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Penso capiti di rado di imbattersi in una voce narrante come quella che Barbara Kingsolver decide di donare a Demon Copperhead, il caparbio protagonista di quest’epopea di disastri premiata col Pulitzer e approdata qui da noi in libreria grazie a Neri Pozza nella traduzione di Laura Prandino – che non invidio e molto ammiro per il coraggio.
Demon condivide con David Copperfield l’ambizioso arco narrativo – sono nato… ed ecco qua tutto quello che mi è successo – e con Rosso Malpelo il colore dei capelli e una specie di bersaglio invisibile dipinto sulla schiena. Demon in miniera non ci arriva, ma la sua contea natia è un centro estrattivo degli Appalachi già avviato al declino, popolato da gente che si arrabatta, griglia anche quello che non si potrebbe grigliare, coltiva tabacco, venera i giocatori di football del liceo e accoglie a braccia aperte il ristoro che le pillole della Purdue Pharma promettono di dispensare.

Demon nasce senza tante cerimonie sul pavimento di una casa mobile, da una diciottenne con già alcuni percorsi di disintossicazione (non molto ben riusciti) alle spalle. L’unico dono che il destino pare tributargli sono dei vicini che diventano una sorta di seconda famiglia. Pure loro sono hillbilly da manuale, ma in confronto a Demon e a sua madre – privi di mezzi, privi di radici, di direzione o di magici piani a lungo termine – sembrano il Rotary Club di Corso Magenta. Demon oscilla tra un’iperconsapevolezza della propria condizione di svantaggio “materiale” e una struggente capacità di assorbimento delle disgrazie. Non solo cerca di cavarsela, ma resta “intero”, anche se chi dovrebbe prendersi cura di lui non si dimostra mai all’altezza della situazione, anzi.

Ricapitolarvi anche solo a grandi linee la sua fosca parabola fatta di povertà, fondi di magazzino di Walmart, pezze al culo, assistenti sociali oberate dalla vastità delle catastrofi da gestire, fame, fornelli luridi, fratelli di sventura e genitori affidatari che si vendono pure i cotton fioc usati al banco dei pegni sarebbe sciocco, perché il punto di vista del piccolo Demon vale il prezzo del biglietto. La Lee County del libro è un posto che asseconda da un bel pezzo la narrazione di disfacimento del Sogno Americano, che qua resta in piedi per riti collettivi e per un’attitudine quasi comica alla venerazione della celebrità – status che in questo contesto di pochissime pretese è raggiungibile anche da quel tuo amico che piscia più lontano di te in mezzo a un bosco. Demon non ha mai potuto beneficiare del lusso dell’ambizione, perché arrivare indenne alla fine di una giornata è già un traguardo sufficiente, ma spicca strano e meraviglioso ovunque lo si piazzi. È piccolo e più che adulto insieme, disegna per sfogarsi e per immaginare supereroi che raddrizzino le storture del suo mondo… ma chi salverà lui?

Che da questa serie di sventure non scaturisca una narrazione dolente e lacrimevole è una specie di miracolo. Credo dipenda da come viene tratteggiato Demon, ma anche dall’intento di esplorare un contesto che ha una presa forte sulla realtà – piaga degli oppioidi venduti come caramelle assolutamente innocue compresa. Demon cresce e la sua voce cambia, creando un certo stacco tra la prima parte del libro – quella dell’infanzia – e la seconda, che è una prova generale di un’età adulta azzoppata dalla carenza di “esempi” virtuosi e da circostanze sistemiche che finiscono per risucchiarlo. La famiglia è un’entità ondivaga, inaffidabile, monca. Per Demon l’idea di “casa” perde senso molto presto, per essere sostituita dalla Lee County in generale, quasi. Ma è proprio quel posto, con le sue storture che affliggono chiunque resti, ad avvelenare ogni possibilità di riscatto. Quello che per noi potrebbe essere percepito come degrado, marginalità o circostanza “estrema” per Demon è ordinaria amministrazione, “prodotto tipico” della contea. Come si fa a salvarsi se l’unico punto di riferimento che si possiede è anche la radice di quello che ci fa più male? La grande sfida di Demon sarà proprio quella. E a ogni istante tiferemo sinceramente per lui. Anche nei momenti peggiori, anche quando ci deluderà o lo vedremo prendere decisioni sciagurate, non smetteremo di volergli bene e di provare a regalargli tutti i pennarelli del mondo.

Una cittadina del Sud degli Stati Uniti viene all’improvviso sconvolta da un evento traumatico: un ragazzo si alza in piedi durante la messa, rovescia una tanica di benzina e la chiesa prende fuoco, uccidendo quasi tutti. Il gesto pare premeditato e non c’è dubbio sul fatto che quell’Iggy fosse un tipo “strano” – almeno secondo gli standard di Harmony – ma a distanza di venticinque anni dall’accaduto nessuno riesce ancora a capacitarsene o a spiegare le ragioni profonde di quel che è successo. E Iggy, che attende in carcere l’iniezione letale e dalla finestrella della sua cella aspetta la fioritura dell’unico albero che può vedere, ripercorre insieme a noi il mistero di un gesto che ha definito la sua vita ma che sembra non essergli mai appartenuto.

Michael Bible condensa le ripercussioni di questo disastro collettivo (e i mille colpi di testa di chi cerca di crescere in un posto che non ha un centro) in questo romanzo breve ma densissimo, a suo modo lirico ed estremamente “vivo”, nonostante il paesaggio privo di appigli e prospettive di futuro. La staticità di Harmony, la tenace impresa di nascondere sotto al tappeto quel che trascende la norma o increspa la superficie impenetrabile dell’accettabilità, è uno specchio che deforma anche i luoghi più sicuri. Iggy trova rifugio dove può e fin dove le persone che ama glielo consentono, ma si scappa fin quando le gambe reggono e fin quando si può immaginare una meta alternativa, che non sempre c’è. Chi vuoi che ti ascolti, quando nemmeno tu sai spiegarti perché tutto ti respinge?

L’ultima cosa bella sulla faccia della terra si legge con rapidità ma sedimenta con calma, perché molte desolazioni si riempiono agitandosi qua e là sperando di imbattersi in un posto dove fare il nido o in qualcuno che “veda”, senza volerci necessariamente aggiustare, convertire, placare. La voce di Bible – nella resa bellissima di Martina Testa per Adelphi – sembra antica anche se parla di stazioni di servizio, robaccia che si beve, secondini che vengono a chiederti cosa vuoi mangiare per l’ultima volta. Iggy resterà un enigma, ma vi sembrerà un essere umano che ha cercato molto senza trovare assolutamente niente.

Hilma Wolitzer è una relativa novità per noi: per la prima volta la troviamo tradotta in italiano (da Bettina Cristiani) in quest’antologia in libreria per Mondadori, corredata da una prefazione di Elizabeth Strout – che non deve aver sudato sette camicie per scriverla, mi permetto di dire. Oggi una donna è andata fuori di testa al supermercato raccoglie i racconti di Wolitzer usciti in origine attorno agli anni Settanta su un nutrito manipolo di riviste americane. L’unica eccezione è l’ultimo, recentissimo e “pandemico”, ma il resto è una collezione meno vicina nel tempo ma che conserva un suo senso perché la coppia, la famiglia e l’identità modificata dalle relazioni sono temi che mai potranno dirsi vecchi o superati, anche se i contesti di produzione e ricezione cambiano inevitabilmente.

La bandella prova a vendervelo come un “romanzo di racconti”, ma non è particolarmente vero – anche se tutti i mariti sono degli Harold o degli Howard e tutte le mogli (più o meno abbandonate, insonni o intente a sbirciare il mondo dalle finestre di casa) ingaggiano con noi che leggiamo una conversazione che compensa il tran-tran ermetico di una vita domestica che pare ormai sicura, se non paludosa.
Si parla d’amore, di sesso e di gioventù sfiorite, di amanti che minacciano lo status-quo o di ex-mogli invadenti, di corpo, di compromessi e padri assenti, di alleanze femminili e vite alternative da immaginare visitando case in vendita, apparecchiate a tema per evocare idilli molto specifici. Parlano da sole, queste donne. Parlano con noi senza risparmiarsi e con una franchezza modernissima, affilata e amara. Tutte, prima o poi, potrebbero andare fuori di testa al supermercato, coi bambini che non smettono di tirarle per la gonna e che finiscono per farsi ingloriosamente la pipì addosso. Non sono racconti “appariscenti” o vulcanici, sono musica da camera suonata con tutti gli strumenti scordati e i vicini del piano di sopra che litigano, strascicano i piedi o passano l’aspirapolvere. E come finiscono? Così, di botto, dopo aver attraversato in una manciata di pagine uno accidentato e vasto paesaggio interiore.

Siamo collettivamente programmati per considerare la California un posto degno di essere sognato. Pochi altri luoghi hanno goduto di una fama altrettanto dorata e hanno saputo capitalizzarla, rendendo spesso possibili ascese sfolgoranti e grandi fortune, più o meno basate sull’innovazione tecnologica. Se ci mettiamo i paesaggioni e la costante influenza sulla cultura globale – dal cinema alla musica – dovremmo aver dipinto un quadro più che idilliaco. Chi non vorrebbe vivere in un posto dove c’è ricchezza, occupazione, fermento e inventiva? Università strabilianti, terreno fertile per far germogliare le proprie idee, la promessa continua del progresso e del benessere? Insomma, chi non vorrebbe vivere in California, sembra domandarci il fin qui incoraggiante curriculum dello stato? I californiani, a quanto pare.

Da che mondo è mondo, la gente si sposta per migliorare le proprie condizioni di vita. Le motivazioni possono essere innumerevoli, ma l’ambizione di base è grossolanamente riassumibile in questo modo. Perché mai, dunque, un posto che sembra avere ogni carta in regola per garantire radiosi futuri sta perdendo “popolazione”, invece di guadagnarne come regolarmente è sempre accaduto?
Francesco Costa prova a rispondere, un pezzettino alla volta, a questa domanda complicata in California – in libreria per Mondadori. Perché sì, per quanto controintuitivo possa risultare, qualcosa si è spezzato e i costi della vita californiana stanno cominciando a sovrastare le opportunità, superando anche la dicotomia tra città e centri più piccoli. Tutto tende all’impraticabile, allo sproporzionato, al dispendioso.

Dalle radici profonde di una crisi immobiliare che sta raggiungendo vette surreali all’emergenza umanitaria (mi pare la definizione più accurata) dei senzatetto, dal costo esorbitante della vita all’incubo del traffico, Costa assembla un puzzle pieno di linee di frattura e tesserine bruciacchiate dal fuoco dei frequentissimi incendi. Il paradosso più grande sta forse nella politica che, nel professarsi estremamente virtuosa, “woke” – come viene bollata con insofferenza – e iper vigile e accogliente in fatto di diritti civili, diversity ed equità, non sembra di fatto avere gli strumenti per affrontare una realtà conflittualissima, iniqua e impari. La California pare un posto dove il privilegio estremo viene riconosciuto a parole – sovente di autodenuncia, perché segnalare sempre la propria rettitudine è fondamentale – ma dove è difficile innescare un cambiamento che non sia soltanto cosmetico. Perché restare, si chiedono molti “nuovi” californiani, in un simile ginepraio di potenziali passi falsi e oggettive asperità pratiche? Perché rinunciare a un presente più “semplice” – anche se magari meno glorioso, per certi standard da SE VUOI PUOI – in nome di una promessa che pare sempre più remota o alla portata ci chi partiva già in vantaggio?
Vedremo come si mette? Vedremo come si mette. O al massimo raccoglieremo firme per l’ennesima petizione in difesa di uno status quo che non conviene quasi più a nessuno.

“Regala un libro che non sbagli mai”: MADORNALE ERRORE, TRAGEDIA, MENZOGNA!
Donare un libro è potenzialmente meraviglioso, ma bisogna metterci del doveroso impegno e lasciarsi pervadere dalla nobile necessità di assecondare – o almeno di intuire – gli interessi altrui. È anche un po’ per favorire questa sana ricerca di argomenti e aree di curiosità che, specialmente a Natale, tendo a procedere per temi ben riconoscibili. Quando si può, provo anche a individuare delle edizioni “importanti”, perché mi preme farvi fare doppiamente bella figura. Ma guarda, questo libro è perfetto per me ed è pure MAGNIFICO a vedersi! Ecco, non sempre si arriverà a quest’intersezione eccellente tra contenuto e involucro – che poi è anche un po’ la definizione condivisa di “strenna” – ma vale la pena tentare.
Altre note metodologiche? Non necessariamente troverete solo novità freschissime – perché i libri, per nostra fortuna, non scadono. Sì, i link puntano ad Amazon – ma se non vi va di comprare lì e di convogliare ESORBITANTI % di affiliazione nella mia direzione potete felicemente segnare tutto e rivolgervi alla vostra libreria preferita.

Procediamo?
Procediamo, che queste premesse non ha mai voglia nessuno di leggerle.


Giampaolo Barosso
Dizionarietto illustrato della lingua italiana lussuosa

Elliot

Gramolazzo! Caccugnare! Lampasco! E suppergiù altre 2000 voci qui collezionate, spiegate e commentate con sagace ironia e un autentico gusto per la stravaganza linguistica.
Per chi coltiva una vivace passione per la lingua italiana ma – grazie al cielo – è immune da pretenziosità e parrucconerie.


Jenny Uglow
Il libro di Quentin Blake
L’ippocampo
(Traduzione di Paolo Bassotti)

Uno splendido compendio per immagini della carriera e della vita professionale (e non) di uno degli illustratori più amati della galassia tutta, dagli esordi al sodalizio leggendario con Roald Dahl.
Per chi ha voglia di curiosare nell’archivio di un artista che ha profondamente popolato il nostro immaginario, accompagnando le storie della nostra infanzia con estro e accuratissima crudeltà. 🙂


James Mottram
Jurassic Park – The Ultimate Visual History
Insight

Inaugurata nel 1993 da Spielberg – su materiale romanzesco di Michael Crichton – la saga di Jurassic Park ci ha accompagnato in varie vesti fino a pochi mesi fa, con il terzo e ultimo capitolo dell’inevitabile reboot che tocca a tutti i prodotti di successo delle nostre infanzie. Questo volume – che fa parte del catalogo favolosamente pop di Insight – è una gloriosa cronaca del backstage del primo film e chiude simbolicamente il cerchio ospitando anche i contributi di Sam Neill, Laura Dern e Jeff Goldblum, oltre a una valanga di fotografie inedite e “documenti” di lavorazione.
Per chi ama i libroni dedicati al cinema e continua a non accettare i dinosauri con le piume. Sì, vi sto specificamente segnalando l’edizione originale in inglese.


Omero
Odissea
Blackie Edizioni
(Traduzione di Daniel Russo)

Blackie inaugura con questa prima illustrissima uscita il suo filone dei “Classici Liberati” AKA un progetto che ambisce a conciliare rigore filologico e accessibilità, riconsegnandoci i testi fondanti della nostra cultura in una chiave ad alto tasso di godibilità, senza sminuirne la profondità o semplificarne la portata. Come si fa? Ottima domanda. Blackie si affida qui alla traduzione di Daniel Russo, basata sulla versione in prosa di Samuel Butler – celeberrima per la sua eleganza e leggibilità – e a un impianto iconografico giocoso e puntuale, senza tralasciare annotazioni e commento.
Per chi a scuola ha sofferto ma vuole rifarsi, per chi già ama i classici e vuole continuare coltivarli.

Bonus track: Daniel Russo che parla del lavoro sull’Odissea chez Tienimi Bordone.
Bonus track inevitabile, visto che parliamo di Blackie: il famigerato (e regalabilissimo) quaderno dei compiti delle vacanze per adulti c’è anche quest’inverno.
Bonus track correlato, visto che abbiamo tirato in ballo un libro “interattivo”: era uscito quest’estate per accompagnarci sotto l’ombrellone, ma i casi da risolvere di Scena del crimine continuano ad essere una valida idea per chi apprezza gialli e rompicapo.


Janina Ramirez
Divine – 50 storie meravigliose di dee, spiriti e streghe
Nord Sud Edizioni

Dalle valchirie a Medusa, da Rangda a Venere, un’indagine splendidamente illustrata sul rapporto tra femminilità e trascendenza. Il libro cataloga le sue cinquanta “dee” per aree tematiche – Guida e governo, Nuova vita, Morte e distruzione, Amore e conoscenza, Natura e animali -, passando in rassegna le mitologie e la storia di un ampio ventaglio di popoli e culture.
Per chi sta costruendo una biblioteca femminista, per le fattucchiere del vostro cuore e per chi apprezza leggende e folklore.


Barbara Sandri & Francesco Giubbilini
Progetto grafico di Camilla Pintonato

Il gallinario
Quinto Quarto

Dunque, vorrei in realtà segnalarvi Quinto Quarto in blocco, ma uso questa esaustiva enciclopedia delle galline come testa di ponte. Non so cosa ci sia nelle scelte grafico-visuali di Camilla Pintonato, ma questo libro mi mette addosso una serenità indescrivibile – e il serraglio è in via d’espansione, pure. Volete dedicarvi agli ovini? Perfetto, c’è Il pecorario. Vi piacciono i maiali? Ottimo, c’è Il porcellario.
Per chi sogna di governare una fattoria ma sta in 34mq a Milano e per chi ama la saggistica zoologica ben illustrata (in tutti i sensi).


Jean Giono (con le illustrazioni di Tullio Pericoli)
L’uomo che piantava gli alberi
Salani

Una caparbia impresa solitaria – portata avanti con l’unico intento di far tornare a vivere un territorio disgraziato – che non smette di scaldare il cuore e di generare edizioni stupende. Qui il testo di Giono è accompagnato dalle illustrazioni di Pericoli, che si trasformano in una sorta di narrazione parallela – con tanto di musica da ascoltare grazie a un QR.
Per chi non abbandona la speranza e crede ancora nel potere della generosità disinteressata.


Cecily Wong & Dylan Thuras
Food Obscura – Guida alle meraviglie gastronomiche del mondo
Mondadori
(Traduzione di Manuela Faimali e Teresa Albanese)

La versione gastronomica del beneamato Atlas Obscura promette di condurvi ai quattro angoli del globo alla scoperta dei cibi e delle specialità più intriganti.
Per chi ama viaggiare, sperimentare mangiando ed esplorare luoghi insoliti.


Craig A. Monson 
Suore che si comportano male
Il saggiatore

(Traduzione di Luisa Agnese Della Fontana)

Geniale copertina che rende omaggio a Cronaca Vera e contenuto di raro rigore storico, per quanto si parta da premesse indocili e riottose. Scandagliando registri e una vasta documentazione d’archivio, Monson costruisce qui una hall of fame delle monache italiane che fra il XVI e il XVIII secolo cercarono di ribellarsi – talvolta violentemente – alle imposizioni di una vita che non avevano scelto.
Per gli spiriti liberi di ogni tempo, per chi mal tollera soprusi e costrizioni, per chi ama la saggistica storica più spigliata.


Comics & Science – Vol. 1 e 2
A cura di Roberto Natalini e Andrea Plazzi
Feltrinelli

I due volumoni di Comics & Science raccolgono l’immenso lavoro divulgativo portato avanti dal 2012 dal CNR in collaborazione con una folta schiera di straordinari fumettisti italiani. Le storie sono in precedenza uscite in fascicoli tematici ma trovano qui per la prima volta una dimora “complessiva”… e il risultato è davvero magnifico. Dalla matematica all’esplorazione spaziale, dalle scoperte informatiche al collasso delle stelle, il disegno incontra la ricerca per farsi accessibile, divertente, chiaro e limpido.
Per chi impara meglio quando se la spassa, per chi studia volentieri e per chi vuole capire meglio il presente per riuscire a intravedere il futuro.


Michael Leader & Jake Cunningham
Ghiblioteca – La storia dei capolavori dello Studio Ghibli
Magazzini Salani

Tornerei volentieri a rimpolpare il filone “backstage del cinema” con questa enciclopedia (necessariamente) illustrata della filmografia pluridecennale dello Studio Ghibli. Un eccellente tour guidato che approfondisce prodezze tecniche, significati e fonti d’ispirazione, da Totoro alla Città incantata.
Per chi ama Hayao Miyazaki, l’arte e l’animazione giapponese.


Francesco Costa
California
Mondadori

Che cosa sta succedendo alla California? Come è possibile che uno stato che produce così tanta ricchezza e sul quale abbiamo riversato così tanti sogni stia diventando un posto in cui si campa fondamentalmente male? Costa torna alla sua specialità – gli Stati Uniti del nostro presente – per cercare di districare una matassa di non facile interpretazione.
Per chi ascolta Morning con trasporto, per chi si interessa di macro-fenomeni “esteri” che riguardano pure noi (più del previsto) e per chi sta combattendo col mercato immobiliare delle nostre grandi città.

Bonus track a tema Costa-Il Post: la collana delle Cose spiegate bene co-prodotta con Iperborea è arrivata ormai al quarto volume. Se fra i destinatari dei vostri doni c’è chi vorrebbe approfondire il funzionamento della filiera editoriale o le droghe, la giustizia e le questioni di genere, dateci un occhio.


Mervyn Peake
Gormenghast – La trilogia
Adelphi

(Traduzione di Anna Ravano e Roberto Serrai)

Descrivere Gormenghast è un problema. Ci ho provato qui, partendo dal primo libro della trilogia. È un’opera folle, labirintica, terrificante e superba che non somiglia a niente e reinventa molto di quello che può risultarci noto. Adelphi, con uno slancio di notevole coraggio, ha deciso di far convergere i tre atti di Gormenghast in un unico volume che immagino possa tornarvi utile anche come elemento architettonico per edificare il vostro personalissimo torrione maledetto.
Per chi non teme nulla – e fa male -, per chi vuole revisionare completamente la sua idea di gotico, per chi ama i gatti bianchi in grandi quantità.


Alex Johnson & James Oses
Una stanza tutta per sé – Dove scrivono i grandi scrittori
L’ippocampo

Da Jane Austen a Paolo Cognetti, un’indagine illustrata sugli spazi creativi di chi amiamo leggere da tempi più o meno recenti. Ogni stanza è raccontata da Johnson e illustrata sapientemente da Oses, per dar vita a una grande residenza collettiva abitata da penne illustri.
Per chi legge volentieri storie e romanzi ma vuole anche sapere meglio da dove arrivano.

Corollario: se il titolo vi suscita moti d’amore per Virginia Woolf, c’è anche Stanze tutte per sé, che si concentra sulle dimore più significative per il gruppo Bloomsbury degli anni Venti (Edward e Vita Sackville-West in testa).


Valentina Divitini
Leggere i tarocchi – Una guida e molte idee per esperti e principianti
Magazzini Salani

Una guida lontana dal nozionismo per scacciare le diffidenze e padroneggiare uno strumento di ragionamento alternativo, tra immaginazione e simboli condivisi. Ne avevo parlato anche qua e vi incoraggio ad approfondire, se serve. 🙂
Per chi intuisce il fascino delle storie e vuole provare a farsi le domande giuste.

Bonus track illustre: Dizionario dei simboli di Juan-Eduardo Cirlot.


Gribaudo
La collana Straordinariamente

Vi fornisco un link approssimativo, ma sappiate che la collana Straordinariamente – popolata da questi volumi di grande formato dalla grafica di copertina assai riconoscibile – contiene suppergiù ogni branca dello scibile umano. Che vi interessiate di Black History o di medicina, di economia o di Sherlock Holmes, è assai probabile che ci sia un tomo per voi. L’idea di base è quella di rispondere ai quesiti fondamentali di una determinata “materia”, sviscerandone i casi esemplari e sintetizzando in maniera accessibile e graficamente vispa le curiosità e i fenomeni più rilevanti.
Per chi ama gli approfondimenti “verticali” e vuole umiliarci a Trivial Pursuit.


Nicolas Guillerat & John Scheid
Infografica della Roma antica
L’ippocampo

Tutte le volte che compilo questi listoni mi trovo a esclamare “diamine, stai mettendo troppi libri dell’Ippocampo!”. Ma come si fa? Sono perfetti per queste circostanze. Beccatevi dunque anche la storia di Roma raccontata per prodezze a base di data-visualization – dagli eventi bellici all’organizzazione della res publica, dall’economia ai divertimenti popolari. Se l’approccio vi affascina, i medesimi curatori hanno sfornato anche l’Infografica della Seconda Guerra Mondiale.
Per chi apprezza un approccio innovativo alla ricostruzione storica e per chi già vuol bene ad Alberto Angela.


Seymour Chwast & Steven Heller
Hell – Guida illustrata agli inferi
Corraini

Va’ all’inferno! …sì, ma quale? Ogni cultura ha il suo, ogni cosmogonia ne ha immaginato uno, per non parlare dell’arte, della letteratura e delle religioni. Questa agile guida illustrata ci accompagna alla scoperta delle dimensioni infernali più emblematiche, tra ustioni e supplizio eterno.
Per chi ci finirebbe volentieri, perché si vocifera che la compagnia sia interessante.

Bonus track: per un approccio meno pop ma di sconfinato fascino e abissale terrore, ecco il catalogo di Inferno, la ragguardevole mostra del 2021 ospitata dalle Scuderie del Quirinale. 


Altre idee inerenti all’universo libresco-editoriale? Eccoci.

La Revue Dessinée Italia

È un progetto indipendente che “adatta” al nostro contesto l’omonima rivista francese e che ha ben debuttato quest’anno con i primi tre volumi – ricevendo anche il premio Gran Guinigi di Lucca Comics come miglior iniziativa editoriale del 2022. Esce ogni tre mesi, non s’avvale di pubblicità e ogni numero è frutto della collaborazione tra giornalist* e artist*. Il risultato è una raccolta di reportage, rubriche e inchieste a fumetti “multidisciplinari” che affrontano temi d’attualità e offrono un punto di vista critico su molte magagne o fenomeni rilevanti del presente.
Si possono acquistare qua i singoli numeri, abbonarsi o donare un felice abbonamento 2023.

Donare un abbonamento vi pare un’idea saggia? Concordo e vi rammento dell’esistenza di Storytel – scegliendo una gift-card che copre periodi medio-lunghetti c’è anche un buon margine di sconto.


Treccani Emporium

Treccani Emporium si presenta come “il negozio online della cultura italiana”… e se non scelgono loro una definizione adatta non so francamente chi mai potrebbe farlo. 🙂
Oltre alle proposte editoriali di Treccani troverete anche una selezione di oggetti di design e alto artigianato e una nutrita linea di cartoleria basata proprio sulle definizioni.


Altre risorse utili già pubblicate? Perché no. 
Ecco qua la lista natalizia del 2021.
E la lista del 2020.
Questa, invece, è la lista dello scorso anno dedicata ai bambini e alle bambine.
Vi rammento anche l’intera categoria Libri, che male non fa.
Per spiccati interessi naturalistici, vi rimando volentieri al catalogo di Aboca – qua c’erano i percorsi di lettura che avevo individuato qualche tempo fa e che ho aggiornato dopo il debutto della collana Kids.
Per un colpo d’occhio rapido, ecco la vetrina Amazon – segnalo in particolare la sezione degli atlanti e la grande sezione delle strenne. Sempre lì, parecchi spunti anche per l’infanzia.

Felici doni libreschi a voi! 🙂

Gary Shteyngart ha un talento raro: ti fa ridere di cuore, ma ti mette anche addosso una gran voglia di sederti in terra a singhiozzare un po’. I suoi personaggi si ingarbugliano nel tentativo perenne di cambiare pelle e coltivano con caparbietà le speranze più varie, deformandole fino al paradosso dell’illusione. Si muovono in mondi sovrapponibili al nostro – come nel caso di Destinazione America, uscito per Guanda nella traduzione di Katia Bagnoli – e contribuiscono a metterne in luce le storture, le ambizioni più malsane e le grandi occasioni perdute. Ho incontrato Shteyngart un mesetto fa a Torino, nel gran ribollire del Salone del Libro, e ho fatto del mio meglio per non lasciarmi annichilire dall’emozione. Sono una fan, che devo fare. Ed essere fan di un autore noto per la sua ironia e per la sua acutezza devastante è un problema ancora più grande, quando si tratta di sedersi lì e di non fare la figura della pianta da appartamento. In ogni caso, il buon Gary è stato di una gentilezza disarmante. Me lo immaginavo serafico, simpatico e brillante, avvolto in una nuvola di pessimismo divertito. E non mi sbagliavo. Spero davvero che abbia apprezzato quanto me il quarto d’ora che abbiamo passato a dirci delle cose in un cantuccio verdeggiante dell’NH Lingotto.

Due parole sul libro, prima di lasciarvi in pace a leggere l’intervista.

Destinazione America è un ritratto di Manhattan (e dell’America) alla vigilia dell’ascesa di Trump. Shteyngart ce la descrive utilizzando, in parallelo, due voci. Da un lato abbiamo Barry – “l’uomo più simpatico di Wall Street”, un finanziere che amministra hedge-fund in maniera non proprio eccezionale, ma che riesce più o meno sempre a cascare in piedi – e dall’altro c’è sua moglie Seema – figlia di immigrati indiani assai intransigenti, ha tutte le carte in regola per fare l’avvocato in uno studio prestigioso, ma ha sposato Barry e, ora, fa la signora ricca a tempo pieno. Vita idilliaca? Ovviamente no. Perché, al mondo, non tutto è in vendita. Barry e Seema partiranno ben presto per le rispettive tangenti, nel nome di una felicità che sentono di meritare ma che non sono ancora stati capaci di afferrare. Tra antichi rimpianti, Greyhound puzzolenti, autostrade che si snodano in un mondo fin troppo “reale” per gli standard di un milionario di New York, una meticolosa ossessione per gli orologi da collezione, ambizioni frustrate, scrittori boriosi, FBI e cantonate madornali, Shteyngart demolisce il sogno americano mettendo in mano il piccone proprio a due dei suoi “prodotti” di maggior successo. Che cosa resta? L’esigenza viscerale di scrollarsi di dosso le sovrastrutture e la vergogna per quello che siamo diventati, nel tentativo di riscoprirci – forse – un po’ più umani e predisposti, finalmente, all’imperfezione.

Di che abbiamo parlato? Un po’ di tutto, per mia fortuna.
Ecco qua le nostre chiacchiere.

Dobbiamo per forza partire dagli orologi, perché hanno un ruolo fondamentale all’interno del libro. E ho anche visto che le persone arrivano alle presentazioni cariche di orologi…

Oh, ma allora mi segui su Instagram! È vero. Spessissimo mi chiedono anche di autografare i cinturini! Forse pensano che la mia firma aumenti il valore dell’orologio. Credo sia vero il contrario, ma che ci dobbiamo fare.

In questo romanzo – e forse non solo lì – i soldi, insieme al tempo, sono un modo per misurare il valore di una persona.

Prima che iniziassi a scrivere questo libro, tutti i miei amici se ne stavano andando da Manhattan. I giornalisti, gli scrittori, gli artisti. Si stavano trasferendo tutti quanti perché non si potevano più permettere di vivere lì. Mi sono guardato un po’ attorno, allora. E mi sono chiesto: ma chi è rimasto? I banchieri, sono rimasti. Non c’è più nessun altro a Manhattan. Volevo parlare di loro, perché scrivo di New York e penso di dover raccontare la città così com’è… non posso creare una mia versione “inventata” di New York. Dopo qualche anno immerso in quel mondo ho cominciato a vedere tutto da una prospettiva basata sul valore. Ah, questa cosa vale TOT. Questa persona vale TOT. Vivere così è spaventoso. Poi ho fatto un passo indietro, per cercare di decomprimere. E mi sono spostato anch’io. Ora vivo a nord, per una metà dell’anno, in un piccolo centro a dure ore dalla città. E là posso concedermi di essere normale. Anche un sacco di miei amici che si sono trasferiti ormai vivono lassù, perché se lo possono permettere.

È un tema che abbiamo già incontrato, mi pare. In Storia d’amore vera e supertriste tutti hanno una specie di cartellino virtuale che fluttua sopra le loro teste e che mostra al mondo il loro valore.

Esattamente. Penso sia una conseguenza diretta dell’aver vissuto così a lungo a New York, quest’idea che ciascuno di noi abbia un numerino che lo qualifichi. Vale anche per Trump, che vuole continuare a farci credere che il suo numerino sia molto alto… anche se in realtà non lo è affatto.

C’è parecchio Trump, in questo libro. Quando hai iniziato a lavorarci?

L’ho scritto nel 2016, quando non era ancora diventato presidente. Credevamo che sarebbe rimasto un po’ in ballo nella corsa elettorale, ma nessuno pensava che potesse vincere. E poi, man mano che procedevo con il libro, mi sono ritrovato a dover aggiungere sempre più Trump… perché il 2016 stava andando in quella direzione.

Ecco, non mi ricordo a memoria il passaggio, ma a un certo punto c’è una frase che dice più o meno così: “Se sono così ricchi è impossibile che siano stupidi”. 

[Ride].

È uno dei grandi falsi-miti americani. Si pensa che la gente ricca sia anche incredibilmente intelligente. Barry, ovviamente, è molto ricco… ed è convinto di voler aiutare le persone. Ma le sue idee sono di un’idiozia assoluta. Vorrebbe istituire questo Urban Watch Fund per aiutare i ragazzini dei ghetti a comprarsi il loro primo Rolex. Eccomi qua, mi sto prendendo cura di voi!

Imprescindibile. In America è quasi obbligatorio che i “ricchi” diano l’impressione di voler aiutare la comunità con raccolte-fondi, iniziative benefiche, gran cene di gala. Ma vivono comunque in un universo completamente scollato da quello delle comunità che dovrebbero beneficiare della loro grande magnanimità. Che ne sanno?

Ma niente. Niente. Vivono in un mondo in cui esiste il loro club esclusivo di Midtown, il loro ufficio, la loro villa negli Hamptons. È un mondo veramente noioso. Io adoro mangiare… e in quei club il cibo è pessimo. Non so come facciano a campare così. Ho iniziato a portarli in giro per ristoranti. Ristoranti indiani, ristoranti veri. “Oh, santo cielo, che buono, ma pensa!”E hanno scoperto che si può mangiare qualcosa di incredibile per molto meno di 100 dollari a piatto.

In questo romanzo ci sono due punti di vista diversi. Abbiamo Barry, che parte per il suo viaggio – e chissà dove andrà a finire – e poi c’è Seema, sua moglie. Lei è una donna brillante, una che potrebbe farcela benissimo da sola, senza accalappiare un marito in mezzo agli hedgie di Wall Street. Che le è capitato?

La domanda non è solo cosa è capitato a lei, ma cosa è capitato a centinaia e migliaia di persone come lei. Incontravo di continuo mogli come Seema. Donne più intelligenti dei loro mariti, con un curriculum migliore di quello dei loro mariti. Quando si sposano, però, fanno due conti e cominciano a pensare che tutto sommato non valga più la pena lavorare. E si crea questo sistema sociale… futile. La moglie scorta i principini verso il futuro, punto e basta. È un sistema assolutamente misogino, che non aiuta nessuno. Ma immagina di essere il figlio di una queste mogli… che cosa fa la mamma? La mamma ha una laurea migliore di quello di papà ma passa tutto il suo tempo a escogitare un modo per far entrare il suo bambino ad Harvard. È davvero avvilente.

E le operazioni iniziano dall’asilo?

Iniziano dal nido, per certe scuole. Ho un bambino piccolo anch’io e quando abbiamo provato a iscriverlo – avrà avuto un anno, più o meno – ci hanno spiegato che no, la domanda va fatta pre-nascita. Insomma, se fai sesso e hai anche solo il sentore di aver concepito, la mattina dopo devi prendere il telefono e chiamare SUBITO. Salve, sì, abbiamo fatto l’amore proprio bene… potete tenerci un posto?

[COPIOSE RISATE NON TRASCRIVIBILI]

Uno dei veri problemi, in un contesto di questo tipo, è la gestione di quello che va storto. Ed è quello che capita a Barry e Seema. Loro figlio non è il bambino che si immaginavano, non sarà mai il principe che governerà il mondo. E non riescono ad accettarlo.

Esatto. Il loro bambino si colloca da qualche parte all’interno dello spettro autistico. La vita di Barry e Seema è strutturata per avanzare e convergere verso la perfezione – Barry per la sua infanzia tremenda, Seema per la severità dei genitori immigrati. Devono avere successo, ad ogni costo. E spunta una crepa, in mezzo a tutto questo. Per loro è così devastante da non poterlo nemmeno dire apertamente, Seema non può parlarne ai suoi. Devono far finta che vada tutto bene… ed è tragico, anche per il bambino.

Seema ha una cartella di foto sul telefono in cui Shiva sembra “normale”. E usa solo quelle foto, quando si tratta di far vedere suo figlio agli altri. All’inizio del libro vanno a cena dai loro vicini, che hanno questo bimbo perfetto che canta e recita filastrocche. E per loro è un’esperienza assolutamente mortificante.

Li distrugge. E Barry pensa, “ma com’è possibile? Io ho molti più soldi di loro! Mio figlio dovrebbe essere meglio del loro!”.

I soldi aiutano, ma a loro mancano proprio le basi di un rapporto umano significativo.

Non solo. Barry fa la spola da un’università all’altra distribuendo donazioni nella speranza che qualcuno smentisca la diagnosi di suo figlio.

E poi parte per il suo viaggio, che si trasforma in un’avventura comica e surreale. È come se vedesse il mondo per la prima volta. Oh, guarda, un Walmart!

Esatto! Ho un sacco di azioni di Walmart, ma non ne avevo mai visto uno! Incredibile!

Barry ha anche un’assistente che si occupa di ogni dettaglio della sua vita. Man mano che il viaggio procede, però, comincia a separarsi dalle sue carte di credito, dal telefono… che cosa rimane di Barry?

È proprio quello il domandone. Gli americani sono convinti che la loro vita sia composta da numerosi atti. Certo, si comincia col primo atto… ma puoi sempre diventare una persona diversa. È un paese grande, se vuoi trasferirti nel sud-ovest per allevare bestiame in un ranch o spostarti chissà dove per coltivare avocado lo puoi fare. In realtà, però, sei sempre la stessa persona. Quel che manca, a volte, nella mentalità americana, è la consapevolezza che dopo un po’ di tempo – quando ormai ha superato l’infanzia – non cambi più per davvero. Barry decide di partire per riscoprirsi, vuole ritrovare la sua fidanzata storica, fare questo, fare quello… ma alla fine è sempre lo stesso schmuck di prima.

Quando va a cena con i genitori della sua ex fidanzata si trova davanti a due persone paralizzate dall’imbarazzo, che cercano in tutti i modi di dirgli – invano – che il passato è passato.

Il passato è passato. La reazione di Barry? “Oggi posso comprarmi questo passato. Se solo avessi sposato la mia ragazza del college, tutto sarebbe andato in un’altra maniera”.

Verissimo. Sono tutti alle prese con un rimpianto antico o con un errore a cui cercano di porre rimedio. Forse è ormai un luogo comune… ma è possibile che nel sogno americano qualcosa sia andato storto?

Molto storto. Anzi, potremmo dire che è finito. Ma è stato bello, per un po’. Tutto finisce. E questa è un’altra cosa che gli americani non capiscono. Pensano di essere un paese eccezionale – non è mai esistito niente di così straordinario! – ma abbiamo avuto l’impero romano, il dominio spagnolo, l’impero mercantile olandese, l’impero cinese… è come un giro sulle montagne russe. E ora la parabola è decisamente discendente.

Forse è anche una conseguenza dell’economia che abbiamo costruito. Le cose vanno male ma non comprendiamo a pieno le cause… anche se siamo stati proprio noi a creare quel sistema.

Quando un sistema diventa ipercomplesso, com’è ora, è l’inizio della fine…

*

Grazie a Guanda per aver ritagliato un po’ di tempo anche per me nell’agenda massacrante del buon Gary. E grazie soprattutto a lui per le splendide chiacchiere. E per questo libro, che come sempre ci fa disperare per la spietata limpidezza di quel che ci restituisce… ma ci fa anche sguazzare con vero divertimento nell’arte nobilissima del paradosso.
🙂

*

Tra le cose più belle che possono capitarci in assoluto nella vita ci sono sicuramente i libri e i viaggi. Questi due indiscutibili doni del cielo possono di certo continuare ad esistere senza mai incontrarsi o, magari, trovare un punto d’intersezione in un bel pomeriggio estivo, quando vi piazzate a leggere sotto l’ombrellone. Si può fare di più, però. Si può viaggiare insieme ai libri. O sulle tracce dei libri. O seguendo le orme degli autori che quei libri li hanno scritti. Si possono costruire itinerari letterari per approfondire un determinato angolino del globo, partendo in compagnia e decidendo di condividere un po’ di strada con chi, come noi, viaggia ogni volta che apre un libro e, di tanto in tanto, ama anche viaggiare facendo concretamente i bagagli.
Marta Ciccolarila McMusa per tutti – è un personaggio dal multiforme e vasto talento. Giornalista, blogger, animatrice di esaurientissimi corsi di Letteratura Americana, Marta organizza dal 2014 dei MIRABILI viaggi on the road negli Stati Uniti, tutti caratterizzati da un preciso tema libresco. Visto che l’idea è nobilissima e variamente meravigliosa, ho deciso di farle qualche domanda. Qui trovate le nostre chiacchiere e, per approfondire (e magari prenotarvi un’avventura), ecco qua il campo-base dei suoi Book Riders.

Marta, premettendo che partirei domani per uno dei tuoi tour, come diamine sei finita a organizzare viaggi negli Stati Uniti per appassionati di letteratura americana? Ammetterai che non è unoccupazione in cui ci imbattiamo frequentemente… 

No, in effetti no! Ma a me piace così tanto, e sento che mi calza proprio a pennello! Ho avuto un’illuminazione dopo un lungo viaggio negli States nel 2013: sono stata ospite di diverse famiglie nel Central Illinois per uno scambio professionale e poi ho proseguito per il viaggio della vita, cinque settimane da sola sulla West Coast, da nord a sud, da Seattle a San Diego. Ero appassionata (e grande studiosa) di letteratura americana da anni, ma fu durante quel viaggio (ore e ore on the road) che realizzai: sì, ma le persone devono sapere, devono conoscere questa America! Remota, sorprendente, diversa da quello che noi pensiamo di sapere.

Ho iniziato aprendo il blog e mettendomi semplicemente a raccontare; poi ho proseguito con i corsi, viaggi immaginari stato per stato nella letteratura americana, rivolti a un pubblico di lettori curiosi. Poi ho conosciuto Xplore, tour operator torinese specializzato in viaggi americani. Li ho conosciuti, li ho sentiti affini e scatenati come me e ho detto: ragazzi, io voglio trasformare i miei viaggi letterari in viaggi veri. E così, a un tavolo di un bar assolato nel centro di Torino, sono nati i Book Riders! 

Arriva prima linnamoramento letterario per un preciso luogo geografico o è il fascino di un posto che ti fa venire voglia di approfondire e di leggere? 

Quando ero piccola mio padre mi portò a fare un viaggio in Svizzera, Austria e Germania sulle tracce dei suoi pensatori guida: Freud, Jung, Herman Hesse, Thomas Mann. Per una magia che oggi ricordo con estremo affetto riuscimmo a entrare a casa di Jung sul lago di Zurigo, conoscemmo la nipote, girammo per le quelle stanze circolari che mio padre aveva solo osato sognare durante i suoi studi. Ecco, io credo che sia nato tutto lì, in quella magia.

Ho iniziato a pensare alla letteratura come a un mondo in cui si può entrare e quando ho iniziato a viaggiare in America l’ho fatto tenendo sempre a mente i racconti che me l’avevano fatta amare sin dai tempi della scuola. Adesso che il progetto è avviato posso dirti, però, che arriva prima l’innamoramento letterario. Un innamoramento che può moltiplicarsi dopo che quel posto l’ho visitato per davvero. Il luogo può farmi venire voglia di approfondire, lo guardo con gli occhi della guida letteraria, cerco di capire quali storie potrebbero sorprendere i miei compagni di viaggio, quali dettagli potrebbero amare. Il viaggio in Texas, ad esempio, mi ha fatto venire una voglia di leggere matta e irrefrenabile, sia prima di andarci che dopo (credo si noti, non parlo d’altro da mesi!).

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Ogni destinazione ha un tema. La California del noir, il “wild wild Texas, la Louisiana magica. Come nascono gli itinerari? Ti armi di piletta di libri e di mappa dello stato e vai in cerca di tutti quei luoghi letterari che i tuoi Bookriders potranno vedere sul serio o si tratta di viaggi più “sentimentali?

La prima, condita di qualche tocco strategico. Ti faccio entrare proprio dentro il mio lavoro: penso a uno stato, mettiamo appunto il Texas. Faccio una lista di libri letti e non letti. Penso a cosa del Texas mi piacerebbe evidenziare e conoscere, sia attraverso quei libri che sul posto. Vado in Texas e faccio un viaggio di esplorazione (ecco, premessa fondamentale: non porto mai i Book Riders in posti che non abbia già esplorato da sola o con la mia fida compagna di viaggi, Valeria). In Texas aggiungo o tolgo da quella lista altri libri, scopro un sacco di cose nuove, leggo e ascolto e, sulla base delle mie intuizioni in loco e di quello che ritengo più efficace per far appassionare i Book Riders, raggruppo libri, scrittori, articoli, immagini in un unico tema. Ci sono stati americani, come ad esempio la California, in cui il tema diventa fondamentale: troppa letteratura, non avrebbe senso includere tutto incondizionatamente, è bene trovare un percorso che restituisca più di altri l’anima, l’essenza di quelle zone.

Se poi la domanda era: ma i luoghi letterari (magici, selvaggi, noir) esistono tutti per davvero? allora la risposta non può che essere: certo!

Ho letto il decalogo del Bookrider perfetto. E oltre a pensare che hai fatto benissimo a stilarlo, mi sono anche molto divertita. E vedendo i video dei vostri viaggi passati mi pare anche che funzioni. Cioè, i gruppi mi sono sembrati affiatatissimi! Quant’è importante il lavoro sulla “filosofia di viaggio, per un progetto come il tuo?

Mi fa un gran piacere che tu abbia notato questa cosa, sai? È la parte del progetto su cui lavoro di più ma è forse quella che risulta meno visibile. Sì, esatto, scegliere le letture, gli autori guida, le tappe del tour è un lavoro meno complesso rispetto alla cura dello spirito di gruppo. A me preme che i Book Riders facciano esperienza dell’America a tutto tondo, che riescano ad apprezzare l’autenticità di un desolato paesino di provincia così come di uno scintillante quartiere di Los Angeles, di un motel abitato dalla peggio gioventù così come della frontiera con il Messico. Se vengono meno la curiosità, lo spirito di adattamento, la flessibilità, l’apertura mentale allora viene a mancare tutto: il mio lavoro è quello di inserire ogni cosa (luoghi, parole, persone) in un unico racconto, di rendere ogni dettaglio sorprendente e interessante, di prepararli a quell’autenticità in modo che la possano apprezzare. Molte delle persone che vengono in viaggio con me hanno già frequentato i miei corsi in Italia, quindi sono già dentro lo “spirito McMusa”: profondo ma pop e informale. In viaggio si va ancora più a fondo, discutiamo, ridiamo, ci interroghiamo, leggiamo, parliamo con le persone del posto.. poi certo, più loro diventano curiosi, più è difficile gestire le loro domande.. ho una nota aperta sull’iPhone intitolata “Le domande dei Book Riders”: dovreste leggerle, alcune sono assurde! “Marta, perché ci sono così tanti pick-up rossi in questo parcheggio?” Ragazzi, NON LO SO.

So che non è riassumibile in due parole, ma proviamo. Com’è la giornata tipo di un Bookrider che viaggia con te?

Sveglia prestino, ritrovo verso le 9. Se l’hotel offre la colazione bene, altrimenti dedichiamo al breakfast la prima parte della giornata. E con breakfast intendo: bacon, uova, pancake, toast, patate, avocado e tutto quello che può servire per affrontare una giornata piena on the road. Partiamo, tutti dentro il nostro van personalizzato e via verso la prima tappa! Alcune giornate sono più rurali, altre più urbane. Ognuna prevede da uno a tre momenti letterari: i Book Riders si radunano intorno a me e io leggo o racconto una storia relativa al posto in cui ci troviamo. Possiamo essere seduti su un molo sul Rio Grande, nel giardino di casa di Wallace, in un’aula universitaria, sullo stesso van (in certe periferie di Chicago, ad esempio, è meglio non scendere, anche se è fondamentale vederle), nel museo del rock di Seattle. Gli spostamenti da un paesino all’altro portano via parecchie ore e in quelle ore il protagonista assoluto è il finestrino. E anche la musica! L’America vera si scopre on the road! Di solito si arriva a destinazione intorno alle 18, breve momento di riposo e poi cena molto presto, intorno alle 19 (e in tantissimi posti è già tardi, le cucine chiudono alle 20). Chi ce la fa va a bere qualcosa più tardi, chi è stanco rientra in hotel. Per fortuna i dettagli tecnici (la guida del van, la scelta dei ristoranti, la relazione con gli alberghi, la prenotazione dei voli) è a cura di Claudio e Federico di Xplore: il primo accompagna i Book Riders in tutti i viaggi nuovi, il secondo li coordina tutti da Torino. 

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Un episodio particolarmente favoloso che ti ha fatto pensare “mamma mia, voglio continuare a fare questi tour per leternità”.

Lo penso spesso, sai? Mi emoziono moltissimo in viaggio e quell’emozione è un gran motore. Però l’episodio con la E maiuscola è stato l’incontro con Tess Gallagher, la moglie di Raymond Carver, sulla tomba del marito il giorno del compleanno di lui. 25 maggio 2016. È stato un regalo del destino! Noi avevamo in programma una giornata emotivamente niente male: visita mattutina ad Aberdeeen, paese natale di Kurt Cobain, e poi su verso Port Angeles, casa di Tess e Ray durante i loro ultimi dieci anni felici insieme nonché avamposto magnifico sul Pacifico dove il grande scrittore è sepolto. Quel mattino mi sveglio, guardo Facebook e scopro che è il compleanno di Carver! Mi viene un colpo, penso “va a finire che ci imbattiamo in qualche commemorazione”. E così succede, con tempi e modalità che solo un raffinato deus ex machina poteva aver messo in atto: arriviamo al cimitero dopo soste impreviste, ritardi e deviazioni; vediamo un gruppo di persone radunate vicino a una panca e una lapide nere; io faccio la maestrina e dico ai Book Riders di comportarsi bene perché quelli probabilmente stanno facendo un funerale ma non finisco neanche la frase perché vedo lei e mi pietrifico. “Cazzo, ragazzi. Ma quella è Tess Gallagher!” E da lì comincia un’ora di abbracci, lacrime, poesie lette nel vento del Pacifico, torte cucinate e mangiate in suo onore, batticuore e incredulità. C’è un video anche, che testimonia la mia e la nostra emozione: mi chiesero di leggere una poesia in italiano, e io lessi Per Tess. Lì ho proprio pensato: voglio continuare a inseguire questi momenti per sempre. Me lo sta dicendo il fato.

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E una disavventura assurda, invece?

Chicago. Primo tour, prima sera. Per iniziare col botto! Andiamo a mangiare in un ristorante vicino al locale di Al Capone direttamente dopo l’arrivo. Parcheggiamo il furgone in un parking lot abbastanza vuoto e trascorriamo spensierati un’oretta a tavola. Quando torniamo nel parcheggio il furgone non c’è più! Sparito, andato. Panico. L’avevano rimosso. Tutt’altro tipo di incredulità questa! Poi l’abbiamo ritrovato e il viaggio non ha più subito sparizioni misteriose, ma ci siamo detti che non saremmo mai più andati a mangiare fuori la sera dell’arrivo: il jet-lag non ci aveva fatto vedere il cartello NO PARKING.

So che sei al lavoro sulla prossima tappa. Quale sarà e come sei messa con i preparativi?

Nei canonici periodi di vacanza ripropongo i vecchi viaggi in versione mini: stesso tour, gruppo più piccolo, solo io come unica accompagnatrice. Quest’estate porterò due gruppi di mini Book Riders nel Pacific Northwest, l’angolo di America tra Seattle e Portland, sotto il Canada. Ma la vera novità che annuncio a te e ai tuoi lettori in esclusiva è che, visto che quest’anno ricorre il decennale della morte di David Foster Wallace, a metà settembre vorrei portare un gruppo di appassionati a conoscere i suoi luoghi dell’Illinois e i suoi amici dell’università di Bloomington, dove lui insegnò per dieci felici anni. È una notizia fresca fresca!

Visto che i pazientissimi lettori di Tegamini sono abituati a ricevere consigli libreschi – più o meno riusciti -, cosa stai leggendo ora?

Leggo sempre tanti libri insieme quindi no panic: La straordinaria famiglia Telemachus, un romanzo di Daryl Gregory con nonni nipoti e genitori di Chicago affetti da poteri magici a cui le cose a un certo punto cominciano ad andare male; Lospite donore di Joy Williams, sono 46 racconti, me ne gusto uno ogni tanto; Loitering di Charles D’Ambrosio, raccolta di non fiction utile per il viaggio di quest’estate e, tra lavoro e passione, In a Narrow Grave, saggi sul Texas scritti dal più grande scrittore texano vivente, Larry McMurtry.

E i tuoi pilastri irrinunciabili, sempre rimanendo sulla narrativa americana?

Cormac McCarthy e Don DeLillo, i maestri a cui mi inchino. Joan Didion e Bret Easton Ellis, i californiani del mio cuore. Raymond Carver, lo scrittore che tutti amano per i racconti ma che a me ha fatto scoprire la poesia. Patti Smith e Sam Shepard, mi emoziono solo a scrivere i loro nomi.

Concluderò con una domanda di raro spessore. Quanti libri trasporta in valigia il Bookrider medio?

Macché, loro ne porteranno uno o due al massimo! Poi hanno gli ebook sul tablet e il libro di viaggio che gli faccio io (una raccolta di articoli, racconti, foto e approfondimenti vari in pdf). Quella che ha un lato di valigia sempre pieno di libri sono io! Ma del resto, le foto con il Kindle in mano mica sarebbero la stessa cosa!

*

[Foto di Elena Datrino]

Per addentrarvi meglio nel McMusa-mondo, ecco qua il suo sito.

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Nel tentativo di farmi invitare a qualche sfarzoso blog-tour della Papuasia, racconterò cose a caso del nostro mirabolante viaggio di nozze. Per chi non avesse chiaro l’itinerario – fatto a dir poco gravissimo e scandaloso -, qua c’è un post di pessimo gusto con tutti i luogoni che abbiamo visitato, guidando disperatamente per miglia e miglia di straordinarie desolazioni e surreali cittadine piene di neon che non funzionano più.
Tanto per non disorientarvi, inizierò con una delle tappe più strambe del Coast-to-Coast del Cuore: la cittadina di Moab (Utah), con il suo ragguardevolissimo Arches National Park. Archi di pietra, amici. Archi di pietra antigravità – provvidenza e intemperie permettendo.

Moab, come tutti i campi-base del variopinto universo del turismo naturalistico statunitense, è un avamposto di civiltà nel centro esatto del nulla più assoluto. Il cielo è gigante, le nuvole sono all’improvviso estremamente tridimensionali e ci si può mettere lì a prendere le misure ai temporali. Di solito nei temporali ci si finisce, senza capire bene che cosa succede. Lì no, invece, li vedi da lontano mentre si fanno i fatti loro. Ti giri da una parte e dici ma guarda, che cosa sarà mai quell’oscura confusione che incombe sulla pianura a un trecento miglia da qui? Voilà, è un temporale. Precipitazioni a parte, uno penserebbe che guidare in mezzo tutto quel prepotentissimo niente non sia poi un gran divertimento. E invece no, perché nel deserto cespuglioso spuntano delle cose assurde. Tipo delle immani caciottone di pietra rossa.

Macinando miglia – nel pieno rispetto dei ridicoli limiti di velocità americani -, vedrete il paesaggio che si diverte. Dalle caciotte solitarie passerete alle mesas, che sono quelle montagnotte piatte in cima, devastate dai canaloni. Visto che abbiamo imparato che una montagnotta piatta in cima si chiama mesa solo due giorni dopo la nostra visita a Moab, ogni genere di formazione gigante fatta di sassi d’ora in poi sarà un PUFPUNI. Ecco, beccatevi una valle coi pufpuni.

Com’è che funzionano, i parchi nazionali? Bisogna pigliare la macchina e dirigersi all’entrata. All’entrata ci sono dei casottini con dentro degli affabili ranger – con tanto di cappello buffo – che ti ordinano di appiccicare uno scontrino sul parabrezza e ti allungano un utile giornale/mappa/guida del parco che ti accingi ad esplorare. Entrare all’Arches National Park costa 10 dollari a macchina, e ci puoi tornare per sette giorni. In tutti questi posti c’è un centro visitatori – più o meno sontuoso – e una strada asfaltata. In base alla vostra prestanza fisica, potrete decidere di fermarvi ai punti d’osservazione lungo la strada o di cimentarvi anche in una serie potenzialmente infinita di sentieri. Noi qua diciamo che si fa TREKKING, là il trekking lo chiamano HIKING. E noi, visto che a Moab ci dovevamo passare due notti, non volevamo perderci questo benedetto Primitive Trail. Perché tutti gli archi di pietra veramente seri, arroganti e coreografici si possono raggiungere solo scarpinando.
Ora.
Il Primitive Trail – compreso il tratto difficile, il Devil’s Garden Trail – lo consiglio a tutti con il cuore in mano. Ma arrivate con un po’ di giudizio. Non fate come noi. Non presentatevi al ranger-bigliettaio come due milanesi in vacanza. Senza fare colazione. Senza crema solare. Senza un cappello. Senza manco due bottiglie per metterci dentro l’acqua. Portatene sei di bottiglie, non sto scherzando. E noi là, digiuni e privi di recipienti per il trasporto di liquidi, in mezzo alla natura selvaggia. Io poi ho vinto. L’abbigliamento da hiking di Tegamini comprendeva un tanga fosforescente di Victoria’s Secret, la collana di perle e una magliettina a pois con gli svolazzi. E di sport ne ho fatto, ma anche con una discreta belligeranza. Un tempo, sulla cima del ghiacciaio della Marmolada, soccorrevo i miei compagnucci di squadra con le tibie rotte. E adesso? Mai avrei immaginato di ridurmi così.

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Comunque.
Volete camminare all’Arches National Park? Mangiate. Portatevi da bere. Spalmatevi due dita di crema. I pantaloni: o cortissimi o lunghi. Non fate come me, una scema coi leggings sega-gamba. Mangiate prima di entrare, che al centro visitatori non c’è cibo. Le bottiglie d’acqua non le vendono, hanno solo dei fontanini perché devono essere ecologici. Vendono un casino di pupazzi, di libri, di mappe e di poster artistici, ma non c’è niente di veramente utile. Poi uno si chiede perché i bambini tifano per l’orso Yoghi.
Rendendoci solo parzialmente conto della nostra stoltezza, abbiamo fatto del nostro meglio. Mi sono comprata una specie di fedora verdognola del National Geographic. E abbiamo anche acquistato due borracce veramente antiestetiche con su il logo del parco. Le abbiamo riempite e siamo partiti, come se dovessimo passeggiare in Corso Buenos Aires.
Bene, vai con le diapositive delle ferie. Cercherò di fare del mio meglio con le didascalie, così non rotolate giù dal divano in preda alla narcolessia.

WP_20140731_18_52_06_ProLa bizzarra Balanced Rock. La domanda vera, quando ci si trova di fronte a tali stramberie della natura è: ma cascherà mentre ci passeggio sotto o ci sarà da aspettare altri cent’anni? Perché è precaria, la Balanced Rock. Ma quanti cuori pigli su Instagram, se la fotografi mentre rotola via miseramente?

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Una Tegamini travolta dall’entusiasmo al cospetto dell’immotivata Balanced Rock.

WP_20140731_19_27_21_ProQuel coso piccino sulla sinistra è il celeberrimo Delicate Arch. Incomprensibile e parecchio aggraziato, il Delicate Arch è un po’ il Billy Elliot di questo ruspante parco nazionale. Noi ci siamo arrampicati per il sentiero più breve, ma c’è anche una passeggiata per andarci a finire vicinissimi. Solo che non avevamo sbatti. Anzi, il Delicate Arch è diventato un po’ il capro espiatorio dell’intera giornata. Nei momenti di disidratazione più furibonda ci si mandava a quel paese coinvolgendo il tenero arco di pietra: ‘fanculo tu e il Delicate Arch, Amore del Cuore. Dovevamo stare in piscina a bere dei bomboloni con dentro gli ombrellini. E invece siamo qui, a vedere dei sassi pericolanti e a sudare come dei coguari asmatici. Fottiti, Delicate Arch.

IMG_0249Al quarto tentativo, il papà statunitense incaricato di fotografarci capisce che sarebbe carino inquadrare anche il lillipuziano Delicate Arch della malora. Un miglio punto due per vedere quel coso lì. In salita. All’una del pomeriggio.

WP_20140731_20_18_59_ProAmore del Cuore (con il suo sobrio cappello acquistato in Texas da un mercante di vacche) si erge maestoso all’imboccatura del malefico – ma strabiliante – Primitive Trail.

WP_20140731_20_31_51_ProMai visti degli alberi secchi così fighi. Mai.

Tegamini ArchesTegamini esploratrice, ancora ignara della fogonata che l’attende.

WP_20140731_20_28_33_ProPerché quella roccia lì è bucata? Perché. Portiamo una ciurma di filosofi all’Arches National Park. Organizziamoci dei congressi di metafisica. “Dio e l’orografia dello Utah: provvidenza o coincidenza?”

WP_20140731_20_34_21_ProTegamini e il suo stupido copricapo che aspettano invano il tram numero 1.

WP_20140731_21_34_13_ProTegamini – che ha seri problemi con il vuoto – in cima a un PUFPUNI nel tratto più complesso del Devil’s Garden Trail. Strapiombi bellissimi per tutti e sabbia nelle scarpe per diecimila anni.

WP_20140731_22_05_59_ProPrima dell’Arches National Park i sassi non mi interessavano. Adesso li adoro. Amo sassi, rocce, scogli, pietre e massi. Amo ogni genere di formazione minerale. Ho quasi ritrovato la fede.

WP_20140731_22_09_38_ProIl selvaggio e furibondo Double O Arch. DABOL-O, perché è doppio. Sono fantastiche, le descrizioni letterali degli americani. Come si dice merlo, in inglese? Blackbird. Vai, semplice e lineare.

IMG_0283Tegamini trova finalmente un albero capace di reggere il suo peso. Grazie, albero del Navajo Arch.

Alla fine della scarpinata, ormai disidradatata oltre ogni immaginazione, mi sono seduta per terra vicino a un fontanino infestato dalle vespe. Amore del Cuore mi ha abbeverata, scambiandomi probabilmente per una giumenta, e ha atteso con pazienza mentre mi svuotavo per la quinta volta le scarpe. Non sembra, ma camminare per dieci chilometri nella sabbia può diventare un problema. Ad un certo punto ti sembra che ti siano cresciuti i piedi, ma in realtà è tutta terra smossa che ruba spazio agli alluci. Per festeggiare la nostra salvezza, ho gridato ANDIAMO A BERE UNA BIRRA! e mi sono addormentata prima ancora che Amore del Cuore riuscisse a uscire dal parcheggio. Tornati a Moab, ci siamo accomodati in una bettola terrificante. Quarantasei gradi all’ombra e un unico avventore: un tizio catatonico che somigliava a Babbo Natale. Alla malaugurata idea della birra abbiamo aggiunto un piatto di nachos al formaggio grande come una palla medica… perché, insomma, non avevamo pranzato e non avevamo nemmeno colazionato. Mi sembrava anche di star bene, lì per lì. Una che non sta bene mica si beve una birra. Sono lì con mio marito – che ha ormai capito che sono una sfigata -, cosa vuoi che me ne freghi di ordinare dei birrozzi per fare la splendida. Che ne sapevo che andava a finire così. Ma che bella giornata, che allegria, quante cose incredibili che abbiamo visto, ma sei contento Amore del Cuore? Perché io sono molto contenta, ho un po’ caldo, ma sono proprio felice. Certo, non pensavo che avremmo fatto tutta questa fatica, ma è stato meraviglioso. Mi bruciano orrendamente le spalle, ma poi a casa mi metto il doposole, vai tranquillo. Alla fine del sentiero avevo troppa sete, ma fa niente. Anzi, avevo anche un po’ di brividi… ah, non mi sento bene. Amore del Cuore si è alzato appena in tempo, e sono svenuta nel palmo della sua mano. Avevo un sacco di baccano nelle orecchie. Ho anche vomitato degli ex-nachos. Lì per terra, come una popolana. Che vergogna. Svenire in un bar dello Utah. E senza alcun merito. Se si fosse trattato di mera ubriachezza me ne potrei vantare per mare e per terra, e invece no. Devastazione da turismo milanese. Colpo di sole, scarsità di liquidi, natura che sconfigge la città. Ma non è mica finita. Perché la maledizione del Delicate Arch è severa e implacabile. Mi sono lavata, rinfrescata e ghiacciata. E mi sono tuffata in una tinozza di Prep. Ma quando hai i polpacci conciati così c’è proprio poco da fare.

La natura è malvagia.
Aveva ragione Leopardi.
PUFPUNI!

Dunque, Amore del Cuore è sopravvissuto brillantemente a ben due addii al celibato – nelle città di Berlino e Praga -, ma sembra aver perso la capacità di prosperare negli ecosistemi urbani dove abitualmente risiede. Negli ultimi due giorni è stato travolto da una macchina mentre viaggiava placidamente in motorino dalle parti di Sesto San Giovanni e punto da un calabrone nella libreria Mondadori di Piazza Duomo. Un weekend spaventoso. Sono dovuta correre al pronto soccorso di CINISELLO BALSAMO e ho trovato Amore del Cuore su una specie di tavolaccio di metallo, tutto pieno di cerotti e di collari, in mezzo a una moltitudine di persone afflitte da ogni genere di orrori. Coi neon tremolanti e manco un ortopedico in ospedale.
AAAAHHHHH!
Lo sgomento!
È andata comunque bene. 
Il motorino è distrutto, ma Amore del Cuore ne è uscito vincitore. È ammaccato ma intero, ed estremamente di buon umore. Visto che era vivo, poi, abbiamo festeggiato ordinando una tonnellata di maki al salmone. Nel dubbio, però, mi sto informando su dove si possa comprare o affittare un San Bernardo di salvataggio che lo accompagni in giro in mia assenza. Perché ormai sono terrorizzata. Lui era terrorizzato al pensiero di dover attraversare gli Stati Uniti con me al volante, ma il dottore che gli ha guardato le lastre non ha visto fratture… e dovrebbe poter guidare in santa pace. Il che, a livello di salute pubblica, è un bel vantaggio.

Amore del Cuore ringrazia sentitamente tutti quanti per gli incoraggiamenti e le grida di preoccupazione.
…ha dei ditoni buffi, Amore del Cuore. 

Un po’ perché ho bisogno di parlare di cose allegre e un po’ perché mi piacerebbe ricevere qualche buon consiglio da chi magari ha già fatto il girone meraviglioso che ci accingiamo a fare noi – sempre che ci arriviamo senza ulteriori incidenti -, mi accingo ad appiccicarvi qua da qualche parte l’itinerario del nostro strabiliante viaggio di nozze.
Perché tutte le sofferenze patite durante le Matrimoniadi dovranno pur servire a qualcosa.
Ce l’ha organizzato un uomo leggendario, uno che qualche tempo fa è capitato in Corea del Nord e ha vinto i campionati nazionali di tiro alla fune. Io non so come abbia fatto e non so neanche il perché, ma è una cosa che mi piace dire. Contrariamente al fascino travolgente di Cippo – che vive e prospera IN Ancona -, il sito/lista nozze dell’agenzia non è altrettanto figo. Il che è molto ingiusto, ma si può sempre rimediare qui nelle verdi Tegamini-praterie, con un itinerario super schematico ma arricchito oltre ogni immaginazione da una disordinata ed eterogenea selezione delle cartoline più trash che mi è capitato di scovare.
Saremo ben contenti di ricevere suggerimenti. Fate un po’ come vi pare: procedete per città, per area geografica o per percorso (che ne so, se lungo la strada c’è la Padella Antiaderente Più Grande Del Mondo segnalatecela con grande entusiasmo). Se avete fatto cose strane (caccia al coyote o robe così) o mangiato qualcosa di incredibile, non vergognatevi e rendete partecipi tutti quanti. Bonus gratitudine per le segnalazioni a base di animalini teneri.
E il nostro viaggio è questo qui, da posticino a positicino.

***

IL COAST TO COAST DEL CUORE

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Giorno 1 – MILANO >>> volavola >>> NEW YORK

Giorno 2 – NEW YORK

Giorno 3 – NEW YORK

new orleans

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Giorno 5 – NEW ORLEANS

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Giorno 6 – NEW ORLEANS >>> brumbrum >>> HOUSTON

dallas

Giorno 7 – HOUSTON >>> brumbrum >>> DALLAS

amarillo

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santa fe

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moab

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Giorno 11 – MOAB

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Utah-Temple-Bryce Canyon National Park-01

Giorno 13 – PAGE >>> brumbrum >>> BRYCE CANYON

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Giorno 14 – BRYCE CANYON >>> brumbrum >>> GRAND CANYON 

vegas

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san diego

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LA

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Giorno 20 – LOS ANGELES

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Giorno 21 – LOS ANGELES >>> brumbrum >>> SEQUOIA NATIONAL PARK >>> brumbrum >>> VISALIA

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Giorno 22 – VISALIA >>> brumbrum >>> MONTEREY >>> brumbrum >>> SAN FRANCISCO

Giorno 23 – SAN FRANCISCO

Giorno 24 – SAN FRANCISCO

Giorno 25 – SAN FRANCISCO >>> volavola >>> Milano

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Spero con tutto il cuore che mi paghino ogni genere di traduzione arretrata, così sperpererò i sei euro che ho in banca per tutti gli Stati Uniti. Gli stivalini rosa da cowgirl sono la prima scemenza della lista. Mi raccomando, suggeriteci e consigliateci, che siamo estremamente stanchi, variamente contusi e troppo innamorati per connettere.

Le galline nate e cresciute in campagna fanno le uova meglio. La gallina di campagna fa delle uova piene di tuorlo, ma moltissimo. Ed è anche un tuorlo più arancione del tuorlo dell’uovo del supermercato, che è un po’ giallino, stinto e stentato. E lo dico con autorevolezza, visto che ho passato una settimana nella natura, con la vicina che continuava a portarci pomodori giganti e le uova sante dei suoi polli. C’è da dire, però, che i polli che non abitano negli allevamenti sono sempre spelacchiati. La gallina che ha deposto le uova che ho mangiato ieri, per esempio, era stata azzannata da un cane due giorni prima, azzannata al culo. Ora va in giro senza le penne del didietro e sembra una mezza gallina, così, per metà esposta al vento e agli elementi. Mi sono subito chiesta che cosa fosse capitato alle uova che conteneva… se un cane morde il culo di una gallina e la gallina lì ci mette le uova da deporre, che cosa succede a quelle uova? Si rompono? Si schiacciano? Non si sa. Le uova che ho mangiato io non erano strapazzate. Ho mangiato uova sode, non frittatine. Ma la vera domanda è ben altra… che uova è lecito aspettarsi da una gallina di plastica?

Dopo aver pranzato nel palazzo che ospitò la serafica scena della sega elettrica di Scarface e aver pericolosamente sonnecchiato sotto un ombrellone multicolore in mezzo all’infinita sabbia bianca di South Beach, ho fatto quel che l’America si aspettava da me: ho comprato una stronzata.
E ora, ho una borsa a forma di gallina.

Oltre a posizionarmi un gradino sopra a Chiara Ferragni, la borsa a gallina si è subito rivelata un oggetto stimolante.

Intanto, se il vostro amore del cuore, come il mio, ama zavorrarvi con i suoi oggetti personali invece che tenerseli in tasca, la gallina trasformerà tutto in un spasso pazzo. All’inevitabile domanda “cucciolotta, ma dov’è il mio telefono?” ora potrete rispondere con uno squillante “è nella gallina”, invece che con un trito e noioso “è nella mia borsa”, roba che rende subito palese il vostro scazzo di trasportatrici di ciarpame altrui.
Se poi la vostra vocazione è più quella del Konrad Lorenz della porta accanto, una borsa a gallina sarà il vostro asso nella manica nello studio del comportamento degli animali, perchè la gallina può infiltrarsi là dove l’uomo non può andare.

La galline che abitano le paludose Everglades, per esempio, non sono note per la loro ospitalità. Hanno un bel piumaggio, è vero, sanno difendersi dagli alligatori, è vero, ma non sono per niente inclini a fare nuove conoscenze. Galline territoriali, molto scontrose.

La gallina, poi, è sempre l’anima della festa.

Porta la gallina al ristorante, sarà di grande conforto mentre ti disidrati in attesa di un Apple Martini… bevanda che non disseta, è vero, ma fa contentezza.

Porta la tua gallina in albergo. Sarà una gallina, ma puoi insegnarle ad apprezzare un letto king-size, invece del solito pollaio.

Tieni sempre una gallina al tuo fianco, ti accompagnerà con devozione, come un vero animale da compagnia.

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Perchè una borsa zoomorfa, è per sempre.

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PS – Poi ricordatemi di raccontare un agghiacciante aneddoto d’infanzia su Madre e un pollo.

PS II – Amore del cuore, scherzavo, prima. Le porto volentieri le tue cose nella mia gallina.