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Il primo approccio con Georgette Heyer ha prodotto del sano svago e, come molti miei esperimenti, è passato per Storytel – lì lo trovate letto da Claudia Cassani, ma potete anche reperirlo nel catalogo Astoria. Heyer è nata nel 1902 ed è scomparsa negli anni Settanta, lasciandoci una nutrita eredità letteraria che probabilmente verrà saccheggiata a scopi televisivi quando anche l’ultimo rampollo del Bridgerton-verso convolerà a (giuste?) nozze. I suoi libri più fortunati sono ambientati nei salotti buoni dell’Inghilterra regency e, come vuole il canone, son pieni di signore linguacciute, nobiluomini che tornano inzaccherati dalla caccia e cameriere a cui affidare confidenze potenzialmente indecorose. Tutto questo è presente in Una donna di classe? Decisamente sì. E con un discreto piglio.

In questo caso specifico, ci trasferiamo a Bath insieme alla signorina Wychwood che, ricca sfondata e stufa marcia di sorbirsi cognata, nipotini e un fratello maggiore che la tratta con asfissiante paternalismo, decide di fare i bagagli e traslocare nella dimora cittadina di famiglia. Per non destare scandalo – CIELO, UNA VENTINOVENNE NON ANCORA MARITATA CHE VIVE SOLA! – le appioppano una cugina pedantissima come dama di compagnia, ma l’allegra brigata è destinata ad allargarsi. Lungo la strada per Bath, infatti, Lady Wychwood si imbatte in una carrozza in panne (espressione non adatta all’epoca, ma rende l’idea) e si sorprenderà più che disposta ad assistere i passeggeri appiedati, una ragazza in fuga e il suo riluttante accompagnatore…

Lady Wychwood troverà l’amore o finirà per cavarsela più che bene anche da “zitella”? Quante signore cadranno vittima di letali infreddature? Come si annoda una cravatta? Perché si offendono tutti con così tanta facilità? Mi sono divertita? Direi di sì, anche se a tratti è estremamente ridondante – quante volte dobbiamo ricapitolare una disavventura o un legame di parentela? Mille, forse. Nonostante certe lungaggini, però, è un libro piacevolmente arguto e trito al punto giusto da risultare rassicurante. A Bath non c’è l’Esselunga, ma all’inesorabile “marriage plot” non si scappa.

Sono in difficoltà. Anzi, fatico ad elaborare un parere razionale PERCHÉ SONO TUTTI INTOLLERABILI. Mi capita raramente, ma ogni tanto capita. Un personaggio solo si salva – e ho a più riprese cercato di gridargli SCAPPA ANIMA BELLA TU PUOI FARCELA ALTROVE, pur sapendo che non poteva sentirmi. Il tema è spinoso ma non sconosciuto da queste parti: Quello che non sai di Susy Galluzzo – che ho ascoltato su Storytel ma che trovate anche in libreria per Fazi Editore – è una storia di maternità e di assimilazione difficoltosa del ruolo. Ci sono responsabilità enormi che andrebbero rette insieme ma che finiscono solo per alimentare dei grandi dossier immaginari del “te l’avevo detto”, c’è il tema di un distacco impossibile perché c’è la paura di non servire più, c’è l’adolescenza e c’è l’abitudine orrenda di misurare col bilancino quanto ci si vuole bene, quanto si fa per la famiglia e a quanto si rinuncia – e non perché ci fa felici, ma per avere abbastanza elementi da rinfacciare alla controparte.

Il nostro punto di vista è quello di Michela, ex cardiochirurga di sopraffino talento che ora fa la mamma quasi a tempo pieno e deve gestire sostanzialmente per conto suo – perché suo marito Aurelio è ancora un medico impegnatissimo – una figlia protoadolescente “difficile”. Leggiamo quello che Michela sceglie di affidare a una specie di diario scritto per la madre, ormai scomparsa da una quindicina d’anni ma ancora ben viva nella memoria e snodo fondamentale della vicenda.

Tutti, qua, vivono gestendo un rancore invalidante.
Michela e sua figlia sono intrappolate in una simbiosi che soffoca entrambe e che si incrina sul tramontare dell’infanzia, lasciando la madre alle prese col vuoto e con una serie di gelosie meschine e la figlia sempre più avviluppata in rituali compulsivi e scatti d’ira. Michela non ne pare consapevole, ma sta facendo penitenza. Ilaria paga altrettanto involontariamente il fatto di non corrispondere alle aspettative, trasformandosi anche nel ricordo perenne di un grande abisso.L’evento che scatena una reazione a catena di scenate, aggressività e ostilità asfissianti è una macchina che arriva e sta per mettere sotto Ilaria, mentre Michela resta a guardare senza muovere un muscolo – pur avendo ampio margine per intervenire. Da lì e tutto finito, non c’è meschinità o colpo basso che si risparmino.

È un romanzo davvero indigesto ma potente – sarà anche l’ottima lettura di Teresa Saponangelo, che resta espressiva ma ben calibrata – da cui si riemerge quasi con disgusto, perché contrasta ogni immagine felicemente stereotipata e ci proietta invece in una dinamica basata sul risentimento e sull’impotenza, sul senso di colpa e sul bisogno asfittico di controllare tutto per non rischiare di tornare più in un angolo molto buio. Non lo so, forse funzionerebbe meglio se le circostanze di Michela non fossero così estreme, peculiari e fin troppo ben apparecchiate per utilizzare il trauma come spiegazione “plausibile”. Nell’essere tremendo e claustrofobico, però, è anche un romanzo spericolato e pieno di pietà, nonostante le numerose ruvidezze e la generosa distribuzione di situazioni iperboliche.

Ho sempre avuto il terrore delle storie radicate nell’infanzia perché trovo inevitabile fare paragoni sciocchissimi e immotivati con l’infanzia che ho avuto io – a volte ci si sente in difetto e, ben che vada, ci si sente banali. Ora che ho dei figli è ancora peggio, perché insieme alle menate che riguardano me arriva anche la proiezione futura di quello che di me potrebbero pensare i miei bambini, una volta cresciuti (ma pure ora). Ci si chiede costantemente se quel che facciamo va bene, se è sufficiente a garantire loro serenità, pace, salute e allegria. Crescere delle altre persone espone a un genere di fallimento irrimediabile e, soprattutto, imprevedibile. Quel che ci segna non è governabile e sovrasta ogni buona intenzione di partenza, sia nel bene che nel male. Nulla è innocuo ma tutto è vita e, prima o poi, si farà ricordo. La mia unica ambizione è essere ricordata come una presenza benevola, come un essere umano che si frequentava volentieri e con fiducia, indipendentemente dagli obblighi di parentela.

Ho detestato e invidiato Guadalupe Nettel per la sua tersa lucidità, per il modo in cui ha saputo rievocare lo scheletro dell’infanzia – pur avendone vissuta una disparatissima dalla mia, cerotto sull’occhio “pigro” a parte – e per la serenità antica con cui mostra di aver digerito le umanissime manchevolezze di chi l’ha cresciuta. Il corpo in cui sono nata – in libreria per La Nuova Frontiera con la traduzione di Federica Niola – è un memoir che parte da un “difetto” corporeo per farsi storia di formazione solitaria e ostinata, è la storia di una bambina sballottata che sembra vedersi sempre “da fuori” e che mai dispone al momento giusto delle informazioni vitali per decifrare quel che le capita.

Sono figlia e sono stata bambina, sono madre e non sarò mai Nettel e quel che si trova qui è un grande miscuglio di identità in flusso. A fare da sfondo c’è un’epoca non lontana che assume però una rilevanza per me relativa, perché i legami di prossimità creati dal prendersi cura di qualcuno – indipendentemente dal sangue – sono un assoluto. Quel che succede, anche, è il bisogno di interrogarsi sull’attendibilità della memoria, sul potere irriducibile del filtro del tempo e della nostra capacità di sopravvivere all’avverso o alle felicità che non sappiamo contenere. Nettel si domanda, a un certo punto, cosa può saperne lei di quel che le è successo davvero. Sembra un paradosso, ma è lì che incappiamo nei mostri che vale la pena temere: in quel dubbio c’è la consapevolezza di non poter ambire a una giustizia assoluta, a una verità impossibile da smentire. Siamo quello che ci ricordiamo… e ricordiamo a sentimento, per accumulo di reazioni e certezze che maturiamo in un dato istante con gli strumenti che abbiamo lì per lì a disposizione.

Raccontarsi nell’infanzia è un esercizio spietato e gioioso, perché si rimaneggia col senno di poi quello che a lungo è risultato misterioso. Lo si fa quando non c’è più nessuno che si occupa di omissioni atte a proteggerci o quando ci si rende conto che quella protezione non ci occorre più – perché abbiamo sviluppato un’utile armatura… o forse perché abbiamo deciso di far tutto esponendoci al peggio, nella convinzione di aver già saputo sopportare molto. Nettel sceglie una protezione minima e, nel coraggio drittissimo di quel che sceglie di condividere, c’è la grande libertà di riconoscersi carenti, inattendibili, persi. Come figli, genitori, ricordi.

“Regala un libro che non sbagli mai”: MADORNALE ERRORE, TRAGEDIA, MENZOGNA!
Donare un libro è potenzialmente meraviglioso, ma bisogna metterci del doveroso impegno e lasciarsi pervadere dalla nobile necessità di assecondare – o almeno di intuire – gli interessi altrui. È anche un po’ per favorire questa sana ricerca di argomenti e aree di curiosità che, specialmente a Natale, tendo a procedere per temi ben riconoscibili. Quando si può, provo anche a individuare delle edizioni “importanti”, perché mi preme farvi fare doppiamente bella figura. Ma guarda, questo libro è perfetto per me ed è pure MAGNIFICO a vedersi! Ecco, non sempre si arriverà a quest’intersezione eccellente tra contenuto e involucro – che poi è anche un po’ la definizione condivisa di “strenna” – ma vale la pena tentare.
Altre note metodologiche? Non necessariamente troverete solo novità freschissime – perché i libri, per nostra fortuna, non scadono. Sì, i link puntano ad Amazon – ma se non vi va di comprare lì e di convogliare ESORBITANTI % di affiliazione nella mia direzione potete felicemente segnare tutto e rivolgervi alla vostra libreria preferita.

Procediamo?
Procediamo, che queste premesse non ha mai voglia nessuno di leggerle.


Giampaolo Barosso
Dizionarietto illustrato della lingua italiana lussuosa

Elliot

Gramolazzo! Caccugnare! Lampasco! E suppergiù altre 2000 voci qui collezionate, spiegate e commentate con sagace ironia e un autentico gusto per la stravaganza linguistica.
Per chi coltiva una vivace passione per la lingua italiana ma – grazie al cielo – è immune da pretenziosità e parrucconerie.


Jenny Uglow
Il libro di Quentin Blake
L’ippocampo
(Traduzione di Paolo Bassotti)

Uno splendido compendio per immagini della carriera e della vita professionale (e non) di uno degli illustratori più amati della galassia tutta, dagli esordi al sodalizio leggendario con Roald Dahl.
Per chi ha voglia di curiosare nell’archivio di un artista che ha profondamente popolato il nostro immaginario, accompagnando le storie della nostra infanzia con estro e accuratissima crudeltà. 🙂


James Mottram
Jurassic Park – The Ultimate Visual History
Insight

Inaugurata nel 1993 da Spielberg – su materiale romanzesco di Michael Crichton – la saga di Jurassic Park ci ha accompagnato in varie vesti fino a pochi mesi fa, con il terzo e ultimo capitolo dell’inevitabile reboot che tocca a tutti i prodotti di successo delle nostre infanzie. Questo volume – che fa parte del catalogo favolosamente pop di Insight – è una gloriosa cronaca del backstage del primo film e chiude simbolicamente il cerchio ospitando anche i contributi di Sam Neill, Laura Dern e Jeff Goldblum, oltre a una valanga di fotografie inedite e “documenti” di lavorazione.
Per chi ama i libroni dedicati al cinema e continua a non accettare i dinosauri con le piume. Sì, vi sto specificamente segnalando l’edizione originale in inglese.


Omero
Odissea
Blackie Edizioni
(Traduzione di Daniel Russo)

Blackie inaugura con questa prima illustrissima uscita il suo filone dei “Classici Liberati” AKA un progetto che ambisce a conciliare rigore filologico e accessibilità, riconsegnandoci i testi fondanti della nostra cultura in una chiave ad alto tasso di godibilità, senza sminuirne la profondità o semplificarne la portata. Come si fa? Ottima domanda. Blackie si affida qui alla traduzione di Daniel Russo, basata sulla versione in prosa di Samuel Butler – celeberrima per la sua eleganza e leggibilità – e a un impianto iconografico giocoso e puntuale, senza tralasciare annotazioni e commento.
Per chi a scuola ha sofferto ma vuole rifarsi, per chi già ama i classici e vuole continuare coltivarli.

Bonus track: Daniel Russo che parla del lavoro sull’Odissea chez Tienimi Bordone.
Bonus track inevitabile, visto che parliamo di Blackie: il famigerato (e regalabilissimo) quaderno dei compiti delle vacanze per adulti c’è anche quest’inverno.
Bonus track correlato, visto che abbiamo tirato in ballo un libro “interattivo”: era uscito quest’estate per accompagnarci sotto l’ombrellone, ma i casi da risolvere di Scena del crimine continuano ad essere una valida idea per chi apprezza gialli e rompicapo.


Janina Ramirez
Divine – 50 storie meravigliose di dee, spiriti e streghe
Nord Sud Edizioni

Dalle valchirie a Medusa, da Rangda a Venere, un’indagine splendidamente illustrata sul rapporto tra femminilità e trascendenza. Il libro cataloga le sue cinquanta “dee” per aree tematiche – Guida e governo, Nuova vita, Morte e distruzione, Amore e conoscenza, Natura e animali -, passando in rassegna le mitologie e la storia di un ampio ventaglio di popoli e culture.
Per chi sta costruendo una biblioteca femminista, per le fattucchiere del vostro cuore e per chi apprezza leggende e folklore.


Barbara Sandri & Francesco Giubbilini
Progetto grafico di Camilla Pintonato

Il gallinario
Quinto Quarto

Dunque, vorrei in realtà segnalarvi Quinto Quarto in blocco, ma uso questa esaustiva enciclopedia delle galline come testa di ponte. Non so cosa ci sia nelle scelte grafico-visuali di Camilla Pintonato, ma questo libro mi mette addosso una serenità indescrivibile – e il serraglio è in via d’espansione, pure. Volete dedicarvi agli ovini? Perfetto, c’è Il pecorario. Vi piacciono i maiali? Ottimo, c’è Il porcellario.
Per chi sogna di governare una fattoria ma sta in 34mq a Milano e per chi ama la saggistica zoologica ben illustrata (in tutti i sensi).


Jean Giono (con le illustrazioni di Tullio Pericoli)
L’uomo che piantava gli alberi
Salani

Una caparbia impresa solitaria – portata avanti con l’unico intento di far tornare a vivere un territorio disgraziato – che non smette di scaldare il cuore e di generare edizioni stupende. Qui il testo di Giono è accompagnato dalle illustrazioni di Pericoli, che si trasformano in una sorta di narrazione parallela – con tanto di musica da ascoltare grazie a un QR.
Per chi non abbandona la speranza e crede ancora nel potere della generosità disinteressata.


Cecily Wong & Dylan Thuras
Food Obscura – Guida alle meraviglie gastronomiche del mondo
Mondadori
(Traduzione di Manuela Faimali e Teresa Albanese)

La versione gastronomica del beneamato Atlas Obscura promette di condurvi ai quattro angoli del globo alla scoperta dei cibi e delle specialità più intriganti.
Per chi ama viaggiare, sperimentare mangiando ed esplorare luoghi insoliti.


Craig A. Monson 
Suore che si comportano male
Il saggiatore

(Traduzione di Luisa Agnese Della Fontana)

Geniale copertina che rende omaggio a Cronaca Vera e contenuto di raro rigore storico, per quanto si parta da premesse indocili e riottose. Scandagliando registri e una vasta documentazione d’archivio, Monson costruisce qui una hall of fame delle monache italiane che fra il XVI e il XVIII secolo cercarono di ribellarsi – talvolta violentemente – alle imposizioni di una vita che non avevano scelto.
Per gli spiriti liberi di ogni tempo, per chi mal tollera soprusi e costrizioni, per chi ama la saggistica storica più spigliata.


Comics & Science – Vol. 1 e 2
A cura di Roberto Natalini e Andrea Plazzi
Feltrinelli

I due volumoni di Comics & Science raccolgono l’immenso lavoro divulgativo portato avanti dal 2012 dal CNR in collaborazione con una folta schiera di straordinari fumettisti italiani. Le storie sono in precedenza uscite in fascicoli tematici ma trovano qui per la prima volta una dimora “complessiva”… e il risultato è davvero magnifico. Dalla matematica all’esplorazione spaziale, dalle scoperte informatiche al collasso delle stelle, il disegno incontra la ricerca per farsi accessibile, divertente, chiaro e limpido.
Per chi impara meglio quando se la spassa, per chi studia volentieri e per chi vuole capire meglio il presente per riuscire a intravedere il futuro.


Michael Leader & Jake Cunningham
Ghiblioteca – La storia dei capolavori dello Studio Ghibli
Magazzini Salani

Tornerei volentieri a rimpolpare il filone “backstage del cinema” con questa enciclopedia (necessariamente) illustrata della filmografia pluridecennale dello Studio Ghibli. Un eccellente tour guidato che approfondisce prodezze tecniche, significati e fonti d’ispirazione, da Totoro alla Città incantata.
Per chi ama Hayao Miyazaki, l’arte e l’animazione giapponese.


Francesco Costa
California
Mondadori

Che cosa sta succedendo alla California? Come è possibile che uno stato che produce così tanta ricchezza e sul quale abbiamo riversato così tanti sogni stia diventando un posto in cui si campa fondamentalmente male? Costa torna alla sua specialità – gli Stati Uniti del nostro presente – per cercare di districare una matassa di non facile interpretazione.
Per chi ascolta Morning con trasporto, per chi si interessa di macro-fenomeni “esteri” che riguardano pure noi (più del previsto) e per chi sta combattendo col mercato immobiliare delle nostre grandi città.

Bonus track a tema Costa-Il Post: la collana delle Cose spiegate bene co-prodotta con Iperborea è arrivata ormai al quarto volume. Se fra i destinatari dei vostri doni c’è chi vorrebbe approfondire il funzionamento della filiera editoriale o le droghe, la giustizia e le questioni di genere, dateci un occhio.


Mervyn Peake
Gormenghast – La trilogia
Adelphi

(Traduzione di Anna Ravano e Roberto Serrai)

Descrivere Gormenghast è un problema. Ci ho provato qui, partendo dal primo libro della trilogia. È un’opera folle, labirintica, terrificante e superba che non somiglia a niente e reinventa molto di quello che può risultarci noto. Adelphi, con uno slancio di notevole coraggio, ha deciso di far convergere i tre atti di Gormenghast in un unico volume che immagino possa tornarvi utile anche come elemento architettonico per edificare il vostro personalissimo torrione maledetto.
Per chi non teme nulla – e fa male -, per chi vuole revisionare completamente la sua idea di gotico, per chi ama i gatti bianchi in grandi quantità.


Alex Johnson & James Oses
Una stanza tutta per sé – Dove scrivono i grandi scrittori
L’ippocampo

Da Jane Austen a Paolo Cognetti, un’indagine illustrata sugli spazi creativi di chi amiamo leggere da tempi più o meno recenti. Ogni stanza è raccontata da Johnson e illustrata sapientemente da Oses, per dar vita a una grande residenza collettiva abitata da penne illustri.
Per chi legge volentieri storie e romanzi ma vuole anche sapere meglio da dove arrivano.

Corollario: se il titolo vi suscita moti d’amore per Virginia Woolf, c’è anche Stanze tutte per sé, che si concentra sulle dimore più significative per il gruppo Bloomsbury degli anni Venti (Edward e Vita Sackville-West in testa).


Valentina Divitini
Leggere i tarocchi – Una guida e molte idee per esperti e principianti
Magazzini Salani

Una guida lontana dal nozionismo per scacciare le diffidenze e padroneggiare uno strumento di ragionamento alternativo, tra immaginazione e simboli condivisi. Ne avevo parlato anche qua e vi incoraggio ad approfondire, se serve. 🙂
Per chi intuisce il fascino delle storie e vuole provare a farsi le domande giuste.

Bonus track illustre: Dizionario dei simboli di Juan-Eduardo Cirlot.


Gribaudo
La collana Straordinariamente

Vi fornisco un link approssimativo, ma sappiate che la collana Straordinariamente – popolata da questi volumi di grande formato dalla grafica di copertina assai riconoscibile – contiene suppergiù ogni branca dello scibile umano. Che vi interessiate di Black History o di medicina, di economia o di Sherlock Holmes, è assai probabile che ci sia un tomo per voi. L’idea di base è quella di rispondere ai quesiti fondamentali di una determinata “materia”, sviscerandone i casi esemplari e sintetizzando in maniera accessibile e graficamente vispa le curiosità e i fenomeni più rilevanti.
Per chi ama gli approfondimenti “verticali” e vuole umiliarci a Trivial Pursuit.


Nicolas Guillerat & John Scheid
Infografica della Roma antica
L’ippocampo

Tutte le volte che compilo questi listoni mi trovo a esclamare “diamine, stai mettendo troppi libri dell’Ippocampo!”. Ma come si fa? Sono perfetti per queste circostanze. Beccatevi dunque anche la storia di Roma raccontata per prodezze a base di data-visualization – dagli eventi bellici all’organizzazione della res publica, dall’economia ai divertimenti popolari. Se l’approccio vi affascina, i medesimi curatori hanno sfornato anche l’Infografica della Seconda Guerra Mondiale.
Per chi apprezza un approccio innovativo alla ricostruzione storica e per chi già vuol bene ad Alberto Angela.


Seymour Chwast & Steven Heller
Hell – Guida illustrata agli inferi
Corraini

Va’ all’inferno! …sì, ma quale? Ogni cultura ha il suo, ogni cosmogonia ne ha immaginato uno, per non parlare dell’arte, della letteratura e delle religioni. Questa agile guida illustrata ci accompagna alla scoperta delle dimensioni infernali più emblematiche, tra ustioni e supplizio eterno.
Per chi ci finirebbe volentieri, perché si vocifera che la compagnia sia interessante.

Bonus track: per un approccio meno pop ma di sconfinato fascino e abissale terrore, ecco il catalogo di Inferno, la ragguardevole mostra del 2021 ospitata dalle Scuderie del Quirinale. 


Altre idee inerenti all’universo libresco-editoriale? Eccoci.

La Revue Dessinée Italia

È un progetto indipendente che “adatta” al nostro contesto l’omonima rivista francese e che ha ben debuttato quest’anno con i primi tre volumi – ricevendo anche il premio Gran Guinigi di Lucca Comics come miglior iniziativa editoriale del 2022. Esce ogni tre mesi, non s’avvale di pubblicità e ogni numero è frutto della collaborazione tra giornalist* e artist*. Il risultato è una raccolta di reportage, rubriche e inchieste a fumetti “multidisciplinari” che affrontano temi d’attualità e offrono un punto di vista critico su molte magagne o fenomeni rilevanti del presente.
Si possono acquistare qua i singoli numeri, abbonarsi o donare un felice abbonamento 2023.

Donare un abbonamento vi pare un’idea saggia? Concordo e vi rammento dell’esistenza di Storytel – scegliendo una gift-card che copre periodi medio-lunghetti c’è anche un buon margine di sconto.


Treccani Emporium

Treccani Emporium si presenta come “il negozio online della cultura italiana”… e se non scelgono loro una definizione adatta non so francamente chi mai potrebbe farlo. 🙂
Oltre alle proposte editoriali di Treccani troverete anche una selezione di oggetti di design e alto artigianato e una nutrita linea di cartoleria basata proprio sulle definizioni.


Altre risorse utili già pubblicate? Perché no. 
Ecco qua la lista natalizia del 2021.
E la lista del 2020.
Questa, invece, è la lista dello scorso anno dedicata ai bambini e alle bambine.
Vi rammento anche l’intera categoria Libri, che male non fa.
Per spiccati interessi naturalistici, vi rimando volentieri al catalogo di Aboca – qua c’erano i percorsi di lettura che avevo individuato qualche tempo fa e che ho aggiornato dopo il debutto della collana Kids.
Per un colpo d’occhio rapido, ecco la vetrina Amazon – segnalo in particolare la sezione degli atlanti e la grande sezione delle strenne. Sempre lì, parecchi spunti anche per l’infanzia.

Felici doni libreschi a voi! 🙂

Partirei con un piccolo cappello introduttivo da ascoltatrice dell’audiolibro – se vi interessa sentirlo, lo trovate su Storytel.
Ho scoperto che i suoni che appartengono alla vasta famiglia ASMR risultano più gradevoli ed “efficaci” in base alla struttura del cervello dei potenziali riceventi. Io, per dire, non traggo giovamento alcuno dall’ASMR – anzi, mi fa venire il nervoso -, ma mi sintonizzo a meraviglia sull’onda sonora di Daria Bignardi che legge le sue cose. Sto gradualmente ascoltando tutto quello che trovo di suo perché, oltre a garbarmi mediamente molto quello che scrive, la trovo piacevolissima da sentire. Calma, calorosa, pacata ma non pallosa, lieve e garbata. Così, ci tenevo a sottolinearlo perché sono convintissima che il “successo” di un audiolibro dipenda anche da chi lo legge e da come lo si legge. 

L’evento cardine, in Non vi lascerò orfani, è la scomparsa della madre. Una morte meticolosamente ripercorsa che serve però da spunto per un allargamento dell’orizzonte – e forse anche della prospettiva e dei punti di riferimento, muovendosi nel territorio accidentato dei legami più stretti, di quell’ingombranza difficile (e qualche volta felice) che si portano dietro i vincoli di famiglia.
Nella perdita, Bignardi si scopre parte di un vorticoso sistema solare di relazioni, parentele e storie, attitudini disparatissime e conflittuali, ansie tentacolari e invadenze che non sempre si son potute interpretare come sani impulsi di protezione. C’era già tutto, chiaramente, ma per mettersi a raccontarlo serve talvolta una cesura netta, un evento rivelatorio, una vita “importante” che tramonta, lasciandoci a gestire quel che rimane.
Permettendo alla perdita di attraversarla, Bignardi tratteggia il paesaggio quotidiano della sua condizione di “figlia”: un lessico famigliare divertito e malinconico, che la distanza e una fisiologica pulsione d’indipendenza hanno saputo rendere meno intransigente.
Si può ricordare “bene” una madre accogliendone i limiti, tenendoci vicino tutte le difficoltà che ci ha buttato addosso perché non sapeva fare diversamente. Si cresce grazie a una serie di rinforzi positivi, sembra dirci questa storia, ma si cresce anche in opposizione a quello che ci è stato riservato. Ma si cresce, nostro malgrado. E, qualche volta, lo sguardo che va affinandosi nel tempo ci permette un’indulgenza che non sospettavamo di possedere – e che ci fa bene, nonostante quello che si è passato insieme.

 

Allora, io non so niente di meditazione. Non lo dichiaro per vantarmi di una lacuna – perché tendo a vergognarmi sempre molto delle mie lacune -, ma per palesare con franchezza un punto di partenza individuale. Non ho mai seguito un percorso di meditazione – né a livello di “corsi” né avvalendomi della nutrita galassia di app fai-da-te che ti spiegano come sgombrare la mente e trasformarti in un’entità superiore che affronta la vita levitando -, ma sto al mondo cercando di assecondare la curiosità, anche perché sarebbe assai noioso soffermarmi solo su quello che mi pare di conoscere già, senza trovare spiragli per scoprire mondi nuovi.
Eccoci dunque qui con Chandra Livia Candiani e Il silenzio è cosa viva – che è uscito nelle Vele Einaudi e che ho ascoltato su Storytel, potendo avvalerci solo dei tormenti narrati più o meno tangenzialmente da Carrére e di una solida ammirazione per la ricerca poetica dell’autrice, che è una delle voci ormai consolidate della Bianca.

È un testo snello e relativamente breve, che un po’ ci introduce alla pratica della meditazione e un po’ serve a Candiani per spiegarci che cosa significa e ha significato per lei. È una cronaca metodologica che parte da un approccio personale per costruire un percorso “filosofico” accessibile a tutti, perché il come affrontiamo gli urti e i doni della vita è di certo un tema trasversale.
Candiani medita e insegna a meditare, esplorando con un linguaggio di raro spessore e ricchezza quello spazio di silenzio ed estrema vigilanza che possiamo imparare ad occupare per “sentire” più distintamente.

Nell’immaginario profano si tende a pensare che meditare somigli allo sgombrare il terreno dallo sgradito e dal doloroso, creando un posto sicuro, vuoto e libero dal turbamento. Leggendo, però, si scopre che è piuttosto vero il contrario.
Credo di aver capito che si tratta, in realtà, di accedere a una consapevolezza più “pulita”, sfrondata del superfluo e coltivata come un giardino pronto a ospitarci. Ci si accede imparando ad abitare un silenzio che non è assenza di stimoli o di relazioni, ma ascolto dell’impatto delle cose su di noi. Non è contemplazione del vuoto, ma la capacità di lasciarsi attraversare da quello che succede, rimanendo presenti e vigili a noi stessi. Il disordine ci disarma ma, anche nel marasma peggiore, quel che salva è sapersi costruire una bussola.
Fra venti minuti mi iscriverò a un corso di meditazione o partirò per un ritiro fra gli eremiti della montagna? Non penso. Ma sono contenta di essermi donata questa parentesi di infarinatura – splendidamente narrata.

 

[Visto che di Storytel abbiamo parlato, ecco qua il solito link per beneficiare di un periodo di prova gratuito di 30 giorni].

Pubblicato originariamente nel 1984, Ballo di famiglia è stato il festeggiatissimo esordio di David Leavitt. SEM l’ha riproposto lo scorso anno al mercato italiano in una nuova traduzione curata da Fabio Cremonesi.
Espletate le rapide pratiche inerenti alle coordinate editoriali, veniamo al dunque: Ballo di famiglia è una raccolta di racconti fatta di garbugli identitari in cui piombiamo senza premesse lungagnone, spesso materializzandoci all’improvviso a un crocevia o sull’orlo di uno scontro che ha il sapore minaccioso degli eventi irreparabili.
La cornice socio-geografica generale è quella della borghesia americana degli anni Ottanta, quella dei sobborghi dove si consuma una normalità di bisogni primari appagati, cani sul prato e piscine col dosaggio del cloro sempre subottimale. Ed è proprio in quelle vie ordinate o in quelle casette di villeggiatura imbiancate di fresco (ma con le tubature che perdono) che i personaggi fanno ritorno senza scampo, lasciando a intermittenza le grandi città che faticosamente cercano di chiamare casa. Se ne sono andati per trovare il modo di somigliarsi di più, ma non riescono mai davvero a dimenticare da dove vengono e, di sicuro, non tornano a cuor leggero.

Le famiglie di queste storie sono piene di crepe da ricucire, crisi di nervi più o meno incancrenite, voltafaccia e compromessi per il mantenimento di una parvenza di decoro. C’è gente che si impegna in nome di un’armonia collettiva ormai da tempo demolita e, nel farlo, pretende che ogni sacrificio venga riconosciuto e riverito. Emerge, sempre, il tema della sessualità, che qua assume anche il ruolo di cartina di tornasole definitiva dell’identità e della capacità di accettarsi e di farsi accettare davvero in un contesto che ama dipingersi come “aperto” e pronto ma, in definitiva, forse così accogliente non è – e chissà come dev’essere stato, negli anni Ottanta, far uscire un libro che così a fondo indaga l’incontro/scontro tra omosessualità vissuta allo scoperto e quieto conformismo suburbano.

Si parla anche di malattia, buono e cattivo vicinato, eredità, matrimoni che finiscono e riassetti faticosi, rancori antichi, dissesto mentale. Leavitt ci presenta questo concentrato esplosivo di spigoli transitando per i particolari minimi dello stare insieme e organizzando per noi riunioni di famiglia che costringono i nodi a tornare al pettine originario, per quanto controvoglia e con risultati potenzialmente distruttivi, lasciandoci sempre un gran mucchio di piatti da lavare e l’amara sensazione di aver ancora una volta sbagliato a dire la verità, anche se non potevamo farne a meno.

Una riscoperta per me graditissima che, se vi va, è anche ascoltabile su Storytel con la voce di Gianmarco Saurino. Per provare Storytel, ecco qua un propizio collaudo gratuito di 30 giorni.

Il fatto che nel nostro immaginario esistano Lila e Lenù – e che spesso e volentieri si sia approdati e approdate al resto della produzione di Elena Ferrante dopo aver letto L’amica geniale – genera indubbiamente un impulso quasi inevitabile al confronto, al parallelismo, alla comparazione, alla ricerca di temi comuni e del riflesso condensato di qualcosa di più vasto che vediamo gonfiarsi e propagarsi nelle anime della quadrilogia.
Ecco, nella Figlia oscura ho ritrovato molto più di quel mondo di quanto mi aspettassi, forse anche perché sono fresca di Lenù televisiva che diventa madre e che, come quasi tutte le giovani madri di Ferrante, mal digerisce il ruolo e ancor peggio accoglie la trasformazione. L’arrivo dei figli, qui come per Lenù o Lila, continua a comprimere identità e lavoro in una sorta di tenaglia che spreme capacità e intelligenze pregresse, riducendole ai minimi termini e tirando fuori quelle frustrazioni e quelle meschinità istintive che minano alla base la propensione ad accudire.

La figlia oscura - Elena Ferrante

Questo romanzo, pur nella sua relativa brevità, è di una potenza devastante. È come se individuasse i nuclei più problematici di Lila e Lenù per assegnarli a una protagonista anagraficamente più “grande” e meno impantanata in rioni, famiglie e origini da ripudiare o riconquistare, ma solo in superficie pacificata dal tempo. È una donna che ha tentato di tenere a bada la frantumaglia – già, anche qui – di identità che deformano la ricerca principale di chi siamo e che, negli anni, si è resa conto di aver bisogno dell’esistenza da cui credeva di dover scappare. Non è né una vincitrice né una sconfitta, non è virtuosa e non è buona, esige con inquietudine ondivaga uno spazio da riempire con più pezzi di lei di quanti ce ne stiano. Ma come si continua a vivere, quando ci si accorge che con tutti questi pezzi non si costruisce di più di quello che si ha già?

Per dovere di cronaca, una rapida ricognizione di quel che materialmente comincia ad accadere in questo libro. Leda, di base, va al mare. Prende una casa in affitto per conto suo – le figlie sono cresciute e si sono ormai trasferite in Canada col padre da un pezzo – e va in spiaggia con un po’ di libri e nessuno a cui badare. Insegna all’università, ha corsi da preparare e ricerche da portare avanti. Pare tutto tranquillo, ma in spiaggia arriva una grande famiglia rumorosa – quei “napoletani” dall’invadente e minacciosa cordialità che Leda sa inquadrare con precisione, perché da lì è spuntata anche lei -, una bambina “perde” una bambola e la nostra protagonista spalanca un vaso di Pandora di ricordi, fatiche comparate, sguaiataggini, omissioni sempre più ingestibili, mariti, prole, carriere accademiche, rimpianti, gente pericolosa e trappole domestiche. Leda sparisce a intermittenza, sia dalla spiaggia che dagli snodi cruciali della sua vita passata  – e mai sapremo se la sua mancanza sia stata avvertita con la medesima intensità che ha accompagnato la repentina scomparsa di quella bambola lercia, malconcia, eccessivamente umanizzata e piena d’acqua sporca di mare… ma amatissima. Come uno specchio, uno scudo, una zavorra che nel capirla meglio si fa più leggera. Si fa nostra. Anche se ci trascina sul fondo.

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Leda è una di quelle protagoniste che potrebbero farvi esclamare “no, è un brutto romanzo. Lei è troppo spiacevole. Come si fa”. Resto convinta che è con le brutte persone che si facciano i bei libri e vi esorto a dare a Leda una solida possibilità, soprattutto se avete apprezzato la quadrilogia. Dalla Figlia oscura è stato anche tratto un film – con Oliva Colman e l’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal – che sicuramente vedrò, per quanto il cambio di “scenario” piuttosto radicale mi allarmi. Ultima nota sul fronte della “fruizione”, potete leggerlo o ascoltarvelo in audiolibro come ho fatto io – lo trovate su Storytel con la voce sempre calzante di Anna Bonaiuto. Per provare il servizio, vi ricordo come di consueto il link per il mese gratuito.

 

Ragazza, serpente, spina di Melissa Bashardoust – uscito per Mondadori nella traduzione di Maura Dalai – può consentirci di sovrapporre le nostre personali pulsioni d’evasione alla necessità molto concreta d’evasione della principessa Soraya, confinata nel palazzo natio da una misteriosa maledizione piuttosto invalidante che la affligge sin dalla nascita. Al contrario del fratello, golden-boy della real schiatta di Golvahar e futuro scià dei litigioso popoli di un regno assimilabile (per leggende fondative e ambientazioni) all’antica Persia, Soraya viene tenuta nascosta al mondo perché è velenosa, ma proprio nel senso letterale del termine. Per intricate menate che verranno dolorosamente alla luce nel dipanarsi del romanzo, infatti, la malcapitata principessa è in grado di stecchire qualunque essere vivente al mero contatto con la sua pelle nuda. Non lo fa apposta e non le piace, ma va così… e prima o poi bisognerà pur uscire dall’ombra per sistemare le cose e imprimere una vertiginosa svolta al destino avverso.

Soraya si dedica con successo al giardinaggio, ma campa di fatto isolata sia dalla sua famiglia (WE DON’T TALK ABOUT SORAYA, tipo) che dal resto del mondo, che venendo a conoscenza del suo “dono” potrebbe dubitare dell’intera stirpe chiamata a governare. Soraya, però, ne ha le tasche piene. Quando il fratello torna in trionfo nella capitale per sposarsi, la situazione comincia a precipitare: una div è stata fatta prigioniera dalle indomite guardie – anzi, da una guardia specifica che ha addirittura sventato un attentato al giovane scià – e Soraya vuole vederla, perché pare siano stati proprio quei mostri – progenie del Distruttore e storici nemici giuratissimi degli umani, dei quali condividono solo a tratti le sembianze – a maledirla. Soraya si domanda se gliel’abbiano raccontata giusta, insomma. Esisterà un modo per sbarazzarsi del veleno che la impregna e condurre finalmente una vita normale?

Non si capisce bene per quale ragione umani e div si detestino così tanto – a parte un generico “i div sono figli dell’oscurità e ci fanno una paura boia!” – e cosa sostenga l’impalcatura cosmogonica del mondo, ma se siete in cerca di un’avventura godibile e movimentata, con un po’ di incastri e ribaltamenti di fronte relazionali – che seguono il sempre gettonato canovaccio enemies-to-lovers (in diverse accezioni, pure) – vi ci potete buttare serenamente senza eccessive pretese, al grido di “amiamoci per quel che siamo o almeno proviamoci”, “MOSTRO A CHI” e “PER FORZA SBAGLIO E PIGLIO CANTONATE È LA MIA IDENTITÀ PIÙ AUTENTICA CHE STO CERCANDO”. D’evasione si parlava… e d’evasione si tratta. 

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Modalità di fruizione? Ve lo potete leggere, chiaramente, e anche ascoltare su Storytel come ho fatto io. Per collaudare, ecco il tradizionale link per una prova gratuita di un mese del servizio.