MADRE non crede nei surgelati. Anzi, se proprio devo dirla tutta, MADRE non si fida dei surgelati. Sono troppo semplici, troppo immediati. Deve per forza esserci sotto qualcosa. Una roba che la butti in padella e dopo sei minuti è pronta? Stregoneria! Veleno! La Findus vuole annientare l’umanità! Presto, facciamo i bagagli e ritiriamoci in campagna! Zapperemo la terra e ci nutriremo di bacche, radici e ortiche. E buttiamo anche il forno a microonde! MADRE, alla fin fine, non crede neanche nei condimenti. Cucina molto bene, ma l’unto la terrorizza. Così come il fritto. E il burro. Se deve fare una torta che richiede l’utilizzo di 200 grammi di burro, MADRE – borbottando stizzita – ce ne mette 50. E le sembrano pure un’esagerazione. Nessuno ha ben capito come facciano a stare insieme, le sue torte. Il burro ci vuole anche per legare gli ingredienti, per rendere il dolce più morbido. A MADRE non interessa. Pur di evitare i canonici 200 grammi di burro, passa il pomeriggio ad accanirsi sull’impasto. Impasta furiosamente fino ad arrivare dove nessun Bimby è mai giunto prima. La forza bruta come sostitutivo del burro. A casa mia si può. E guai a chi si lamenta. La roba soffice è per gli scemi. A noi non interessa, noi siamo in grado di masticare anche i sassi.
Comunque, ieri – che era Pasqua – siamo andati a pranzo da MADRE e dal mio papà. E abbiamo scoperto una nuova, strabiliante sfumatura dell’ascetismo culinario di MADRE.
TEGAMINI – MADRE, l’arrosto è buonissimo.
MADRE – Ci credo, è filetto di vitello…
AMORE DEL CUORE – È vero, Valeria, è proprio buono. Ce n’è ancora?
MADRE – Francesca, posso dargliene un’altra fetta? Ne ha già mangiate quattro…
TEGAMINI – Non sono mica la sua dietologa. Dagli l’arrosto, santo Dio.
IL MIO PAPÀ – Francesca, prendigli anche due patate.
TEGAMINI – Ecco cosa volevo dirti, MADRE. Anche le patate sono molto meglio del solito. Cioè, lo sai che hai problemi con le patate, no?
IL MIO PAPÀ – Durissime. Asciutte. Secche.
TEGAMINI – Infatti. Queste qua sono quasi morbide. Sono un po’ insipidine, ma non c’è paragone.
MADRE – Sai che conquista. Tuo padre mi ha obbligata a comprare quelle surgelate.
AMORE DEL CUORE – Le Patate Saporite! Noi le mangiamo sempre.
TEGAMINI – Per forza. Cosa faccio? Sto lì cent’anni a pelare patate? E poi le tagli, le cuoci, le inforni, le condisci… ciao. Non sono mica in pensione. Non sono mica il mozzo della nave.
IL MIO PAPÀ – Quello che le ho detto io. Hai già cucinato tutta questa roba, Valeria, piglia due patate surgelate e siamo a posto. Sono anche buone.
MADRE – …sarà.
AMORE DEL CUORE – Ma quali sono? Quelle della Findus? Non mi sembra. Sono un po’ diverse da quelle che abbiamo provato noi.
TEGAMINI – E le abbiamo provate TUTTE.
MADRE – …
IL MIO PAPÀ – Sono diverse?
TEGAMINI – Direi.
IL MIO PAPÀ – Tua madre ha aperto la busta, ha versato le patate nella padella e poi s’è accorta che c’erano quelle mattonelline lì, quelle un po’ verdine.
MADRE – Che schifezza. Chissà che cos’erano.
TEGAMINI – Il condimento, MADRE. Che altro doveva essere.
IL MIO PAPÀ – Eh. Lei ha preso le mattonelline e le ha buttate via.
Dunque. Siete andati a vivere da soli, finalmente. Ed è tutto bellissimo. Mangiate tonno in scatola cinque giorni a settimana (ricavando le vitamine necessarie al vostro sostentamento dal pomodoro che c’è sulle molteplici pizze che ingurgitate nel weekend insieme ai vostri amichetti), sperate che non vi caschi un bottone perché non ve lo sapete riattaccare e tornate a casa quando vi pare, senza dover fronteggiare vostra madre che, alle quattro e cinquanta del mattino, vi aspetta in camicia da notte al tavolo della cucina. Con una falce in mano.
Ma che cos’è che voglio dire.
I giovani virgulti che si levano dai piedi, tipicamente, sono costretti a lasciare a casa buona parte dei libri con cui sono cresciuti. In certi casi è meglio così. Spesso, però, è un gran peccato. Ma che ci volete fare. Col vostro stipendio vi potete permettere uno sgabuzzino per le scope, che libri volete portarvi. Pace, andrete all’Ikea, comprerete una di quelle mini-librerie da 22 euro e 90 e la ficcherete nell’unico angolo libero. E ci metterete i libri nuovi, quelli che vi accompagneranno trionfalmente in questa fase super avventurosa della vostra esistenza. I libri nuovi, dopo qualche mese, cominceranno ad invadere il pavimento. Si ammucchieranno sul comodino. Si impossesseranno di una porzione piuttosto rilevante del tavolo dove consumate frugalmente le vostre Spinacine. Vi sveglierete di notte per fare la pipì e, nonostante iTorcia, ne butterete in terra una pila. Ma sarete contenti, perché tutti quei nuovi libri li avete letti voi. E pazienza se non avete un posto decente dove immagazzinarli. Nel vostro disordine c’è comunque del criterio. Voi lo sapete. E che gli altri si attacchino al tram.
All’improvviso, se vi andrà particolarmente di culo, potreste innamorarvi a tal punto da decidere di traslocare, scegliendo consapevolmente di vivere con un altro essere umano. Una persona importante, la persona che potrebbe stare al vostro fianco per tutta la vita… o almeno così vi sembra. Farete il bucato, per questa persona. Mangerete negli stessi piatti. Vi scambierete fluidi corporei, a più riprese – e con una certa veemenza. Condividerete un bagno, delle lenzuola, la bottiglia d’acqua che sta vicino al letto per quando vi svegliate col mal di gola e non avete voglia di trascinarvi fino in cucina. Con questa persona programmerete delle vacanze, acquisterete un gatto anallergico e addobberete l’albero di Natale. Proprio voi, che immaginavate di invecchiare da sole – in una cantina buia piena di ratti scontrosissimi -, con questa persona riuscirete ad immaginare un futuro. Siete così felici e in pace che non litigate neanche. Vi verrà voglia di preparare delle torte. Maneggerete il terribile contenuto di una borsa del tennis piena di calzini sudati senza fare una piega. Per sbaglio, poi, una sera vi laverete i denti con lo spazzolino del vostro consorte. E, con vostra grande sorpresa, non verrete assaliti dall’irrefrenabile necessità di strapparvi la faccia. Accadrà tutto questo. E anche qualcosa in più. La vostra gioia sarà così potente da condensarsi in una forma solida, sfaccettata e scintillante, che sventolerete con grande soddisfazione – e una certa tracotanza – in faccia alle vostre amiche. Ma nemmeno dopo aver ricevuto un anello di fidanzamento riuscirete a fare qualcosa di apparentemente semplicissimo. Nemmeno dopo aver tagliato una torta multistrato con sopra due improbabili dinosauri di ceramica riuscirete ad accettare l’ideamostruosa di disperdere e incasinare i vostri libri. Quelli vecchi, quelli nuovi, quelli che ancora dovete leggere. Sono vostri. Vi appartengono. Li avete portati in giro, vi hanno fatto compagnia, ci avete trovato dentro una quantità sterminata di cose. Vi piace girarvi e dire “Insomma, ho letto tutti questi libri. Vuol dire che qualcosa di buono l’ho combinato, alla fin fine”. E vi dispiacerà molto, ma non ce la farete proprio. Alla domanda “Gallina, ma nella casa nuova le possiamo unire le librerie?” risponderete ancora una volta con un risolutissimo NO. Le librerie no. Le librerie non si toccano, non si uniscono, non si ingarbugliano. Zero. Né ora, né mai.
Ottone von Testimonial, lo Zoolander del mondo felino.
Il sogno di una vita.
Un’utopia che diventa realtà.
Un miracolo.
Un evento di portata interplanetaria.
Giuro, sono commossa. E vorrei anche un po’ piangere. Vorrei piangere tantissimo perché il mio gatto – lo stesso felino che mi ha squartato innumerevoli carichini del telefono, che ha devastato ogni pianta mai entrata in casa, che ha abbattuto alberi di Natale e sfondato vasi di vetro giganti, sconvolgendo la mia esistenza con potentissimi tifoni a base di palle di pelo -, il mio gatto – Ottone von Accidenti, flagello poffoso delle costellazioni –è diventato testimonial Gourmet.
MA VI RENDETE CONTO.
Dopo aver passato quasi tre anni a nutrirlo con considerevoli quantità di Gourmet Perle – avvincente ammasso di proteiniche ciccionate tritate, che lui ama con tutta l’anima (anche più di quanto mai amerà noialtri) -, la Gourmet si è accorta di Ottone von Accidenti. Proprio loro. Quelli che fanno le pubblicità con questi gatti bianchi pettinatissimi, gonfi come nuvole, eleganti ed estremamente garbati. Gatti leggiadri, che non si trascinano i pezzi di tonno in soggiorno e che hanno capito come si usa la porticina per uscire sul balcone. Gatti che sanno leggere in latino e attraversano con la massima serenità immense distese – minate – ricoperte di soprammobili in fine porcellana dipinta a mano. Gatti che suonano l’arpa e declamano versi di Catullo al sorgere del sole. Ottone, al sorgere del sole, ci corre fortissimo sulla pancia, svegliandoci di soprassalto in preda ai terrori più imprevedibili. E pesa sette chili.
Nonostante questi inconvenienti comportamentali – in fondo è ancora un felino adolescente… e temiamo che presto ci chiederà il motorino, oltre al permesso di tatuarsi le gattine nude sul petto -, Ottone è una creatura quasi celestiale. E proprio perché è un irrecuperabile e tenerissimo imbecille. Date le premesse, ho affrontato l’unboxing dello scatolozzo di Gourmet Soup – il nuovo cibino per gatti che ci hanno adorabilmente chiesto di collaudare – con una certa apprensione. E se gli fa schifo? Se si ritrae terrorizzato? E se non dimostra un sufficiente entusiasmo? Mille paranoie. Per niente.
Un video pubblicato da Francesca Crescentini (@tegamini) in data:
Un luminoso successo. Una voracità senza pari. Mille linguine rosa che guizzano felici. Fortissime miagolate di apprezzamento – volevo trovare il modo di aggiungere dell’audio (una di quelle musichette felici tutte trillose), ma un po’ non sono in grado e un po’ mi spiaceva coprire i versi di Ottone. È come vivere con uno di quei giocattoli che fanno SQUIK quando li schiacci. Solo che lui si schiaccia da solo. Ogni tre minuti. Insomma, Gourmet Soup è Ottone-approved. E, a quanto pare, è in ottima compagnia. Gourmet – ho scoperto – ha una sezione sul sito piena zeppa di gatti che si abbioccano felici dopo aver assaltato una ciotola dei loro mangiarini. Noi, ho già deciso, contribuiremo con questo impagabile ritratto. Ottone von Testimonial, in modalità FOCA MONACA.
Perché un gatto a pancia all’aria vale più di mille parole.
Grazie, valorosi produttori di cibo felino. Ci siamo divertiti un sacco, abbiamo imparato come si montano i video – Steven Spielberg, stiamo arrivando – e abbiamo anche scoperto che, quando si tratta di buttarla sulla telegenia, Ottone è molto più efficace di me. Ottone è nato per essere scandalosamenteavvenente, adorabile e tondeggiante. Beato lui. E anche buon per me. Con tutti i brodini-mangiarini che c’erano nella scatola, non dovrò più frequentare la corsia del cibo per animali per almeno un mese. Dopo, però, sarò per sempre condannata a tornare a casa con tonnellate di Gourmet Soup. Tonnellate. Montagne. Cordigliere. Continenti.
Per sempre.
Un tratto di costa disabitato da trent’anni.
Un confine invisibile che delimita una zona dove la natura è tornata a regnare indisturbata, generando un’anomalia capace di sovvertire le leggi della materia, del tempo e del ricordo.
Un’organizzazione governativa top-secret.
Quattro donne – una biologa, una psicologa, un’antropologa e una topografa – pronte a lasciare il “nostro” mondo per decifrare definitivamente il mistero dell’AreaX – nonostante il fallimento delle dodici spedizioni precedenti.
Un faro.
Un tunnel.
E voi lettori, che vi prenderete proprio benissimo.
Per questo libro ho provato un amore istantaneo. Ne ho sentito parlare per la prima volta in casa editrice, lo scorso anno. C’è una riunione, ad un certo punto, che serve a spiegare a tutti quanti che libri usciranno in un certo periodo. Arrivano gli editor, distribuiscono un mucchio di fogli di carta e raccontano – a quelli che fanno un lavoro decisamente meno bello del loro – che cosa vogliono pubblicare. Sulla Trilogia dell’AreaX di JeffVanderMeer si sono dovuti impegnare un casino. Un po’ perché VanderMeer, con la sua sterminata produzione di romanzi fantasy e fantascientifici, non è proprio un classico personaggio da Supercoralli, e un po’ perché la Trilogia è, senza dubbio, un serpeggiante oggetto non identificato. Vivo. Anzi, mutante. Nei mesi successivi, un po’ alla volta, mi sono letta tutti e tre i romanzi, stupendomi moltissimo per la costruzione icredibilmente precisa, per le complicatissime e grandiose stratificazioni della narrazione, per i millemila piani temporali e per la vasta e diffusa stramberia del mistero che mi ero trovata ad esplorare.
L’edizione americana della Trilogia. Mi sembrava sufficientemente arrogante, ma ancora non avevo visto il Supercorallo.
Sono proprio superfelice, dunque, che Annientamento sia finalmente arrivato in libreria, devastando le gabbie grafiche einaudiane con un bombardamento di stelle marine fosforescenti, piante striscianti, conigli bianchi e faldoni pieni zeppi di documenti segreti. Il primo volume della Trilogia è uscito questa settimana, mentre Autorità e Accettazione si potranno leggere a giugno e a settembre. Non sono abbastanza colta per lanciarmi in dissertazioni sul New Weird– genere ibrido “inventato” da VanderMeer medesimo – o per produrre una saggia carrellata di illustri paragoni letterari, ma posso provare a trasmettervi tutto lo stupore e la gioia che ho provato nel trovarmi davanti a una storia così profondamente bizzarra e tentacolare. Annientamento è un romanzo fatto di metamorfosi inspiegabili e, allo stesso tempo, perfettamente plausibili – almeno all’interno di un mondo naturale che fagocita e “digerisce” tutto quello che incontra. È un romanzo in cui il senso di minaccia è costante, quasi come il bisogno fortissimo di scoprire la verità. È un libro in cui ogni personaggio diventa parte integrante del grande enigma dell’AreaX, dove ogni elemento – anche il più comune – diventa qualcosa di “altro”, incomprensibile e lontanissimo. Vi imbatterete in condizionamenti psicologici, menzogne, scienziati quasi pazzi, mariti perduti, taccuini e costruzioni sotterranee che compaiono all’improvviso sulla mappa. VanderMeer, particolare dopo particolare, costruisce un intero mondo, governato da leggi complesse e destinato a stravolgere la realtà che conosciamo.
Cioè, mica bricioline.
Le copertine dei tre romanzi – tutti tradotti da CristianaMennella – sono state magicamente disegnate da LorenzoCeccotti. Se volete sentire che lavoraccio è stato, qua c’è il video-discorsone che Lorenzo ha preparato per me e per gli altri fortunati blogger e giornalisti gitanti (più Michela Murgia) che si sono precipitati alla presentazione della Trilogia in casa editrice, con tanto di Jeff VanderMeer (sommerso da gatti incredibilmente affettuosi ed espansivi) in collegamento Skype.
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Avevamo un maxischermo, milioni di cose interessanti da ascoltare e tutti i comfort possibili e immaginabili, ma uno dei momenti più memorabili ci è stato regalato dagli Annali della Storia d’Italia, trasformati in un versatile e sapiente tavolino.
Se, invece, la faccenda del PVC trasparente vi ha dato dei pensieri e non siete troppo sicuri di aver capito bene, non vi resta che dare un’occhiata ad Annientamento. A denudarvelo ci ho pensato io.
Per concludere – e per facilitare il vostro avvicinamento all’Area X, mentre aspettiamo che la Trilogia arrivi al cinema (come ci ha anticipato il buon VanderMeer) – mi sono sentita in dovere di compilare una breve lista di tutto quello che potrebbe spaventarvi a morte dopo aver terminato la lettura di Annientamento:
– i delfini
– i bruchi
– i vasi di fiori e la vegetazione nel suo complesso
– i vostri amici che han studiato psicologia e vi rivelano che l’ipnosi è una roba interessantissima
– il vostro analista
– le agende Moleskine
– la gente che grida e si lamenta (soprattutto se non potete vederla)
– la predica in chiesa (se già non vi fa paura)
– la burocrazia
– X-Files
– il giardiniere
– i funghi
– le spore
– il muschio
– le pareti umide
– la muffa
– i fari abbandonati
– il direttore generale del posto dove lavorate
– i sotterranei
– le scale
– l’orizzonte
– le grandi distese d’acqua
– tutto quello che al mondo c’è di fosforescente.
Spassatevela, caroni. E non preoccupatevi troppo: finché la spia rossa sul vostro scatolino non si accende, siete al sicuro.
A Parigi, si sa, c’è Chanel che ci tiene a fare bella figura. Un anno sì e l’altro pure, Chanel s’inventa la sfilatona a tema. Han fatto il supermercato, han fatto l’iceberg gigante e, stavolta, c’era la brasserie. Modelle che si bevono le tazzette di tè, Anna Wintour con un tovagliolo sulle ginocchia, camerieri col grembiulone. Il supermercato, devo ammetterlo, ci ha regalato momenti bellissimi. Alla fine della sfilata, giornaliste e fashion blogger si sono avventate sugli scaffali finti per fottere a Karl Lagerfeld i detersivi di scena. C’era di tutto. Prosciutti Chanel, formaggini Chanel, cereali Chanel. La sicurezza, ad un certo punto, è dovuta intervenire sparando sulla folla un sedici tonnellate buone di lacrimogeni Chanel. La gatta Choupette, nel frattempo, ordinava al suo maggiordomo personale un’altro chupito di latte d’asina.
E Valentino?
Mentre personaggi improbabili cercavano di portarsi a casa la cartaigienica Chanel, da Valentino si trovavano modi per far stare l’intero sistema solare su una gonna. Ci sono voluti anni, ma questa gonnagalattica sono addirittura riusciti a finirla. C’è un ricamo per ogni stella del cielo. E mai nell’universo ricapiterà una simile meraviglia.
E oggi, con il garbo dell’arte e la grazia di una principessa che sconfigge la tisi, Valentino ha fatto sfilare Derek Zoolander e Hansel. Come se fosse la cosa più normale del mondo. Iperventiliamo insieme.
Ora, questa roba non l’ho messa qui perché avevo voglia di fare dell’informazione. Lo sapete già tutti che l’anno prossimo esce Zoolander 2 (febbraio, amici, febbraio), che lo girano a Roma, che Mugatu ha inventato la cravatta a tastiera e che questo edificio deve essere almeno due volte più grande. L’ho messa qui perché non sapevo più come contenere la mia gioia. Anche perché i secoli passano e i manisti invecchiano, ma Zoolander non ha ancora imparato a girare a sinistra.
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Applausi e bravi tutti. Le meta-cose mi fanno impazzire. Un po’ come il maglione di Mugatu che desidero da ormai due lustri. Se conoscete una sartina che abbia voglia di fabbricarmene una replica, sapete dove trovarmi. Vi ripagherò con un Orange-Mocha-Frappuccino. E due galloni di benzina.
E ricordate sempre: siete dei sirenetti.
E ciao Chanel, ciao. Tieniti pure le tue baguette.
E grazie, Ben Stiller. Ci hai finalmente dato retta.
Amore del Cuore. Eh. C’è una roba che non ho mai capito. ..ma in che ambito?
Jurassic Park. Ah, ok. Tipo? Tipo la faccenda del tirannosauro guercio. Ogni volta che c’è in giro un tirannosauro, il professor Grant tappa la bocca di un nipotino di Hammond a caso e grida – sottovoce, però – STATE FERMI! SE NON CI MUOVIAMO NON CI VEDE! Ma come non vi vede. È un tirannosauro alto sei metri, come fa a non vedervi. È un predatore, vederti è il suo lavoro. Capisco che uno possa anche annusarti tantissimo, ma mi rifiuto di credere che il tirannosauro abbia dominato la terra per milioni di anni senza vedere un cazzo di niente. Da dove viene questa teoria del tirannosauro che non ti può vedere? Chi l’ha deciso? Com’è possibile? Stai forse mettendo in dubbio l’autorevolezza del professor Grant? Anni di ricerche. Di scavi. Di devozione alla paleontologia. Di amore per i velociraptor. Quello che dice il professor Grant è DOGMA! Ma come fanno ad esserne sicuri! Come l’hanno scoperto? Cioè, che cos’hanno trovato del tirannosauro? Il teschio. Un po’ di ossa. Un nido, magari. Dei dentoni. Delle orme. Com’è che, da un testone fossile, si arriva alla certezza dogmatica del tirannosauro che non ti vede se stai fermo? Non ci sono più neanche gli occhi, in quei teschi lì! Che ne sanno. Non capiamo neanche come funzionano le balene, che cosa vogliamo saperne di come ci vedeva il tirannosauro? E le balene sono ancora vive! Nuotano! Fanno quei versi lì a trombone, si spiaggiano. Ecco! Manco capiamo perché le balene si spiaggiano, e siamo qui a fare i fenomeni con i tirannosauri! Avranno studiato gli scheletri, com’erano messi. I branchi. Le prede. Il territorio. La composizione delle ossa. Si capirà dalle dimensioni del cervello, dalla conformazione delle orbite, dalla struttura cranica… Ma chi se ne frega! Non può essere vero! Con tutto il rispetto per la struttura cranica, ma proviamo un attimo a generalizzare… il tirannosauro vede solo la roba che si muove. Cos’è, se c’è un albero non se ne accorge? Come fa con il paesaggio? Mica si sposta. Tirannosauri che sbattono contro le montagne, che inciampano nei massi, che si sfracellano contro le piante. Tirannosauri che non capiscono dove si trovano, che vagano ciechi in una pianura desolata agitando forsennatamente le braccine! Ma è una solenne stronzata! È questo che vogliono farci credere? Io mi rifiuto categoricamente di ritenere anche solo accettabile questa- Stai tranquilla, va tutto bene. Non preoccuparti. Vado a fare una camomilla…
Amore del Cuore? Amore! Ciao! Sono tornata! Mi scappa la pipì! Aspetta che vado in bagno, così poi ti racconto tutto! Ma dov’è il gatto? OTTONE! OTTONE! Ma sei qui, PATATA! Cosa fai sempre nel bidet? Sembri un castoro gigante! Ti siamo mancati? Hai già mangiato tutte le crocchettine? Amore del Cuore! Che ore sono? Mamma mia, che sonno. Sto per morire. Guarda, sarei tornata prima, ma c’era Gabbia che continuava a fermare venditori ambulanti perché voleva un bastone per farsi i selfie. E loro lì a svuotare lo zaino per farglieli vedere. Uno l’ha tenuto lì mezz’ora, senza comprargli niente, poi. Quando se n’è andato l’ha anche mandata a cagare… insomma, non mi sento di biasimarlo, francamente. Comunque, abbiamo mangiato abbastanza bene. Cioè, l’antipasto era buono, il secondo mica tanto. Un polpettone un po’ molliccio, pesantissimo, prosciuttoso… ti dirò, niente di che. Di antipasto invece ci hanno portato tutti questi fritti super strani, con le verdure, le croccoline, le mozzarellette. Bisognerebbe andarci solo per quei cosi lì. Il posto è carino, anche se hanno quattro tavoli in croce e una scala a chiocciola che un giorno ammazzerà qualcuno. Ah, ma lo sai che quest’estate vogliono prendere la macchina e andarsene in giro tutte insieme? E mi hanno sgridata tantissimo perché non abbiamo ancora fatto la festa di inaugurazione della casa. Ma che ansia. Poi c’è la Giorgia che sta cercando un bilocale qua vicino, che vuole avvicinarsi un po’ all’ufficio. Fa tutto schifo, comunque. Catapecchie, ruderi. Robe scrostate. Soppalchi pericolanti. Per carità. Almeno non è capitato solo a noi… è anche vero che tutte le case di merda te le sei sorbite tu, Amore del Cuore. Io ho visto solo quella bella. Comunque, si fanno tutte la manicure col gel. Ma quando ci vanno? Io sono qua che manco riesco a smaltarmi le unghie in casa, figurati. Che poi te non lo sai, ma il gel è uno sbattimento cosmico, per fartelo togliere devi andare dalla tizia, che ci vuole un solvente speciale e da sola non puoi mica farlo. Ma che voglia hanno? Ad un certo punto siamo andate in questo posto qua in via Vigevano, che Giovanna è single. Ci siamo guardate un po’ intorno ma non c’era molto materiale. Il problema, secondo me, è che c’è pieno di uomini bassi e incredibilmente pavidi. Non fanno mica come te e Andrea. Nessuno che viene a dirti due cazzate, zero. Ad un certo punto è anche passata una tizia con un cane grosso come una pallina da tennis. Lo teneva in braccio, in una specie di fagottino. Solo che era così piccolo che sembrava una spilla. Non so come facciano a vivere, quei canini nani lì. Ma sanno camminare? In casa nostra durerebbe cinque minuti. Se lo pesti muore. Ah, ho raccontato a tutte che in ufficio abbiamo il cane. Cioè, non è mica il cane di tutti ma… hai capito, te l’ho già spiegato come funziona. E niente, erano molto stupite. Da loro manco gli fanno tenere la tazza per berci il tè al pomeriggio, figuriamoci. Una valle di lacrime. Alla fine, però, non è che sono quella che torna più tardi. Mi rompi tanto le balle, te, ma loro arrivano a casa alle nove e passa tutti i giorni. Cioè, come se io ti sgridassi perché la sera fai le copertine! Mi sono mai risentita? Ma va! Ah, mi hanno detto che c’è un sarto bravissimo, qua dietro. Ci ha portato un po’ di roba la Cri ed era molto contenta. Forse riesce anche a metterti a posto i pantaloni, quei jeans lì con lo strappo nel sottopalla. Dobbiamo esplorarlo di più, questo quartiere. Non sappiamo una mazza di niente. Dove eravamo prima sapevamo cosa fare e c’erano un milione di market cinesi sempre aperti… qua un po’ meno, ma se non ci applichiamo non è che possiamo migliorare la situazione. Documentiamoci, facciamo dei giri, guardiamoci intorno. E basta, mi sono divertita. I cocktail buoni, comunque, non ci sono più da nessuna parte. Un litro di benzina, mi hanno dato. Che schifo, cazzo. E te? Com’è andata? Chi c’era? Dove siete stati? Cos’avete fatto? Che ti hanno detto?
Ma no, niente. Tutto a posto. Ho mangiato un casino.
Benvenuti, questo è il Vedileggi. La rubrica che esiste – suo malgrado – per raccontarvi che cosa ho letto e visto nel mese X. Questo mese – e solo per questo mese -, X = febbraio. Grande Giove! Sembrerebbe una gloriosa rottura di balle… e invece no. Perché ci sono le GIF animate.
***
Lucy
Sono dieci minuti che provo a scrivere qualcosa su questo film di Luc Besson, ma non so da che parte cominciare. Sul serio, il disagio mi strangola. Atteniamoci dunque ai fatti. Scarlett Johansson, sfigurata da un infelice taglio di capelli, viene rapita da un pingue gangster asiatico e, dopo un intervento chirurgico incredibilmente rapido, si ritrova con la pancia imbottita di bizzarri sacchetti di droga. A questo punto, Scarlett-Tacchino-Ripieno-Johansson viene presa a calci da un carceriere poco lungimirante e, grazie a una qualche diavoleria cellular-metabolico-molecolare, la droga comincia massicciamente a fondersi con il suo nobile organismo, trasformandola in una specie di Gesù telecinetico che tutto vede, tutto sa e tutto può. Il domandone generale è il seguente: che cosa accadrebbe se usassimo il 100% delle nostre facoltà cerebrali? Che problema c’è, chiediamolo a Morgan Freeman. Il distinto signor Freeman, ancora una volta, viene chiamato ad interpretale uno dei tre ruoli che ha passato la vita a perfezionare: la divinità, il saggio, il presidente degli Stati Uniti. Qua, visto che fa il genetista – o qualcosa del genere – possiamo farlo passare per saggio. Senza riuscire a nascondere il proprio imbarazzo – ogni volta che dice qualcosa, infatti, Besson ci attacca dietro degli improbabili spezzoni di documentario pieni di mufloni che crepano, coccodrilli che nuotano e mangrovie che crescono -, Morgan Freeman accoglie Scarlett-Gesù nel suo laboratorio, assistendo alla sua trasformazione finale in un mucchio di nafta semovente.
Ma quindi il senso della vita…?
Ma allora l’umanità dovrebbe…?
Cioè ma cosa possiamo imparare da questa strabiliante metafora di…?
Ma noi…?
Ma allora la scienza…?
Non ci sarà dunque mai dato sapere come fare a…?
…io non lo so. Sarà che uso una porzione troppo esigua del mio cervello.
E un gigantesco WTF solcò il cielo.
***
Nymphomaniac II
Cosa facevamo, ne guardavamo solo un pezzo? Giammai!
Mi ha messo una tristezza unica, questo secondo capitolo. E non tanto perché la povera Jo sia una che si diverte a farsi prendere a scudisciate da Billy Elliot, macché, è il finale. Ci sono rimasta male. Malissimo. Disperazione e scoramento. Non perché sia un “brutto” finale – anzi, è assolutamente glorioso -, ma perché è proprio uno sputo in faccia a tutto quello che di buono e bello ti aspetteresti dall’umanità. Una tempesta di cacca che investe il bucato bianco di vostra nonna. Una slavina che travolge una capanna piena di gattini e speranza. Il cavallo Artax che affonda nelle sabbie mobili, mentre il Nulla vi fa dei pernacchioni.
Aaaaah! Ma andatevene tutti quanti a quel paese!
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Marco Peano, L’invenzione della madre (Minimum Fax)
https://instagram.com/p/ynLsmUFdDq
Quando è uscito questo libro, l’intera galassia ha esclamato ERA ORA, PERBACCO! Non si sa perché, ma tutti sanno – da sempre – che Marco Peano è uno scrittore. Dev’essere l’andatura. La roba strana che ti racconta. O l’incredibile coerenza che lo spinge a vestirsi sempre e solo di nero. O Michele Mari che vuole essere seguito solo da lui, quando gli esce un Supercorallo nuovo. Non so, se si fida Michele Mari, chi siamo noi per dubitare. Insomma, si sapeva già, che Marco Peano avrebbe scritto qualcosa, prima o poi. E finalmente abbiamo L’invenzione della madre.
Non so cosa mi aspettavo, da questo libro. Quando una persona che conosci – anche solo un pochino – scrive qualcosa, si cerca di fare un passo indietro e di non partire prevenuti. Ti viene anche un po’ d’ansia… e se poi è una scemenza? E se non lo capisco? Insomma, se una persona che conosci scrive un libro, senti il bisogno di creare una piccola distanza, e di fartelo piacere. Ecco, L’invenzione della madre vi toglierà dall’imbarazzo. Una storia così non ti può piacere. Almeno non come potrebbe garbarti una tortina tutta glassatina, fruttatina e zuccheratina. L’invenzione dellamadre, tanto per farvi capire, è un po’ come pigliare uno che soffre di vertigini e appenderlo a un viadotto. È un libro durissimo, indigesto, doloroso. Vi verrà voglia di sbudellarvi in Piazza Duomo, coi piccioni che vi becchettano le palle degli occhi. Un libro capace di conciarvi in una maniera così miserabile è raro e prezioso. E sono felice che Peano sia finalmente riuscito a farcelo leggere.
Tié.
***
Antonio Riccardi, Cosmo più servizi (Sellerio)
https://instagram.com/p/y4ZDg9ldGg
In questo volumino troverete incresciosi segreti di famiglia, animali impagliati – a Parigi, mica a Buccinasco -, giardini congelati, pietrificatori di materia viva, diorami, montagne di gazzelle artisticamente carbonizzate, cimiteri monumentali e vecchie zie veramente devotissime. Questa raccolta di saggi, in pratica, è una puntata di Mistero… solo che non c’è Pinketts che ronfa su una seggiola. Ci sono, invece, curiosità super leggiadre e meraviglie nascoste, ricordi che si mescolano a pomeriggi passati al museo, cose antiche – spesso decomposte – e installazioni iper tecnologiche, libri, bellezza e carabattole.
Gioia, amici. Gioia.
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Birdman
Amore del Cuore, ma hai visto? Sembra un unico piano sequenza! E quanto è stronzo Edward Norton? Cioè, è proprio Edward Norton! Anche Michael Keaton è lì che racconta la sua vita! E c’è addirittura Carver! E gli occhi di Emma Stone SONO SEMPRE PIÙ GROSSI! Come diavolo è possibile! Non ci credo, la batteria che ci rintrona da mezz’ora? È quel tizio lì! …ma dici che vola veramente? Che dialoghi interessanti e ingarbugliati… va bene, certe volte parte un pippolone, ma mi sorbisco volentieri anche quello. Cielo, la magia del teatro! La telecinesi! Birdman mi è piaciuto moltissimo. Sarà perché è un po’ un oggetto volante non identificato. Sarà perché è qualcosa di incredibilmente bizzarro e originale. Sarà che è bello quando il cinema, di tanto in tanto, ti spiazza con qualcosa che non ti aspetti. Stupore, amici dei cuccioli. Stupore.
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Better Call Saul – 1×01 + 1×02
Orfani di Breaking Bad, accorrete – ma non troppo velocmente! Saul Goodman è venuto a soccorrerci… anzi, Saul Goodman e una valanga di altra gente in vena di divertirci con assurdi cameoS. Cameo ce l’ha un plurale? Perché CAMEI mi suona veramente malissimo.
Comunque. Better Call Saul comincia in bianco e nero. All’insegna della mestizia, del fallimento e della pasticceria industriale. E non è che la vita del nostro eroe, prima di diventare effettivamente il Saul Goodman che conosciamo, sia poi tutta questa gran festa. Scopriremo che, da giovincello, si guadagnava da vivere spaccandosi le gambe sul ghiaccio. Di proposito. Ci troveremo di fronte ad abissi di squallore senza fondo, da studenti che si accoppiano con teste mozzate ad uffici-ripostiglio nel retro di deprimenti saloni di bellezza cinesi. Better Call Saul è un mini-festival del grottesco, dell’espediente maldestro e del malinteso. E, no, per ora non è Breaking Bad, ma ho molta voglia di vedere come andrà a finire. Saul, d’altra parte, ha sempre bisogno di un pochino di tempo per carburare. In alto i bicchieroni di caffé.
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Vikings – 1×03 + 1×04
Ve lo dico con sincerità. Vikings lo guardo solo perché sono tutti incredibilmente arroganti, biondi e sbruffoni. E per imparare a farmi le trecce come una vera guerriera. Nemmeno nel diamine di Trono di Spade ci sono delle pettinature così gloriose, improbabili e barocche. Lagertha, conducimi dal tuo parrucchiere!
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Italiano medio
Maccio Capatonda ha allietato gli anni migliori della mia vita. Una sera l’ho pure incontrato nel posto meno avvincente del mondo. A Piacenza c’è questo locale che si chiama Baciccia. Una specie di cascina trasformata in un serraglio per gli amici della birra. Niente, una sera – come sempre senza senso – siamo andati al Baciccia e ci siamo accorti che, lì in mezzo agli altri esseri umani, c’erano Maccio Capatonda e Rupert Sciamenna. Perché erano lì? Che cosa speravano di trovarci? Da dove arrivavano? Avevano già fatto visita al sudicio paninaro in fondo alla strada? Che ne pensavano della mia città natale? Ci sarebbero mai tornati? Chi lo sa. Ci siamo fatti una foto insieme e tanti saluti.
Perdonatemi, ma ci tenevo proprio a raccontarlo. Tutti hanno un aneddoto insignificante, da qualche parte. Se c’è un VIP, poi, ancora meglio. Per dire, MADRE ripete da trent’anni che, una volta, Ornella Muti mi ha presa in braccio. Anche lì, nessuno ha mai capito perché. Ornella, ti prego, spiegamelo.
Dicevamo?
Ah.
Dicevamo che Maccio Capatonda è stato molto importante per me. Ho passato settimane bianche a intonare i lamenti di Mariottide in seggiovia. Ho cercato invano di scoprire che faccia avesse il piccolo Riccardino Fuffolo. Tutt’ora, alla bisogna, dichiaro di avere i pugni nelle mani. E, ogni volta che vedo un medico, la prima cosa che vorrei fare è strillargli DOTTORE CHIAMI UN DOTTORE. Maccio Capatonda è un genio. È il maestro indiscusso della trollaggine. Ed è il capo degli zarri, anche se riesce a farsi passare per un acuto e illuminato mago della satira.
Ma chi se ne importa.
SCOPARE!
Per me, alla fin fine, Italiano medio è soprattutto un collage di antiche felicità. Certo, fa ridere. Chiaro, si potrebbe addirittura sostenere che smascheri con sagacia e impareggiabile acume ogni bruttura della nostra società, dal menefreghismo dilagante all’ignoranza più gretta e distruttiva. Io, però, mi diverto un sacco anche a guardare cinque minuti di Anna Pannocchia in tutù rosa – e rasta – che balla in un corridoio.
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Lehman Trilogy (Piccolo Teatro)
Avevo vicino questa signora fastidiosa. La classica signora con il sedere ripieno di suricati, quelle che vanno a teatro perché così possono dire che sono intelligenti, quelle che fanno SHHHH se qualcuno osa ridere un po’ più forte degli altri e che si stizziscono se, accidentalmente, la codina della tua sciarpa finisce per invadere – di massimo un centimetro – il loro spazio vitale. Ebbene, io – che passo le giornate a guardare le lontre neonate su internet – ho spavaldamente affrontato cinque ore di spettacolo senza battere ciglio. La signora, invece, si è ingloriosamente addormentata a metà del primo atto, facendomi incazzare come una bestia. Ma che storia è! Vieni qua a fare la paladina delle arti, ci rompi i coglioni per un colpo di tosse e a “Lo spettacolo sta per iniziare. Si prega di silenziare i cellulari” commenti “Ah, sarebbe anche ora…”, e poi ti addormenti come una mondina devastata dagli stenti e dalla disidratazione. Non sai dove buttare i tuoi 40€? Dalli a me, invece di comprarti i biglietti di Lehman Trilogy! Maledetta!
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Sempre alla fine del primo atto – della durata di due ore e trentacinque minuti -, i vicini di Amore del Cuore ci hanno deliziato con la seguente conversazione.
Ah, ma no, il Giangi tirerà su duecentomila l’anno.
Vabé, capirai.
Eh. Ma ti pare?
Ma guarda te.
Senti, però. Ti chiedo una roba, che non so mica se ho capito.
Dimmi, ciccia.
Ma questi Lehman qua.
Eh.
Sono quelli della Lehman Brothers, no? Che magari mi sono persa qualcosa, non lo so.
Sono loro, ciccia.
Ah, ecco.
Sono quelli che hanno causato la crisi!
…merde!
Luca Ronconi, grazie al cielo, non è stato costretto ad assistere a questo scempio. Comunque, Lehman Trilogy viene da un libretto di Stefano Massini (che potete comodamente leggervi anche nella Collezione di Teatro made in Einaudi). E noi ce lo siamo visto al Piccolo (QUELLO IN VIA DANTE, PER CARITÀ, NON COMMETTETE IL NOSTRO ERRORE), con grandissima felicità. La storia è quella della famiglia Lehman, dei tre fratelli bavaresi che, arrivati in America alla metà dell’Ottocento, sono riusciti a costruire dal nulla – ma dal nulla vero – uno dei colossi della finanza moderna. È una storia di usanze, religione, origini, sangue e tradizioni. E di soldi, scambi e controllo. Meravigliosamente recitato, saggiamente minimalista e assolutamente ipnotico, Lehman Trilogy è istruttivo, affascinante e per nulla pomposone. Il capitalismo spiegato a chi non sa usare un foglio Excel! E, cosa non da poco, non dovete per forza vedervelo in cinque ore filate. Lo fanno anche spezzettato in due. Chiedete al Giangi se vi trova un paio di biglietti. Sempre che il crollo della Lehman non l’abbia mandato in rovina…
Visto che mi stavano per scadere tutti i punti Cartafreccia, siamo andati a Roma.
Visto che di punti ne avevo un botto, abbiamo viaggiato in Premium.
La Premium è uguale alla Standard, solo che i sedili sono in finta pelle invece che in tessutone forforoso. E ti portano i refreshments. Ho bevuto un bicchiere di Berlucchi tiepido e sgranocchiato un sacchetto di noccioline, come un vecchio macaco.
Amore del Cuore ha mangiato dei tramezzini mollicci, ottenuti non senza qualche sforzo dalle macchinette all’inizio del binario. Io l’ho preso in giro, ma poi sono stata costretta a soccombere. Alla seconda ora di ritardo accumulata dal treno, l’ho mandato al bar a cercare dei viveri. È tornato con un abominio ripieno di gamberi e salsa tonnata. In un sacchetto complicatissimo che faceva finta di essere un bucolico cestino della merenda.
I tramezzini confezionati, si sa, ti fanno puzzare le mani. E i b&b super-economici, come è anche giusto, non hanno sempre qualcuno pronto ad accoglierti… soprattutto se arrivi a notte fonda.
Salve, sono sempre Francesca. Guardi, siamo ripartiti da poco, ma il treno è parecchio in ritardo. Forse arriviamo alle undici e mezza. Riesce ad aspettarci?
Salve, ancora io. Ci siamo bloccati a Firenze. La vocina dice che siamo incolonnati dietro ad altri treni per problemi alla linea. Il ritardo è di duecentodieci minuti. La prego, RESTI LI’. Sono un signora, non posso dormire per strada.
La neve non è una scusa, Trenitalia. Che si sappia – soprattutto quando scopri che la tua destinazione non è stata minimamente interessata dall’intemperia.
Nonostante l’ansia, i torcimenti di mani e le piaghe da decubito, siamo arrivati più o meno indenni.
Il nostro b&b, si è poi scoperto, stava proprio sopra a un cineminoporno dall’incredibile carica reazionaria.
Ma Amore del Cuore, c’è scritto SEXY MOVIES!
…la prossima volta prenotiamo insieme. Anche se è una sorpresa per me.
Roma, grazie al cielo, è un posto che si può girare anche in Enjoy. Abbiamo dunque trascorso un proficuo e piacevole weekend senza doverci avvalere nemmeno una volta dei mezzi pubblici.
Una cosa buffa di Roma è il mantostradale. Roma è un posto veramente sconnesso. Non è una città, è una sovrapposizione infinita di pavimenti che fanno del loro meglio per non mandarsi reciprocamente a cagare.
Una delle cose più belle di Roma, poi, è la luce. La qualità della luce è importante, quando bisogna decidere se una città ci piace. A Roma, anche se c’è nuvolo, la luce è leggera e calda. Credo dipenda dal colore della pietra. Ci sono un mucchio di meraviglie bianche e arzigogolate che ti rotolano davanti. E ci sono i pini marittimi, che sono degli alberi che ti fanno subito venire in mente le vacanze – se vieni da Milano, almeno. O dal piattume mortifiero della Pianura Padana.
Luce, pini marittimi, monumenti, angeli giganti ogni sei metri!
Roma mi piace un sacco. Anche se ad ogni angolo c’è qualcuno che cerca di venderti un bastone per farti i selfie.
SELFI?
SELFI?
SELFI?
O qualcuno che vuole costringerti a salire su un autobus a due piani.
GIRO MONUMENTI!
SPEAK ENGLISH?
HOP-ON!
Per trovare pace, abbiamo cercato rifugio nei Musei Vaticani.
In Vaticano abbiamo scoperto che c’è gente pagata per gridarti di non fare foto nella Cappella Sistina. E che esistono anche le Guardie Svizzere in stage. Perché ci sono le guardie senior – quelle con l’uniforme sgargiantissima di Michelangelo – e le guardie scalognate che smistano il traffico. Han su anche loro una specie di costume bombato super anacronistico. In blu, però. Senza elmo e senza alabarda spaziale. Dicono ai cardinali dove parcheggiare e fotocopiano le Bibbie.
Anche i souvenir del Vaticano sono bellissimi. Ci sono i magneti con su i Papi. Ci sono i rosari. Gli strofinacci per la cucina. I portachiavi. Gli ombrelletti pieghevoli. Riproduzioni in gesso di ogni statua mai creata dall’ingegno italico – soprattutto capolavori che mai hanno toccato il suolo capitolino.
A livello strettamente ecclesiastico, il volume di gadgetpapali è così distribuito: 60% Papa Francesco, 30% SAN Giovanni Paolo II, 9% Giovanni XXIII, 1% Benedetto XVI (per la nicchia dei fan cattolici di Star Wars).
I calendari sono una cosa a parte.
Sui calendari c’è una segmentazione straordinaria. C’è il calendario dei gatti di Roma. Quello con le Sibille della Cappella Sistina. E c’è anche il calendario dei preti ammiccanti. Non l’ho sfogliato, ma in copertina c’è una specie di modello di Dolce & Gabbana con l’abito talare e lo sguardo birichino. Dovevamo comprarlo solo per capire che storia era, ma siamo degli stupidi.
Tra i grandi rimpianti della gita – oltre al calendario per casalinghe devote che mai hanno dimenticato Uccelli di rovo -, c’è anche la mega-colombasanta. La libreria San Paolo del Vaticano ha in vetrina una meraviglia indescrivibile. C’è questa colomba, grande come una gallina e scolpita con immensa maestria, che si libra ad ali spiegate. Dalla schiena della colomba-gallina si sprigionano dei maestosi raggi dorati tutti dentellati, fotonici e riflettenti. Sbucciate la colomba santa da tutto il suo complicato simbolismo e otterrete uno splendido oggetto d’arredamento. Sul serio, volevo comprarmi la colomba santa. La volevo appendere in salotto. Come la storia ci insegna, però, le reliquie e gli aggeggi di Dio non te li regalano mica. La colomba-gallina costava 320 euro. E l’abbiamo lasciata lì. Piangendo forte.
Al che, ci siamo consolati con la merenda. E con un’attività utile: debellare il mal di piedi di Amore del Cuore. Mio marito, il sempre ottimista, ha optato per il decoro sin dalla partenza. Non s’è messo le Nike Air con sotto il cuscinettone. No. Lui ha camminato per tutta Roma con le Timberland tarocche, riesumate dal mucchio delle calzature che già dieci anni fa aveva deciso di non mettersi mai più. Abbiamo dunque dedicato un’ora buona a scegliere un paio di scarpe da ginnastica che lo salvassero dalle vesciche. Le Nike costano un casino. Le Adidas erano tristi. Le Diadora pseudo-vintage, invece, sono piene di dignità.
Dopo aver risolto l’emergenza, ci siamo agilmente librati verso il regno dell’aperitivo. RIONE Monti. Ciottoli, salite, edera secca, stradine e sensi unici incomprensibili. Mi hanno spiegato che Monti è un rione, non un quartiere. E ha un suo gran bel perché. C’era anche un mercatino hipster con le collane a forma di dinosauro. Ci siamo seduti su una sbarra di ferro in una piazzetta, in mezzo a giovani autoctoni estremamente stilosi e sparuti drappelli di tifosi irlandesi in maniche corte. Quel giorno lì c’era il Sei Nazioni, mica bruschette.
Dopo l’aperitivo, ci siamo spostati a Testaccio, dove sembra ci siano tutti i ristoranti grezzi di Roma. Abbiamo messo giù la Enjoy in un posto loschissimo, demolendo le certezze del parcheggiatoreabusivo che dominava quel tratto di strada.
BUONASERA, EH. DOVE PENSATE DI ANDARE?
Parcheggiatore, ci dispiace tanto, ma da noi non avrai un soldo. Vedi quella macchina lì? È una Enjoy. Vuol dire che è del comune, tipo. Non ti darò del danaro per impedirti di ammaccare orrendamente un’auto non mia. Quindi salutaci pure con aggressività e tracotanza, ma non ci farai cambiare idea. Sfrisala pure, sai che me ne frega. Sfrisa l’Enjoy, accomodati. E salutaci tanto tua sorella.
Per celebrare la vittoria sul potere intimidatorio della delinquenza, ci siamo ingozzati di carbonara e ci siamo fatti lasciare il menù, perché era meglio di un romanzo da top10 Nielsen.
Fuori dal ristorante c’era un gatto grigio molto simpatico. Purtroppo per lui, non avevo in tasca delle polpette al sugo.
A Trastevere ho visto una delle cose più strabilianti di sempre. Una MONTAGNA di sampietrini. Ci siamo messi lì – con le scarpe vecchie di Amore del Cuore in un sacchetto di carta e un gin tonic da studenti dallo stomaco di ferro in mano – ad ammirare questo cumulo incomprensibile di pietra smossa. Era alto tre metri buoni. Poeticissimo e solitario.
E comunque, anche a Roma fa freddo.
SELFI?
Un’altra roba che ho imparato a Roma è come funziona il Pantheon. Il Pantheon – oltre ad essere un posto dove si seppellisce la gente importante – è anche un edificio con un buco. La cupola ha questo foro in cima, largo ben nove metri. Come ogni bambina piccola, mi sono subito domandata MA CHE COSA SUCCEDE QUANDO PIOVE?
Amici, c’è un cartello che lo spiega. Non è bellissimo? Dopo un’infanzia trascorsa a sentirci rispondere perché sì, trovare un cartello capace di prenderci per mano e scacciare l’ignoranza è qualcosa di utile e semplicemente miracoloso.
Niente, capita così. Il pavimento del Pantheon, proprio sotto all’apertura circolare, ha ben 22 buchi per far defluire l’acqua.
Tutto lì.
E viva il re.
Non mi ricordavo, invece, che il Mosè andasse a gettoni. La chiesa di San Pietro in Vincoli è un luogo di raro interesse strategico, ma non è che sia il massino dell’allegria. Sobria. Scura. Quasi lugubre. Solo che, magimagia, in un angolo c’è la tomba di quel gran filibustiere di Giulio II, presidiata da una delle sculture più arroganti mai scolpite da Michelangelo. In quella chiesa lì c’è così buio, però, che per far riemergere il Mosè dalle tenebre devi buttare un euro in una macchinetta. La luce si accende e, finalmente, si può gridare PERCHÉ NON PARLI alla statua giusta. Sgomitando.
Chiedendoci come sia possibile impedire alla gente di scavallare quando c’è qualche concerto/manifestazione/HAPPENING/corsa delle bighe al Circo Massimo, poi, ci siamo arrampicati fino al Giardino degli Aranci. Ai piedi della collinetta c’era un raduno di Maggioloni vintage. In cima alla collinetta, invece, tra roseti e siepi d’ortica, c’era una signora che suonava l’arpa. I piccioni del Giardino degli Aranci sono i più vitaminici d’Italia, i gatti sono floridi e c’è pieno di coppiette che limonano.
Sempre là per aria, in una piazza piena di sole, c’è l’attrazione più surreale di Roma. È il buco della serratura del quartier generale dei Cavalieri di Malta. Ci si avvicina a questo portone verde, si guarda nel buco della serratura e – PERDIANA – appare il cupolone di San Pietro, in fondo a una galleria alberata. Non ho idea di tutte le faccende ottiche che ci siano dietro, ma l’effetto è un po’ quello della camera oscura. O di un cannocchiale comprato a Diagon Alley.
SELFI?
No, grazie. Preferiamo la carbonara. Fa niente se l’abbiamo mangiata anche ieri sera. E preferiamo anche stare a sentire i due magnifici ottantenni del tavolo accanto che complottano per farsi offrire un altro giro di grappette digestive senza fare la figura dei morti di fame.
Amore del Cuore, bisogna dirlo, ha fatto un errore madornale. Ha osato chiedere al cameriere che cosa dovevamo aspettarci dai primi. Le porzioni sono abbondanti o conviene pigliarne direttamente una in più? Offesissimo, il signor cameriere non l’ha più preso in considerazione per l’intera durata del pranzo. Siamo quasi morti di sete. E ben ci stava. Entriamo da Perilli e mettiamo in discussione le porzioni.
Per umiliarlo definitivamente – e peggiorare il nostro già considerevole livello di disidratazione – l’incorruttibile cameriere ha sbattuto davanti al mio sgomento consorte una ZUPPIERA di rigatoni. (Lo sappiamo, lì funziona così… ma in quel momento mi è sembrato un gesto di immensa coerenza).
Lo perdoni, distinto cameriere. Non è cattivo, è solo un po’ milanese.
Visto che non entravamo in un luogo sacro da circa venti minuti, ci siamo coraggiosamente spinti fino a San Giovanni in Laterano, dove i santi fanno i gradassi. San Giovanni in Laterano mi sa che è la mia basilica preferita. È un posto che riesce a far sembrare borioso anche San Bartolomeo, un personaggio così affabile da accettare la morte per scorticamento. I santi di San Giovanni sono dei supereroi, in pratica. Abitano dentro a nicchie ciclopiche, in un gran turbinare di vesti, barbe ricciolute e sopracciglioni aggrottati. Per dire, San Pietro ha in mano delle chiavi grosse come una Smart. L’abside somiglia alla sala del trono di Minas Tirith. L’aquila da compagnia di San Giovanni è un triceratopo… e uno di questi giorni dovrebbe mollargli la caviglia, saltare giù dal piedistallo e spazzare via dalla navata centrale tutte le orripilanti seggiolette di plastica che la infestano.
Presto, che qualcuno organizzi un crossover Marvel-San Giovanni in Laterano!
Nel frattempo, di fronte al Colosseo, minuscole spose cinesi col bolerino di pelliccia sintetica si facevano fotografare in compagnia di un vasto parentado. E gli sbirri suonavano l’inno di Mameli. Il Colosseo è un inferno. L’unico modo per non avere dei bragaloni che pascolano in mezzo alle tue volenterose fotografie è puntare all’immensità del cielo. E lanciarsi coraggiosamente su spigoli sbilenchi e scorci bizzarri che, lì così, non vogliono dire proprio niente.
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Mi spiace dover concludere con tutti questi vigili, ma abbiamo proprio finito. Annichiliti dal torcicollo per aver cercato di ammirare troppo a lungo la volta della Cappella Sistina – la volta è il Sole, noialtri siamo Icaro – e tirandoci dietro dei borsoni sprovvisti di rotelle, ci siamo nuovamente imbarcati su un Frecciarossa. Il maledetto convoglio – ben sapendo che di domenica sera non abbiamo mai una cippa da fare, a parte intristirci – è arrivato in perfetto orario, senza regalarci nemmeno un po’ d’emozione. E no, amici delle rotaie roventi, per le sciagure subite mentre si viaggia con un biglietto-premio non è previsto alcun genere di rimborso.
La prossima volta – perché con Roma non può che esserci una prossima volta, più o meno all’infinito – si va a Rebibbia a cercare il mammut. E si farà il possibile per entrare in San Pietro a esultare sotto le tombe megagalattiche dei papi… quelle un po’ nascoste, immense, contorte. Quelle fatte col marmonero degli incubi. Piene di scheletri, falci giganti e terrori senza nome.
Pepperepé.
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Ringraziamenti
Grazie ad Andrea per aver vegliato su Ottone von Accidenti mentre eravamo a spasso.
Ma Amore del Cuore ti ha pagato le crocchette al salmone? Non esiste che il nostro gatto mangi a spese tue, anche se sei il suo zio preferito.
Grazie ad Alberto, che ha smarrito una tessera del Car2Go per l’emozione di poterci incontrare a Trastevere.
Grazie a Fabiola per le preziose indicazioni da creatura autoctona che sa moltissime cose. Se abbiamo mangiato tutte quelle carbonare è soprattutto merito tuo.
Grazie a Canon per la Powershot G7x che ho finalmente potuto sperimentare per bene – nonostante lo scarso talento. L’avrei fatto prima, ma ho passato le vacanze di Natale all’Ikea. Tutte le foto di questo post (ma così come sono, proprio) vengono dalla strabiliante macchinetta, anche quelle di Instagram.
E grazie a Giuseppe – Salvatore di Tegamini – per averci affettuosamente invitati a vagare insieme. Se non ci siamo visti è solo colpa di Alberto. Come al solito.
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Per chi fosse ancora lì (in attesa della scena post-credits), ecco un gatto.
Sentiti ringraziamenti ad Amore del Cuore per questo banner spaccainternet.
Visto che Steven Soderbergh me l’ha chiesto espressamente – ma proprio di persona, con un cabaret di pasticcini in mano e un ghepardo rosa al guinzaglio -, ho deciso di provarci anch’io. Perché l’idea è quantomai avvincente, nella sua grassa semplicità. Il domandone è il seguente: che cosa hai visto/letto nell’intervallo di tempo X? Valgono i libri, gli spettacoli teatrali, le serie TV, i film, le mostre, i fumetti, le etichette della crema idratante, l’opera, il burlesque e pure gli scontrini dell’Esselunga. Insomma, faccende culturali, ludiche e curiosone. Soderbergh, che non ama pettinare le bambole, la lista la mette insieme una volta l’anno. Io, che ambirei ad aggiungere anche qualche commentino a quello che ho masticato, vorrei provare a sfornare un piccolo papiro mensile, divertendo le folle e seminando il disordine. Il mostruoso esperimento, qua nei Tegamini, si chiamerà Vedileggi. E che il cielo ci protegga.
Provo?
Provo. In rigoroso ordine cronologico. E senza vergogna.
Molto bene.
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Fuori in 60 secondi
Sei sul divano con la sacra copertina di ciniglia, cambi canale a caso e, magimagia, esce il faccione di pietra di Nicolas Cage. In uno dei suoi ruoli più acclamati, poi. Vedi Nicolas Cage e una forza misteriosa ti impedisce di scappare. Nicolas Cage balena sullo schermo – con una certa flemma – e te devi per forza dargli retta. Che facciamo, Amore del Cuore? Cioè, è Fuori in 60 secondi. Dobbiamo guardarlo. È una missione, in pratica… se non lo facciamo, lo scaffale con la nostra sarcastica collezione di DVD di Nicolas Cage ci crollerà in terra. Anzi, cadrà sul gatto e ce lo acciaccherà irrimediabilmente. È proprio una questione di coerenza. E poi c’è anche Angelina Jolie coi rasta fatti col dentifricio. LA VITA.
E niente. Siamo rimasti lì a guardare Fuori in 60 secondi. Felici come gli ultimi imbecilli della Terra.
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The Imitation Game
Durante i primi ventisei minuti di questo film, la mia preoccupazione principale è stata una focaccia al pomodoro. Rovente. Untissima. Impossibile da mangiare al buio. Avevo questa focaccia sulle ginocchia, adagiata sul suo civilissimo cabaret. Nonostante il cabaret, un tovagliolo di carta al collo e pure le posate, sono riuscita a tirarmi addosso di tutto. Litrate di sugna. Pezzi di formaggio. Grasso di balena. Gnomi. Nasi finti. Mentre io lottavo con una focaccia, Benedict Cumberbatch – la lontra più espressiva del mondo – combatteva la sua personale battaglia contro il nazismo, i pregiudizi della società, Nonno Lannister, le parole crociate, le clavicole a punta di Keira Knightley, l’impressionante panza che è spuntata all’improvviso all’autista di Downton Abbey e le continue lamentele di Amore del Cuore – il laureato in storia più pignolo e rompicoglioni di sempre… soprattutto quando gli toccano la Seconda Guerra Mondiale.
Come sottofondo generale – a parte il mio scartocciamento di focaccia e le puntualizzazioni stizzite del mio consorte -, c’erano i vecchi dell’ultima fila, telecronisti mancati. Quando s’è scoperto chi era davvero la spia sovietica, nessuno è stato più in grado di tenerli. Al mio fianco, per peggiorare ulteriormente la situazione, c’erano due fangirl (VECCHISSIME) di Sherlock. Quando il signor Turing s’è messo a correre in braghette corte, hanno praticamente cominciato a strofinarsi sul bracciolo della poltrona, mugolando come scimmie bonobo. E io là con la mia focaccia, troppo disorientata per riuscire a pigliarmi bene per questo film, nonostante l’infinita ammirazione che nutro per il genio di Alan Turing e l’immane sdegno per l’ingiusto e ripugnante destino che gli è toccato.
Franca Valeri bisognerebbe utilizzarla come un oracolo. Costruirle una specie di salottino e metterla lì a dispensare saggezza, fino alla fine dei tempi. Questo libro è una specie di autobiografia, un album di ricordi che parla di carriera, amore, infanzia, teatro e storie. La roba davvero speciale di questo libro, però, è che riesce quasi a rendere comprensibile uno dei misteri più ingarbugliati dell’universo: l’ironia.
http://instagram.com/p/xhxjKUFdHf
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Keith Gessen – Tutti gli intellettuali giovani e tristi
Sarò io che non sono abbastanza sensibile, ma questo libro mi è sembrato involontariamente buffo. Mark, Sam e Keith sono veramente tre cialtroni. Lo spaesamento, il declino post-Clintoniano, la becera era-Bush, gli ideali, le tesi di dottorato, i parcheggi che non si trovano, i grandi punti di riferimento, il viaggio come scoperta del proprio cuore, le differenze. La verità è che a Mark, Sam e Keith interessa solo scopare. Tutto il resto succede perché non ci riescono mai.
http://instagram.com/p/w_PZrYldHA
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Big Eyes
Ci provo sempre, perché è Tim Burton. Io ci provo, ma non c’è niente da fare. Tutto quello che mi piaceva di Tim Burton è praticamente scomparso. Alice in Wonderland è stato un duro colpo, e dubito che riuscirò mai a dimenticarlo. Dark Shadows mi aveva fatto ben sperare, visto che si trattava di una storia di freak, mostri e scherzi della natura. Ma niente, non ha funzionato neanche quello. I film che cercano disperatamente di essere divertenti mi mettono in imbarazzo. È una situazione tremenda. Ti si stringe il cuore e ti dispiaci un casino, ma proprio non riesci a spassartela. Ti prego, apprezza il nostro umorismo un po’ vintage e strambo! Ti scongiuriamo, amaci!
Zero. Big Eyes, come succede sempre nella fase “Gente, esce un nuovo film di Tim Burton!” mi ispirava parecchio. Ci credevo. Ero pronta a sfidare il gelo serale e il torpore post-ufficio per trascinarmi al cinema. Insomma, c’è Christoph Waltz. C’è questa matta che dipinge bambini derelitti con gli occhi giganti! Sarà fantastico, me lo sento! Adesso… non è mica un brutto film, per carità. È un film dignitoso. Non ti fa arrabbiare, è pieno di colorini pastello e non insulta eccessivamente la tua intelligenza – a parte la battuta cardine di tutta quanta la baracca: “Perché disegni questi grandi occhi?”, “Perché gli occhi sono lo specchio dell’anima…”. Solo che… è un film senza cuore. E pure un attimino palloso. Cioè, poi magari è colpa mia, mi sarò trasformata in un’arida istitutrice con una gamba di legno… sarò diventata un personaggio di Bret Easton Ellis. Io non lo so, ma guardare Big Eyes è stato come sedermi per due ore a fissare un ragazzino che non ha voglia di fare i compiti.
Ma forse sono io che ho gli occhi troppo piccoli.
Tutti a pesca con Stellan Skarsgård!
Tutti ad abbracciare un frassino!
Tutti a prendere lezioni d’organo!
Diamine… CIT.
Non pensavo di essere tagliata per i polpettoni da intellettuali erotomani – ossessionati dalle tonalità più tristi del beige -, ma Nymphomaniac mi è garbato. Sarà che stavo sorseggiando del genepì, ma l’ho trovato estremamente interessante. È un documentario, in pratica. E io adoro i documentari. Non riesco ad accettare che il naso della giovane Jo si sia in qualche modo evoluto fino a trasformarsi nel canappione della vecchia Jo, ma consideratemi a bordo per tutto il resto. Giaguari compresi.
Dopo circa una settimana di diretta dedicata all’elezione del Presidente della Repubblica, Mentana ha deciso di andare a farsi una doccia, lasciandoci in balia del palinsesto di La7. La7, quando non c’è il telegiornale o un talk-show di approfondimento o la Bignardi che intervista casi più o meno umani, si trasforma uno straordinario pentolone di assurdità cinematografiche. L’altra sera, dal niente, è apparso un film imperdibile: La maschera di Zorro, con Anthony Hopkins che fa Zorro vecchio, Banderas che fa lo Zorro-stagista e Catherine Zeta-Jones che fa l’emoticon della ballerina di flamenco. Tra peones cenciosi, sadici soldati ariani, il limone più duro mai apparso sul grande schermo e tramonti dipinti con le tempere, spicca il maestoso cavallo Tornado… vero uomo-partita-Sky della mirabile pellicola. Io me ne vergogno – anche perché non riesco più a distinguere Banderas dal mugnaio pazzo del Mulino Bianco -, ma mi sono divertita un casino. Con buona pace della pancera di Hannibal Lecter e dell’infelice gallina Rosita.
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Joan Didion, Play It As It Lays
Da qualche parte in copertina, c’è scritto che la Didion scrive col rasoio. Zac. Zac. Zac. Implacabile, affilata e precisissima. La copertina, per una volta, dice la verità. Play It As It Lays è il primo Didion-romanzo che leggo – visto che, purtroppo, L’anno del pensiero magico è una storia autobiografica – e continuo ad essere una piccola fan in pieno entusiasmo da super scoperta recente. In questo libro si sale in macchina con Maria, attrice dalla carriera breve e neanche un po’ folgorante, e si guida in giro per Los Angeles. È una storia di fuga, di vuoti perpetui, di aspettative disattese, di chiacchiere e lunghe giornate senza senso. Più che un essere umano, Maria è una specie di pianta che secca, una persona che si trasforma gradualmente in un fossile mentre il resto del mondo continua a girare – che tutto questo girare, poi, possa rivelarsi senza scopo e senz’anima, è un altro paio di maniche. E in queste maniche dovreste proprio infilarvici.
Team-Didion!
http://instagram.com/p/ySLrAlldNN/
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E per questo mese, cari tutti, abbiamo visto e letto a sufficienza.
Per il prossimo Vedileggi – e per ammirare ancora una volta l’header più straordinario di sempre -, ci si ritrova a fine febbraio. Ho già chiamato il Piccolo Teatro per i biglietti di Lehman Trilogy, quindi potrò cominciare a darmi un tono anche come altolocata consumatrice d’impegnata drammaturgia – impegnata e costosissima, cazzo.
Che gli alpaca proteggano le vostre avventure da divano. E raccontatemi i vostri Vedileggi, se ne avrete voglia.
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