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tegamini

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Purtroppo per tutti quanti, l’universo non è ancora equipaggiato a far succedere diverse meraviglie.
Non vedremo mai degli unicorni che brucano.
Gli orsacchiotti persevereranno nel non rivolgerci la parola.
La velocità a curvatura non saremo in grado di farla funzionare nemmeno a calcioni.
Salame e torta fritta continueranno a far ingrassare.
E i pesci rossi moriranno sempre senza ragione.
Ma sono qua per dare speranza al creato. Perché si è da poco verificato il più improbabile tra gli eventi improbabilissimi. E se succedono cose del genere, allora dobbiamo prepararci ad affrontare un’epoca di immani prodigi. Che ne so, vi sveglierete la mattina e saprete l’islandese. Si scoprirà che le lucertole sono solo dei draghi liofilizzati. MADRE vi dirà che saper stirare non è importante e le lontre ci riveleranno che si tengono per mano perché si vogliono bene, mica per non andare alla deriva se c’è corrente.
Ecco.
Tutto questo inizierà a capitare perché mi sposo.

AAAAAAAAAAAAAAAAA!

Vulcani che eruttano cuccioli!
Fuochi d’artificio glitterati!
Caleidoscopi pieni di alpaca!
Libri gratis per tutti!
Cormorani immuni ai disastri petroliferi!

Ma pensa te. Diventeremo la famiglia Tegamini del Cuore. Mi vestirò come una torta gigante, getterò un mazzo di fiori incredibilmente costosi a delle altre femmine e sarò costretta a decidere il ripieno dei confetti. Io li odio, i confetti. Ma non possiamo fare che si regalano gelatine di frutta a tutti?

Procederei però con ordine.
In occasione del terzo anniversario della nostra fulgida LOVSTORI, Amore del Cuore – simulando noncuranza – mi ingiunge di vestirmi bene e mi porta al messicano buonissimo buonissimo vicino a casa che ormai ci andiamo spesso perché ci siamo affezionati. Ecco, il messicano è l’unico luogo in cui pare legittimo tirare avanti a capiroska e margarita senza manco ordinare l’acqua. Cento punti per te, messicano. Comunque, Amore del Cuore esordisce inghiottendo uno di quei margarita lì in ventisette secondi netti, senza però perdere la tranquillità. Mangiamo delle cose superbuone e facciamo anche qualche picci-picci, che l’anniversario è sempre l’anniversario. Poi niente, usciamo in strada con le nostre sciarpette e i nostri impermeabilini – che al 15 di maggio c’era ancora la Grande Glaciazione – e Amore del Cuore sprofonda in un bizzarro mutismo. Prende traiettorie strane, quasi finisce sotto un autobus e manco mi risponde. Ma Amore del Cuore, tutto bene? Sei arrabbiato con me? Le fajitas, le hai digerite le fajitas? Si. No. Si. Sospinti da questa trionfale sequenza di monosillabi, arriviamo in un’anonima traversa di quel vialone grosso che va da Centrale a Repubblica – ciao, vivo a Milano da un anno e non so come si chiama niente – e Amore del Cuore si arena di fronte a un portone pieno di cartelli AFFITTASIVENDESIAFFITTASILOCASI e si inginocchia, così, in mezzo al marciapiede, senza sapere bene dove mettere l’ombrello ma pieno di buona volontà e insolitissima goffaggine. Ora, fossi la principessa ereditaria di Naboo, non mi scomporrei più di tanto ad avere degli Amore del Cuore che si inginocchiano al mio cospetto. Essendo però io nient’altro che una Tegamini, non è che ho risposto subito SI. Ho risposto ALZATI e mi sono riempita di giganteschi lucciconi. Amore del Cuore ha poi estratto il meteorite di fidanzamento dal serissimo astuccino e me l’ha cavallerescamente infilato al dito. Ma non temete, ci siamo comunque domandati quale fosse la mano giusta.

Ma la gioia. La gioia. E proprio a me. E chi se l’immaginava.

Si è poi scoperto che Amore del Cuore era in possesso del mirabile gioiello già da Natale e che il 98% dei suoi amici era al corrente del folle progetto, tra pacche sulle spalle e virilissimi incoraggiamenti. L’unica che continuava a vagare ignara per il mondo, come una scimunita torta di mele, ero io. L’aveva capito persino Ottone von Asgard, tra un criceto-pupazzo e l’altro. Che vi devo dire. La pasta per la pizza lievita al mio passaggio, i passerotti trillano, i pomodori verdi diventano rossi e le ciglia s’incurvano senza bisogno del mascara. Insomma, un miracolo.

Ma che succede, dopo che un Amore del Cuore manifesta il desiderio di fare di voi delle donne oneste?

Passerete le vostre giornate a fissarvi la mano sinistra, accecate da tanto splendore. E ogni volta che siete in giro e dovrete lavarvi le mani, cercherete di capire se il lavandino che state usando sia facile da smontare. Abolirete ogni movimento scrolla-scrolla per eliminare l’acqua in esubero ma, anzi, vi dirigerete con le dita serrate verso il più vicino rotolone di carta, terrorizzate e circospette.

Andrete in edicola e comprerete assurdi giornali da sposa. Poi andrete in libreria e comprerete assurdi prodotti editoriali da sposa. Per il momento possiedo un Vogue Sposa, uno Sposabella e un White. Più un tomo – con pratiche tasche in plastica, schede da compilare e diagrammi didattici – intitolato Wedding Planner. Il tuo matrimonio da sogno! Più lo guardo e più mi vien voglia di chiedere a Enzo Miccio se verso giugno 2014 ha qualcosa da fare.

I giornali da sposa sono qualcosa di incredibile. L’oroscopo non è un oroscopo. O meglio, non è un oroscopo per voi, ma per il giorno del vostro matrimonio. Per dire. PESCI: Protette da una pioggia di benedizioni celesti, vi avviate alla cerimonia con il fascino della vostra seducente e un po’ misteriosa femminilità. Assicurato il successo dei vostri fiori d’arancio, vi proiettate verso un viaggio di nozze che promette la realizzazione di un sogno d’amore. Plutone vi annuncia presto un lieto evento. E se lo annuncia Plutone, metteremo probabilmente al mondo un cane a tre teste. Sto poi scoprendo cose incresciose. Esistono degli M&M’s personalizzabili. Ci potete stampare sopra la vostra faccia, delle frasi affettuose, delle fedi intrecciate, delle colombe. Esistono degli anelli con scritte in Comic Sans inneggianti all’amore: IO E TE PER SEMPRE. CIAO PRINCIPESSA. Omino maschio + bambolina femmina = casetta (con dei sapienti ideogrammi). Ma che è, si diventa all’improvviso coglioni, quando ci si sposa?

Comunque. MADRE ha accolto la notizia con insperato entusiasmo. Anzi, forse pure troppo. Ha già visitato tutti gli atelier di abiti da sposa di Piacenza – passandomi al telefono ogni singola proprietaria e causandomi imbarazzi cosmici – ed è riuscita a formulare la seguente domanda: “Ma Francesca, e la LOCHESCION? Guarda che c’è da prenotare! C’è da andare a vedere, chiedere. Non è che ce ne sono mille, di LOCHESCION, e se poi è tutto occupato?”. Stiamo parlando dei colli piacentini, il luogo al mondo con la più alta densità di castelli, cascine, agriturismi, ville e tenute coi giardini pieni zeppi di pavoni albini e levrieri argentati. Roba col ponte levatoio e il fantasma nella torre. E abbiamo un anno. Se dopo dieci giorni dal magico annuncio MADRE è riuscita a dire LOCHESCION non oso immaginare quali mostruosità ci riserveranno i mesi a venire.

Per quel che mi riguarda, sto cercando di imparare come si chiamano i fiori e ho inaugurato questa cartella aspirazionale piena di cose che non mi posso permettere, cose che non c’entrano niente o cose troppo assurde. Ecco qualche prezioso esempio.

Lee Pace che fa il re degli elfoni nella Desolazione di Smaug (drago che mi ostino chiamare SMEG). Comunque, Lee Pace-elfone sta nella cartella perché se mai troverò qualcuno in grado di donarmi una luminescenza cutanea anche solo paragonabile alla sua mi sposerò contenta. Và che pelle, che boria.

Per l’acconciatura ho già fatto arrabbiare Amore del Cuore. “Amore del Cuore, io vorrei una cofana da Maria Antonietta, con i nastri, le perle e degli uccellini. Ti piace, no? Cioè, mica mi metto in testa un veliero… ma insomma, un po’ di roba sì, con tutti i capelli che ho! …Amore del Cuore?”.

Poi ho salvato Alexander McQueen per Givenchy HC 1998/1999. Perché il realismo è quel che conta.

E ho pure l’imperatrice Maria Aleksandrovna. Perché un tempo vestirsi a strati/a cipolla voleva dire fare così.

Ci ho anche messo una gallina di Mitch Payne. Così, in nome della poffosità della mia futura gonna. A me, in realtà, piacerebbe un vestito un po’ rosa, ma c’erano solo galline bianche.

Insomma. Preparatevi alle Matrimoniadi. Il mondo non è pronto, non avremo mai abbastanza tempo e DANARI per il viaggio di nozze (coast-to-coast con tappa finale in villaggio della riviera Maya, di quelli che hanno il bar in mezzo alla piscina) e Abito da sposa cercasi non sarà nulla in confronto al selvaggio caos che riuscirò a scatenare. Sarà un casino, ma la felicità che sprigiono ha la potenza di una supernova che scoppia.

***

Questo adorabile ebook-reportage dovrebbe essere più lungo. Dovrebbe essere più lungo anche solo per darci modo di invidiare Alice Avallone in maniera ancor più estensiva e virulenta. Perché non so voi, ma io una ragazza che saluta tutti e parte per l’Australia al solo scopo di cullare dei koala non posso che apprezzarla. Tre mesi in una riserva naturale a tirare polpette di topo ai rapaci, a mani nude. Ragni mai visti, diavoletti della Tasmania iperattivi e dingo che si rotolano al sole. E ci sono anche mille notizie super istruttive. Per dire, io non lo sapevo che il koala ha il pene biforcuto. E non sapevo nemmeno che se un poliziotto australiano vi sorprende con un koala in braccio può pure arrestarvi. I koala li potete coccolare solo nelle riserve del Queensland… e ogni koala non può essere aggeggiato per più di mezz’ora al giorno. Ma è inutile che vi racconti tutto, leggetevi piuttosto I dolori della giovane koala keeper – eccovi la scheda sul sito di Zandegùe la graziosa intervista tegaminica ad Alice. In fondo trovate anche delle foto… Alice me ne ha mandate 127, e io ve ne faccio vedere un po’ (se non vi bastano, però, fatevi un giro anche qui).

*

Per comodità, potremmo dire che è cominciato tutto da un koala di nome Ralph. Perché proprio un koala, con tutte le bestiole che ci sono al mondo?

Mi affascinava l’idea di un animale così pacifico. Chiaramente prima di partire mi avevano spiegato che non si trattava di un gran coccolone. Ha una cassa toracica molto piccola, e questo lo fa sentire indifeso se si cerca di abbracciarlo. Ma ecco, ero pronta a rispettare la sua naturale dignità. Può essere stato anche un pizzico di invidia: come non esserlo davanti ad un animale che dorme venti ore al giorno, e le restanti quattro le passa a mangiare? Infine, c’è un dettaglio che nessuno conosce, ma che mi ha conquistata definitivamente, ovvero il fatto che i koala sono gli unici – oltre ai primati, ovviamente – ad avere le impronte digitali, identiche alle nostre. Non potete distinguerle nemmeno sotto un microscopio. Non è forse un essere eccezionale?

“Gente, vado per tre mesi in Australia… a fare la keeper in una riserva naturale, animali, piante e quella roba lì. Metto l’out-of-office, va bene? E non contatemi per l’aperitivo, ne parliamo quando torno”. Ecco, non è proprio un annuncio da tutti i giorni. Com’è che l’hanno presa gli altri?

Chi mi conosce è abituato a queste stravaganze, soprattutto il mio ragazzo. Mia mamma e mia sorella odiano i koala, li trovano flemmatici e inutilmente pigri, ma hanno accettato in silenzio. La grande curiosità era più che altro intorno al lavoro in sè: che cosa fa esattamente la koala keeper? In soldoni, consiste nel fare da baby sitter a questi marsupiali, rispettando le loro regole. Per esempio, mai guardarli negli occhi: si stressano. Sono cose che si imparano con l’esperienza e fare la koala keeper è stato più difficile del previsto!

Che diamine hai messo in valigia?

Il kit della giovane koala keeper, quello che dalla riserva mi avevano chiesto di portare: cappellino, crema solare, scarpe comode, macchina fotografica. E poi un lucchetto per il mio armadietto. Mi sono presentata con pantaloni lunghi senza tasche: una sfigata. Per fortuna dopo poche ore mi hanno trasformata in una vera ranger, con maglietta viola di dubbio gusto e quei pantaloncini da caccia e pesca, per intenderci. Un’altra persona.

Hai sminuzzato carne di topo, spalato cacca, dribblato serpenti e nutrito l’ispido echidna. Raccontaci un momento di puro terrore. E poi uno di limpidissima gioia.

C’è un episodio che mi ha davvero segnata, e che racconto anche nel libro. Un giorno mi hanno chiesto di sistemare del fish dentro quattro vasche. Dentro di me, ho pensato: che problema c’è? Non fosse che, una volta aperte le scatole di polistirolo appena scaricate da un camion frigo, ho trovato insidiosi crostacei australiani sguscianti, gli yabbies. In una manciata di secondi hanno iniziato a scappare ovunque per la stanza, con questi orrendi baffi e queste chele durissime. Santo cielo. Io avevo in mano una di quelle pinze da cucina, e dovevo tirarli su uno per uno, e sistemarli dentro le vasche, dal più piccolo al più grande. Già, perchè mi è stato detto che se non li avessi divisi per bene, si sarebbero mangiati tra loro. Che terrore. Passiamo alla limpidissima gioia: ho avuto il grande privilegio di vedere un piccolo di koala uscire dal marsupio della mamma e vedere per la prima volta la luce del sole. I suoi occhi, così vispi e stupiti, non li posso dimenticare.

Ma i koala, che tipi sono?

La verità è che sono dei cafoni. E non scherzo. Forse avevano ragione mia mamma e mia sorella. In riserva gli portavamo tre volte al giorno foglie di eucalipto fresche. Si svegliavano in un attimo al fruscio dei rami. Mangiavano guardandoti con aria di estrema sufficienza, come se tu avessi fatto solo il tuo dovere, e si riaddormentavano poco dopo. Quando entravamo nelle loro zone a pulire la loro cacca, loro te ne facevano tanta altra sulla testa. E poi questa cosa che, con la scusa della cassa toracica, non puoi prenderli in braccio, è assurdo. Infine, puzzano tantissimo: non è una leggenda metropolitana.

E il wombat? Avevo tutta un’idea romantica, del rubicondo wombat… e poi hai devastato ogni mia certezza.

Che forza il wombat! Sembra goffo e pacifico, ma corre velocissimo e morde così forte da staccarti quasi una mano. Era tra i pochissimi animali ai quali non potevamo avvicinarsi senza un keeper profesionista. C’è una curiosità legata a loro. Ogni mattina gli lanciavamo dentro il recinto un grande orsacchiotto per bambini e giocavano tra loro come se fossero all’asilo, senza minimamente danneggiarlo. Hanno un loro lato tenero in realtà, per lo meno più tenero di quello dei koala.

Come fai, adesso che non ci sono più dingo da portare a spasso?

Porto a spasso i miei due bassotti neri, Amalia e Antonio. Come tutti i bassotti, hanno un temperamento terribilmente autoritario. Quasi rimpiango i miei tre dingo.

Intanto che siamo in vena di rimembranze, ci fai vedere la tua foto del cuore? E magari ci racconti anche perché, così diventa anche la nostra foto preferita?


Ecco la foto del cuore. Non so se potrà diventare anche la vostra preferita, ma sicuramente è la mia. Erano passate già tre settimane in riserva: nessun contatto esterno, internet giusto per vedere velocemente le mail e salutare su Skype, lontana un’ora di bus dal primo vero centro abitato. Ero letteralmente fuori dal mondo. Una mattina stavo rassettando una gabbia di un dingo, quando sento parlare per la prima volta italiano, dopo quasi un mese. Ho salutato questa coppia di signori con un Buongiorno. Era molto presto, e loro erano i primi visitatori della giornata. Stupiti anche loro, iniziano a farmi domande, chiedermi che cosa stavamo facendo, e così via. Prima di andarsene e continuare la passeggiata, la signora mi chiede: ma come ti chiami? Ho risposto, e lei ha proseguito con suo marito per il sentiero. Dopo pochi minuti, torna da me, con una copia di Glamour di gennaio in mano e mi dice: ma tu allora sei l’Alice di questo giornale. E lo apre fino alla pagina di un articolo che avevano fatto su di me. La mia compagna di lavoro, australiana, è scoppiata a ridere. Fino a quel momento mi aveva visto arruffata, goffa, puzzolente, piena di cacca fino alle caviglie e ora mi scopre su un tacco 12 e truccata come una vamp! Allora, potete capire il mio profondo imbarazzo, ma anche la mia grande felicità. Mi ha raccontato che aspettavano il loro aereo a Milano, e hanno comprato il giornale per ingannare l’attesa. Hanno letto la mia storia, e hanno deciso di raggiungere la riserva per venire a conoscermi. Per me. Ero così entusiasta. Questa è la foto che ci ha fatto il marito di lei. E’ davvero la mia foto del cuore: due estranei che prendono e vengono a trovarti dall’altra parte del mondo. Da quel giorno ci sentiamo spesso, e spero di andarli a trovare presto qui in Italia.

Progetti dell’era post-Ralph. Che stai combinando? E soprattutto, ci tornerai?

Certo che ci tornerò: la prossima meta è il South Australia, partendo da Adelaide. Intanto, oltre al mio lavoro ordinario, sto portando avanti due progetti. Uno a ampio respiro – http://www.wowanderlust.it – dove raccolgo storie di viaggiatori nel mondo come me; e uno a livello locale, per la mia città di Asti – http://www.toju.it – dove cerco di portare la mia esperienza con Nuok anche nella mia provincia. Sono entrambi progetti di storytelling legati a luoghi su una mappa, e che sto cercando di portare avanti anche come una vera e propria palestra di idee, per sperimentare le possibilità comunicative sul web.

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Alice Avallone per Open SevenDays ed.
Alice Avallone per Open SevenDays ed.
Alice Avallone per Open SevenDays ed.
Alice Avallone per Open SevenDays ed.
Alice Avallone per Open SevenDays ed.

La doverosa premessa è la seguente.
Con Amore del Cuore stiamo vedendo la terza stagione del Trono di Spade in italiano.
“Eh, mi sono abituato alle voci…”, vabé, che volete dirgli.
Siamo dunque indietro rispetto ai devastanti lutti che sembrano aver sconvolto i Sette Regni negli ultimi tragicissimi giorni. Non ne sappiamo niente, ma siamo già incazzati come dei marabù.

Questo post, dunque, non è altro che un grosso pippone scaramantico. Un rito propiziatorio a beneficio di DENERIS TARGARIAN, madre dei draghi. Perché se muore anche lei io il Trono di Spade non lo voglio neanche più sentir nominare.
…che poi magari è già stecchita, e sono l’unica al mondo che non ne sa niente.

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Non so voi, ma io il Trono di Spade lo guardo per le sbruffonate. Mi siedo lì, con la pizza alle olive in bilico su un ginocchio e aspetto che qualcuno ci regali un momento di sublime arroganza.
Voglio vedere Nonno Lannister che maltratta i suoi figli, TIRION che sale su uno sgabello per prendere a manrovesci GIOFFRI, la regina SERSI – sbronza come una tegola – che minaccia di morte quella falsona della sua futura nuora, personaggi a caso che fingono di preoccuparsi per quella scarognata di Sansa e cosa, là, IGRITTTTT, che dice a Jon Snow che non sa niente. E lui zitto, con gli occhioni tristi, le pive nel sacco e i geloni ai piedi.

C’è da dire che un minimo di tracotanza tocca più o meno a tutti, ma non possiamo negare che l’unica vera dispensatrice di immense soddisfazioni sia DENERIS.
Ma non c’è qualcuno là fuori che si è scritto tutta la spatafiata di epiteti onorifici della DENERIS? Che io mi ricordo solo “nata dalla tempesta”, “prima del suo nome”, “madre dei draghi”, “khaleesi” e della roba con dentro gli Andali, i Primi Uomini e un mare d’erba. Per cercare di competere con lei, sto aggiungendo titoli a caso al nome del mio gatto. Ottone von Asgard è diventato Ottone von Asgard, Ironcat Supremo, Minaccia Fantasma, Terrore dei Vegetali e Poltergeist Distruttore.

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Senza un motivo particolare, ecco perché ritengo che DENERIS sia degna della nostra stima imperitura. E pure del Trono di Spade. Anzi, mettiamola così, ecco perché DENERIS merita di sopravvivere.

– ha sposato Khal Drogo, l’unico autentico ultramanzo che mai si sia visto nei Sette Regni. E non solo l’ha sposato, ha pure conquistato il suo gigantesco cuore di pietra, trasformando il sublime energumeno in uno che riesce a dirti che sei la MOON della sua LIFE.
– sempre in tema di cuori giganti, DENERIS ha mangiato il cuore crudo di una qualche creatura imponente. Un cuore che più o meno era grosso quanto la sua testa.
– ha imparato a parlare l’assurdo idioma dei DOTRACHI, una lingua che riesce ad essere meno orecchiabile del klingon e ancor più tragicamente funestata dall’assenza di vocali.
– ha insegnato ai DOTRACHI che non si fa l’amore solo a pecorina, grugnendo e tirando i capelli.
– è riuscita ad ammazzare quel gran filibustiere di suo fratello, presuntuoso e nevrastenico, facendogli sciogliere una corona d’oro massiccio sul cranio. Una delle poche morti di tutta quanta la serie che siamo stati ben felici di veder succedere. Tanto per gradire, poi, DENERIS ha commentato che un vero drago non sarebbe mica schiattato, per un po’ d’oro fuso sulla faccia.
– DENERIS è ignifuga, lavabile ad alte temperature e immune alle bruciature solari, pure dopo cento mesi a piedi nel deserto.
– non si sa come, ha generato tre draghi. Generateli voi, tre draghi.
– i figli-draghi di Khaleesi non sono mica come quei polentoni dei vostri bambini. Dopo tre puntate sono già grossi come una Cinquecento.
– nonostante la fisionomia da piccola botte e il culotto un po’ tremolone, DENERSI va in giro nuda con la disinvoltura di una meretrice di Amsterdam. E fa bene.
– tutti si convincono che sia bionda, sventata e scema, la insultano in buffi idiomi che ritengono non possa comprendere e cercano di circuirla sventolandole davanti cassaforti vuote ma lei, alla fine, incenerisce tutti con i suoi draghi. Guerrieri, sovrani presuntuosi, maghi pelati, schiavisti sadici, poco importa. I draghi non si formalizzano.
– è in grado di suscitare devozioni e fanatismi che nemmeno una religione monoteista. La incontri, e dopo cinque minuti le giuri fedeltà eterna, le dici che la servirai per sempre (anche se non sei più uno schiavo) e inizierai a fissarla con l’espressione rapita dell’orfanello di fronte alla vetrina del pasticcere. I cavalieri la adorano. Gli schiavi (e gli ex-schiavi) la venerano. I draghi la rispettano (anche se sono ormai degli adolescenti) e fanno tutto quello che le pare. Avrà pure qualcosa, sta benedetta ragazza.
– è piacevolmente malvagia. Sangue! Fuoco! Trucidateli tutti! Una città, invadiamola!
– senza apparenti sforzi, Khaleesi ci commuove con acconciature sempre più strabilianti. Comincio a sospettare che i tre figli-draghi, oltre ad essere delle perfette macchine di morte, siano anche un po’ parrucchieri, sotto sotto.

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Ma soprattutto, Khaleesi va salvata perché ha sempre qualche straordinaria fissazione. Nella scorsa stagione aveva perso i draghi… e ogni battuta che le toccava conteneva almeno una volta un “DOVESONOIMIEIDRAGHI?!”. Nella prima gridava che era una CALISI ogni tredici secondi. Nella terza serie, invece, ce l’ha su con gli eserciti – mai abbastanza imponenti – e con l’abolizione della schiavitù – mi sa che uno degli epiteti onorifici era anche un modestissimo “distruttrice di catene”.
Deve vivere, deve vivere e regalarci qualche invasamento nuovo.
Voglio vedere cosa succede con quel capellone dei Secondi Figli, che sembra un po’ un Conte Fersen con più fossette. Ma soprattutto la DENERIS deve saltare in groppa a DRACARIS e volare da qualche parte. Facciamo spendere alla HBO una barca di soldi per un bell’effettone speciale di DENERIS che devasta una pacifica contrada – colpevole solo di aver ospitato un Lannister, una cinquantina d’anni prima – dalla groppa spinosa di un drago-figlio.

Eddai.
Fateci divertire.
Lasciate vivere Khaleesi!

 

Dopo aver appurato che non saremmo riuscite a incrociarci – come le vere donne di mondo, che hanno sempre degli impegni precedenti -, abbiamo elaborato un piano infallibile. Ilaria doveva lasciarmi allo stand di Compagine, al Salone, una preziosa copia con dedica del suo Vintagismi, che così poi passavo e me la compravo. Poi però si è dimenticata, ma fa niente, sono comunque successe delle coccole. Me l’hanno passata al telefono – super imbarazzo, che io non so telefonare – e sono stata accolta con grande affetto, in un tripudio di foto e tolleranza. Tolleranza e immenso garbo, anzi, perché sono riuscita a esclamare “Ma che carine queste noci! Ma perché avete un cestino di noci, qua in mezzo ai libri?”. Senza battere ciglio, mi hanno indicato il gigantesco logo appeso al muro. Che poi è questo qua.

Lo so, lo so.
Con me ci vuole un po’ di pazienza.
E forse vale la pena cambiare argomento… che siamo qua per commuoverci con Vintagismi.

È un librino tenero, pieno zeppo di ricordi,  scoperte e ciuffetti storti. Ci sono le lumache, le scarpe con gli occhi, un giardino con piantata in mezzo una pietra gigante, un papà iperattivo, i pomodori dell’orto, una nonna pettoruta e abilissima nel distorcere la realtà, un divano-nascondiglio, la foto di classe di prima elementare e la tragedia dell’abbigliamento anni Novanta. Sulla pagina dell’OUTFIT natalizio è come se ci fossi anch’io, con collettone di pizzo e calzamaglia rossa che prudeva tantissimo. MADRE contribuiva al folklore complessivo trasformando la gonna scozzese in una gonna-PANTALONE scozzese, tanto per farmi capire da subito che il mondo è un luogo tetro, ingiusto e inospitale. Vi torneranno in mente i passamontagna e gli inspiegabili fuseaux con le ghette, insieme a tutti gli sport che vi hanno fatto fare anche se non ne avevate voglia e pativate come dei cani. Poi ci sono i cantanti del cuore – che ve li immaginavate bellissimi ma poi erano tutt’altro – e le estati di noia, in cui si impara a leggere per divertimento e non ci si annoia mai più.

È proprio un librino felice. Si va in giro per i ricordi di un’altra persona e, senza neanche pensarci troppo, cominciano a venire a galla anche i tuoi. Fa nostalgia allegra, ecco, anche per le cose più surreali e le passeggiate di venti chilometri in salita – sia all’andata che al ritorno.
Poi quando capisco se sono più adorabili le illustrazioni o i testi torno indietro e ve lo dico.

Dovete sapere che voglio molto bene a Giovanna Gallo. Le voglio bene praticamente da subito… cioè dal 2009, per quelli che non c’erano. A Torino non avevo nessuno con cui fare niente, e poi all’improvviso avevo una Giovanna Gallo. È quindi con grande gioia e autentico orgoglio che vi esorto a schiacciare forsennatamente sul bottone COMPRA vicino al suo ebook nuovo di zecca. E non perché i disegnetti-sgorbietti che ci trovate dentro li ho fatti io, ma perché Eroine multitasking (Emma Books) è proprio uno spasso pazzo.

Gallo del Cuore farà per voi parecchie cose utili, oltre ispirarvi del felice e sano ridere. Anzi, del sorridere. Che quando c’è l’ironia bisogna dire che si sorride, mica che si sghignazza cascando dal divano. Cosa che a me, poi, è sempre sembrata degnissima.
Comunque.
Gallo vi spiegherà che non dovete credere alle commedie romantiche e che le dichiarazioni d’amore sotto la pioggia non esistono, nemmeno quelle con  gli unicorni che vi brucano vicino alle Manolo Blahnik mentre un aitante bellimbusto vi appesantisce l’anulare con una gigantesca roccia splendente. Vi dirà che non aver voglia di fare niente la domenica è un vostro diritto, così come riempirvi la casa di inutili alzatine di vetro per torte. Torte che non sapete fare, ma anche quello va bene, perché tanto di cose che vi riescono ce ne sono altre centoseimila, e tutte insieme. Si parlerà di ciabatte a forma di cane, di passioni travolgenti, rudi energumeni e fidanzati che – giustamente – amano farsi la doccia prima di prendervi tra le braccia. Troverete chiacchiere su lavoro, amore, sogni d’indipendenza, uomini che non capiscono lo smalto per le unghie (e ancor meno il senso del top coat, che manco si vede), MADRI perfette, agghiaccianti ricordi della scuola media e convivenze che funzionano. Vi divertirete e vi riconoscerete in cento modi. E se già siete anche solo un pocopoco portate, la felice trasformazione in eroina multitasking sarà garantita. Tanto vale che vi andiate a comprare un costume.

Viva Gallo. Sono proprio contenta. In alto le tisane al finocchio – ma solo se avete finito i ghiaccetti per il gin tonic.

 

Per approfondire:

Il blog di Giovanna.
Le twittate di Giovanna.
Giovanna.

 *

Sbruffonaggine o stress post-traumatico. Questo è il dilemma!

Che vi devo dire, è periodo di supereroi.
Dopo avervi inflitto uno strampalato commento sul nuovo trailer di Thor, adesso c’è anche una recensione per il bizzarro Iron Man 3… recensione piena di confusione e preoccupazioni che potrete leggere su BadTaste, perché ogni tanto la vita è meravigliosa e quelli del tuo sito cinematografico preferito ti chiedono di scrivere una fangirlata per loro, che si erano divertiti tanto con il post degli Avengers.
Ed eccoci qua.
È quindi con immensa allegria e sconfinato orgoglio che vi spedisco a leggere tutto quanto su BadTaste. AAAAIRONMAAAAAN!


 

 

***

Voi magari non avete sette anni, ma io sì. E qua in seconda elementare siamo tutti contentissimi per la magica apparizione del primo trailer del nuovo film di Thor, l’indomito polpettone di Asgard. Solo che non si chiamerà “Thor – Asgard’s Meatloaf” ma “Thor – The Dark World”. E si dovrebbe poter vedere in autunno, perché adesso va così, ogni sei mesi c’è un giro in giostra con un supereroe.
Direi di fare un po’ come la volta scorsa, con il trailer di Iron Man 3 – che esce il 24 aprile, tanto per ricordarlo a chi vive su Caronte, sassoso e ghiacciato satellite binario dell’ex-pianeta Plutone. Qua c’è il trailer e sotto c’è quello che ci ho capito io, più un diffuso e meritatissimo disprezzo per Jane Foster, il personaggio femminile più insipido e piagnucoloso del mondo. Che Sleipnir la sfiguri con tutti e otto i suoi zoccoli.

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Dunque.
Inizia con dei bambini che fanno fluttuare un tir. Non sappiamo perché, ma siamo molto contenti per loro. L’avessi fatto fluttuare io, un camion, quand’ero piccola. E invece no, al massimo facevo la rondata sulla trave alta.
Dopo i piccoli autotrasportatori telecinetici, Odino ci informa che prima della creazione non c’era il nulla, ma c’era l’OSCURITAH. Al che presumo ci mostrino il cattivo. Che forse è quello lì, un tizio tutto incatenato in una camera buia, con una specie di casco-tagliola in testa. Ma che fa, sta lì piantato come un monumento perché qualcuno deve ancora risvegliarlo? E chi mai sarà il supergenio? Ma soprattutto, che vuole?
Poi niente, un’immensa (e bellissima) nave nera a forma di accetta rovesciata solca le acque di un qualche posto grigissimo per andarsi a incastrare nel pratone all’inglese di un college. Ad accogliere l’evento con moderato sconcerto troviamo l’amica di Jane Foster, quella con le tette grosse e l’attitudine per la scienza di una commessa di Kiko. Gente che scappa, finestroni inestimabili che esplodono in un milione di pezzettini, fogli che volano. Misericordia, perché la gigantesca nave nera a forma d’accetta è venuta a rompere i vetri proprio a noi? Temo sia perché in quel posto lì c’è anche la nostra Jane. E ovviamente, come ogni personaggio inutile e imbranato, avrà bisogno di essere salvata.
Arriva Thor! I mantelli svolazzano!
Bene. Thor atterra, afferra la sua umana del cuore e, senza manco salutare, si smaterializza con lei verso Asgard. Così a vedere dal mare, sembrerebbe che il regno degli Asi sia leggermente migliorato… c’è sempre una doverosa maestosità, ma ben poche cose sono rimaste a forma di cannellone. Nel primo Thor, ogni palazzo era una composizione di cannelloni dorati. Ma si sa, il tocco magico del modesto Kenneth Branagh…
Comunque!
Thor regala un vestito asgardiano a Jane e se la porta a spasso. Lady Sif, interpretando un po’ i sentimenti di tutti, la incenerisce con lo sguardo. Anzi, la guarda con un disprezzo talmente meraviglioso e plateale che mi viene quasi da pensare che sia innamoratissima di Thor e megagelosa. Secondo me ci fanno qualcosa di interessante, con questa rivalità tra femmine.
Nel frattempo, i capelli di Thor – con treccina, grande innovazione – diventano più strabilianti e luminosi ad ogni inquadratura. Beato lui.
Distruzione ad Asgard, distruzione in un bosco, distruzione a Midgard, accorati appelli interventisti presso il trono di Odino e martelli fosforescenti che sfrecciano. Polpettone in posa plastica e onda energetica ribalta-nemici.
Poi vediamo una treccia bianca e minacciosa, molto più imponente della treccina di Thor.
La mamma di Thor, contrariatissima, piglia un pugnale e fa fare due passi al suo bel vestito, che mi pare un Vivienne Westwood Anglomania metallizzato.
Lady Sif fa uno di quei movimenti a scatto con la testa, quelle robe girachioma da guerriera indomita. Il fatto che ci rifacciano vedere Lady Sif vorrà forse dire che è diventata un personaggio importante? In ogni caso, ha uno scudo molto carino.
Ma ci sono moltissime femmine in questo trailer, che cosa sta succedendo.
Thor finisce in un polverone tempestoso e c’è un mostricciattolo blu mezzo sfigurato dall’acido muriatico che gli sventola davanti la sempre indifesa Jane Foster, crocifissa per aria. Thor, stracciato, stanchissimo e pesto, crolla sui ginocchioni gridando un inevitabile NNOOOOOOOOH.
Titolone di Thor.
E poi succede quello che qua in seconda elementare volevamo vedere sul serio.
Thor, nello sterco di Sleipnir fino al collo, si appropinqua a una di quelle solite gabbie di vetro per supercattivi e va a chiedere aiuto a Loki che, giustamente, lo prende per il culo ancor prima di vederlo arrivare.
La felicità è grande.
E se proprio dobbiamo proseguire nel filone “commento-capelli”, è ormai chiaro che Loki ha passato buona parte degli Avengers a farsi la piega. Qua è in camicione verde tutto stropicciato e ha in testa più o meno quello che mi ci ritrovo anch’io quando mi asciugo col FON con troppa esuberanza. Qualcuno gli porti del balsamo e un bel costume. Ridategli tutti i suoi giocattoli. E fategli prendere un po’ di sole, santo il cielo. Fate quel che vi pare, ma mettetelo in ogni inquadratura.
Più Loki! Più cattiveria! Più elmi cornuti! Più lavoro per gli psicanalisti! Forza!

***


Diamine, se è brutto.

***

Non so voi, ma sono positivamente impressionata.

E con questo, vado a stendere la maglietta di Ironman, che domani al cinema ci vado con quella. C’è pure il triangolo-Ark-cuore che si illumina al buio!

Fermi tutti.
Lo so, lo so.
C’è un uccellone grigioazzurro che sembra voler stritolare una papera… ma non facciamoci travolgere dall’entusiasmo. Perché il Balaeniceps Rex, per gli amici più cari anche “Becco a scarpa”, è molto più di un frantumatore di papere. È un artista. È un fine interprete drammatico, di quelli così bravi da riuscire anche a sorprenderci in un ruolo comico. Tipo, chi l’avrebbe mai detto, quello lì sa anche far ridere!
Ebbene, il becco a scarpa, oltre che un estroso volatile di rara espressività, è anche il nuovo protagonista della rutilante rubrica “Gli animali ti guardano – rubrica che tutti i Piero Angela del mondo dovrebbero invidiarci e leggere ad alta voce ai propri Alberto Angela.

Dunque.

Il becco a scarpa occupa una nicchia classificatoria tutta sua. Dopo averlo ficcato in mezzo alle cicogne e agli amici delle cicogne, i naturalisti decisero poi di isolarlo in un famiglia nuova di pacca, quella dei Balaenicipidi (credo), uccelli del tutto estranei al trasporto di neonati.
Il becco a scarpa è un pennuto imponente. Può raggiungere i centoquaranta centimetri d’altezza e i sette chili di peso. Vive in Africa, lungo il corso del Nilo Bianco e, in generale, ama zampettare nei pressi di paludi e acquitrini. Sa volare, ma non gli interessa: vive, mangia, si riproduce e dorme per terra, passeggiando come un gentiluomo d’altri tempi. Si nutre di pesci, rane, mammiferini e protopteri. I protopteri sono delle specie di anguilloni disgustosi che somigliano anche un po’ ai pesci-gatto. Ma non è che devono piacere a noi, devono piacere al becco a scarpa. Comunque. Il nostro voluminoso amico è una bestiola perbene, anche se un po’ irascibile. Il becco a scarpa, infatti, è monogamo, ed entrambi i genitori partecipano alla cova e alla costruzione del nido. Non è che si sbattano poi chissà quanto, visto che il nido del Balaeniceps Rex non è altro che un buco in terra. Durante la cova, però, diventa territoriale e vendicativo. Arrivategli a meno di un chilometro e vi demolirà… e rinunciate a spiegargli che una distanza di sicurezza di 999 metri è qualcosa di assolutamente rispettabile. Lasciategli covare le sue uova – da una a tre – e ingozzare i suoi piccoli di protopteri masticati e tutto andrà bene.
Ma perché poi si chiama becco a scarpa? La leggenda narra che uno sfacciato esemplare di questa florida specie di uccelloni passeggiatori un bel giorno si trovò davanti a una scarpa piena di cibo. Goloso e irruento, il pennuto tuffò la testa nella calzatura – di chi fosse o perché c’era dentro della roba da mangiare non lo sapremo mai – ma, una volta inghiottito tutto l’inghiottibile, non fu più in grado di liberarsi e la scarpa gli rimase incastrata sul becco.
Ebbene, andate a raccontare queste frottole a un becco a scarpa qualsiasi e verrete ricompensati, immancabilmente, con un’espressione di questo genere:

Il mondo non è pronto per il becco a scarpa. Siamo gente abituata allo sguardo vitreo e stolido del piccione, all’occhio pallato e immobile della civetta, ai movimenti nevrastenici e senza senso delle cocorite domestiche. Gli uccelli che ci sono familiari, gli uccelli “normali”, sono un po’ come Monica Bellucci quando recita. Faccia di pietra e palpebre immobili. Il Balaeniceps Rex no. Lui è l’Al Pacino dei volatili, il Daniel Day Lewis del Nilo Bianco. Mettete un becco a scarpa su un palcoscenico insieme ad Albertazzi e gli farà un culo a capanna di fango. Non sappiamo perché, ma l’espressività e il talento drammatico di questo improbabile pennuto africano hanno qualcosa di sovrannaturale e mitologico, altroché il cane di The Artist. Il becco a scarpa è nato per il cinema.
Eccelle negli intensi primi piani:

(la foto viene da qui)

Stupisce per saggezza e abilità introspettiva:


E convince ancor di più quando esterna il proprio dolore, riuscendo a trasformarlo in quel dolore universale che unisce e accomuna tutte le creature:

(la foto viene da qui)

Sa intimorire:


Può apostrofarci con tutto il rancore e il risentimento accumulati in millenni di burle evolutive:


E può spuntare all’improvviso dalla macchia per intimarci, come un qualsiasi papà americano che vede minacciato il pratino davanti a casa, di uscire dalla sua proprietà:

Può esibirsi in comportamenti solo all’apparenza immotivati ma che, in realtà, vogliono incoraggiarci a fare tesoro di ogni istante della nostra esistenza e a impiegare il tempo che ci è concesso per raggiungere la grandezza. Mica vorrete passare la vita a guardare in terra a bocca spalancata, no?


Ma non è finita. Perché il becco a scarpa è anche un fine interprete delle dinamiche di coppia. Qua, per dire, credo che la becca a scarpa sta ricordando al suo compagno che questa casa non è un albergo:


In questa circostanza, invece, due becchi a scarpa in fila dal medico di famiglia s’indignano per la sfacciataggine di quelli che passano davanti a tutti con la scusa di doversi solo far firmare una ricetta.

Ci sono, poi, eccellenti caratteristi.
La bionda svampita:

Il supereroe:

(la foto viene da qui)

Gong-Li:


Il cavaliere dell’Apocalisse e/o la morte campionessa di scacchi:

L’indomito e testardo pilota di caccia:

 

Quello che davvero dovrebbe sconvolgerci, però, è la consapevolezza con la quale il becco a scarpa ci regala questa impareggiabile gamma di espressioni e pose teatrali. Nulla accade per caso, quando c’è di mezzo un Balaeniceps Rex. E qualcuno dovrebbe dirlo all’Academy.

Dai, facciamo una foto coi fenicotterini rosa. Serio, però, che dobbiamo creare uno di quei bei contrasti tra sconfinata bellezza interiore e vuota bellezza esteriore. Intenso, mi raccomando, sei il saggio che si staglia con fierezza contro la grettezza della società dell’immagine.

Superbo. Spettacolare. Facciamone un’altra, che dici? L’ultima, promesso. Sempre coi fenicotteri, ma stavolta come vuoi te.



***

Che cosa è successo nelle puntate precedenti.
Dunque.
Lo scorso anno, a luglio, ho improvvisamente deciso di leggere Anna Karenina. Ma così, presa da uno slancio inspiegabile e repentino. Senza un particolare allenamento, una missione filosofico-letteraria o precedenti incontri con poderosi romanzi russi.
…in realtà avevo iniziato Guerra e pace… e mi piaceva immensamente, ma ce l’avevo diviso in tomi e, non mi ricordo per quale motivo, ad un certo punto mi sono dimenticata l’ultimo in una città che non era la mia. E addio, ho perso il ritmo, ho scordato la faccia di Pierre e non l’ho mai più finito. Ero anche a buon punto, per dire.
Comunque, a parte la sfortuna logistica patita con Guerra e pace, Anna Karenina sarebbe stato il mio primo, vero incontro con un illustre superclassico russo. Ce la farò. Non ce la farò. Ci saranno slitte, manicotti di pelliccia e svenimenti? Fortune sperperate? Figli bastardi? Insomma, l’ho cominciato con la sensazione di essermi messa lì a fare qualcosa di importante. Non so bene come spiegarlo, ma mi sembrava una faccenda solenne, una lettura che sarebbe stata diversa da tutte le altre della mia vita. Ero proprio emozionata.
In mezzo a questo turbine di aspettative, senso di responsabilità e timore reverenziale, non so bene con quale motivazione, mi sono messa a twittare quello che mi veniva in mente mentre leggevo. E man mano che andavo avanti, c’erano sempre più particolari che non avrei voluto dimenticare o impressioni da condividere, o moti di funestissima indignazione che non potevo in alcun modo tenermi per me. E #annasottoaltreno cresceva e si riempiva di citazioni, di impressioni, di stizza, preoccupazioni, cose buffe e immagini. Insomma, si è trasformato in un diario di lettura molto spontaneo e scanzonato in cui ci si augura che Vrònskij si spacchi le tibie cascando da cavallo e che Lèvin la smetta, una buona volta, d’ammorbarci con la falciatura dei campi. Senza alcuna ambizione “classificatoria” o equilibrio rispetto alle varie parti della narrazione, #annasottoaltreno è un piccolo frammento di quello che mi è successo mentre leggevo un romanzo meraviglioso, un libro pieno di pensieri – inclusi quelli dei cani da caccia – e di decisioni complicate.
Che è accaduto poi?
Anna è finita sotto al treno e la timeline di Twitter ha imparato a vivere senza di lei.
Anzi, Anna è stata sepolta dal resto della mia timeline.
Ma poi, magimagia. Il download dell’archivio di Twitter! Pure per noi italiani.
E allora ho pensato, ma che cavolo, perché non scolliamo dalle rotaie i suoi derelitti resti?

#annasottoaltreno (reloaded) è diventato un lunghissimo e strambo Storify.
Con voragini che non mi spiego (possibile che non ci sia davvero niente su Anna che ritorna da suo figlio?! Dov’ero, in un posto senza 3G?), grande affetto per particolari minuscoli che fanno perdere la visione d’insieme, plateali antipatie e un gran gusto dell’assurdo. Intanto che recuperavo i pezzi e li ricomponevo, poi, ho deciso di cacciarci dentro un’allegra confusione di immagini cinematografiche (e no, l’ultimo film non mi è piaciuto… i costumi, però, erano bellissimi), riferimenti geografico-mangerecci, commenti e chiacchiere.
E questo è quello che è venuto fuori.

Ben sapendo che non sarò mai in grado di accettare la storia del Giardino dell’Eden, del diluvio universale e della gente che risorge dopo il terzo giorno e poi vola in cielo con tutte le scarpe, sono comunque costretta ad ammettere che, di tanto in tanto, ci sono cose che riescono a convincermi dell’esistenza di un’entità superiore e onnipotente. Cose che alimentano e incoraggiano la mia spiritualità e il mio atavico bisogno di credere nell’invisibile.
Ecco, tra queste magiche manifestazioni del divino c’è di sicuro The Useless Web. Che voi magari lo conoscete già, ma io che vivo in una palude infestata dalle banshee non l’avevo mai visto.

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Niente. Voi andate lì e tutte le volte che schiacciate sul PLEASE rosarosa vi si apre un’assurdità meravigliosa e sommamente insensata. Siti idioti. Siti scemi. Siti che non servono a niente ma sono bellissimi. Miracoli dell’ingegno umano all’apice dell’estro e del più totale scollamento da un qualsiasi principio di funzionalità e utilità. Tanto per farvi capire, ecco cosa mi si è aperto in dieci schiacciate del PLEASE rosarosa:

http://www.wutdafuk.com/ > una distesa lampeggiante di grassi WTF a pois.

http://www.leekspin.com.au/ > una cartoncina animata giapponese che fa roteare un cipollotto.

http://www.pleaselike.com/ > potete solo fare LIKE, c’è solo quello. Un LIKE al nulla cosmico. Credo si tratti di una riflessione metafisica sulla deriva del gusto e sulla contrazione della nostra capacità di esprimere costruttivamente un’opinione. O anche solo di discernere un contenuto meritevole da una fumante pila di sterco vaccino. Ma forse sono io che penso troppo.

http://www.leduchamp.com/ > uno dei beneamati ready-made di Duchamp (la ruota di bicletta) da aggeggiare e far girare a vostro piacimento.

http://sometimesredsometimesblue.com/ > a me è uscito blu.

http://www.oppositeofpoop.com/ > una gigantesca e incontrovertibile verità.

http://ihasabucket.com/ > un tricheco con un secchio. Anzi, un tricheco felice con un secchio. Poi glielo portano via. È bellissimo.

http://chickenonaraft.com/ > un pollo su una zattera. Che vi basti.

http://r33b.net/ > L’IPNOROSPO!

http://www.toggletoggle.com/ > niente, c’è un interruttore gigante e voi potete accendere o spegnere la luce.

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E chissà quanta altra roba aspetta solo di essere scoperta! Là fuori c’è un mondo d’insensatezza che può intrattenerci. E basta, volevo solo farvi sapere che avevo trovato questa cosa. Ora potete andare a cliccare e moltiplicarvi. Ma magari fatemi sapere che cosa trovate, che la faccenda è divertente… come tutto quello che non ha un perché.

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P.S. grazie e cuoricioni a Leda per la magnifica segnalazione spappola-sinapsi.