Diario

Il teorema di Santa Lucia

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A casa mia c’era snobismo, quindi non si aspettava Babbo Natale ma avevamo Santa Lucia, una portatrice di regali di nicchia. E io credevo a Santa Lucia con una fervida, incrollabile e cieca fede, cieca almeno quanto lei.

Fondamentalmente, ci credevo così tanto perchè non avevo ben chiari i meccanismi dell’economia di mercato. Esempio lampante: ero una bambina convinta che il bancomat regalasse i soldi, ma allo stesso tempo non riuscivo a dare un valore a quello che c’era nei negozi, che mi sembrava assolutamente fuori dalla nostra portata. Di conseguenza, non era plausibile che ricevessi tutti quei giocattoli in una botta sola senza un aiuto sovrannatural-divino… tutti quei giocattoli avrebbero rovinato noi e la nostra discendenza, rendendo arida la terra, sterili gli armenti e secche le fonti.
Il fatto è che il denaro mi trascinava nella più assoluta confusione.

Questa totale incapacità di dare un valore ai soldi era in buona parte dovuta al confronto con consanguinei dal comportamento schizofrenico e imprevedibile. Da una parte, avevo la nonna povera, che abitava da una sempre in una casa grande come il mio attuale bilocale, ma che mi sganciava con costanza delle diecimila lire così, aggratis, senza motivo o impliciti ricatti morali. La nonna povera andava in gastronomia, mangiava tortelli già pronti, mi dava da bere il Gatorade al mirtillo invece dell’acqua del rubinetto ed era sempre garrula e pimpante. Dall’altra parte avevo la nonna ricca, che mi metteva a fare il pisolino sotto a una trapunta di purissimo guanaco andino ma era simpatica come un cimitero polacco in una giornata uggiosa di metà gennaio. In più, mi faceva un culo così se giocavo a fare tic-tic-tic-tic con le penne a scatto, ma non perchè il tic-tic-tic-tic fosse fastidiosissimo e molesto, ma perchè se no la penna si consumava. Non me la dimenticherò mai, la roba del “consumi l’inestimabile a penna a scatto”, avevo quattro anni e credo sia stato il primo momento nella vita in cui mi sono accorta che mi avevano detto una plateale e fragrante stronzata.
Comunque. Nel mezzo di questa delirante situazione, i miei genitori non erano d’aiuto. Mia mamma cercava di convincermi che eravamo dei poveracci, ma poi mi portava dalla sarta perchè dovevamo prendere le misure per le vestine nuove dell’estate. Con mio padre era più una questione di principio. A lui stavano sulle palle i giocattoli non istruttivi, quindi non c’era modo di farsi comprare roba tipo Sbrodolina, Baby Mia e Cicciobello, ma poi si lanciava in imprese irrazionali e che ne so, arrivava a casa con una lavastoviglie che non avevamo modo di incastrare da nessuna parte. Per un buon cinque anni, in camera mia, tra il letto e il casto dei giochi, c’è stata una lavastoviglie semi-incellophanata. Ci mettevo dentro i pupazzi brutti, in castigo.
Ma ora non è importante.
Le mie difficoltà di quantificazione erano particolarmente acute quando si trattava di giocattoli. Credevo che un Trudi costasse quanto una Smart, per intenderci. E così, quando entravo in salotto la sera del 12 dicembre e vedevo chili di pacchetti disseminati per il tappeto ritrovavo ogni volta la fede nel divino. Ovvio, era da escludere che fossero stati i miei genitori. C’è anche da dire che la famiglia faceva di tutto per mantenere integra la mia fiducia nell’ineffabile e, presumo, la commovente innocenza che irradiavo. Allo scopo di cementare la mia devozione in Santa Lucia, ogni anno in casa mia andava in scena un qualche tipo di produzione teatral-hollywoodiana, con intervento di comparse, costumisti, scaldapubblico e controfigure. Momenti memorabili. Memorabili.
Mia madre era solita impersonare il ciuchino da soma di Santa Lucia. Quando avevo tre anni, era riuscita a costruire con fil di ferro e cartapesta una fighissima testa d’asino assolutamente realistica, usata per inscenare l’arrivo della generosa Santa. Funzionava così: qualcuno piazzava i regali in salotto mentre io, in braccio al papà-uomo-del-diversivo, osservavo costernata il pianerottolo buio, finchè non si sentiva suonare una piccola campana. Al che, dalle scale iniziavano a spuntare delle lunghe orecchie, poi un muso e il resto di una creatura rumorosissima ma molto credibile. Madre guadagnava poi il centro del pianerottolo e si esibiva in cinque minuti buoni di ragliate e scampanate, indispettendo oltre ogni immaginazione i vicini ma rendendomi la bambina più felice del mondo, perchè l’asino di Santa Lucia era venuto proprio da me, mica dal primo coglione dell’isolato. Non mi sarei sentita più onorata di così nemmeno se mi avessero scelta come nuova incarnazione di Buddha.
Un’alta volta invece, era apparsa Santa Lucia in carne e orbite cave. Mia zia, con vestito da sposa, velo e strascico, ripeto, vestito da sposa, velo e strascico, era apparsa in sala, con una borsa di Giocheria in ogni mano. Lì per lì, mi ero cagata addosso dalla paura, perchè tutto quel tulle occupava l’intero salotto e Santa Lucia si muoveva come se fosse stata moviolata e in più non si capiva che aspetto avesse, visto che il velo le copriva in modo impenetrabile un buon 140% della testa. Una paura boia, insomma, dissimulata ben presto con uno spavaldo racconto dell’episodio:

– ZIA! ZIA! È venuta Santa Lucia!
– Come è venuta Santa Lucia? USSIGNUR, davvero?
– SI!!
– E com’era?
– Era alta e bella e aveva uno… uno, non so come si chiama, ma aveva uno… straccio bianco in testa!

A mia zia non andò mai giù la roba dello straccio bianco.

2 Comments

  1. Pensa che io, per sostenere il fatto che santa lucia esistesse davvero e fosse un’entità soprannaturale, nei discorsi con i miei compagni delle elementari mi ero inventato che avevo piazzato un sistema di laser nei corridoi e che non avevano rilevato niente. Ero già destinato al Politecnico… :)))

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