costume e spasso. Opere, concerti e balletti a parte, alla Scala si può entrare per visitare il museo, accedere ai palchi e sbirciare da lontano i lavori in corso.
Per chi volesse approfondire e/o espandere il percorso partito dalle Gallerie d’Italia, il Poldi Pezzoli ha confezionato un Taccuino romantico che contiene 25 luoghi – tra Milano e la Lombardia – da visitare per crogiolarsi ulteriormente nello spirito dell’epoca. Si può scaricare qui. E sono giri, ovviamente, organizzabili in piena autonomia e libertà. Con la pioggia e col sole. A piedi o in carrozza. Quando e come vi pare. Insomma, una bonus-track di tutto rispetto.
Rendere più agevole al VASTO pubblico l’accesso alle puntate di #PuPAZZI è uno dei miei buoni propositi per l’anno nuovo. Frugherò per giorni, settimane e mesi alla ricerca degli episodi più antichi – con la certezza quasi matematica di sprofondare nel fallimento – e farò il possibile per trasferirli qui sul blog, dove spero potranno continuare ad essere amati anche allo scadere delle 24 ore delle Instagram Stories. Insomma, mi sto industriando. Per il momento, ecco qua l’ultima avventura.
SINOSSI (come fanno su Netflix)
Tigrona chiama a raccolta gli abitanti del tappeto per trovare una soluzione organizzativa sensata a una nuova abitudine sviluppata dall’infante. Polpo Felice approfondisce il turbolento passato di Cassandra. Gianni sembra abbandonarsi allo sconforto, mentre Sciantoso – reduce da un’esperienza a dir poco scioccante – rivendica il suo status di “pupazzo da nanna”. Orso Paziente e i giocattoli della vecchia guardia accolgono con ben poche cerimonie le nuove leve. Ma chi andrà al nido con Cesare? MISTEROH.
Ci illudiamo spesso di poter esistere (e amare) in uno spazio del tutto impermeabile alle influenze esterne. Il nocciolo del nostro sentimento abita quasi certamente su un pianeta lontanissimo e protetto, ma le relazioni sono anche fatte di orbite, collisioni imprevedibili e crateri antichi. E quello che proviamo, a volte, non resiste al richiamo della gravità, perché attorno a noi ci sono forze che non riusciamo (o non vogliamo ancora) contrastare.
BASTA HO FINITO NON LA SFORNO PIÙ UN’ALTRA METAFORA COSÌ.
Elaboriamo meglio, però.
Il secondo romanzo di Sally Rooney – autrice irlandese di freschissima gioventù che ha esordito più che benone con Parlarne tra amici– racconta la storia assai tribolata di Connell e Marianne. Cresciuti nella medesima cittadina irlandese senza particolari attrattive, i due conducono esistenze diametralmente opposte, se vogliamo proprio semplificarla molto. Connell non ha mai conosciuto suo padre ed è figlio di una saggia e piacevolissima donna che l’ha avuto a 17 anni e che ora si guadagna da vivere facendo le pulizie. È sveglio, sensibile, riservato e ansioso di compiacere il suo prossimo. Non naviga nell’oro, ma a scuola è fra i più popolari e milita onorevolmente nella squadra di calcio. Marianne viene da una famiglia ricca e disastrata, non ha amici, non mette praticamente mai il naso fuori dalla magione in cui risiede, è molto intelligente e non ha alcun interesse per le opinioni altrui. I compagni di scuola la percepiscono come una specie di inspiegabile anomalia e la trattano con aperta ostilità.
E dove mai potrà stabilirsi un punto di contatto tra due creature così lontane, che a scuola manco si parlano? Ma nella cucina di Marianne, perché la mamma di Connell fa le pulizie a casa sua. E quando non hai la patente, è tuo figlio che ti passa a prendere.
Quello che capita dopo è complicato, toccante, cervellotico e spezzacuore. La Rooney sceglie di narrare le vicissitudini di Connell e Marianne illuminando di volta in volta un momento nodale del loro rapporto. E se le basi vanno fatte risalire alle poche battute scambiate in cucina, la loro storia si rivela però una lunga matassa che si srotola negli anni, nonostante tutto. All’inizio assistiamo all’edificazione di un piccolo microcosmo, in cui entrambe le parti – solo lì – riescono ad esprimere senza sovrastrutture la propria vera essenza. Ma cosa diranno gli altri? E se qualcuno a scuola lo scoprisse? Ma ne vale la pena? Si tratta pur sempre di Marianne. E Marianne sta sull’anima a tutti. Che figura ci faccio?
Ecco.
Tutte le ferite (più o meno gravi) e i non detti (o i detti male) che Connell e Marianne accumulano con il passare del tempo, mentre cercano di venire a patti con le aspettative degli altri e con la gestione già intricata di suo di un sentimento che muove i primi passi, vengono inevitabilmente a galla. E, nonostante i contesti “sociali” si capovolgano con l’inizio dell’università, quel che azzoppa e separa non sparisce, ma cambia forma, diventando man mano più insidioso. Gli errori che facciamo “da piccoli”, i grandi sbagli che ci sembrano lì per lì irreparabili diventano ricordi ed entrano a far parte del nostro bagaglio. Anche Connell e Marianne li ridimensionano e ne prendono le distanze, ma riescono a liberarsene fino a un certo punto. E portano con loro, di periodo in periodo, quello che sono in quell’istante… ma anche quello che erano. Inseguono felicità forse mai più riproducibili, si lasciano avvicinare da persone nuove – che possono vedere solo il loro lato “presente” -, si accontentano e camminano con le proprie gambe. Ma sono e saranno sempre una rivelazione, l’uno per l’altra. Ed essere stati visti per davvero, almeno una volta, è un evento raro e quasi irripetibile.
Oh, credo di aver finalmente trovato una soluzione alla difficile questione del “mi consigli una storia d’amore”. Non è un libro dal romanticismo travolgente. Non è nemmeno un libro consolatorio. È una riflessione lucida – a due voci, principalmente – sulla spigolosità degli incastri sentimentali. E non si risparmia sul fronte del dolore, sia quello che cerchiamo di non infliggere agli altri – nel tentativo di essere persone decorose – che quello che cerchiamo consapevolmente. E la Rooney è bravissima nel far crescere Marianne e Connell senza privarli di quello che hanno raccolto – o perso – lungo la strada. Ho sempre amato le storie che mi permettono di vedere, quasi in contemporanea, quello che succede nella testa dei personaggi. E come quello che sanno o che credono di aver capito trasformi il resto del mondo. E, per quanto in Normal People il peso delle considerazioni sugli “altri” e sul contesto sia fondamentale a dar forma alla storia, Connell e Marianne non ne escono sopraffatti. Fanno quello che facciamo tutti, credo. Provano a capire come districarsi. Provano a tornare sul loro pianeta, anche dopo una fitta tempesta di asteroidi.
Tra i buoni propositi del 2019 c’è – ovviamente – quello di continuare a viaggiare, ritagliando qualche giorno qua e là per scoprire posti nuovi, vedere meraviglie e divertirmi molto. Ci sono numerosi sogni assai monumentali ancora da realizzare, ma poter cominciare l’anno con la prospettiva di una spedizione europea a primavera inoltrata mi pare già una gran cosa.
Ma di che diamine sto parlando?
Breve antefatto. A dicembre ho accettato di buon grado la chiamata alle armi di Isola Bianca, un’agenzia SLASH tour-operator che da qualche tempo si occupa anche di organizzare viaggi di gruppo con “i personaggi del web”. Sono un personaggio del web? Chi lo sa. Ho mai fatto un viaggio di gruppo? Non di recente. Non frequentando assiduamente la parrocchia, gli ultimi viaggi di gruppo che mi ricordo sono le gite delle superiori. E in gita succedevano robe MIRABOLANTI. Sono abituata a viaggiare avvalendomi di aerei scomodissimi a orari improbabili e assemblando liste sconclusionate di tappe irrinunciabili, che vanno dai musei alle pasticcerie. Di solito le idee le raccolgo io, ma poi la razionalizzazione dell’itinerario è a carico di Amore del Cuore. Mi piace viaggiare così? Certo. Ma la verità è che mi piace viaggiare in generale. E avere qualcuno che ti escogita un itinerario e ti prenota tutto, lasciando a te solo l’incombenza di goderti l’esperienza, è una sensazione che sono felice di poter provare di nuovo.
Perché Barcellona? Perché non ci sono mai stata. E perché è anche una meta dai costi non esorbitantissimi. Che cosa vedremo, più o meno? Ho chiesto a Isola Bianca di includere nel programma le mete barcellonesi obbligatorie, ma anche di ficcarci dentro librerie, luoghi curiosi, negozietti e, in sintesi, tutto quello che più o meno vado a cercarmi di solito quando viaggio per i fatti miei. Data la collocazione temporale, poi, sono fiduciosissima anche sul fronte climatico. È obbligatorio fare tutto quello che c’è sul programma o stare sempre compattissimi come una falange macedone? No. Ma sono assolutamente intenzionata a farmi in dodici per zampettare con tutti quelli che vorranno unirsi alla spedizione. Anzi, sarà un onore e una gioia.
Ambivo a una maggiore tempestività, ma poi ho pensato all’antica massima che ci vuole tutti presissimi a leggere, vedere cose, frequentare mostre ed esibirci in grandiosi avvicinamenti al mondo della cultura durante i più disparati periodi di relax vacanziero, quindi eccoci qua con un piccolo riassuntone delle novità di dicembre ascoltabili su Storytel – più qualche pensiero su quello che mi sono sparata io ultimamente e, visto che il Natale incombe, pure un paio di spunti per fare regali saggi affannandovi molto poco.
Premessa
Ho fatto amicizia con Storytel in via del tutto sperimentale. E proviamoli, questi audiolibri… vediamo cosa succede. Ecco, è successo che uso l’app quotidianamente e sono davvero fiera e feliciona di aver sviluppato questa nuova abitudine. Se vi siete persi le mie riflessioni iniziali sull’audiolibro come oggetto narrativo e come potente antidoto al tedio che ti pervade quando devi stendere e ti senti un vegetale, ecco qua il post.
Visto che anche i caroni di Storytel si sono trovati bene con me, qui sul blog e su Instagram – principalmente – continueremo a volerci bene e a monitorare progressi, novità e iniziative degne di nota. E un gigantesco EVVIVA solcò il cielo.
Ma veniamo al dunque. Anzi, ai vari dunque.
Le aggiunte al catalogo sono sempre numerose. Tra le novità più ciccione segnalerei La verità sul caso Harry Quebert di Dicker (letto dal prode Gioele Dix) e Ora dimmi di te. Lettera a Matilda di Camilleri, letto da Rosario Lisma (che avevo anche importunato in fase di registrazione, rompendogli l’anima mentre stava religiosamente chiuso in cabina).
Altre sugose NIU ENTRIS di dicembre che credo ascolterò assai presto: La vita davanti a sé di Romain Gary – letto da Marco D’Amore -, Caro Michele di Natalia Ginzburg – letto da Nanni Moretti -, le Fiabe islandesi lette da Marco Pezza e, udite udite, il Kamasutra letto dall’onnipotente Paolo Poli – che solitamente associo alle Fiabe Sonore, quindi non so bene se sentirmi turbata o molto divertita.
Tra i titoli già aggiunti con baldanza alla libreria, invece, mi pare saggio menzionare Becoming di Michelle Obama (letto da lei medesima), The Arrangements di Chimamanda Ngozi Adichie (letto da January LaVoy, che è di una chiarezza cristallina) e La chiave di Tanizaki (letto da Claudio Moneta).
C’è anche dell’innovazione sul fronte dell’app. Ora è disponibile anche un Kids Mode, che filtra il catalogo facendo saltar fuori solo le letture per bambini e abilita pure l’ascolto in contemporanea da due DEVAIS diversi.
Se poi siete ancora a piedi con i regali di Natale, Storytel ha ovviamente previsto svariate soluzioni sul fronte della munifica donazione di abbonamenti al servizio. Ci sono numerosi periodi temporali regalabili (1, 3, 6 e 12 mesi) e le gift card si possono comprare direttamente sul sito. Se volete foraggiare chi già utilizza Storytel, il vostro dono sovrascriverà l’abbonamento in corso. Insomma, il fortunato destinatario smetterà di pagare quel che paga e ricomincerà alla scadenza del vostro gradito regalo.
Ma cos’ho ascoltato negli ultimi tempi? Sto iniziando a cimentarmi con ascolti un po’ più “lunghi”. E la mia tenuta è sempre ottima, devo dire. Ho amato follemente Lamento di Portnoy di Philip Roth narrato da Luca Marinelli – un compendio delle perversioni umane, ma anche uno dei libri più paradossali e divertenti mai incontrati dalla sottoscritta. E sì, Luca Marinelli è BRAVISSIMO -, mi sono fatta demoralizzare da Jack London con Pronto soccorso per scrittori esordienti, letto da Roberto Recchia – è una raccolta di lettere e articoli di Jack London sul tema della scrittura come “mestiere”, corredata da spietatezze di vario tipo – e Come fermare il tempo di Matt Haig, letto con garbo da Neri Marcorè. Da un protagonista di 400 anni e passa mi aspettavo una maggiore profondità di vedute, ma è un’avventura piacevole tra storia, sentimenti e rimpianti potenzialmente millenari.
Cosa sto ascoltando ora? Bad Feminist di Roxane Gay, una raccolta di saggi sui temi più disparati, dai tornei di Scarabeo agonistico alla disamina di Girls, dalla rappresentazione delle persone di colore nel cinema alle modalità profondamente ingiuste con cui un tema come lo stupro viene trattato dai mezzi di informazione – o integrato nei prodotti di intrattenimento.
Ho finito?
Credo di sì.
Felici ascolti a tutti. E se scovate qualcosa di fantastico fatemelo sapere. La mia audio-libreria ha SEMPRE bisogno di nuova linfa. :3
Nota strutturale
Esordirò facendo del mio meglio per spiegare come funziona un’accademia di spada laser, deliziandovi nel mentre con svariate testimonianze fotografiche e pure un video FAVOLA. In coda troverete tutti i riferimenti utili per contattare Ludosport, più i link a due lezioni di prova che abbiamo organizzato per fare cose insieme.
Basta, ho finito.
Leggete felici.
*
I festeggiamenti per il mio ultimo compleanno – ormai risalenti al mese di marzo – verranno ricordati nei secoli come i più propizi di sempre. Non perché ci siano state feste mirabolanti o particolari occasioni mondane d’aggregazione, ma perché Amore del Cuore ha tirato fuori dal cilindro il regalo perfetto. Anzi, ha prontamente risposto a un’imbeccata che non credevo avrebbe mai raccolto. Un po’ perché è spesso disorientato dalla massa informe e mobilissima dei miei interessi e un po’ perché di cose ne dico tante, ma poi è raro che mi applichi. Ebbene, a questo giro no. A questo giro sono diventata una baldanzosa guerriera armata di spada laser.
Perché sì, l’umanità avrà pure inventato il crossfit, ma là fuori ci sono anche delle accademie che ti insegnano a combattere con la spada laser. E pure bene.
Ma procediamo con ordine. Combattere con la spada laser, IN CHE SENSO. E dove, di grazia?
Fondata a Milano nel lontano ma vispo 2006, l’accademia Ludosport si è prefissata il compito di creare un solido ponte tra immaginazione e concretissime pratiche sportive. La domanda degli esordi è un po’ stata la seguente: è possibile trasportare nel mondo “reale” un’arma inesistente, che risponde a precise leggi fisiche che ancora non governiamo (nostro malgrado)? Sembrerebbe di sì. Con le dovute accortezze.
Partendo da presupposto che una spada laser VERA non solo non ha peso (perché è fatta di energia), ma non ha nemmeno il filo (perché è in grado di “tagliare” in qualsiasi modo), i valenti fondatori dell’accademia hanno escogitato nove stili di combattimento fatti di attacchi, difese e movimenti capaci di rispondere in maniera efficace alla natura immaginaria dell’attrezzo. E, cosa ancor più importante, sono riusciti a strutturare un insieme di regole e di valori che permettono a tutti quanti di imparare e di competere col maggior spasso possibile (tenendosi anche abbondantemente alla larga dal Pronto Soccorso).
E qui penso sia utile una parentesi autobiografica.
Sono sempre stata una sportiva. Dalla più tenera età agli anni (zoppicanti) del lavoro, ho giocato a tennis e ho sciato a vari livelli di intensità e agonismo. Mi sono sempre cimentata in sport individuali, dove non solo non c’erano vere e proprie squadre a cui appartenere, ma c’era anche un’interazione piuttosto scarsa con gli altri partecipanti. E, per anni e anni, non sono nemmeno stata in grado di concepire la possibilità di fare qualcosa di diverso. Gioco a tennis da tutta la vita, ma ti pare che mi metto qua a fare una roba nuova a trent’anni? Ma per carità, troppo sbattimento. Ecco. Ora la situazione è questa:
La gratitudine che nutro nei confronti di Amore del Cuore per il donone che mi ha fatto è vastissima anche per questo. Io, da sola, forse non mi sarei iscritta davvero a un’accademia di spada laser. Forse avrei lasciato prevalere la componente culo-pesante della mia personalità. O, di certo, non mi sarei orientata su un’attività che prevede un contatto così spiccato con gli altri. Perché è con gli altri che ci si confronta. Ed è solo con l’aiuto degli altri che si impara.
Al di là di quanto ci si sente FAVOLA a maneggiare con cognizione di causa una spada laser appositamente progettata per assisterti in combattimento – spada laser che si illumina, fa un gran rumore (GIUSTAMENTE!) e ha anche un corroborante peso specifico –, la scoperta più grande credo proprio sia stata quella: lo spirito di squadra. E la distinta percezione di quanto sia significativo intraprendere un’attività del tutto nuova con il supporto di altri esseri umani.
In Ludosport non si usano particolari protezioni – a parte i guanti. Non c’è un corso per le femmine e un corso per i maschi. Così come non ci sono competizioni riservate agli uomini separate da quelle per le donne. Non è una faccenda di forza, perché una spada laser non è un’ascia di 14 kg concepita per spaccare calotte craniche, ma si maneggia comunque un tubo di policarbonato dall’indubbia solidità materica… e se t’arriva sui denti lo senti.
Ecco, il punto è proprio quello: nessuno tenterà di proposito di sbattertelo sui denti, anzi.
Perché non è previsto.
E perché non sei strutturalmente portato a ritenere chi combatte con te un Nino Sarratore da trucidare.
I valori a cui accennavo prima non sono una versione condensata degli insegnamenti di maestro Yoda – anzi, Ludosport è un posto assolutamente “laico” rispetto a Star Wars, nonostante ci siano le spade laser -, ma una versione più articolata del più sano buonsenso: servizio, cura, rispetto. Vuol dire che tutti devono mettersi a disposizione degli altri per farli imparare meglio e vuole anche dire che non ci sono “nemici”, ma solo altre persone con cui fare pratica. E fare amicizia. Te ne accorgi subito, dal minuto uno. Nessuno si diverte a metterti in difficoltà, anzi. E tutti sono incoraggiati con veemenza a dichiarare forte e chiaro, in combattimento, quando un colpo va a segno. Ecco perché a fine lezione siamo tutti interi. E siamo anche molto inclini ad andare a bere una birra insieme.
Sembra una cretinata da dire, ma l’impresa mi sta giovando. Non sono facile da gestire, sul fronte sportivo. Sono una che passa le partite di tennis a parlare da sola, a prendere a pallate le reti e a buttare in terra la racchetta. Subisco molto l’errore – ma proprio come concetto – e la possibilità di fallire. Non sono paziente. Passare del tempo con persone che non conosco da almeno tre secoli mi genera una certa ansia e faccio parecchia fatica, ma proprio a livello mentale. Piazzarmi volontariamente di fronte a svariati sconosciuti che cercano di colpirmi con una spada laser è stato un po’ un atto di coraggio. Al mondo esistono forme di eroismo ben più rilevanti, me ne rendo ben conto, ma tutti quanti siamo spesso azzoppati da piccoli limiti e paure che, a lungo andare, ci convincono a star fermi. Perché è troppo tardi per provare. Perché non è il caso di provare, anche. O perché FIGURIAMOCI SE SEI CAPACE. Sono ben lontana dalla suprema destrezza di Darth Maul (sì, da quest’anno c’è anche un corso per combattere col bastone. O con la doppia spada. CREPO), ma spero di essere riuscita a trasmettere almeno una frazione della fierezza e dello spasso che mi animano quando inforco guanti e divisa e cerco di capire come trasformarmi in una temibile spadaccina laser.
Supercuori, Clan del Caos.
Siamo assurdi, ma anche molto speciali.
*
Informazioni pratiche
La sede principale di Ludosport è a Milano, ma le accademie sono frequentabili anche in tantissime altre città italiane – oltre che all’estero. Sì, una roba inventata a Milano è stata esportata pure in America, per una volta.
Per scoprire l’ubicazione delle varie sedi e tempestare i rettori di domande pratiche anche puntigliosissime, ecco dove andare.
Informazioni pratiche ancora più importanti
Per chi è già a Milano (o vuole passare a fare un giro per la lieta occasione), abbiamo buttato in piedi due lezioni di prova BELLISSIME. Ci sarò anch’io, non c’è da pagare niente e basta iscriversi su Eventbrite.
Ecco le date.
– 4 gennaio dalle 19 alle 22
– 10 gennaio dalle 18 alle 21
Accorrete numerosi, così non faccio brutta figura con il mio istruttore – che è pure approdato tra i finalisti ai mondiali di spada laser e si aspetta sempre grandi cose da me. Spesso a torto.
Fabbricanti di spade
Per donare o donarvi una spada laser STRABILIANTE, ecco qua le Lamadiluce. Ludosport le ha inventate e progettate appositamente per l’utilizzo in combattimento. E si possono pure personalizzare.
Fumetti!
Se vi va, poi, di approfondire ulteriormente la vostra conoscenza del progetto Ludosport, c’è pure un fumetto – basato su atleti che esistono veramente ma che purtroppo non padroneggiano ancora il viaggio metadimensionale, anche se a loro piace sicuramente crederlo.
Credits
Come Miss Universo, poi, vorrei concludere ringraziando di cuore i miei compagni e gli istruttori del Clan del Caos e di Ludosport Alpha per aver partecipato allo SCIUTING dei contenuti foto-video e anche Silvia Galliani e Tito Capovilla che hanno effettivamente fatto le foto e i video. EROICI, tutti.
E venite a spadaccinare con me, mi raccomando. Niente vestaglie, ma molta gioia.
Potrei (e dovrei) dedicarmi a circa 953 cose più rilevanti del tema “maglioni brutti di Natale che in realtà sono STRAORDINARI”, ma quando distribuivano il buonsenso ero al bar… ed eccoci qua.
La faccenda dell’Ugly Christmas Sweater è una tradizione assai poco autoctona. A Natale, quand’ero piccola, mi vestivano come un fagiano impagliato alla corte dello zar di tutte le Russie e, in generale, si tende a pensare che per le feste comandate sia necessario presentarsi a tavola con degli indumenti decorosi. E mettiti una camicia, non vorrai mica far venire uno scioppolone alla nonna Rina, no? Lo sai che ci tiene! Ecco, pare che i riguardi nei confronti della salute psicofisica delle nonne stiano scemando, lasciando il posto all’anarchia vestimentaria più virulenta. Il mondo anglosassone (non si sa bene con quale autorità) sembra incoraggiarci con veemenza a far quel cavolo che ci pare. Anzi, a fare scientemente del nostro peggio, conciandoci con roba talmente improbabile da risultare geniale (o anche solo cretina in maniera simpatica). Maglioni natalizi inguardabili come performance artistica, tipo. Panettoni e dadaismo. Postmodernità e anolini in brodo. L’andazzo è quello.
Ecco.
Chi sono io per tirarmi indietro, mi domando. Anzi, come ho fatto ad affrontare più di 30 Natali senza indossare un maglione imbarazzante. È arrivato il momento di sceglierne uno. E, visto che le fandom che mi affliggono sono numerose, ho deciso di buttarla definitivamente in vacca. Senza badare alla composizione del tessuto e neanche alla quasi sempiterna dicotomia sartoriale maschio/femmina. Non è importante, in questo frangente.
Ecco qua, dunque, una selezione di rivoltanti maglioni natalizi pieni di… COSE. Dei film. E delle serie TV. E della sempre cara cultura pop.
Procediamo.
In ben pochi lo direbbero, ma Darth Vader fa l’albero di Natale già a novembre. Ed è pronto a strangolare con il solo ausilio della Forza chiunque non si dimostri abbastanza garrulo. Eccolo qua.
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Dress-code più che obbligatorio per il party natalizio delle Stak Industries. Ecco!
Chi non festeggia il Natale è un Mangiamorte. Riddikulus!
Se ne sentite il bisogno, qui c’è anche un maglione con uno scorcio del castello e delle leggiadre candele danzerine.
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Per chi predilige un approccio più fumettistico ai supereroi Marvel, ci sono anche i maglioni “vintage”. Potrete rallegrare i vostri congiunti con Thor, Ironman, Wonder Woman, Spiderman e Superman, tanto per pescarvene alcuni.
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Concluderei in “bellezza” con una perla di maestro Yoda. E vi esorterei anche ad abbandonare ogni esitazione. Siate imbarazzanti. E fieri. Fare o non fare. Non c’è provare!
Che una consistente porzione del fatturato delle aziende editoriali dipenda dal Natale non è di certo una notizia rivoluzionaria. Tale miracolo, però, si regge sulle solide fondamenta di una menzogna clamorosa: REGALA UN LIBRO, CHE NON SBAGLI MAI.
Ma figuriamoci.
Imbroccare il libro giusto per una persona è una delle robe più impervie in assoluto. Certe volte è complicato capire cosa piace a noi, figuriamoci agli altri. E questi “altri”, spesso, sono pure una vasta schiera di esseri umani che al massimo leggono l’etichetta del Pino Silvestre… ma visto che non sapete con che dono presentarvi, pescate un libro a caso e vi sentite nel giusto.
E invece no.
Donare libri è una faccenda delicata. E le grandi manovre vanno affrontate con raziocinio, cura e sensibilità.
Dopo lo sfolgorante successo di #LibriniMarzolini, dunque, eccoci qua con #LibriniRegalini. Il principio è fondamentalmente lo stesso, ma l’obiettivo è ben più nobile: raccogliere spunti per doni letterari mirati e ben studiati. Visto che già da due settimane mi stanno arrivando richieste di aiuto da ogni angolo della penisola e che, da sola, dubito di poter soccorrere tutti, ho pensato di buttare in piedi questo nuovo baraccone per creare un archivio consultabile e “utile” di idee per scoprire e donare libri, ma anche per continuare a raccontare quello che amiamo leggere – pure se non vogliamo regalare niente a nessuno.
INFORMAZIONI PRATICHE
– #LibriniRegalini è composto da 24 “temi” (uno al giorno dall’1 al 24 dicembre). A Natale non si fa niente. Le categorie dal 26 alla fine dell’anno sono una specie di jolly per tirare le somme delle letture dell’anno.
– Il canale da utilizzare per partecipare attivamente (pubblicando i vostri contributi) o consultare quello che succede (navigando gli #) è Instagram.
– Come si fa? Molto banalmente, fotografate e pubblicate sul vostro profilo un libro amato che vi pare adatto al tema della giornata. Se avete il profilo privato nessuno vedrà niente, ma chi sono io per costringervi a levare i lucchetti.
– Posso pubblicare su Stories invece che nella mia gallery? Potete, ma ha meno senso. L’idea è quella di creare qualcosa di “stabile”, che rimanga disponibile a tutti per i prossimi mille anni.
– È obbligatorio partecipare tutti i giorni? No.
– E se arrivate in ritardo? Pazienza. Usando gli # giusti si può sempre recuperare.
– E quali sarebbero questi #? Ogni foto dovrà essere accompagnata da due #: #LibriniRegalini (per raccogliere TUTTO quello che produciamo) e #LibriniRegaliniNUMERETTO (dove NUMERETTO sta per il giorno. Che ne so #LibriniRegalini22). In questo modo, avremo a disposizione l’archivio completo del progetto ma ogni categoria risulterà anche consultabile per conto suo, in tutta comodità.
– Cosa devo scrivere nella caption? Oltre ai due #, consiglio di indicare il tema della giornata (per rendere più chiaro a chi vi segue a che cosa si riferisce la foto) e, se vi va, due parole sul perché il libro che avete scelto vi pare perfetto per quella categoria lì. Ogni approfondimento sarà accolto con gioia.
– Si vince qualcosa? No.
– Non vi sentite fotografi provetti? La cosa è del tutto irrilevante. Non è un concorso per art director ma un progetto collettivo per la circolazione di buone idee.
– Vedete dello spam o delle foto non pertinenti? Siate educati, ma fatelo notare – spiegando magari che cosa stiamo facendo. Dedichiamoci insieme a mantenere l’ordine e l’armonia, insomma.
VAGA NOTA METODOLOGICA
Noterete che non c’è una “giornata delle graphic-novel”. O dei fumetti. Lo ben so. Non c’è perché, secondo me, una graphic-novel o un fumetto possono e devono partecipare con pari dignità (rispetto ai libri) a ogni tema.
C’è una giornata dei libri per bambini. Ero indecisa, ma l’ho inclusa perché ho un infante molto piccolo che non può ancora leggere da solo… ma i libri per bambini e per ragazzi, in generale, sono un patrimonio di tutti. Sentitevi dunque liberi di usarli dove vi pare.
Racconti: idem come sopra.
Poesia: liberissimi.
Bene. Non dovrei essermi dimenticata nulla di fondamentale, a parte i ringraziamenti ad Amore del Cuore che si è immolato (due ore dopo l’estrazione di un dente del giudizio) per sfornare i materiali visivi a supporto di #LibriniRegalini. Evviva il Cuorone!
E niente, mi auguro di non ritrovarmi da sola a postare libri come una pazza. Ma, soprattutto, spero che l’impresa possa farvi scoprire meraviglie vere. Ci vediamo su Instagram, orsù!
Vi avviso, questa Wishlist parte bene… e poi sprofonda nel surrealismo. Ma il bello dei desideri è anche quello: coltivare l’assurdo, il bizzarro, il poco plausibile. Siamo bravi tutti a comprare le cose che servono. Ma sono quelle improbabili che ci rimettono in contatto con le nostre pulsioni più autentiche, libere e vitali.
POTERE ALLE COSE A CASO! CHI SE NE IMPORTA!
Ecco.
Dopo questa interpretazione filosofica assai traballante, ecco che cosa mi sta piacendo molto in questo periodo.
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La passione per gli orecchini GROSSI continua ad animarmi furiosamente. E si scatena in tutta la sua potenza quando si tratta di pezzi unici, ispirati all’arte, alla storia del costume e all’Oriente. Dunque, Lebole Gioielli sforna una quantità di collezioni quasi ingestibile – e vale la pena frugarle un po’ tutte – ma, complice Giorgio Amitrano, mi sono particolarmente invasata con gli orecchini Iro Iro. Pietre naturali e ottone galvanizzato oro, più sete di antichi kimono. Ogni orecchino è diverso dall’altro. E penso proprio che “Lady” Murasaki approverebbe.
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Quando è partito il pezzo “autunnale” del mio lavoro con Scholl, sono stata travolta da numerose indecisioni. Perché, per quanto io ami gli stivaletti in nappa, mi sono anche resa conto di non avere praticamente nulla di veramente antipioggia. C’è anche da dire, però, che tutti gli stivali di gomma che vedevo in giro mi sembravano scomodi. Di quelli che ti fanno venire le bolle perché ti balla dentro il piede e passi la giornata sentendoti una papera storpia. Scholl, però, ha fatto i Taty, un modello super impermeabile ma con la suola Memory Cushion, come tutte le sue altre calzature, e una ragionevolissima fodera interna in tessuto confortevole. E sono pure splendenti, di un gioioso PVC lucido come il cranio di Alien – cosa per me assolutamente favolosa. Il problema è che la selezione delle scarpe per la stagione gelida l’ho fatta più o meno ad agosto e, influenzata da un’ottimismo insensato, ho deciso che la pioggia non esisteva e ho preso le Peyton. Che sono valentissime e che uso praticamente tutti i giorni, ma rispondono a un bisogno differente rispetto ai Taty. Insomma, alla fine della fiera, i Taty vincono un posto in wishlist. E mi sono rimasti sul gozzo.
Non mi dilungo ulteriormente sui miei dilemmi, ma vi comunico volentieri che Scholl ha deciso di sfornare un codice sconto solo per noi. È la prima volta che l’azienda fa un esperimento di questo genere, quindi spero di fare un’ottima figura ma anche di risultare utile a voi che vedete passare queste scarpe ormai da qualche mese. Ma veniamo ai dettagli pratici. Con TEGAMINI20 ci sarà il 20% di sconto fino al 22/11 su tutta la collezione autunno-inverno che trovate sullo shop di Scholl. È valido solo online, non è cumulabile ad altre promozioni in corso e si può usare anche più volte. Evviva!
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So di essere un po’ ridicola, ma se posso vestire Cesare con cose dall’aspetto zoomorfo sono sempre molto contenta. Mi sbizzarrisco con calzine coi musetti, pantaloncini con creste di dinosauro e l’ho portato in giro per lungo tempo (quand’era piccolo piccolo) in una surreale tuta imbottita da orsacchiotto. Spero che qualcuno mi fermi – magari addirittura lui – ma, nel frattempo, mi godo queste assurdità. Ho scoperto Donsje, un brand di Amsterdam che produce vestiti basic di ottima qualità e accessori (con materiali altrettanto favolosi) a forma di bestia. Il mio suggerimento è di spulciarvi tutto lo shop – soprattutto LE SCARPE -, mentre io pondero sull’effettiva possibilità che i capelli del mio infante stiano tutti quanti sotto a una cuffia da koala.
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Desiderare libri come condizione mentale perenne. Sto attraversando una fase di folle (e doveroso) entusiasmo per l’Ippocampo e ho appena scoperto un nuovo Atlante. Là fuori ci sono atlanti di ogni genere. atlanti dei luoghi maledetti e/o immaginari, atlanti delle isole misteriose, ATLANTI. A fine ottobre è uscito anche l’Atlante delle zone extraterrestri di Bruno Fuligni, un volume illustrato che ci offre una rigorosa mappatura – tra leggende metropolitane, oggetti volanti non identificati e iniziative scientifico-governative – dei presunti punti di contatto tra umanità e intelligenze aliene.
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Visto che abbiamo già abbandonato il pianeta, direi di proseguire fino alla più lontana lontana delle galassie. Nelle mie peregrinazioni esplorative alla scoperta di Amazon Moda, ho scovato una valida alternativa alle vestaglie in cui mi avvolgo quotidianamente per lavorare a casa. Ebbene, perché limitarsi a una vestaglia quando puoi metterti un confortevole mantello di Darth Vader? VOGLIO DIRE.
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E per questa settimana è tutto. Che il Lato Oscuro possa sempre vegliare sul vostro salvadanaio. :3
Sono convintissima che da qualche parte dentro di noi – a gradi variabili di profondità – esista la propensione ad ascoltare storie. A me, come a moltissimi di noi, da piccola ne hanno lette tante. E, quando mia madre o mio padre non potevano star lì mezz’ora con un libro sulle ginocchia, c’erano comunque le Fiabe Sonore. Il mangianastri Fisher-Price mi ha seguita in tutte le case che ho abitato da grande. Ed è ancora qui con me. Vetusto e marroncino – un colore che giammai ritroveremmo in un “giocattolo” a noi contemporaneo – aveva dei bottoni giganti e una pratica maniglia, più varie personalizzazioni a base di trasferelli di Paperino che mi sono preoccupata di aggiungere, deturpandolo quasi irrimediabilmente.
Ricordi a parte, le voci che leggono storie fanno parte di quello che siamo, credo. E l’esperienza è ovviamente diversa, rispetto alla lettura.
Quando leggiamo un libro la voce che ascoltiamo è la nostra. Il ritmo è il nostro. Le inflessioni che ci saltellano nella testa sono le nostre. E un libro da leggere con gli occhi – che si tratti di un volume “vero” o di un e-book – ci offre anche una serie di punti di riferimento visivi e materiali che l’ascolto, per forza di cose, non può garantirci. Ascoltare un libro inserisce altre variabili nell’equazione del racconto. La nostra voce si riposa e dobbiamo affidarci a quella di un altro interprete, che inevitabilmente aggiunge una stratificazione nuova al materiale letterario di partenza. E, di fatto, costruisce per noi una dimensione molto differente da quella che esploreremmo da soli.
Un altro aspetto importante, a livello generale, è la creazione di spazi “di lettura” nuovi. Ed è l’aspetto che per me, fra tutti, si è dimostrato decisivo. All’interno delle nostre giornate esistono tempi attivi e tempi passivi, se così possiamo definirli. Ci sono spazi morti in cui tendiamo quasi a metterci in stand-by in vista del compito successivo che assorbirà la nostra attenzione. Non mi riferisco a grandiose parentesi di decompressione in cui ci concediamo il lusso di fissare l’orizzonte riflettendo sulla condizione umana, ma a quella serie di incombenze sceme che ci obbligano a tenere impegnate le mani, a quei gesti ormai automatici che svolgiamo senza pensare, col cervello che potrebbe tranquillamente galleggiare in un vaso su una mensola polverosa. Stendere. Riempire la lavastoviglie. Svuotare la lavastoviglie. Piegare i panni. Spalmarsi in faccia i tredici prodotti previsti dalla beauty-routine coreana. Pettinarsi i capelli dopo la doccia. Rifare il letto. Raccattare venti chili di giocattoli sparsi per il tappeto. Camminare dal punto A al punto B. Farsi centordici fermate di metropolitana. Guidare nel traffico. Roba così.
Ecco, mi sembra di averli rianimati, quei tempi lì. Non dico che non vedo l’ora di fare il bucato per potermi ascoltare un libro, ma di sicuro mi pare di aver reso meno imbecilli i momenti che devo dedicare a quel tipo di attività. È un tempo che ha smesso di essere neutro e, anzi, è diventato produttivo. Un tempo felice. Perché il tempo occupato dalle narrazioni – indipendentemente dalla loro natura e dal supporto di fruizione – per me è sempre stato un tempo felice.
Ora, si potrebbero fare innumerevoli altre considerazioni strutturali sul consumo di audiolibri – e, a tal proposito, vi invito anche a leggere le riflessioni di Massimo Mantellini – ma penso sia sensato spendere due parole sulla “fonte” di tali considerazioni.
Era anche ora, dopo un mese di collaudo.
Chi già mi tollera su Instagram saprà bene che il mio campo-base per gli audiolibri è Storytel e che sono molto felice sia del servizio che del gioioso sodalizio con l’ufficio italiano.
Per riassumere il funzionamento del congegno: Storytel è una gigantesca libreria audiolibresca. Il catalogo è vasto – sia in italiano che in inglese – e non si risparmia sul fronte delle novità. I libri si possono ascoltare “in streaming” o scaricare per la fruizione offline. Si può creare la propria playlist per non perdere per strada gli ascolti che ci interessano e i lettori sono, di base, personaggi di considerevole bravura. Ci sono attori cinematografico-teatrali e, spesso e volentieri, anche gli autori. Il servizio funziona in abbonamento – come Netflix – e, a fronte di una quotina mensile di manco 10€, consente l’ascolto illimitato di tutto quello che vi pare. Ci sono libri, ma anche podcast (come quello di Francesco Costa, ad esempio) e produzioni originali – ovvero, contenuti narrativi che Storytel ha realizzato appositamente per la piattaforma o tradotto per il pubblico italiano a partire da un materiale creato per la fruizione audio. Il servizio si può provare gratuitamente per 14 giorni – che diventano 30 utilizzando questo link, attivo fino al 9 dicembre – e, se siete contenti, l’abbonamento parte in automatico. Quindi sì, in fase di registrazione vi chiedono i dati della carta, ma nessuno sta cercando di derubarvi o di farvi pagare cose in anticipo.
Lei è senza ombra di dubbio il mio nuovo punto di riferimento nella vita.
Ora, gestire – da utente – un catalogo così vasto è uno dei problemi principali di questo tipo di piattaforme. Visto, soprattutto, che l’accesso è da mobile e che la navigazione, per forza di cose, è soggetta ai vincoli del DEVAIS. A questo proposito, Storytel cerca di soccorrerci con una newsletter che segnala chicche e novità e, sull’app, propone periodicamente delle selezioni tematiche da esplorare per aggiungere ciccia alle nostre playlist – se può servire, c’è anche un piccolo box che contiene i frutti dei miei valorosi carotaggi e le mie future ambizioni di ascolto. Vi esorto ad andare a frugarci dentro… e mi prendo un po’ di spazio qui per una breve carrellata di quello che ho già ascoltato.
Come si “recensisce” un audiolibro?
Non ne ho idea, ma proviamo.
Chimamanda Ngozi Adichie We Should All Be Feminists (Letto dall’autrice) Chimamanda – la chiamo per nome come se fosse amica mia, cosa che mi piacerebbe molto – è una perla rara. Legge con la stessa limpida chiarezza che ritroviamo nelle sue argomentazioni. Ed è un ascolto che può funzionare bene anche per chi non è proprio un fulmine con l’inglese. Il libro è una riflessione schietta ed elegantemente battagliera sul concetto di femminismo e sul superamento dei costrutti fittizi – legati al genere – che determinano ruoli, aspettative, gerarchie e gestioni arbitrarie del “potere”.
Amélie Nothomb Stupore e tremori (Letto da Laura Morante) È il secondo libro della Nothomb che affronto – lo so, sono indietro rispetto al resto del pianeta. E, in tutta sincerità, la Morante un po’ mi preoccupava. Perché nei film è sempre alle prese con esaurimenti nervosi, porte che sbattono e piatti che volano… e temevo di non avere molta voglia di sentirla sclerare per un paio d’ore buone. Ebbene, che bellezza. Il libro racconta la discesa agli inferi di una neo-impiegata europea in una megaditta giapponese. I suoi tentativi di comprenderne il funzionamento, gli equilibri, le gerarchie. È una specie di ode alla catarsi che solo i fallimenti più monumentali possono regalarci, ma anche il resoconto quasi tragicomico della lotta contro un sistema che sfugge alla nostra comprensione e che, soprattutto, non ci vuole. La Morante è ipnotica. E ci incalza senza aggravare l’ansia.
Michela Murgia L’incontro (Letto dall’autrice)
Autrici sarde che leggono una storia ambientata in un paesino sardo. Mi pare assai appropriato. Ed è un buon esempio di come la versione audio di un testo possa arricchire la narrazione di partenza, perché il parlato rafforza il contesto e lo rende ancora più vivo. Al centro di questo libro c’è una guerra tra parrocchie, paesani e statue di santi. Ma ci sono anche i legami di amicizia che possono nascere (e sopravvivere alle avversità circostanti) giocando per strada, da bambini. È un’avventura comica, ma anche uno spaccato di mondo in cui si agitano ricordi, miti truculenti, ginocchia sbucciate e incenso che appesta l’aria. Cosa non trascurabile, contiene anche preziosi stratagemmi per liberarsi dalle pantegane.
Miriam Toews Un complicato atto d’amore (Letto da Linda Caridi)
Questo ascolto mi ha fatto capire che anche la produzione di audiolibri risponde a precise regole di casting. Nomi, la protagonista, ha sedici anni e vive in una comunità mennonita dalle molteplici contraddizioni e dalle ragguardevoli rigidità – almeno formali. È un racconto spezzacuorissimo di abbandoni seriali e un viaggio nella testa di chi rimane, cercando di venire a patti con un paesaggio dove i punti di riferimento non esistono più e quelli che ci sono – la chiesa con le sue regole – non fanno altro che esacerbare la distanza tra noi e gli altri. Linda Caridi è una giovane attrice italiana e, anche se questa è in assoluto la lettura più “calcata” che ho sentito, ha restituito bene la violenza emotiva dell’adolescenza, con le sue grandi disperazioni, i suoi vuoti, i suoi stordimenti e le sue gioie profondamente istintive.
Carlo Rovelli Sette brevi lezioni di fisica (Letto dall’autore)
Ho scoperto che Carlo Rovelli ha una bellissima rrr che penso si collochi all’intersezione tra un piacentino – lo so bene, fidatevi – e un nobile cortigiano dell’assolutismo francese. Inflessioni a parte, io di fisica non ho mai capito NIENTE, ma mi sono appassionata. Non posso dire di aver assimilato alla perfezione le sette lezioni qui proposte, ma il nobile scopo di fondo mi è chiaro: renderci partecipi della complessità delle forze che governano la struttura del nostro universo e spiegarci che, in fondo, la scienza è alla base di ogni avventura umana.
Povero Rovelli, ha letto per un’ora abbondante e quello che ne ricavo io è LO SO CHE NON CI ARRIVO MA LA SCIENZA È FANTASTICA.
Chimamanda Ngozi Adichie Dear Ijeawele, or a Feminist Manifesto (Letto da January LaVoy)
Perdonatemi, ma ogni dieci giorni ho bisogno di farmi dire dalla Adichie che cucinare non è un’incombenza che la biologia ha specificamente destinato alle donne. O che i papà che cambiano un pannolino non andrebbero applauditi come eroi conquistatori perché i figli sono anche i loro… e che il fatto che se ne prendano cura dovrebbe essere la normalità, mica un miracolo. Con i quindici suggerimenti contenuti in questo libro Chimamanda risponde a un’amica che le aveva chiesto consiglio su come crescere “bene” sua figlia e, nel farlo, porta ancora una volta allo scoperto le colossali stupidaggini con cui, nostro malgrado, siamo ancora costrette a confrontarci quotidianamente.
Neil Gaiman Norse Mythology (Letto dall’autore)
Qui sarò molto professionale: CHE BENESSERE. NEIL GAIMAN PATRIMONIO DELL’UMANITÀ.
L’epica norrena rielaborata da un maestro assoluto del fantastico: Norse Mythology è una sorta di antologia che raccoglie i miti più significativi della tradizione “scandinava”. Divinità, mostri, regni lontani, alberi del mondo, ponti arcobaleno, idromele, cavalli a otto zampe, giganti, malefatte, eroismo, poeti, trasformazioni e valchirie si alternano sul palcoscenico, ripercorrendo il grande arco temporale che congiunge le origini del mondo all’inevitabile crepuscolo della creazione – il Ragnarök. Gaiman non solo rende i miti assolutamente godibili – riproducendone l’impronta epica senza però privarli della sua impalpabile ironia – ma li legge anche con la passione e il piglio divertito di chi sa, sopra ogni altra cosa, quanto una storia ben raccontata possa toccarci nel profondo, e rimanere con noi ben oltre la fine dei tempi.
Ecco, ho finito. Se vi interessa fare un esperimento con Storytel, vi ricordo il link per usufruire bellamente del periodo di prova “potenziato”: correte qui.
Se vi siete già invasati, invece, abbracciamoci forte mentre pieghiamo le lenzuola o sbattiamo padelle unte in lavastoviglie. Da parte mia, per quel che vale, continuerò a raccogliere i miei ascolti qui sul blog e, ovviamente, anche nelle beneamate Stories.
Per il resto, buon ascolto.
O si dirà “buona lettura”?
Chi lo sa.
Facciamo così: buone storie, come e quando vi pare.
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