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Il Tegaminario dell’Avvento sta già andando a farsi benedire. Niente. Venerdì, tanto per spiegarvi, ho avuto il grande onore di trascorrere l’intera giornata a uno SCIÚTING, in un capannone gelido e sperduto. Ho riacquistato la mobilità degli arti superiori solo a notte inoltrata, quando era ormai troppo tardi per deliziarvi con suggerimenti arguti ed illuminanti per rimpinguare la vostra wishlist festiva. Ieri, invece, in preda al deliquio per questi quattro insperati e benedetti giorni di ferie, sono rimasta sul divano per tutto il pomeriggio – avvolta in una coperta coi pon-pon e assolutamente impossibilitata ad esercitare le mie facoltà intellettive. Mi sono trasformata in un cuscino, in pratica. Ed è stato bellissimo.
Ma ora basta. Non possiamo sempre fingere di essere dei cuscini. È il momento di tirarci insieme.
Mentre Amore del Cuore combatte per due pomodori e un vasetto di ragù di cinghiale all’Esselunga di Viale Papiniano, dunque, mi sento finalmente in grado di informarvi dell’esistenza di PAPA – Play Art / Polygon Art -, un folle brand coreano specializzato in poetici e fiabeschi origami da parete. La prima collezione è composta da una fantastica triade. Teste di unicorno. Code di balena. Pappagalli volanti. Tutti disponibili in bianco, rosa e oro. La vita.

papa balena

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papa bird
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Ne avete bisogno, ammettetelo.
I gloriosi pezzi di animale vi arriveranno in una pratica confezione piatta, piena di istruzioni e cartoncini pazzi che dovrete meticolosamente piegare fino ad ottenere il vostro mirabile accessorio da parete di superdesign. Perché, diciamocelo francamente, ormai l’alce di legno e la casetta per i passerotti hanno anche un po’ rotto i coglioni.
Felici origami sognanti a tutti.

Vi siete persi qualche imprescindibile puntata del Tegaminario COLABRODO dell’Avvento? Andate su Pinterest. C’è addirittura un board!

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Sono sconvolta.
Ma posso provare a razionalizzare la situazione.
Ho la sventura di dover gestire un’immaginazione ipertrofica. Questa faccenda ha degli indubbi vantaggi – non ho bisogno di drogarmi (anzi, partendo da un livello altissimo di follia, ho il sacro terrore delle sostanze stupefacenti dal potenziale psicotropo), ho sempre qualcosa da dire ai brainstorming e sono bravissima a inventare menzogne davvero credibili -, ma anche dei preoccupanti effetti collaterali. Ho difficoltà ad interagire con le persone in maniera razionale, mi convinco di essere capace di comunicare verbalmente con il mio gatto, ho paura del citofono e m’interesso al movimento circolare del cestello della lavatrice. Il primo problema, però, è che mi faccio i film. Non riesco a trattenermi. Succede qualcosa di assolutamente infinitesimale? Fantastico. Il mio cervello si impossesserà del particolare più insignificante del cosmo e lo trasformerà nella Cappella Sistina. Anzi, in una riproduzione della Cappella Sistina fatta di GIF animate fluo. A forma di labirinto. In un setting subacqueo. Con meduse veggenti che giocano a rubamazzo. E le Sibille che cantano le figlie noi siam di Tritone, i nostri bei nomi li ha scelti lui. E il Papa che percuote il kraken brandendo la carcassa di uno squalo bianco.
Ormai faccio anche fatica a dormire.
Perché il problema vero è che ad ogni moto ascendente della mia immaginazione corrisponde anche un corredo di aspettative irrealistiche nei confronti della vita, degli eventi, degli esseri umani e del mio tempo libero. E potrete ben capire che l’universo faccia una certa fatica a non deludermi, quando m’è venuto in mente il Papa che picchia il kraken con uno squalo. Indossando una muta da sub di un bianco abbagliante. E bombole dell’ossigeno a forma di tabernacolo.
Sono certa che la psichiatria sia già riuscita a spiegare il fenomeno, ma non ho abbastanza soldi per andare da una persona a farmi diagnosticare della roba.
Comunque.
I film, ovviamente, rientrano nella complicata infrastruttura del mio meccanismo di aspettativa e delusione. Soprattutto se mi prendo bene dopo il primo trailer e devo aspettare un paio d’anni prima di vedere il film.
Arlo prometteva benissimo. Il meteorite ha mancato la Terra! I dinosauri non si sono mai estinti! Che diamine, è il più grande WHAT IF dell’universo. Un gigantesco WHAT IF in mano alla Pixar, poi… mica al tipo che mi porta la pizza una volta la settimana e continua a sbagliare scala.
Sono andata a vedere Arlo appena è uscito al cinema. Ero felice. Ero un tripudio di gridolini e battimani.
E sono uscita con la morte nel cuore. E con la chiara sensazione di essere un mostro senza cuore. Perché le leggo, le critiche e le recensioni della gente che capisce davvero qualcosa di cinema. E tutti ci avevano visto del buono e del bello, in questo film. Chiaro, non è che si gridasse al capolavoro in maniera unanime, ma ogni singolo articolo è riuscito a mettere in luce qualcosa di poetico, struggente e apprezzabile.
E io là, a darmi in testa una padella antiaderente.
Ma analizziamo il mio scoramento.

CI SONO GLI SPOILER.
IO VE LO DICO.
CI SONO GLI SPOILER.

Anche se, capirai, che spoiler mai saranno.

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I dinosauri sono scampati al meteorite per trasformarsi in nuclei isolati di servi della gleba – gli erbivori -, allevatori di mammiferi lobotomizzati – i carnivori di grossa taglia -, sciacalli di dubbia moralità – i carnivori di piccola taglia –  e criminali sciroccati – gli onnivori volanti. I piccoli mammiferi popolano prati e boschi conducendo una vita priva di significato. Gli umani, pur avendo afferrato l’importanza dei legami affettivi che solo una famiglia può donare, sono ancora indietrissimo. Ululano alla luna, fanno la cacca nei cespugli e, con ogni evidenza, non sono ancora approdati al decisivo stadio della fabbricazione di utensili.
E fin qua, posso anche sentirmi in pace. È il tuo mondo, Pixar. Sei tu che stabilisci le regole. Fai quello che ti pare, basta che quello che decidi di creare sia un mondo ricco, vasto e interessante.
In quanto a vastità, il mondo di Arlo è vasto.
Solo che non succede una mazza.
Ho letto praticamente ovunque che questo film andrebbe amato anche solo per la minuziosa e magnifica ricostruzione dell’ambiente naturale. L’acqua che sembra vera. Il cielo che sembra più cielo del cielo. Il cielo che si riflette nell’acqua, creando miliardi di sfumature cangianti. Le foglie iridescenti. I raggi del sole che filtrano fra le fronde. E le foglie iridescenti che precipitano nell’acqua baciata dal sole producendo altre incredibili sfumature magiche un po’ ondulate e splendenti e ipnotiche.
Però.

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Certo, è un bellissimo mondo. Ma se avevo voglia di guardare il paesaggio andavo a farmi una gita sulla Pietra Parcellara. Che dopo un po’ di temporali, acqua che scorre e vento che soffia mi sono anche già rotta i coglioni. Perdonatemi, ma non ce la faccio. Il paesaggio deve aiutare. Il paesaggio è un attore non-protagonista. Ma non venitemi a dire che devo rimanere a bocca aperta per un ruscello. Ammiro il gesto tecnico e me ne rallegro, ma continuerò a domandarmi CHE ALTRO C’È.
Comunque. Nell’impossibilità di trovare conforto nello splendore dello scenario naturalistico, ho cercato di concentrarmi sulla trama e sugli avvenimenti. Non succede una mazza, si diceva. Ed è proprio così. Mi rendo conto che questo film non sia assolutamente rivolto a me. Questo film è per teneri frugoletti di otto anni che probabilmente non hanno ancora accumulato una significativa dose di cinismo. Il fatto che io mi sia posta questa domanda – “Ma Arlo è per me?” – è già un chiaro segnale di fallimento. Ho trent’anni. E me ne frego solennemente del pubblico potenziale di quello che guardo e leggo. Il mio libro preferito è Il GGG e sono fermamente convinta che se una cosa “per bambini” è bella davvero non potrà che piacere anche a gente di centomila anni. Ci sono storie che parlano a tutti. E, di solito, sono le storie che funzionano e che sopravviveranno al tempo. Arlo è una roba che se me lo facevi vedere da piccola ti tiravo dietro i Trudi. Gli stessi che mi metterei a lanciare dal balcone adesso, se solo non fossero i miei più cari ricordi d’infanzia. Arlo, in fin dei conti, è questa roba qui:
1. Ciao, ecco il nostro protagonista. È un giovane dinosauro inetto, insicuro, antipatico, codardo e scoordinato. Arlo, in pratica, è Bella di Twilight.
2. Ciao, ecco il papà di Arlo. È il classico papà benevolo. Lo uccidiamo con un pretesto, donando ad Arlo un bel senso di colpa. Lo facciamo anche morire come Mufasa, tanto la gente guarderà quanto abbiamo fatto bene il fiume in piena e non s’accorgerà di niente.
3. Ciao, Arlo ha bisogno di crescere e di riscattarsi. Il protagonista di una storia lo fa, di solito. Cambia, si evolve. Facciamogli fare un viaggio formativo. Il tema del viaggio funziona sempre. Specialmente se innescato da una causa completamente idiota – tipo Arlo che s’inciampa, casca nel fiume e si risveglia a un triliardo di anni luce di distanza da casa sua.
4. Ciao, al protagonista serve anche un amico. L’amico deve far ridere e, possibilmente, deve aiutarlo nel suo percorso di maturazione. Ovviamente non sono mica amici, all’inizio. Anzi, è colpa del comprimario se il nostro protagonista è orfano. Che se la sbrighino loro.
5. Ciao, dobbiamo allungare la minestra. Dobbiamo far finta che i due personaggi siano complessi. Ai personaggi complessi serve tempo per risolvere i loro problemi. Facciamoli smarrire, mettiamoli in pericolo, ispiriamoli grazie ad incontri edificanti, buttiamoci un paio di gag coi criceti e qualche momento-nostalgia con delle lucciole molto coreografiche.
6. Ciao, ora sono amici per davvero. Arlo sarà cresciuto, finalmente? Mettiamolo alla prova. Prendiamo il piccolo umano e piazziamolo in un tronco cavo al limitare di una cascata. In mezzo a uno stormo di pterodattili cocainomani.
7. Ciao, l’ordine del mondo va ripristinato. Facciamo tornare tutti a casa loro.
E vi giuro, mi sono emozionata di più a scrivere questo riassunto colmo di disprezzo e delusione che a sorbirmi quasi due ore di dinosauri che galoppano per i prati. Arlo non m’è diventato più simpatico di una virgola, nonostante gli sbattimenti e le prove di grande valore spirituale che riesce a superare. La sua crescita interiore, così caparbiamente guadagnata, non è riuscita ad accrescere la mia stima nei suoi confronti. Anzi. Mi sono anche incazzata. Quando torna a casa, dopo aver mollato la sua vecchia madre con l’intero raccolto sulla groppa, gli fanno pure mettere la sua impronta sul silos di pietroni. Ma vi pare che se lo sia meritato? Che è. Pensavamo che fossi morto! Ma non sei morto! METTI LA TUA IMPRONTA. Ma perché? Andate tutti ad arare la terra col naso, brontoscemi.
Sono diventata arida e senza cuore?
Mi aspetto troppo dai film?
Non riesco più ad apprezzare la semplicità e le buone intenzioni di una fiaba senza troppe pretese?
Che cos’ho che non va.
Come posso detestare anche le increspature dell’acqua.
Ho paura.
Ma ho il sospetto che la Pixar la pensi come me.
8. Ciao, ci siamo accorti che questo film è una loffa… ma ve lo facciamo uscire due mesi dopo Inside Out. Vediamo chi avrà il coraggio di lamentarsi. Che cavolo, quest’anno ne avete già visto uno bello. Che altro volete da noi?
Vorremmo la Pixar, cortesemente. Sempre e comunque.

Incredibile ma vero, il Tegaminario dell’Avvento non è ancora naufragato! Commozione massima! Nell’attesissima e imperdibile puntata di oggi, faremo finta di essere molto nobili, molto inglesi e molto educate. Perché solo una signora con queste determinanti caratteristiche – e una vasta collezione di copricapi con la veletta – può legittimamente trovare il tempo e la volontà di sedersi in salotto alle cinque spaccate per prendere il tè – dopo aver dato istruzioni alla servitù.
Non ce la vedete dentro?
Poco male. L’occorrente per il tè potete sempre mettervelo addosso.
Nel nome del cielo, come?
In un momento di acuto fanatismo per Downton Abbey, ho scoperto su Etsy un negozio decisamente bizzarroAbigail MaryRose Clark, designer megabritish di accessori, ha improvvisamente deciso di resuscitare le porcellane sbeccate destinandole a un nuovo utilizzo. Perché – se sai dove mettere le mani – le tazze rotte, le teiere frantumate, i piattini scassati e le ciotole incrinate possono diventare dei gioielli di raro romanticismo. Il risultato, in tutta franchezza, mi commuove più di Mr Darcy.

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Viva il riciclo creativo!
Cuorosità infinite per i motivi floreali!
Amore imperituro per le stoviglie vintage finemente decorate!
God save the Queen!
E anche Lady Violet!
…andate e porcellanatevi!

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Per seguire al meglio il glorioso Tegaminario dell’Avvento – e continuare a soccombere sotto il peso della bellezza delle altrui case di design -, ora c’è anche un versatile e funzionalissimo board Pinterest

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Vorrei essere immune al sogno della “casa-Pinterest”, ma la mia esistenza è un susseguirsi di fallimenti. Qualche anno fa mi sarei accontentata di avere la lavastoviglie. Ora, invece, sono diventata ambiziosa. Faccio incorniciare i quadri. Ho due stendini. Ho dei vasi con dentro delle piante non completamente decomposte. Possiedo almeno tre tovaglie diverse e un mollettone. Usare il mollettone è un rito di passaggio. Usare il mollettone ti trasforma automaticamente in una persona che ci tiene a casa sua. Visto che, in realtà, mi vergogno moltissimo di tutti questi incomprensibili afflati domestici, cerco di auto-sabotarmi con una certa regolarità. Mi rifiuto di imparare a stirare, semino il disordine, butto i calzini in lavatrice senza spallottolarli e dedico scaffali interi della libreria numero tre a dinosauri di plastica, tazze con i dinosauri, dinosauri di legno, artigli di dinosauro, libri pop-up con i dinosauri. Il colpo d’occhio è agghiacciante e io mi sento al sicuro da me stessa. Non so, però, quanto durerà. Perché – grazie al diabolico potere di Instagram, ormai ancor più temibile di Pinterest – ho scoperto che esiste un brand londinese che produce ogni genere di assurdità… con un’execution straordinaria. Perché il problema è quello, alla fine della fiera. Vorrei una casa piena di unicorni, ma i pupazzi che si trovano in giro fanno regolarmente schifo. Vorrei una lampada a forma di aragosta, ma so benissimo di non potermi aspettare un capolavoro del design. Ebbene, Silken Favours (qui il sitone/shoppone e qui il profilo Instagram che vi strapperà l’anima) riesce a coniugare l’immaginario francamente improponibile che popola la mia multiforme fantasia con la capacità di sfornare oggetti indiscutibilmente belli. Tanto per cominciare, usano solo seta. Vuoi un cuscino a forma d’ananas? Vuoi un cuscino a forma di cavolfiore? Vuoi un cuscino a forma di Grumpy Cat? Che problema c’è. Il disegno lo sappiamo fare. E il cuscino lo foderiamo di seta al 100%. Che cosa potrebbe mai andare storto? Niente di niente, diamine.
Teniamoci per mano e sbaviamo copiosamente.

E niente.
Divani pieni di animalini – un po’ mitologici e un po’ no. FÚLAR tempestati di gattini, corgi, coniglietti e puffin. Top ricoperti di piccolissimi cactus. Silken Favours mi capisce. Sopravvaluta le mie possibilità economiche, ma mi capisce. Seppellitemi sotto a una montagna di setosi melograni. E tanti auguri di buon Natale.

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Per seguire al meglio il glorioso Tegaminario dell’Avvento – e continuare a soccombere sotto il peso della bellezza delle altrui case di design -, ora c’è anche un versatile e funzionalissimo board Pinterest

Sto per imbarcarmi in un’impresa a dir poco titanica. Un’impresa che, con ogni probabilità, non riuscirò mai a portare a termine. Perché, di base, sono una creatura imprevedibile, scorbutica, incostante e pigra. E mai, prima di questo momento, ho avuto l’ardire di imbarcarmi in un progetto del genere. Sfornare un post al giorno. Ma quando mai. Insomma, mi conosco, chi voglio prendere in giro. Mi dimentico il bucato nella lavatrice per settimane. Dormo per pomeriggi interi. Ho uno scarso autocontrollo e sono due mesi che devo restituire a Tennis Warehouse una gonna troppo grossa per il mio sedere. Incredibile, amici. Ho ordinato una gonna e mi va larga. Chi l’avrebbe mai detto. Comunque. Quello che cercherò di fare – invocando il vostro sostegno e il vostro incoraggiamento – è un calendario dell’avvento pieno di meravigliose assurdità da comprare. Un Tegaminario, pieno di aggeggi improbabili, inutili, futilissimi e socialmente inaccettabili. Perché la vera libertà dell’essere grandi non ha niente a che vedere col non dover più chiamare la mamma alle tre del mattino dal fondo di un fosso limaccioso per avvisarla che farete tardi. La vera libertà sta nel poter spendere ogni vostro centesimo in collane a forma di scettro di Sailor Moon. Perché sì. Nessuno vi darà un mutuo, ma la collana di Sailor Moon ve la potete permettere. La collana di Sailor Moon è un vostro diritto. E questo Natale, se qualcuno vi verrà a dire dove trovarla, ve la comprerete.
Porca puttana.
Le voglio tutte.

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Il primo miracolo del consumismo moderno che il Tegaminario dell’Avvento intende propinarvi è l’incomparabile catalogo di Kuma Crafts. Questa gente, di cui ignoro la provenienza e anche un po’ le motivazioni, ha deciso di donare al mondo uno sterminato assortimento di spettacolari patacconi ispirati al multiforme e indimenticabile universo di Sailor Moon. Roba che dovrebbe far impallidire Anna Sui e le sue scalognate limited-edition di borsette coi loghini dei pianeti delle Inner Senshi. Vergognati, Anna Sui. Queste cose qua, dovevi fare. Diademi! Glitter! Braccialetti-gattino! FIOCCHI.

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Sailor Moon, ovviamente, è la guerriera più rappresentata. Ci sono anche le mollettine bianche da mettervi sul cranio. Con mia grande felicità, però, ho scoperto che l’adorabile e tormentatissima Sailor Saturn – che il cielo ci preservi dalla sua devastante collera – è una delle poche ad avere una gamma quasi completa di aggeggi da appendervi addosso. Mentre noialtri siamo qui a poltrire in vestaglia, là fuori c’è chi produce il corredino di monili di Sailor Saturn. Non so se mi spiego. Mai nella vita avrei pensato di trovarmi di fronte a una tale magnificenza. Grazie al cielo ho trent’anni e una tredicesima imminente.

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Ormai decisa a lasciarmi travolgere da quest’ondata di entusiasmo senza precedenti, saluto calorosamente le vostre carte di credito con un perentorio SILENCE GLAIVE, SURPRISE!
Ci vediamo domani con le prossime cretinate da aggiungere alla vostra letterina di Babbo Natale – e no, anche se mi piacerebbe, non saranno le cuffie di Sailor Moon. Insomma, perché accontentarsi di un iPhone, quando potete chiedere una falce galattica?

Il mio gatto, come ormai ben saprete, è ufficialmente molto più importante di me. Per questa ragione, ogni cinque minuti arriva qualcuno che mi consiglia caldamente di aprirgli un profilo Instagram tutto suo. O una pagina Facebook. O un hotel di design con relativa linea di topi giocattolo. Forse dovrei dare retta a queste persone intelligenti e piene di saggezza (anche se un po’ sadiche), ma temo di non essere ancora pronta. Perché Ottone von Zoolander, se proprio vogliamo metterla sul numerico, piglia più cuori di me e di ogni altro contenuto che mai deciderò di condividere. Mai al mondo, dunque, gli darò la soddisfazione di superarmi, sbeffeggiandomi dalla sua pagina ufficiale – e sfruttando per altro la mia qualificatissima manodopera. Non ho la minima intenzione di diventare la sua Valentina Ferragni.
Oltre a ragioni di natura puramente filosofica, però, bisogna anche considerare faccende pratiche di primaria rilevanza. Perché, diciamocelo francamente, Ottone von Accidenti è un gatto siberiano di 7 chili, nero come la pece.
E fotografare un gigantesco gatto nero è molto difficile.

Parliamone.
– Ottone von Narcolessia ha l’abitudine di appisolarsi ogni volta che tento di immortalare la sua pingue beltà. Si è maestosamente raggomitolato sul divano? Molto bene. Potrebbe essere il momento giusto per lanciare il prezioso hashtag #COCCOLINE. Non appena vi avvicinerete, però, Ottone sprofonderà inesorabilmente nel sonno. Come un informe sacco di patate.
– Fotografare i gatti che dormono non è mica un reato, sia chiaro. A me, però, serve che Ottone stia sveglio… perché, se chiude gli occhi, si trasforma automaticamente in una specie di foca nera pelosissima e non si capisce più niente. Che cos’è? Dovrebbe essere un gatto. Ma dov’è la testa? Come dovrei interpretare questa celestiale distesa di morbida oscurità? Dove comincia? Dove finisce? Se Ottone non apre gli occhi, dare risposta a tutte queste sacrosante domande diventa impossibile. E tutto quello che resterà sarà un soffice mega-kebab color carbone.
– Ottone von Saturazione sballa la messa a fuoco di qualsiasi DEVAIS si utilizzi per fotografarlo. Quel che è peggio, però, è il problema della luce. Ottone non può essere ritratto su fondo scuro o, in generale, su un fondo cupo… perché scompare, molto semplicemente. Riesci a malapena a intuirlo, con uno sfondo del genere. Ottone su sfondo scuro è la perfetta trasposizione fotografica della maledizione di The Ring. Che fare, dunque? Fotografiamolo sul chiaro! Fantastico. Andrà tutto bene. E invece no, manco col chiaro. Non puoi metterlo a fuoco e ambire ad ottenere un effetto naturale e realistico, perché se ti concentri sul muso – NERO – o su una qualsiasi delle sue parti del corpo – NERA -, lo sfondo diventerà di una luminescenza ultraterrena, volatilizzandosi d’un tratto. Ottone su sfondo chiaro è una specie di barile di petrolio che galleggia – CON GLI OCCHI CHIUSI – in un mare di latte d’asina. E non sono ancora sufficientemente onirica per far funzionare una baggianata del genere.
– Ottone von Gigantezza non è interessato al formato quadrato. Ambire a fotografarlo per intero, dunque, è pura utopia. Perché non ci sta. Se vuoi che si veda tutto, devi allontanarti di dieci metri, correndo scientemente il rischio di ritrovarti con una macchia indistinta di nera poffosità – e nulla più. Il che è un peccato, visto che Ottone ama moltissimo trascorrere lunghi periodi disteso a pancia in su sul pavimento, come una boa. Tu ci provi, a farlo entrare in un’inquadratura ragionevole, ma ti perderai sempre la punta delle orecchie e un pezzo di coda. Quando non è a pancia in su, invece, è assolutamente improbabile che stia fermo, moltiplicando all’ennesima potenza le innumerevoli difficoltà già diffusamente raccontate.

Dovete tenere conto di questi problemi di capitale importanza, quindi, quando osservate Ottone von Testimonial in compagnia dell’ennesimo carico di mangiarini prelibati che Gourmet decide di spedirgli al sorgere di ogni luna piena.

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Ottone, in questo proverbiale scatto, rotola stupito in mezzo alla gamma completa dei nuovi Gourmet Mon Petit. I Mon Petit suscitano nel mio gatto lo stesso entusiasmo che ogni sera allo scoccare della mezzanotte riusciamo a scatenare aprendo i Gourmet Perle – i suoi preferiti di ogni tempo.

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Ottone è sfocato, ma il trasporto con cui ha affrontato la merenda è palpabile.
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Ottone von Maiale reagisce finalmente alle mie implorazioni – “CUCHINO, ALZA IL CRANIO DALLA CIOTOLA PER UN MOMENTO! FALLO PER ME!” – e mi rivolge un’occhiata estremamente eloquente – “NON ROMPERE L’ANIMA. STO MANGIANDO I MON PETIT. I MON PETIT SONO LA COSA PIU’ IMPORTANTE DEL MONDO”.

 

Ma che sono, i Mon Petit? I Mon Petit sono sempre dei pezzettini di cicciotta sugosina – pardon, “raffinati filettini con carni o pesce cotti in una deliziosa salsa” -, ma in un formato più piccolo. Ottone ne ingurgiterebbe un tir, ma là fuori ci sono anche gatti più compassati che viaggiano serenamente sulle porzioni da 50g. Voi non dovrete buttare via niente e il vostro gatto apprezzerà la pappa che non si secca. Con Ottone – che vive in un universo in cui la roba da mangiare non può seccarsi, visto che trasloca nello stomaco dopo due minuti dall’apertura della confezione -, l’esperimento è stato più sulla felicità, che sul formato. Siamo gente disorganizzata e poco pratica, ma vogliamo che il gatto sia felice. E il gatto, in effetti, ha sprizzato gioia – ed è più che mai pronto a diventare un cat-foodblogger che venderebbe l’anima e la sua prima cucciolata a Gourmet. 
Cuori e tortine trionfanti.
E che qualcuno trovi un tutor capace d’insegnarmi a fotografare sensatamente il mio meraviglioso gatto nero di successo. Ve ne prego.

 

Come sicuramente sapranno anche i sassi bagnati, la gloriosa sapienza dell’universo ha finalmente deciso di far approdare Netflix in Italia. Travolti dall’entusiasmo e animati da un ottimismo che raramente ci appartiene, ci siamo abbonati – ritornando a credere nel potere meraviglioso delle serie tv. Io e Amore del Cuore, purtroppo, dobbiamo convivere con le nostre inconciliabili differenze. Io, se posso, guardo tutto in inglese. Amore del Cuore detesta doversi impegnare e si addormenta all’istante davanti a qualsiasi genere di sottotitolo. Indipendentemente dalla lingua, il problema principale è che ci piacciono proprio cose diverse. Se guardiamo insieme la prima puntata di una serie, i risultati tendono ad essere imponderabili – nonostante la buona volontà che ci mettiamo.

Daredevil!
Tegamini – Che due balle. Ma che è, una storia di avvocati? Io le odio le robe legali. Non me ne frega niente. E lui è insopportabile.
Amore del Cuore – Carino! Ci sta!

True Detective!
Tegamini – Glorioso.
Amore del Cuore – Non lo so. Cioè, dobbiamo rivederlo. Sono crollato dopo dodici minuti.

Narcos!
Tegamini – Insomma, mica è brutto. Ma c’è quella vocetta fuori campo dello sbirro che vuole parlare da sbirro. Non t’infastidisce? Se la crede troppo. E poi… mah, non è un po’ lento?
Amore del Cuore – Sembra un documentario. Mi piace un casino.

Sense8!
Tegamini – Allora, mi sembra interessante. La faccia di Daryl Hannah mi fa paura, ma sono curiosa di capire che fanno. Se s’incontrano. Che vuol dire. Perché sono così.
Amore del Cuore – Io sono rimasto a lei che si spara in bocca. Poi è il buio.

Insomma, siamo riusciti a guardare insieme solo Breaking Bad, Game of Thrones e – incredibile ma vero – Downton Abbey. Se pensiamo alla quantità di prodotti teleludico-narrativi che il mondo sforna, non è un risultato particolarmente brillante… ma ci amiamo lo stesso. Anche se Amore del Cuore non ha apprezzato Penny Dreadful.

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Ho accolto la ferale notizia con la medesima espressione incoraggiante di Miss Ives.

 

Ora, è un sacco di tempo che non mi prendo bene per una serie tv. Io, di base, sono una persona ossessiva. È raro che qualcosa mi piaccia davvero ma, quando succede, il mondo può anche finire. E adesso, finalmente, ho una nuova serie preferita. E tutto è bellissimo.
Penny Dreadful è mirabile. E Netflix mi capisce. Non devo restare appiccicata al COMPIUTER per guardare Netflix. E nemmeno la tv è strettamente necessaria. Ti scarichi l’app e vai felice. Vista la tragica natura frammentaria del tempo che ho effettivamente a disposizione per vivere la mia vita, è un bel passo in avanti. Anche la pausa-cacca diventa un prezioso momento per approfondire il tuo immenso amore per i tarocchi scalognati della signorina Ives. In una settimana, mi sono sparata le prime due stagioni di Penny Dreadful… e ora non so più che cosa fare, a parte cercare di convertire chi ancora riesce a vivere senza saperne niente.

Ma parliamone, vi prego.
Ah, SPOILER!

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Penny Dreadful mi fa felice perché ci sono tutti i “mostri” canonici del romanzo gotico – e pure i poeti romantici. E, anche se mi vergogno ad ammetterlo, sono super allegra perché c’è il demonio ovunque. Detesto gli horror e li trovo sommamente spiacevoli, ma ho un debole per i film con gli esorcismi. Occhi ribaltati, gente che grida in aramaico, telecinesi, acqua santa, profezie, terrificanti rivelazioni. E io là, felice come una crostata. Ma lasciamo perdere. Dicevamo… le prime due stagioni di Penny Dreadful si distinguono per due grandi “nemici”. Nella prima, oltre a conoscere i personaggi in tutta la loro tetraggine, combattiamo degli pseudo-vampiri. Nella seconda, oltre ad imbatterci in splendidi archi evolutivi per i nostri sempre più tormentati paladini, cerchiamo di annientare delle streghe fabbricatrici di bambole che corrono nude nella neve lanciando alte grida. In mezzo al pandemonio – splendidamente abbigliata dalla Pescucci, che il cielo la protegga sempre – c’è Eva Green, una ragazza complicata. Non si sa bene perché, ma tutti i demoni dell’inferno bramano Eva Green. Legioni di entità tenebrose la inseguono giorno e notte, facendola ammattire per lunghi periodi e contribuendo in maniera significativa allo sfacelo della deliziosa carta da parati delle sue stanze.

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Il demonio in persona – onnipresente burattinaio del vampiro o della strega di turno – vuole ghermire Eva Green, “sposarla” e regnare sulle ceneri del mondo insieme a lei. Ed è proprio questa presenza pervasiva e perpetua del male ad unire i due primi capitoli della serie e a trasformare l’intera baracca in una riflessione molto malinconica, nobile e saggia sul significato dell’agire umano. E dell’essere umani, alla fin fine. Nel superbo minestrone che ne deriva, incontriamo il dottor Frankenstein e le sue creature – John Clare spezza il cuore… e anche qualche collo -, Dorian Gray – dopo dieci melliflue puntate trascorse a sussurrare cose nelle orecchie alla gente, la seconda stagione gli ha regalato qualcosa di un po’ più serio da fare… che qualcuno distrugga il ritratto, presto! -, Van Helsing – in versione anziano ematologo -, Patty LuPone che fa la fattuchiera in mezzo alla brughiera, Timothy Dalton – esploratore iracondo e tormentato – e il lupo mannaro più interessante dell’ultimo secolo. Ciao, Josh Hartnett, non t’avevo mai dato due lire… ma ora ti lancerei l’intero cassetto delle mutande. A parte l’intreccio, che mi fa quasi più felice del demonio che s’impadronisce ogni quindici minuti dell’anima fosca di Eva Green, Penny Dreadful è un’assoluta gioia visiva. La sala da ballo di Dorian Gray dovrebbe diventare patrimonio dell’UNESCO. Il salotto di Sir Malcolm, pieno di carte geografiche e di aggeggi d’ottone, mi fa quasi venire da piangere. Anche le streghe, per quanto mi riesca difficile condividere il loro operato, avevano un certo gusto in fatto di arredamento. Certo, non andrei ad abitare in un ossario, ma due colonne coi gargoyle non mi dispiacerebbero. E CHE QUALCUNO MI REGALI IL MAZZO DI TAROCCHI DI MISS IVES. Non ho alcuna fiducia nei poteri divinatori delle carte, ma voglio incorniciarli e appenderli ai muri del boudoir che non ho.
Ma calmiamoci. Facciamo un bel respiro e teniamoci per mano. Perché, per quanto ami le storie d’amore osteggiate dal destino e dalle mostruosità che cerchiamo di seppellire nel nostro animo, Vanessa e Ethan devono assolutamente ritrovarsi. Era da Spike a Buffy che non volevo così bene a due prodotti dell’umana immaginazione. Bramo un lietofine per loro, anche se finirebbe per distruggere il tessuto narrativo della serie e, di conseguenza, l’intero universo. Vanessa, maledizione, attraversa l’oceano e vai a riprendertelo! Fate dei mini-bambini mannari e veggenti. Devastateci con la vostra felicità!

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E basta, insomma. Volevo solo fangirlare un po’. Volevo esternare in qualche modo il mio dolore per una stagione che termina con un WE WALK ALONE. Se la serie fosse stata ambientata a Liverpool, invece che a Londra, non saremmo a questo punto. E INVECE NO, siamo qui a guardare personaggi splendidamente caratterizzati che vagano solitari nel mondo, in preda alla colpa e alla tristezza. Consolatemi, non trovo pace. Il pensiero che non possano più riunirsi mi getta nello sgomento più assoluto. Voi lo guardate, Penny Dreadful? Parliamone insieme. Ditemi delle cose. Aiutatemi a smaltire questa entusiasmante fissazione. Ricamatemi delle perline sui vestiti. Donatemi una vestaglia di pizzo. CHE QUALCUNO MI INSEGNI A BALLARE IL VALZER O A SCACCIARE IL DEMONIO. Basta. Mi taccio. Anzi, no. Lo sanno tutti, in fondo: che cosa c’è di meglio di una nuova passione per ritrovare l’equilibrio dopo un gran turbine di sentimenti scatenati da personaggi immaginari? Raccontatemi, dunque. Che cosa mi consigliate di vedere, ora che mi sono riappacificata con le serie tv? E no, non accetterò In Treatment come risposta. Qua siamo vittoriani. La gente la chiudiamo in manicomio e la curiamo con l’idrante.

In generale, sono stata una bambina molto fortunata. E Harry Potter, senza ombra di dubbio, fa parte a pieno titolo delle cose felici che mi sono capitate crescendo. Imbattersi in un universo di questo genere è raro, nella vita di un lettore. Che ti capiti mentre stai diventando grande, poi, è piuttosto miracoloso. Le “mie” edizioni di Harry Potter sono un gran casino. I primi due sono in italiano, gli ultimi cinque in inglese – tutti diversi. Ordinavo la mia copia online – su Bol, pensa te – appena usciva il nuovo libro, senza badare troppo al packaging. Alcuni hanno la copertina dell’edizione “da grandi”, altri quella illustrata. Ora, a casa, abbiamo in tutto 21 libri di Harry Potter, compresi i due cofanetti completi – quello blu con il castello di Hogwarts e quello psichedelico con le coste fotoniche e i collage con gli animali pazzi. Si narra che quelle copertine siano, in assoluto, le preferite dalla Rowling, ma continuo a sperare che si tratti di una pura leggenda metropolitana. Comunque. I “miei” Harry Potter sono ancora a Piacenza, esattamente dove li avevo lasciati. Forse, però, è arrivato il momento di portarli qui e di presentarli alla nuova edizione Salani con le illustrazioni di Jim Kay. Perché un libro così è una garanzia di felicità, proprio come la felicità che ho provato da piccola quando ho scoperto che al mondo esisteva la saga di Harry Potter.

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Qualche parruccone potrebbe dire che Harry Potter è un libro che non ha bisogno di illustrazioni. Racconta un mondo così ricco, ramificato e vivo che, chiedendo a qualcuno di rappresentarlo, si finirebbe quasi per rovinarlo. Con i film, tutto sommato, ci è andata bene, ma mettere dei disegni di fianco a una storia – e ritrovarsi tutto quanto in mano, in un libro vero – è un’altra faccenda. La lettura, un po’ come la fantasia ben coltivata, è un lavoro solitario. La puzza di una pozione, il baccano sulle tribune di un campo da Quidditch e l’aspetto di un Dissennatore sono, in fin dei conti, una questione molto privata. Ho visto i Dissennatori al cinema, ma continuo a immaginarmeli a modo mio… e niente, temo, potrà farmi cambiare idea. Quello che posso dire, dopo aver sfogliato La pietra filosofale è che questa nuova edizione è incredibilmente affascinante, ma anche molto “rispettosa” del nostro amore per la saga. Perché quelle di Jim Kay sono illustrazioni da lettore. Sono di una precisione maniacale, ma sono anche diverse da tutto quello che ci è capitato di vedere prima. Non si mangiano la storia, le crescono attorno – come un commento saggio o un approfondimento interessante. Sono i disegni di una persona che, in un modo o nell’altro, adora questa storia quanto la adoriamo noi. E ce ne sono un milione, di questi disegni. Le pagine sono piene di macchioline d’inchiostro, i capitoli cominciano sempre con una cornice “tematica”, ci sono paesaggi a pagina piena, castelli e personaggi che spuntano all’improvviso e, in ogni angolino, si nascondono dettagli inaspettati. Ho trent’anni e un brutto carattere, ma se mi accorgo che un artista si è preso la briga di incidere un microscopico “T RIDDLE” sul portone che fa da sfondo a un ritratto di Hermione, un po’ mi emoziono. E gli sono istintivamente grata.
Adoriamo tutti insieme:

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Saltellini.
Cricetini festanti.
Vulcani che eruttano fenicotteri!
LACRIME GLITTERATE.
Per concludere il tour, parlerei anche del prezzo. Questo libro bellissimo costa 29 euro. Ora, 29 euro possono essere molti o pochi. Il molto o il poco dipendono dalla vostra disponibilità economica, dalla vostra propensione all’investimento o al risparmio e dalle vostre priorità di consumo in un dato momento storico. Qui, però, non stiamo parlando di 29 euro in senso generale. Stiamo parlando del prezzo di questo specifico libro. Bene? Bene. Cortesemente, non venitemi a dire che 29 euro per questo libro sono tanti, perché vi denunzierò ai centauri. E vi consiglierò anche un corso accelerato dal titolo “Come si fa un’edizione illustrata fighissima”, seguito dall’approfondimento “Se non capite perché questo strabiliante volume non costa 5 euro e 90, vi meritate Newton Compton. E pure Geronimo Stilton”. L’affermazione “Mi piacerebbe un casino, ma in questo momento non me lo posso permettere perché ho appena sganciato 160 euro di gas –  ma conto sulla benevolenza di Babbo Natale” è del tutto accettabile e legittima. L’affermazione “Minchia, zia! Costa troppo! Ma che è, d’oro?” scatenerà l’orda di centauri.
Non credo di dover aggiungere altro.
Visto che non posso fotografarvi maldestramente l’intero TOMO – e che, in tutta franchezza, auguro a chiunque di portarsene a casa una copia da spulciare con infinita attenzione -, mi fermo qui. Sfogliatelo quando siete tristi, convertite i miscredenti, allevate basilischi e preparate una carbonara con Peppa Pig.

 

Gatto triste compleanno

Cioè, magari non è una cosa così riprovevole. Magari lo fanno tutti e mi sto flagellando per niente. Probabilmente è un’orrore perpetrato ogni giorno da milioni di persone, che continuano comunque a condurre una vita normale, onesta e felice.
A me, però, un po’ dispiace.
Perché non è una roba carina. E io, di base, faccio del mio meglio per comportarmi con urbanità, cortesia e gentilezza.
Non si fa. E lo capisco benissimo. Solo che è incredibilmente comodo, come metodo.

Niente. Vediamo che cosa ne pensate voi, che siete degli esseri umani come si deve.

Nella vita si accumulano moltissimi amici e conoscenti. Il 97% di questi personaggi, prima o poi, TI AMICA su Facebook. E amicamento dopo amicamento, ti ritrovi con una nutritissima legione di CONNECTIONS. Non tutte queste CONNECTIONS, purtroppo, hanno la stessa rilevanza nel contorto panorama della tua esistenza. Specialmente di fronte al tempo che passa, molte amicizie si sgretolano e molte persone vengono dimenticate o rimosse, lasciando il posto a pezzi nuovi della tua vita. Facebook, però, non ha modo di saperlo. E tu, giorno dopo giorno, continui a portarti a spasso questa varia umanità che, in punti imprecisati del tempo che hai passato su questo pianeta, ha rappresentato qualcosa per te. Amichetti delle elementari che, per un motivo o per l’altro, non vedi da vent’anni. Personaggi che frequentavano la tua spiaggia quand’eri alle medie. Tizie che giocavano a tennis con te. Compagni di università che, dopo un corso frequentato insieme, sono stati inghiottiti dall’impenetrabile vortice dell’universo e si sono volatilizzati. Cugini dei tuoi ex-fidanzati. Amici del calcetto dei tuoi ex-fidanzati. Professoresse dei tuoi ex-fidanzati. Gente con cui uscivi e che, appena hai cambiato città per lavoro, ha smesso di chiamarti – e che tu, comunque, non ti sei particolarmente sforzata di cercare. Uomini che ti hanno incontrata a una festa e ti hanno subito chiesto l’amicizia, nella speranza di insinuarsi nei tuoi anfratti più reconditi. Pazzi incrociati in vacanza. Gondolieri. Trombamici. Fidanzate dei trombamici. Ex-morose dei tuoi amici. Coinquilini che non lavavano mai i piatti. Colleghe dell’ufficio di New York che già sapevi di non poter mai più frequentare. Portinaie. Gente che pensavi potesse trovarti un lavoro. La suora che ti sgridava all’asilo. I figli della tua insegnante di pianoforte.
Riuscire a percepire la superflua vastità di questo carico di esseri umani che costituisce i tuoi amici di Facebook non è assolutamente facile. Alla fine – e com’è giusto – ti interesserai soltanto alle vicissitudini quotidiane di chi ti è realmente più vicino, lasciando che gli altri vadano un po’ a farsi benedire. Ma loro, più o meno vistosamente, rimarranno lì. Certi si prenderanno quotidianamente la briga di partecipare alle tue avventure e di interagire con te – mettendo ancora più in risalto l’asimmetria che contraddistingue il vostro “rapporto” -, mentre altri non faranno che confermare la vostra fondamentale e reciproca estraneità.
Di questa roba, si diceva, non ci accorgiamo con sufficiente incisività. Ci trasciniamo in giro il nostro brodazzo primordiale di conoscenze alla lontana e, alla fin fine, non ne percepiamo neanche troppo il peso. È quando siamo chiamati a celebrare un evento importante per ogni essere vivente, però, che questa tragica indifferenza non può che venire violentemente a galla.
Perché Facebook, all’improvviso, ti dice che Giannone Pescalonza compie gli anni.

Solo che tu, purtroppo, non hai idea di chi diamine sia, questo Giannone Pescalonza.

Nel tentativo di comprendere se valga o meno la pena di fare gli auguri a Giannone, sprechi ben trenta secondi del tuo tempo a fissare come una triglia cotta la sua foto profilo. La sua faccia, malauguratamente, non ti dice niente. Sprechi altri quindici secondi a verificare le amicizie in comune. E non ti capaciti di chi siano questi individui. Cerchi ci capire da dove venga Giannone, ma è un posto che non ti sei mai e poi mai sognata di visitare. Pure la timeline di Giannone sembra la superficie di un pianeta alieno. Ci sono un sacco di quelle foto con le giraffe glitterate che gridano BUONGIORNO con un mazzo di rose in mano. Dei putti che recitano frasi di Osho. Centodue appelli per l’adozione di una nidiata di cocorite sorde, storpie e orbe. Una foto sbilenca del sagrato del tempio di San Giovanni Rotondo. L’oroscopo settimanale di Paolo Fox per il segno dello scorpione. Il risultato dell’accuratissimo quiz CHI ERI IN UNA VITA PRECEDENTE. Una mastodontica scritta in WordArt che recita CHI SI FA I CAZZI SUOI CAMPA CENT’ANNI, seguita da un SOS sulla pericolosità delle scie chimiche e da un volantino delle offerte settimanali del Famila.
Insomma, Giannone è un mistero. Non sai chi è, a prima vista ti sembra un conclamato pirla e non hai idea di come sia finito tra i tuoi amici.
Dopo aver escluso la possibilità che qualcuno ti abbia messo una polverina nel drink – proprio la sera che hai conosciuto il Pescalonza -, ti decidi finalmente ad ammettere che tu non te lo ricordi proprio, il povero Giannone. E, di fronte alla prova inconfutabile della tua assoluta estraneità a questa persona, cominci anche a domandarti che senso abbia tenersi tra gli amici di Facebook un emerito sconosciuto. La sua presenza, all’improvviso, ti risulta intollerabile. Lo percepisci proprio come un fardello. Cinque minuti fa manco ti ricordavi che c’era e ora, pur continuando ad ignorarne la storia, il vissuto e anche la fisionomia, te lo vuoi levare dai piedi.
E che fai, dunque?
Vai sulla pagina di Giannone Pescalonza e, invece di fargli gli auguri di compleanno come stanno facendo tutti gli altri esseri umani che lo conscono per davvero e che magari gli vogliono pure un gran bene, lo elimini dai tuoi amici di Facebook.
Ma così.
Senza fare una piega.
Nel giorno del suo compleanno.
Con l’efficienza di Vasilij Grigor’evic Zajcev, il cecchino più letale della battaglia di Stalingrado.
Con la freddezza di una dilofosauro vendicatore.
Con la suprema indifferenza di un monarca assoluto.
Ciao, Giannone. Stammi bene. Ma un po’ più lontano da qui.
Lì per lì, ti senti in pace. Hai fatto un passo avanti verso l’affermazione di una simmetria più realistica tra la tua vita “reale” e la tua esistenza “virtuale”. Eliminando una variabile inspiegabile, hai contribuito ad aumentare il livello medio di ordine del tuo microcosmo. Arrivi a convincerti che neanche Giannone Pescalonza si ricorda chi sei e che, quindi, questa brutale separazione non avrà alcun genere di ripercussione sulla sua autostima e sulle sue condizioni psicofisiche. E ti sentirai pure scaltra come Napoleone Bonaparte. Eliminare qualcuno dagli amici proprio nel giorno del compleanno, infatti, è una mossa tatticamente astutissima. Con tutti gli auguri che gli saranno arrivati, il Giannone non avrà mai e poi mai modo di capacitarsi della tua repentina e vigliacchissima scomparsa.
Se ben ci pensate, è un ragionamento di terrificante ed egoistica modestia.
Purtroppo – e nostante gli sforzi che dedicherete alla costruzione di un solidissimo impianto logico in grado di giustificare le vostre riprovevoli azioni – il risultato è che, dopo aver eliminato Giannone Pescalonza dai vostri amici di Facebook nel giorno del suo compleanno, vi sentirete comunque delle merde terrificanti. Perché è una roba da brutte persone. È palesemente sbagliato. Anche il peggior sociopatico omicida mai vissuto riuscirebbe a capire che non si fa. È qualcosa da condannare, come condanniamo i bracconieri che bastonano in testa le foche monache o i vicini di casa che fanno baccano alle 9 della domenica mattina. Di punto in bianco, vi renderete conto dell’enormità delle vostre azioni e vi sentirete i più stronzi dell’universo. Vi domanderete anche, in preda ad atroci rimorsi, se ne sia valsa la pena. Avete un profilo Facebook più ordinato. Ma la vostra anima è diventata nera come un cormorano che sguazza in una macchia di nafta putrefatta. Avete sbagliato, ma non potete tornare indietro. Se aggiungerete di nuovo Giannone agli amici, infatti, lui se ne accorgerà… e la vostra arguta copertura andrà ufficialmente a farsi fottere. Non c’è rimedio, non ci sarà consolazione e nessuna religione sarà pronta a gestire il vostro caso e ad offrirvi un po’ di consolazione – non in tempi ragionevoli, almeno. Non vi resterà, dunque, che vagare per le strade della Terra, con la sola compagnia della vostra riprovevole malvagità e con l’assillo di un’unico, immenso quesito: ma… alla fin fine, chi stracazzo era Giannone Pescalonza?

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Qualche mese fa, ci siamo tutti presi molto bene con lo spazio. C’era Samantha Cristoforetti in orbita, c’era Fazio che la intervistava con domande stupidissime ogni venti minuti e c’era lei, idola incontrastata, che postava forsennatamente foto dalla stazione spaziale. Nel 95% del casi, aveva in mano la Guida galattica per gli autostoppisti, manovrava attrezzature del tutto incomprensibili ai comuni mortali, leggeva filastrocche di Rodari, calcolava a mente l’orbita di Nettuno o indossava un’uniforme di Star Trek. Non so voi, ma io la amo.

Quando Samantha Cristoforetti è tornata sulla Terra, però, il nostro entusiasmo per l’esplorazione dell’universo si è un pochino ammosciato. Eh, signora mia, con tutti i problemi che abbiamo in Italia. Ah, Renzi vuole metterci il canone RAI in bolletta. A Roma c’è l’asfalto pieno di buche. D’autunno bisogna vestirsi a cipolla. La verità, però, è che lo spazio continua ad essere incredibilmente interessante.  Va bene, sulla Luna non ci andiamo da un pezzo e chissà se – Matt Damon a parte – arriveremo mai su Marte, ma stanno comunque capitando faccende spettacolari. E la NASA non ha alcuna intenzione di mollarci. Anzi, è qui per raccontarci tutto con un insospettabile senso dell’umorismo.
Non tutti sanno, ad esempio, che il glorioso ente spaziale americano gestisce qualcosa come un centinaio di profili social. Volevo contarli, ma mi sono rotta le balle dopo i primi 24. Sono tanti, sono ovunque. Ogni missione, ambito di studi, astronauta o centro di ricerca è attivo su un canale dedicato. Twitter è obbligatorio per tutti, ma parecchie divisioni si divertono follemente anche su Facebook, Instagram, YouTube, Flickr e Vine, con risultati spesso adorabili o – alla peggio – super istruttivi e affascinanti.
Visto che orientarsi non è sempre immediato – e che, francamente, non so quanto vi garbino i pipponi di astrofisica applicata – mi sono permessa di spulciare un po’. E ho scoperto che c’è tantissima roba che possiamo seguire anche noi, senza che ci esploda il cervello. Non siamo mai stati abbastanza bravi in matematica per fare gli astronauti, ma i film di fantascienza e i tweet della NASA possiamo sempre goderceli, maledizione.
Che c’è sul menu?  

Asteroid Watch

Temete per la vostra incolumità o non vedete l’ora che Bruce Willis salvi il mondo con una trivella petrolifera? Molto bene, c’è Asteroid Watch – il profilo Twitter che informa i terrestri – con ragionevole anticipo – del passaggio più o meno ravvicinato di sassi e asteroidi, specificando il grado di minaccia per il nostro pianeta e smentendo (con doverosa sicumera) ogni genere di fandonia catastrofista. Utilissimo e rassicurante.  

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Mars Curiosity

Curiosity passeggia su Marte dal 5 agosto 2012. Più grande e “sofisticato” dei cuginetti Spirit e Opportunity, Curiosity scala montagne, scava buche, sminuzza rocce, analizza composti inorganici, fotografa formazioni geologiche e manda cartoline.

Curiosity, a quanto pare, è anche un grande fan di Star Wars – “Carbonite encased Han Solo, but carbonates didn’t trap enough atmosphere to account for ending Mars’ warm/wet era” – e del primo Matrix. Che poi era anche l’unico che valeva la pena guardare.

Nel tentativo – pienamente riuscito, per quanto mi riguarda – di diventare il primo Gianni Morandi a lasciare l’orbita terrestre, Curiosity ha anche cominciato a spararsi dei rispettabilissimi selfie (rispondendo con un pacato video dimostrativo a tutti gli HATERS che non riuscivano a spiegarsi dove diamine fosse il braccio meccanico con sopra la macchina fotografica).

Da un robot geologo col pallino del reportage non potevamo aspettarci nulla di meno. Per chi fosse interessato al rullino completo delle esplorazioni dell’adorabile robot, poi, la NASA aggiorna una pagina specifica con tutti gli scatti raw che Curiosity spedisce a casa al termine di ogni Sol (= giorno marziano). Prima o poi, ne sono certa, ne troveremo uno in cui abbraccia Marte. Tutto intero.

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Mars Rovers

Spirit e Opportunity erano stati costruiti per funzionare sulla superficie di Marte per 90 giorni. Erano atterrati grazie a un folle sistema di cuscini gonfiabili nel gennaio del 2004. Spirit si è arenato nel 2011, senza più dare segni di vita. Opportunity, in barba al buonsenso e ai bookmakers, continua a funzionare e ha da poco festeggiato il traguardo dei 42 chilometri percorsi sulla superficie marziana. La NASA, per l’occasione, ha organizzato una maratona aziendale.

Anche se Spirit e Opportunity rimarranno per sempre i miei rover preferiti, devo ammettere che Curiosity ci sa fare di più. Diciamo che i tweet di Spirit e Opportunity finiscono con [staff], mentre quelli di Curiosity sono tutta roba sua. La cosa veramente stupenda, comunque, è assistere alle conversazioni tra robottini esploratori. Tifano per il trionfo della scienza, danno il benvenuto ai nuovi orbiter e usano anche le GIF.

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Voyager

Il Voyager è pacato perché, di mestiere, fa l’ambasciatore. È stato lanciato nel 1977 e, al momento, è l’aggeggio umano più avventuroso dell’universo. In realtà, la missione Voyager comprendeva due navicelle, partite per esplorare il sistema di satelliti di Giove e gli anelli di Saturno. Il Voyager 1, dopo aver portato a termine la sua missione principale, è stato “riprogrammato” per partire alla scoperta dello spazio interstellare, approfittando del magico effetto-fionda dei pianeti giganti che era andato inizialmente a visitare. Il Voyager 1 – cosa mirabile – è equipaggiato con il famoserrimo Golden Record, un disco che racconta la provenienza della navicella e trasporta immagini e suoni del nostro pianeta. Lo scopo del Golden Record – curato da Carl Sagan in persona – è di farci fare bella figura con gli extraterrestri. Se mai accadrà, ne verremo prontamente informati su Twitter. E, per ingannare il tempo, possiamo sempre ascoltarci il Golden Record

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Robonaut

Come ci insegna Sandra Bullock, lo spazio è oscuro e insidioso. Per tenere al sicuro i suoi astronauti e sollevarli dai compiti potenzialmente letali, la NASA ha sviluppato un servizievole robot vagamente antropomorfo e l’ha spedito sulla Stazione Spaziale Internazionale, dove tutti sembrano ormai considerarlo una persona vera. Robonaut, dal canto suo, è un tipo molto diligente. Attende con pazienza gli aggiornamenti del software, si esercita per migliorare coordinazione e destrezza, si sciroppa con grande sportività lezioni chirurgiche di ogni genere e non si offende quando lo trattano come un giocattolo gigante.

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Nasa History

Perché qualcuno dovrà pur darvi una mano a vincere a Trivial Pursuit. Questo account è un vulcano di fatti, ricordi ed eventi memorabili del programma spaziale. Dal lancio del primo satellite canadese (l’hanno chiamato ALOUETTE… Maria, io esco) al compleanno di Luca Parmitano, Nasa History non se ne perde una. Un posto stupendo per i nostalgici, una gioia per i curiosoni e una miniera d’oro per i veri invasati – tipo il mio papà.

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Messenger

Lanciato nel 2004 e giunto a destinazione nel 2011, Messenger è stato il primo velivolo spaziale a orbitare intorno a Mercurio. In tutta franchezza, non ho idea di che cosa abbia scoperto laggiù, ma mi piacerebbe comunque assegnare a questo piccolo e coraggioso eroe l’ambito Premio Lacrime del programma spaziale americano. Dopo dieci anni di onorato servizio, infatti, Messenger è andato in pensione… schiantandosi sulla superficie di Mercurio. Tipo la MIR, no? Non ci servi più, stazione spaziale. Aggiusteremo la tua orbita e ti faremo precipitare senza tante cerimonie. Ecco, la medesima sorte è toccata al povero Messenger. Il problema è che Messenger ha avuto tutto il tempo per rendersene conto. I suoi Tweet di addio sono più tragici dell’inizio di Up. Più struggenti della morte lenta e inesorabile di Hal9000. Ben più devastanti e sbudellosi di Non lasciarmi. Rendiamo onore alla sua memoria.

 

Non ti dimenticheremo, piccolo Messenger. Ci rivedremo… là dove nessun cosino orbitante è mai giunto prima.
E basta. Ho finito. Felice spazio a tutti.

…cioè, speriamo che Alberto Angela legga questa roba. Ti voglio bene, Alberto Angela. Portami con te in una catacomba interstellare! Anche tu, signora Cristoforetti. Vieni a bere una cioccolata con me. Ci scambieremo le magliette dell’Ipnorospo e declameremo poesie Vogon! Guarderemo Alien! Ci lamenteremo di Prometheus! Inventeremo un progetto per lanciare Magalli nello spazio! CUORI A TE, SAMANTHA!
Già. Fangirlare con gli astronauti è possibile.