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Guardiani della Galassia – Vol. 3

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A me i Guardiani sono sempre piaciuti molto. Spesso vengono percepiti come il pilastro un po’ cialtrone e di poca conseguenza dell’universo Marvel e, per quanto altrettanto spesso siano stati utilizzati a fini “funzionali” per direzionare la storia complessiva – penso a Quill che sfasa mandando a monte il primo buon piano per far fuori Thanos o a Gamora barattata per una gemma – per me hanno tenuto affettuosamente alta la bandiera degli eroi che non nascono nobili e saldi ma costruiscono, scegliendo, un cammino che di fatto lo è, perché va resa giustizia non tanto al BENE come concetto astratto ma al bene come legame, come riconoscimento reciproco, come idea di famiglia.
I Guardiani sono forse gli esponenti più speranzosi della mitologia Marvel. Si potrebbe dire che la loro è una storia di riscatto, che “migliorano” il loro termometrino etico votandosi a cause che influenzeranno le sorti dell’universo, ma la realtà è che non rispondono mai alle aspettative o agli scopi delle loro singole “progettazioni” e, nello scegliersi reciprocamente come porto sicuro, cambiano le cose e proteggono, tra alti e bassi, alcuni mattoni molto auspicabili su cui si dovrebbero edificare mondi e collettività.

Anche in questo Volume 3 – che è l’ultimo dell’era Gunn e anche il loro teorico capitolo conclusivo – esiste con forza questo impulso programmatico alla costruzione del “mondo ideale”. La storia di Rocket, che vien fuori qua per la prima volta, è un tassello di questa grande operazione di supposta correzione dei deficit della natura.
Che si tratti di una sonora stupidaggine è palese a tutti ma non all’Alto Evoluzionario – il villain che ci tocca in sorte a questo giro – che, di fatto, si trasforma nella forma di Dio più pericolosa che c’è: crea o modifica l’esistente per amore di potere, crea per controllare e per dimostrare che può farlo, crea perché la scienza e la “tecnica” lo rendono possibile. Ma tutto quello che è possibile è anche opportuno? L’Alto Evoluzionario è una figura orrenda e a suo modo struggente, che fonda civiltà e le distrugge con la stizza di un bambino che sbaglia a disegnare la zampa del suo animale preferito e, fra gli esseri che più professano di voler edificare la civiltà ideale, è senz’altro quello che più disprezza in realtà la vita. Rocket, che è il cuore vero di questo film, è al contempo il suo unico successo autentico e il suo incubo peggiore, proprio perché quello che rende speciale Rocket non è il risultato diretto di un procedimento ripetibile o di una formula dimostrabile. Mentre la tendenza esasperata verso il potenziamento delle “capacità” e dell’efficienza operativa crea esecutori di fatto stupidi, Rocket pensa davvero… e l’intelligenza – intesa come spazio di un’anima che decide – è il primo germoglio di ogni ribellione.

Il cervello di Rocket potrebbe contenere la risposta per correggere davvero gli innumerevoli fallimenti di questo Dio zoppo e isterico e il film, di fatto, è una caccia al tesoro galattica che ha lo scopo di evitare che questo cervello abbandoni la sua sede. I Guardiani, nel loro disomogeneo equilibrio, fanno quello che all’Alto Evoluzionario è concettualmente precluso: far funzionare quello che si suppone manchevole, carente, imperfetto. Smettere di distinguere tra forme di vita “superiori” e “inferiori”, perché la verità lampante è che l’anima è di tutti e che ogni tassello dell’esistente ha una dignità e va protetto, non per quello che può produrre o per l’obbedienza che può riservarci, ma per quello che è.

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