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tegamini

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Ci sono molte cose che non capisco. Non capisco come si fa ad andare sui pattini a rotelle e non ho mai risolto un problema di fisica senza demolire con la mia ignoranza qualsiasi genere di teoria su spazio, tempo e moto. Non capisco nemmeno come facciano i soffitti a stare su o per quale motivo gli aerei riescano a decollare, quindi potrete ben immaginare le enormi asperità cognitive che devo ogni volta superare quando inquadrano Don Draper.
Bene.
Per ora ho visto solo le prime tre stagioni di Mad Men, quindi potrei sbagliarmi molto e tanto e potrei anche farvi un po’ ridere perchè qua sapete tutti quanti che cosa succederà mentre a me al massimo è capitato d’inciampare in qualche spoiler mentre mi facevo tranquillamente i fatti miei, ma vorrei togliermi numerosi pesi dal cuore.
Perchè Don Draper è una brutta persona. E quel che è peggio è che fa finta di essere interessante.

A scanso di equivoci, dirò subito che Don Draper è pazzescamente un bell’uomo. Don Draper è il motivo che ha spinto l’universo a inventare i completi giacca-pantalone-camicia-cravatta. A nessuno al mondo stanno bene come a lui. Don Draper è così bello che gli unici muscoli facciali che ritiene valga la pena muovere sono quelli della fronte e delle sopracciglia… e ciao, ovaie, ciao. Rilevantissima, poi, nell’economia morfologica di Don Draper, è anche la sua cospicua massa: Don Draper è un grosso uomo. Alto, con le spallone, solido… tizi del genere sono fatti apposta per demolire dubbi e difficoltà con la sicurezza di una rompighiaccio artica. E se non ci riescono fa lo stesso, perchè si potrà sempre rannicchiarsi a piangere sul loro ampio torace, villoso al punto giusto. Don Draper è ben consapevole della sua vergognosa avvenenza e dell’affascinante ingombro che produce quando mette piede in una stanza e, come ogni bieco opportunista, si comporta di conseguenza. Perchè Don Draper non si siede su un divano, fa draping. E può farlo solo lui, perchè anche mezzo stravaccato e con l’inevitabile accenno di doppio mento che ti esce quando ti metti così, Don Draper ti fa capire che non solo non gliene frega una frolla di niente, ma anche che è così tanto meglio di te da poterti ricevere a pancia all’aria e continuare a fumarti in faccia in tutta tranquillità. E questo vale per gli uomini, perchè le donne vorranno semplicemente essere il divano e continuare a versargli da bere.

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back-draping


front-draping

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Ora, che altro ha Don Draper, oltre alla capacità di essere un figo che fa il figo? Parliamone, perchè qua diventa difficile.
Prima di tutto, mi pare che ci sia dell’invidia. Don Draper alza il telefono e lo ricoprono di dollari. Minaccia di andarsene e lo ricoprono di dollari. Fa una roba bene, senza nemmeno tanto impegnarsi, e lo ricompensano con un bonus d’indicibile sostanziosità. Arriva in ufficio a mezzogiorno e quaranta, s’addormenta in poltrona e scompare quando gli pare. È in grado di propinare qualsiasi tipo di fandonia alla moglie senza che lei sospetti minimamente – per lungo tempo – di essere la più cornificata del Nord America. Maltratta segretarie e sottoposti e non solo nessuno gli dice che è un stronzo, ma tutti continuano a pendere dalle sue labbra e a mettere la testa sul ceppo, pronti per farsela amputare. Non solo, Don Draper talmente poco incline a provare simpatia per qualcuno da spingere orde di personaggi primari e secondari a stendersi sui binari del treno pur di suscitargli anche solo una minima reazione di umana fraternità. Perchè se uno che non sorride mai decide di sorridere a te, vuol dire che hai capito tutto dalla vita.

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non esistono immagini di Don Draper che sorride anche con i denti. È come Posh Spice.

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Ora, invidiamo Don Draper per lo status di pubblicitario luccicante, per la famiglia all’apparenza perfetta e per le macchine via via sempre più sbruffone. E sul fatto che sia bello e ricco ci siamo, ma non so bene decidere se sia anche intelligente. Perchè Don Draper parla poco… e quando parla si esprime per aforismi, distillando perle di pessimismo cosmico che, onestamente, non credo siano poi troppo più interessanti di quello che viene da dire a me o a voi appena dopo aver pestato una cacca di cane mentre si passeggiava coi sandali. Tipo:

You want some respect? Go out there and get it for yourself.

I can’t decide… if you have everything… or nothing.

If you don’t like the conversation, change it.

I hate to break it to you, but there is no big lie, there is no system, the universe is indifferent.

Ecco. Sarebbe ora di sfatare un mito troppo ben radicato: non è vero che ogni volta che uno che parla poco decide di parlare sia solo per dire cose fondamentali e meravigliose. Magari uno parla poco e quando dice qualcosa è per regalarci una cazzata tonante. Non è che perchè non ci fa l’onore di farsi sentire più spesso vuol dire che sta lì seduto a cercare di portare ordine nell’immenso turbinare del suo animo profondissimo e tormentato. Ci sono scene interminabili in cui vediamo Don Draper seduto alla scrivania con un bicchiere in mano, o davanti alla finestra con un bicchiere in mano, o a fissare il vuoto con un bicchiere in mano… e lo vediamo lì, col suo cipiglio da reggo-il-mondo-sulle-vertebre-cervicali e diamo per scontato che nella sua mente si stia formando chissà quale brillantissima perla immortale. La verità è che quando Don Draper è cipigliato e immobile col bicchiere in mano forse sta solo pensando ai suoi calli.
Bisogna però ammettere che Don Draper se la cava molto bene nell’intortare i clienti e nel farsi venire improvvisi colpi di genio nel bel mezzo di riunioni fondamentali per la salvezza dell’intera isola di Manhattan. Sempre che servano, questi colpi di genio, perchè di solito basta insultare un po’ Peggy – facendola sentire grassa, inutile, inadeguata e perennemente in debito per essere stata promossa ad account – per spronarla a sfornare un miracolo della moderna pubblicità da sbandierare in giro come frutto delle fatiche congiunte del dipartimento creativo tutto. Che gli è venuto in mente a Don Draper, a parte modi sempre più raffinati per far scoppiare il fegato a Pete Campbell? Insomma, avrà carisma, che vi devo dire. Se mi alzo la mattina e appena arrivo vi regalo un concentrato di cinismo in sette parole mi verrete tutti quanti a rispondere che sono cupa e inopportuna. Lo fa Don Draper e volano i reggiseni. Carisma, sarà il carisma.
E questa cosa del parlare poco e fissare intensamente oggetti a caso, tanto per far pensare di essere assorti e di celare un iceberg sommerso di straordinaria lucentezza, è una di quelle cose che piacciono tanto alle donne. Oh, bel tenebroso, intravedo la tua sofferenza, scorgo in lontananza l’immane fardello che grava sul tuo grande cuore… ma con quanta virile discrezione sopporti tutto questo, devi veramente essere una creatura speciale! Tieni, mi leverò le mutande per esserti di qualche conforto. Oh, che onore essere al fianco di un uomo così complesso!

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Oh, me misera.

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La verità è che non comprendo molto bene nemmeno le scelte sentimentali di Don Draper. Perchè posso anche farmi andar bene che uno cambi identità e si faccia strada nel mondo a colpi di energiche spallate e frasi ad effetto, quel che non mi garba è l’apparente casualità del chi va a letto con chi. Ora, Betty Draper ha un sacco di problemi – è variamente nevrastenica, sempre inversa e risentita, vanesia e ipocrita -, ma non mi è mai sembrata peggio di molte amanti “stabili” del suo consorte. E se riesco a capire che con una moglie del genere ti possa anche venire spontaneo trombare una svagata e allegra illustratrice del Village o una vacchetta scarruffata che ti salta addosso in California, quello che non accetto sono le concubine che hanno più problemi della legittima consorte. O che sono pure più racchie. Che roba è, impelagarsi con una vecchia gallina ninfomane, moglie del comico più sgradevole e vendicativo del mondo? E la maestrina con la sindrome del cucciolo abbandonato che cerca però di farci credere di essere una donna indipendente e coraggiosa? Per carità, Don Draper poteva utilizzare la medesima quantità di sbattimento impiegata per far funzionare le sue storiacce extraconiugali per che ne so, dire sei parole in più a quella squinternata di sua moglie, invece che gridarle di andare dallo psicologo quando finalmente decide di ripudiarti.
Quello che mi fa più arrabbiare, però, è che a Don Draper non si può dire niente. E l’infanzia difficile, e la guerra, e la famiglia povera e cattiva. Prendersela con Don Draper è vietato, perchè ti fa sembrare una brutta persona, poco sensibile al travaglio dell’animo umano. In realtà tollero Don Draper perchè ho una motivazione ben più solida per guardare Mad Men…  sopporto Don Draper – consolandomi a tratti con la sua incommensurabile presenza scenica – perchè in Mad Men c’è anche Joan. E nel mio cuore spero che Joan spacchi un vaso in testa pure a lui.

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So tutto, sono fighissima e pure indispensabile. E se mi fate suonare la fisarmonica ancora una volta, giuro che vi cavo gli occhi con un cucchiaio.


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La verità è che i supereroi sono la cosa più bella del mondo. I supereroi e la fantascienza. I minipony e un po’ anche l’Happy Meal. Datemi una qualsiasi saga caciaron-avventurosa e mi divertirò per mille anni… ma anche se fa schifo tipo i Fantastici Quattro, Daredevil o Lanterna Verde, perchè se il film è brutto oltre ogni immaginazione sarà comunque bellissimo parlarne male. Insomma, i supereroi hanno uno scopo ben preciso e molto nobile: farci divertire come felini che rincorrono gomitoli di lana. E con me funziona tutto quanto. Gente dalla personalità strabordante vola in giro, fa esplodere le cose e passeggia per scenografie esteticamente strabilianti dicendo spacconate. Mantelli. Armature. Spadoni. Costumi complicati. Dimensioni parallele. Cuori grandi così. È tutto mescolato in una gigantesca cospirazione per farmi contenta. E ciao cultura (?!), addio saggezza (???) e saltiamo su un trenino per Asgard.

Bene.
Non era detto che con gli Avengers sarebbe andata a finire bene. Troppa ciccia da arrostire, un regista che si era principalmente cimentato solo con film poco capiti e serie tv (anche se gli sarò eternamente grata per Buffy, gioia sfavillante della mia infanzia) e aspettative irragionevoli di geek già pronti a scendere in piazza coi fucili laser. Poteva venir fuori un polpettone ripugnante e senza senso, ma per fortuna sono accadute manciate di cose belle. Ovvio, non è la perfezione e il 3D potrebbe anche andare a farsi benedire, ma è davvero uno dei film più divertenti e boriosi che mi sia capitato di vedere.
Ora, quello che non sospettavo – e che ho scoperto in un sabato di pioggia torrenziale e colpevole lontananza di Amore del Cuore – è che c’è tutto un mondo là fuori. Te vai al cinema, torni a casa, magari decidi che vuoi un bel figliolo coi superpoteri come sfondo nuovo del computer, ti riprometti di leggere un po’ più di fumetti e di recuperare decenni di conoscenza Marvel che ti sei persa per strada – più per ragioni anagrafiche che per negligenza -… e all’improvviso ti imbatti in una galassia d’amore infinito. Anzi, di sentimenti che sfiorano lo stalking. La fangirl moderna non ha più bisogno d’affannarsi vagando per edicole e rincorrendo apparizioni televisive, non sarà più emarginata perchè fa battute che nessuno capisce. Perchè ora c’è TUMBLR, con la sua armata di maestri della gif animata… e meno male che ho finito di studiare.

In questo post – già eccezionale ancor prima di cominciare – vi renderò partecipi dei prodigi che orbitano intorno al già ingombrante universo degli Avengers. Perchè c’è gente generosissima, psicotica e molto creativa che passa le sue giornate a cercare e ad assemblare spassosità, espandendo a dismisura le potenzialità di sollazzo del genere umano tutto.
Visto che non possiamo passarci la vita – o così mi ha raccomandato il dottore -, andremo per temi e applicheremo un criterio di selezione che sono certa sia il migliore tra tutti i possibili: ci dedicheremo a quello che ha fatto ridere me.

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ROBERT DOWNEY JR, GENIO, MILIARDARIO, PLAYBOY, FILANTROPO

Dunque. Superman è uno dei pochi supereroi che si traveste da umano. Se vogliamo estendere il concetto senza pensarci troppo su, anche Batman è un po’ così… Bruce Wayne è più un fastidio che un aiuto, per Batman – escludendo i trascurabili benefici: maggiordomo, molti soldi, giocattoli tecnologici. Sia Superman che Batman, però, la vivono male. E gli occhiali, e Lois Lane che inspiegabilmente non riesce a capire chi ha di fronte, e le cene di gala che sottraggono tempo prezioso alla lotta al crimine, Gordon che si fa il sangue marcio, miriadi di nemici molto ben caratterizzati.
Ecco, anche Tony Stark è continuamente costretto a fronteggiare il medesimo dilemma identitario, solo che a lui piace moltissimo essere Robert Downey Jr. Insieme si divertono come coniglietti festanti e, dopo le percentuali sugli incassi degli Avengers, sono finalmente riusciti a far collidere i rispettivi patrimoni in un fantastilione di dollari, da investire in completi su misura, scarpe un po’ alte, costruzioni, macchine e barbette accuratamente disegnate. A Robert Downey Jr non scrivono nemmeno il copione, lo chiamano in scena all’ultimo momento, gli dicono più o meno cosa deve capitare e lo lasciano lì a fare come vuole. E se si dimentica qualcosa c’è comunque Jarvis, sempre pronto a offrire pacati suggerimenti.
Lo sappiamo tutti che è così.
E come farebbe ogni sbruffone amico della coerenza, poi, lo splendido Downey Jr non si nasconde… perchè essere Iron Man è semplicemente troppo meraviglioso.

Salutare folle adoranti fa parte della job-description di Iron Man. E che problema c’è.


Probabilmente a causa di un qualcosa di scritto in piccolo in un contratto, Robert Downey Jr è di tanto in tanto costretto a insinuare il dubbio nell’opinione pubblica, ridacchiando sotto i baffi.

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HULK SPACCA, MA E’ COMUNQUE CONSIDERATO UN AUTOBUS

Hulk è stato la vera rivelazione degli Avengers. Gli avranno fatto magari comodo i mezzi fiaschi delle precedenti trasposizioni cinematografiche, ma dobbiamo battere le mani all’adorabile Mark Ruffalo, al suo stropicciato Bruce Banner e al motion-capture, che l’ha fatto diventare il primo mostro verde ad essere davvero comandato da un attore, anche se l’han tutti preso in giro perchè gli toccava ruggire con addosso una tutina strana, ma è andata a finire bene. Applausi a scena aperta per Hulk, applausi. Parla una volta sola e dice la battuta più divertente del film, senza mai dimenticare di percuotere Thor con costanza e gran scricchiolare di nocche. Per quanto mi riguarda, poteva anche picchiarlo di più, ma sono già piuttosto soddisfatta.
Purtroppo, non essendo Mark Ruffalo bello bello in modo assurdo ma, più modestamente, solo bello, Hulk è diventato il campo giochi degli illustratori, che amano fargli trasportare e prendere al volo qualsiasi cosa, dagli Avengers non volanti/non saltanti all’intero maledetto cast, che gli campeggia sulla schienona schiacciando pisolini. E inizio anche a pensare che, come tutti gli autobus di questo mondo, Hulk abbia anche un bottone da pigiare quando c’è bisogno di scendere.

L’ultima è di Scott C, illustratore sopraffino che credo abbia già disegnato il mio intero immaginario fantastico. Qua, come al solito, ci regala un’efficacissima metafora dell’intero film.

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THOR, IL POLPETTONE DI ASGARD

Non ne farò mistero, Thor è un personaggio che m’immagino geniale nei fumetti, ma che Chris Hemsworth fa sembrare uno stupidone. Uno che si mette le braghe al contrario e mangia la minestra rumorosamente, l’amicone grosso e scemo, tanto per intenderci. E no, non sono impressionata dai suoi immani arti superiori – che credo comprendano muscoli non ancora del tutto capiti dalla moderna anatomia – o dalla sua chioma fluente, mi piace solo quando tira giù i fulmini dal cielo col martello. Il martello è parecchio avvincente, anche se non credo venga utilizzato al pieno delle sue potenzialità… e no, non sto facendo del triviale umorismo. In Thor, a casa dei giganti di ghiaccio, il nostro Polpettone di Asgard si era cimentato in un’onda d’urto di tale meraviglia da far sprofondare mezzo pak, aveva trapassato a martellate un mostro orrendamente battagliero… ma negli Avengers poca roba, a parte irritanti discorsi sul bene dell’universo. Thor sta lì in piedi e si massaggia le braccia, con aria trasognata e una faccia di pietra che nemmeno la miglior Monica Bellucci. Gli hanno anche scritto tre cose crocifisse, è vero… non lo vediamo entrare in un negozio di animali per farsi dare un cavallo o almeno un cane sufficientemente grande da essere cavalcato e non si esibisce quasi per niente nell’umorismo involontario che è anche un po’ l’unica cosa che potrebbe mai fare per noi, tipo questa perla immortale – che non mi ricordo nemmeno se sia capitata davvero o se sia scomparsa con la traduzione italiana:

Insomma, Chris Hemsworth non si impegna abbastanza. E’ solo incredibilmente grosso e variamente inopportuno:

E maledizione, volevo tantissimo che ricapitasse qualcosa di anche solo lontanamente paragonabile, ma niente:

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STEVE ROGERS LO VA A DIRE ALLA MAESTRA

Captain America è stato per me difficile da digerire… il personaggio, anche se al compianto agente Coulson piaceva da matti, lo trovo migliorato, anche se sempre mortalmente retorico. Sarà che è rimasto in coma criogenico per diversi decenni, non ha ancora avuto modo di vederla, manca totalmente di senso dell’umorismo e ha sempre l’aria preoccupata di chi non ci sta capendo niente, ma il buon Rogers m’indispettisce e mi fa al contempo venire in mente la Torcia Umana. Insomma, se c’è in scena Captain America vivo con la segreta speranza che decida all’improvviso di prendere fuoco. E lo so, non dimostro una gran sensibilità, date la drammatica situazione della sua carriera militare:

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AVENGERS, GET THE FUCK TO SLEEP

Tutto quello che potrei mai dire su Nick Fury, per quanto arguto e interessante, non riuscirebbe comunque ad eguagliare la gloria dei memo che manda in giro. E no, non ci sono serpenti sulla portaerei volante dello SHIELD:

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LOKI, UN ESERCITO DI GATTINI E UN BELLISSIMO ESAURIMENTO NERVOSO

Pensavo di essere originale… e invece no, l’intero etere fangirlico adora Loki. Non credo ci sia personaggio che sia riuscito a scatenare una simile – e assurdissima – ondata di gridolini scomposti. Nel tentativo di capire come sia potuto accadere, ho elaborato uno sparuto drappello di teorie:

– secco, pallido, sveglio e interessante, Loki è cresciuto nell’ombra di un tizio che non fa altro che frantumare le cose e azzannare cinghiali, tra gli applausi dell’intero regno di Asgard.
– in Thor scopre cose orrende, piange e s’arrabbia. E poi gli mettono un martello addosso.
– gli sono toccati i costumi belli. Dalla tenuta da divinità ai cappottini con la sciarpetta, Loki ha stile. E non ha bisogno di perdere tempo con bottoni e cerniere, i vestiti gli si materializzano addosso.
– avrà anche la pettinatura delle nostre vecchie zie, ma il capello unto e l’attaccatura a metà cranio non ne scalfiscono il fascino. Sta comunque meglio con l’elmo cornuto.
– afferra al volo dardi letali, con aria scocciata.
– alterna momenti di magnifica arroganza a pessime figure, roba degna delle tribolate adolescenze di tutti quanti noi.
– gli zigomi. Ottimi zigomi.
– è cattivo, ma con riluttanza. Capito da nessuno e ignorato dai più, vaga per i mondi alla ricerca di qualcuno che l’abbracci e che gli faccia capire che sapere di chi è figlio non è poi così rilevante. E chi se ne importa del trono di Asgard, il palazzo reale sembra un ammasso di cannelloni dorati.
– tra gli innumerevoli personaggi che incontra sul suo cammino, Loki è l’unico in grado di produrre una gamma di espressioni normali, molte delle quali risultano adorabili. Frigna, ride a sproposito e ci detesta con grande duttilità… proprio come Thor.
– viene percosso da tutti, più e più volte. Nel caso di Hulk vale doppio, ma se lo meritava.
– sforna discorsi di ragguardevole perfidia, ma sa anche lui che è solo per farsi coraggio.
– Tom Hiddleston ha un suo bel perchè. Soffre della sindrome d’immedesimazione di Tony Stark, ma fatta meglio: dialoga abitualmente su Twitter con l’account del dio Loki, grida cose da macchine in corsa e va in giro a dire a tutti che ha un esercito.

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Nel vano tentativo di far comprendere al mondo la portata della Loki-Hiddleston follia, appiccico cose a caso. Tanto fanno ridere tutte.

I mortali vanno presi a bastonate:

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Bastava cooperare:

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Loki si vendica del Ridiculously Photogenic Guy:

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Loki si vendica di Punk’d… perchè han cercato di rubargli in lavoro:

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Loki insegna idiomi sconosciuti alle folle:

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L’ennesima menzogna:

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Gli attori, i veri martiri del nostro tempo:

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Se il figlio di Mark Ruffalo ti preferisce a Hulk (come uno scoglionatissimo Ruffalo ha più e più volte affermato), sei a posto:

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Se bambini che passano per caso vogliono utilizzarti come giostrina, sei a posto:

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Se Iron Man ama farsi gettare dai finestroni da te, sei a posto:

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Se Hulk non ti stritola, sei a posto:

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Se qualcuno decide che sei pronto ad essere disegnato insieme a dei gattini, sei a posto:

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Se capisci l’importanza dei gattini e ti lanci in spericolate analogie, sei a posto:

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Esosi giocattolai ti riproducono senza sfigurarti:

E la gioia è grande.

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Credo di non aver mai prodotto nulla di così fotografico e guizzante. Un post al passo coi tempi. Un post che dovrebbe spingermi ad aprirmi un Tumblr per sfogare lontano da qui i miei istinti più bassi. Ma è stato tutto per amore dell’esegesi della cultura pop… e perchè ho comunque un Hulk che ha giurato di proteggermi in caso di proteste. E comunque vorrei capire, ma la scena alla fine della fine dei titoli di coda, con gli Avengers che mangiano robaccia, voi l’avete vista? Perchè in fondo alla mia pellicola non c’era, ho controllato due volte.

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Tutte le corbellerie grafiche vengono da questi posti. Posti di gente presa bene.

http://fuckyeah-avengers.tumblr.com/
http://fuckyeahrdj.tumblr.com/
http://stacyjacks.tumblr.com/
http://thisisnthappiness.com
http://9gag.com
http://memosfromfury.tumblr.com
http://ren-ne-rei.tumblr.com
http://joannaestep.tumblr.com

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Per chi, invece, volesse donarmi la sublime statuina da collezione di Loki – che ha cento mani intercambiabili e più accessori della Barbie -, la può ordinare qui. Mi arriverebbe a Natale, così vi togliete anche il pensiero del regalo.

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Fare conversazione a tavola per me è difficile. Credo sia perchè mangio molto lentamente, mastico con grande concentrazione e non ho voglia di far perdere tempo agli altri, che spazzolano tutto con efficienza e poche cerimonie. Insomma, se mangio non parlo e, anche se parlo, finisce che non m’impegno e mi escono robe da nobildonna che va alla bettola di Gassman e Tognazzi per assaggiare l’orrendo zuppone alla porcara, mentre in cucina volano polipi e parrucchini.
Per tutte queste ragioni, mangiare da sola non mi dispiace. Mi porto un libro, sto in pace e ciao. Anzi, leggere mentre mangio mi piace tantissimo, soprattutto a pranzo.
Ultimamente, però, il mio felice isolamento biblioalimentare del mezzogiorno è disturbato da Niccolò Ammaniti.
Sono lì, incagnata nell’angolo vicino alla finestra col mio libro e il couscous pollo grigliato-nocciole. Tranquilla e contenta come una torta di mele, ma rido così forte che la gente viene a rompermi i coglioni per sapere che cosa sto leggendo.
Sto leggendo Il momento è delicato, accidenti a voi.

Che sensazione singolare, continuava a sentire il braccio al solito posto, addirittura gli pareva di poter stringere le dita eppure il gigante lo brandiva come una clava.
Che ci vuole fare?
La risposta gli arrivò subito quando venne colpito in faccia dal suo stesso bicipite per tre volte di seguito.

E no, non sono affatto disturbata da fratture, colonne vertebrali strappate dal tronco, cartilagini frantumate, guardoni obesi, seghe, Alba Parietti, piscio di santoni indiani e mostri mutaforma ghiotti di carne umana. La torta salata ricotta e spinaci non mi va di traverso, faccio solo delle gran brutte figure. C’è la gente lì, col completo da consulente, le ballerine pratiche ma eleganti e la vaschetta di verdure grigliate. Gente gioviale che si nutre coi colleghi. E a due metri ci sono io che m’imbatto in cose così:

Il vero problema era il letto. Che fare con le lenzuola? L’unica era coprire quel profumo con un odore più forte. E se accidentalmente gli fosse caduto sul letto qualcosa? Ecco! Tirò fuori dal congelatore dei sofficini al pomodoro e li gettò in padella ripetendosi: “Avevo fame e mi sono fatto dei sofficini e per sbaglio mi sono caduti sulle lenzuola”. Quando furono cotti, li versò sul letto con tutto l’olio che si fuse con il rivestimento del materasso di lattice generando un mezzo incendio e una nuvola di fumo nero e tossico, ma eliminando per sempre l’odore di Angela. Mara avrebbe pensato che era un coglione totale, non un fedifrago. Eccellente, si disse compiaciuto.

O in robe abominevoli, che non sai nemmeno tu perchè ti divertono così, tipo tutto quanto Fa un po’ male, racconto che mi ha fatto battere ogni record di rallentamenti per curiosi vicino al tavolo. E per un racconto che ha i pompini come snodo narrativo centrale, son belle soddisfazioni.
Produco i doverosi esempi:

Se Angela Milano, studentessa al terzo anno in odontoiatria, avesse fatto un pompino a Robbi Cafagna tutti questa triste vicenda non sarebbe mai avvenuta e io non starei qui a raccontarvela.
Ma una sorte amara volle che proprio quel pomeriggio Angela, dopo una lunga discussione con l’amica del cuore Verdiana Ceccherini, decise di cessare, almeno per un po’, quest’antica pratica orale che, a suo giudizio, rischiava di definirla solo per una delle sue innumerevoli qualità.

Robbi Cafagna è uno tra i più sventurati dell’intero libro. E se lo merita.
I suoi guai nascono, per la sacrosanta legge del contrappasso, da un’affermazione molto decisa ma poco lungimirante.

– Allora, che hai contro gli omosessuali, si può sapere?
Non mollava.
–  Niente. Assolutamente niente -. Quanto avrebbe voluto invece dirle: “I froci mi fanno schifo. E’ gente malata che si sente pure ‘sto cazzo e si credono artisti solo perchè lo prendono in culo”.

E dopo una roba del genere, ti siedi lì e ti godi tutto il disastro che si abbatterà sul Cafagna. Io ero solo dispiaciuta di non potermi togliere le scarpe al ristorante per stare più comoda, ma ero però ben contenta di vedere che il Tenaglia non faceva un bel niente per aiutare Robbi (che è pure spilorcio e genericamente razzista), scegliendo di rimanere sul divano ad ammirare la Cuccarini al Telethon.

All’inizio si era fatto delle seghe a caso, dissipando energie a cazzo, osservando il suo “amore” mentre introduceva gli ospiti, scherzava, guardava il tabellone e incitava la gente a casa a mandare soldi. Poi si era reso conto che aveva davanti a sè ancora tante ore di trasmissione e quindi aveva deciso di ottimizzare le seghe per arrivare a fine maratona vivo.
Se ne sarebbe fatta una per ogni miliardo che totalizzavano.

Qua m’è cascato in terra un panino. L’abbigliamento. L’abbigliamento male assortito con altro abbigliamento e ancor peggio con la situazione generale mi fa ridere da sempre:

Aprì il cofano. Dentro c’era il motore. Nero, sporco, pieno di fili, incomprensibile come un manufatto alieno.
Lo guardò.
– Se lo guardi non si aggiusta mica.
Robbi girò la testa.
C’era un travestito, abbronzatissimo, che assomigliava a Mara Venier, solo più femminile. Addosso aveva la maglia di Totti, Aveva le gambe lunghe e due scarpe argentate con delle zeppe alte venti centimetri. – E’ un problema elettrico. Controlla lo spinterogeno. A volte si stacca e non fa più contatto.

Facevo prima a fare le fotocopie del racconto, ma pazienza. Facciamo che vi risparmio la sinossi del film porno anelato da Robbi, anche se era molto bellina, con questa tribù di amazzoni che per una strana mutazione genetica sono costrette a nutrirsi solo di sperma. Povere creature. Dicevo, vi risparmio le voraci amazzoni, ma questa no. E poi basta, così vi andate a comprare il libro e mi lasciate mangiare in pace, col mio imbarazzo da giovane donna che ride da sola.

Robbi provò a scappare, a scavalcare la recinzione ma dietro aveva un piccoletto calvo con un cacciavite in mano. Glielo infilò nelle reni. Robbi urlò di dolore come un babbuino ferito. Una vecchia gli tirò una bottiglietta di Oransoda in testa.
Poi si sciolsero le corse e lo spinsero verso il centro dell’arena.
Provò di nuovo a uscire fuori ma il piccoletto lo colpì ancora col il cacciavite. Tutto intorno era un muro umano. Lo incitavano a combattere. Da dietro le fiamme apparve Django. Ruotava sopra la testa una corda a cui era legata una batteria Magneti Marelli.

Un’altra, dai. Ma giuro che è l’ultima. Così capite che non c’è niente di disdicevole a leggere una raccolta di racconti e potete inveire anche voi contro l’autore, se finisce che vi fermano mentre fumate una sigaretta prima di salire in ufficio e vi si accucciano sotto al libro per vedere il titolo. E’ imbarazzante anche la gente che non conosci e che all’improvviso ti si rannicchia vicino alle ginocchia, ve lo assicuro.

Sprofondò in un cumulo di immondizia senza farsi niente. Era finito tra buste, frutta marcia, poltrone di automobili, scatole di cartone. C’era una puzza da vomitare.
Doveva fare come Rambo quando era inseguito dall’esercito degli Stati Uniti.
Cominciò a coprirsi con bucce di banana, lische di pesce marcio, la carcassa di un pastore tedesco, giornali.

Ecco, io ho finito. Ma c’è tutto quanto il resto del libro. Ha una copertina nera con delle case e ci sono anche delle storie non trucide, se vi prendete male con gli orchi, le viscere che si srotolano e i denti aguzzi. Ci sono anche i racconti belli coi bambini. Coi cani da salvare sul raccordo anulare. Insomma, prendetevela con Ammaniti e fatemi masticare senza dovervi rispondere ficcando tutto nelle guance, come un cricetone.

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MADRE – …ne aveva molti di più, ma tanto per farti capire…
AMORE DEL CUORE –  Più che in quel baule?
MADRE – Oooh! Un divano pieno. Guarda che roba.
AMORE DEL CUORE – …che belli, ma sono tantissimi.
MADRE – Dunque. Questo è Chiottino.
AMORE DEL CUORE – Ghiottino?
MADRE – CHIOTTINO!
AMORE DEL CUORE – Chiottino, Chiottino.
TEGAMINI – Chiottino è il mio preferito, vedi com’è tenero? E’ fatto apposta per abbracciarti, me lo portavo sempre in giro. Sta sulla mensola perchè è il più importante, non voglio che finisca schiacciato lì dentro.
AMORE DEL CUORE – In effetti…
TEGAMINI – FAI PIANO CON QUELLE MANONE! Non vedi che qua ha in collo pericolante?
MADRE – Invece quest’altro è Chiottone. Fratello maggiore di Chiottino. E’ arrivato dopo, perchè Chiottino ce l’aveva da quand’era molto piccola.
TEGAMINI – Mi ricordo di quando mi hai regalato Chiottone. Era sotto l’albero, da solo.
MADRE – Chiottone era più grosso di te. Tienilo, Marco, che qua ce ne sono degli altri.
AMORE DEL CUORE – …ok, tengo Chiottone.
MADRE – Questo qua è il drago Duncan. Vedi qua, la coda? Gliel’ha mangiata. Glielo mettevo vicino nel passeggino e lei gli masticava la coda. L’ho dovuta ricucire mille volte.
TEGAMINI – Povero drago Duncan.
MADRE – Poi, qua ci sono il gatto bianco e l’altro gatto, che gliel’aveva regalato la nonna Lelia quand’era all’ospedale per le tonsille… secondo me, è più bello il gatto bianco. Questo invece è Mabiglio.
TEGAMINI – IL CONIGLIO MABIGLIO! …no! Non darlo ad Amore del Cuore, non ti ricordi che ha un orecchio scucito?
MADRE – Ma non gli fa niente, faglielo tenere.
AMORE DEL CUORE – Non importa, davvero, ho già Chiottone, sto bene così… e poi mi guarda male.
TEGAMINI – Non è vero, Mabiglio è molto gentile, è solo il pelo che gli si è arruffato intorno agli occhi.
MADRE – Comunque. Ci sono anche un sacco d’uccelli. Questo è Culo di Penna. Quando andava a fare i tornei di tennis portavamo sempre Culo di Penna e lo mettevamo a sedere in panchina, così al cambio di campo si parlavano.
AMORE DEL CUORE – Giocavi a tennis con un fenicottero in panchina.
TEGAMINI – …avevo otto anni. E comunque lo rifarei.
MADRE – Culo di Penna l’avevano anche usato nella recita di Chichibio e la gru.
TEGAMINI – Si era deciso di farlo passare per una gru, visto che nessuno aveva pupazzi di gru.
MADRE – Marco, tieni Culo di Penna.
AMORE DEL CUORE – …eh, ciao, Culo di Penna.
MADRE – Bene. Questo qua è il millepiedi.
TEGAMINI – …METTILO VIA! MI FA PAURA!
AMORE DEL CUORE – …
MADRE – Santodio, è un millepiedi, guarda com’è tutto colorato, con le scarpe da ginnastica! Prendilo tu, Marco, che mia figlia è scema.
AMORE DEL CUORE – Lo devo nascondere dietro a Chiottone?
MADRE – Ooooh! La Signora Cruschin!
AMORE DEL CUORE – Cos’è, una gallina?
MADRE – E’ bellissima, la Cruschin. Vedi qua, ha la cerniera sotto la pancia perchè era piena di uova di cioccolato. Le abbiamo mangiate e lei poi ci infilava dentro i pulcini. Aveva tantissimi pulcini. Questa però è una papera…
TEGAMINI – CLARAMINDA!
MADRE – Claraminda ci è molto cara.
AMORE DEL CUORE – …bè, giustamente.
MADRE – Una volta abbiamo visto in un negozio una Claraminda gigante. Era uguale a lei, solo che era lunga un metro e mezzo. Siamo riusciti a convincerla che era diventata grande, altrimenti ci toccava pure portarci a casa la mutazione genetica di Claraminda, e di grosso avevamo già il delfino Maiemi. Vallo a prendere, che è sul divano di là.
AMORE DEL CUORE – No ma non importa, me lo ricordo, l’ho visto l’altra volta.
MADRE – …ah, va bene. Qua invece c’è l’aquilotto che ti ha mandato il tuo padrino dall’America, gli si spiegazzano sempre le ali… e questo qua è ET.
AMORE DEL CUORE – Ma è bruttissimo!
TEGAMINI – …ET bello bello non lo è mai stato. Poi vedi, si è tutto spelato, come gli zaini della Mandarina Duck, che dopo un po’ si appiccicavano tutti.
MADRE – E’ un peccato, perchè aveva tutto il cuore rosso, come il dito, vedi lì, che c’è ancora la plastichina rossa?
AMORE DEL CUORE – Molto realistico.
MADRE – Questo invece è l’ewok che ti abbiamo preso a Eurodisney.
AMORE DEL CUORE – …cos’è un ewok?
TEGAMINI – E’ un abitante della luna boscosa di Endor. E somigliava a mia nonna Aurelia.
MADRE – Poi c’è un pipistrello e quest’altro qua, il pistolero. Tieni, Marco, che se no non riusciamo.
AMORE DEL CUORE – Posso sedere Culo di Penna sul tavolo, magari?
TEGAMINI – Ma lascia perdere, che madre non si è accorta che è mezzanotte e quaranta…
AMORE DEL CUORE – Eh, già, caspita. E dobbiamo tornare anche a Milano.
MADRE – Si ma adesso non lasciatemeli tutti in giro a prendere la polvere, poverini.
TEGAMINI – Ma ci stanno?
MADRE – Certo, non vedi che è bombato, questo baule? E’ un baule intelligente. Mi spiace di non avere qui Tarta la tartaruga, però.
AMORE DEL CUORE – E’ un peccato, volevo conoscere anche lei.

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Non si capisce bene perché, ma l’unicorno è la bestia fantastica più cara alle culture di ogni tempo. Con la pioggia e col sole, dalle pianure falcidiate da Gengis Khan fino alle profumate corti rinascimentali, il mito dell’unicorno prospera, galoppa allegramente e s’ingarbuglia, alimentando strani commerci, imperversando nell’arte e arrivando persino a convertire un signore serio e precedentemente incredulo come Leibniz.

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Dando prova di tantissima incoscienza, SettePerUno continua ad ospitare con sconfinata grazia la mia rubrica mensile sulle creature fantastiche. Dopo Sleipnir – il fiero cavallo a otto zampe di Odino – e l’innocua Chimera – ingiustamente macellata da uno sbruffone volante -, la terza puntata svela le meraviglie dell’unicorno, bello bello in modo assurdo e pieno zeppo di proprietà medicinali. Per leggere tutto quanto, vi conviene dirigervi su Spezzatino d’unicorno, che qua devo cimentarmi in un insperato spin-off.

Allora, dopo aver messo insieme tutta la Miticheria – e PERDIANA, vorrei aggiungere -, @stefi_idlab mi ha segnalato l’esistenza di un testo fondamentale, ripescato dalle polverose profondità della British Library. L’inestimabile tomo, cercato per anni dal professor Brian Trump del British Medieval Cookbook Project, è il libro di ricette di Geoffrey Fule, cuoco della regina Philippa alla metà del quattordicesimo secolo. Con grande diletto per tutti noi, il buon Fule non si occupava solo di arrostire montoni e di lessare tuberi, ma proponeva estrosi manicaretti a base di animali fantastici, da marinare nell’aglio e cuocere allegramente sulla graticola, così come dimostrano le illuminanti miniature a margine del manoscritto.

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Barbecue d’unicorno


La robaccia inutile, tipo corni da collezione, zoccoli veloci e codine setose vanno a finire nel cestone della spazzatura. Mica si mangiano.

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Grazie a Fule ora sappiamo che è possibile. Sappiamo che il sogno dell’unicorno tonnato o della cotoletta d’unicorno è ormai dietro l’angolo. Perchè siamo gente raffinata, e la roba in scatola inizia anche un po’ a stancarci. In alto gli spiedi!

 

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L’articolo della British Library, in caso non vi accontentaste di magici destrieri e vi andasse di assaggiare un bell’istrice paffuto.

 

 

Non saprò far fare i salti ai sassi sul pelo dell’acqua, ma sono bravissima ad andare in giro.
C’è della gente che torna da qualsiasi tipo di esperienza gitesca con bagagli pieni di traumi, polemiche, recriminazioni e rimpianti… ma io no, zampetto felice mangiando ghiaccioli fotonici e mi guardo ben bene dal lamentarmi, anche se non mi porto mai i vestiti che davvero servirebbero e le giornate finiscono nel disagio della cecità, con le lenti a contatto croccanti e piene di polvere.
Ma chi se ne importa, vagare è un talento, c’è da essere capaci e ci vuole tutta un’indole.
Visto però che vantarsi a vanvera è poco elegante, vi delizierò con roba di lago ed edificanti prove fotografiche. Anche perchè va di moda guardare le figure, in questo periodo.

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Questo è l’asino Ugo. L’asino Ugo è dipendente dalle carotine e vive in un recinto un po’ in salita con un altro asino – dal nome fru–fru e impossibile da memorizzare – e un’asina gravida, larga come lo stato del Maine. Ugo è molto ospitale, anche se frequentemente frainteso: se decidete di avvicinarvi al suo recinto, Ugo vi darà il benvenuto con cinque minuti di rantoli e ragliate. Una cosa strana a vedersi, oltre che spiacevole per le orecchie. Perchè noi non ci si pensa, ma l’asino ci mette l’anima quando deve ragliare. C’è tutta un fase di riscaldamento, respiri profondi e nitriti casuali, prima che arrivi il celeberrimo I-OOOH-I-OOOH. Sarà sempre utile, dunque, avvicinarsi al recinto di Ugo in compagnia del coraggioso Amore del Cuore, perchè un’asino che raglia fa paura. E di sicuro non si capisce se stia ragliando perchè è contento o perchè si prepara a sferrare un combo-attacco calcio in faccia/morsi alle mani.

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Può capitare che animali che vivono in recinti limitrofi decidano di farsi fotografare nella medesima posa da teenager. Nel caso della capretta, l’adolescente è anche vicino al satanismo amatoriale.

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Perchè i turbo-ciliegi d’incredibile beltà non ci sono solo in Giappone. E quella montagna là dietro, che non so come si chiama ma è comunque illuminata benissimo dalla luce tramontina, non sarà il monte Fuji, ma fa comunque la sua figura.
Come variante del ciliegio sbruffone abbiamo anche il ciliegio sbruffone con piccola luna. E siamo subito tutti fotografi.

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Amici. Stimati lettori. Compagni di mille battaglie. Questo qua seduto è Amore del Cuore. Per cortesia, che qualcuno si commuova.

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Idee bizzarre, inopportune ed esteticamente orribili che ti vengono prima di dormire.

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L’applique di vimini è la nuova frontiera del design. Hai un’orrenda lampada a risparmio energetico – quelle che fanno davvero luce solo dopo trenta minuti e comunque emanano quello sgradevole bagliore freddo, da neon di macelleria di periferia – e vuoi renderla più amichevole e temperata senza ricorrere ad ingenti investimenti? Schiaffaci su un cestino di vimini, l’interior-design ti sorriderà!

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“Ciao, sono una persona su un cioppo di legno”.

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“Ciao, sono una persona incredibilmente allegra che fluttua via dalla limitante staticità dell’imbronciato cioppo di legno”.
E sì, le mie scarpe son fatte di filettini di salmone.

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Questo posto bucolicissimo e stipato di incredibili cibarie è la trattoria Robustello. Ci si arriva solo dopo dialoghi viabilistici di questo tenore:

TOMMASO: Buongiorno signore! Senta, l’agriturismo Robustello… è qua vicino?
ANZIANO SU SEGGIOLA DI PAGLIA: Sì.
TOMMASO: Ma… da che parte?
ANZIANO SU SEGGIOLA DI PAGLIA:  Su di là, poi a destra. Dovete guadare il torrente.
TOMMASO: …con la macchina?!

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Non si capisce niente, ma sono tortelli di castagne con sugo funghettoso, sommersi di formaggio grattato e copiose erbette sconosciute.

Questi altri cosi qua sono crostini e verdure grigliate con mirabili bocconcini di cervo. I bocconcini di cervo sono pezzi di cervo avvolti in un qualche tipo di salume obeso e croccante.

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E basta, mi sono divertita tanto.
Che c’è, è un post casuale… non ci sarà nessun tipo di sconvolgente rivelazione conclusiva. Asini, capre, fiorellini e lampade a cestino, che vi aspettavate?

Per fare un fantasma occorrono una vita, un male, un luogo. Il luogo e il male devono segnare la vita, fino a renderla inimmaginabile senza di essi. Il luogo dev’essere circoscritto, con confini precisi; più che un luogo, una porzione chiusa di luogo: preferibilmente una casa. Di alcune caratteristiche fondamentali di questa casa si dirà più avanti. Il male dev’essere intollerabile, porti o non porti al suicidio; dove l’intollerabilità, si badi, dev’essere destinata a non scemare per scorrer di tempo ma, al contrario, a vieppiù incrudelire: e prima, e dopo il decesso.

Michele Mari
Fantasmagonia
Einaudi (Supercoralli)

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Un fantasma non succede per caso. Per fare un fantasma devono incastrarsi diciannove circostanze sciagurate, faccende che hanno a che fare con un posto – molto piccolo e spesso percorso dagli avanti e indietro di qualcuno che sia profondamente intento a rimuginare l’odio antico di un torto intollerabile – e con un “irrimarginabile squarcio” del cuore. Tra i due opposti estremi – l’essere vivo e l’essere uno spettro che infesta una casa – c’è tutta una storia di respiro, molecole che si fondono, polvere che si accumula e rancore che non si dimentica. Si chiama fantasmasi, o fantasmagonia… a Mari piacciono tutti e due i termini, ma io preferisco fantasmagonia, fa più teatro, con le botole che si spalancano in mezzo al palcoscenico. In questo libro bellissimo si aggira di tutto: c’è il mostro dei fratelli Grimm – che abita nel sotterraneo e racconta favole per loro -, ci sono dinamiche familiari distrutte dai tortelli, c’è Lord Shelley – pieno di bulloni e cuciture – e ci sono principesse impazzite a causa di rape che si rifiutano di vivere e sanguinare. C’è una creatura strana e sinistra per ogni ossessione creativa, c’è una storia per ogni angolo buio in cui ci siamo mai seduti. Perchè c’è chi si rannicchia in angolini morbidi e riparati e chi, invece, trova il suo angolino già occupato da qualcosa di vecchio e paziente, con molti occhi e molti artigli.

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Per ulteriori e avvincenti carinerie, c’è il Fantasmagonia-board che sto aggeggiando su Pinterest

 

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Non ho fatto un beatissimo niente per meritarmelo, ma ho ricevuto un regalo bello. Ma che dico, bello E istruttivo, utile e vorticosamente interessante. Perchè ci sono persone che si invasano con la collezione dei Carletto dei Sofficini e ci sono persone che sono felici da matti quando scoprono che, nell’arte, la lucertola è simbolo di resurrezione e rinascita, ma solo quando è da sola. Perchè se si dipinge una lucertola insieme ad altre bestie, tipo insetti, mosche e libellule, allora assume un’accezione negativa e maligna. E’ anche molto bello sapere che la bacca di ginepro, protetta com’è dalle sue foglie spinose, simboleggia la castità… ma è importante ricordare che i rami del ginepro riescono anche a far stramazzare di sonno un drago, così come fece Medea con il temibile mostro che custodiva il vello d’oro.
Che diamine, e ho solo aperto tre pagine a caso.
Ne giro un’altra, che sicuramente trovo qualche cosa d’inaudito.
Eccola: “Il centauro Folo era il custode del vaso misterico (l’otre di vino), simbolo di Dioniso”.
D’ora in avanti non voglio più sentir dire che una bottiglia di vino è una bottiglia di vino, perchè non è vero. La bottiglia di vino è un vaso misterico.
Bellissimo. Sono più contenta che a Natale.
Il libro dei simboli, ricevuto da Electa – che ricopro di doveroso e meritato affetto – è pieno zeppo di meraviglie, opere d’arte di ogni tempo e freccine avvincenti. Le freccine ti raccontano perchè sullo sfondo di un quadro c’è un gatto nero che scappa, perchè mai dovremmo capire che lo zibetto è da associare al senso dell’olfatto o sentirci poco stabili alla vista di un braciere. Mai bello, il braciere in primo piano: ci finisce dentro il tempo che brucia in fretta. E non capirci niente è consolante, se ci pensiamo, perchè a scuola ci hanno più o meno sempre raccontato che qualsiasi cosa ci sia sulla tela – che siano pane, pellicani, conchiglie, agnelli, pesci, gigantesche testuggini pluricefale o nacchere – ha a che vedere con Gesù… e francamente, dopo un po’, non riesci più a sorprenderti molto.
Un koala!
Cristo risorto.
Una pesca-noce!
Gesù Bambino.
Un clavicembalo!
Gesù che entra a Gerusalemme in groppa a un’asino.
Insomma, Gesù non mi ha fatto niente di male, ma c’è tutto un mondo là fuori. Ci sono complicatissime relazioni tra bestie, piante, frutta e flora, niente sta in mano a qualcuno per caso e pure i sandali dei personaggi secondari, quelli che ti sembrano messi in un angolo per riempire lo spazio, ecco, anche i sandali dell’ultima figura un po’ in ombra nascondono un’allegoria. E se non si capiscono è come mettersi a letto e farsi leggere una favola in islandese… con molta fantasia si potrebbe magari dire che ci garba il suono armonioso dell’islandese – forse ho scelto un brutto paragone -, ma mai al mondo sapremo che sta succedendo nella storia. Ed è un peccato, che le favole islandesi sono universalmente apprezzate per la loro arguzia e varietà di situazioni. Quello che volevo dire è che sto provando una felicità saltellina e curiosa, e che leggerò ben bene questo libro con tutte le sue freccine… finalmente capirò che cosa ci fa un re con la testa piena di ginestre e che problema ha la cristianità con le arance. E quando avrò imparato tutto, verrò qui a farvelo pesare.

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Matilde Battistini, Lucia Impelluso
Il libro dei simboli
Scoprire il significato delle opere d’arte
I dizionari dell’arte – Electa

Andare al lavoro a piedi mi fa contenta. Tanto per cominciare, dimezza le difficoltà principali della mattina. Prima, che abitavo in un posto più lontano e dovevo prendere il tram, le mie difficoltà mattutine erano almeno due, per citare le più gravi: trovare la volontà per alzarmi + fronteggiare l’indole volubile e incostante di un mezzo pubblico. Ti metti lì sotto la pensilina, vestita e pettinata come si può vestire e pettinare una persona che ha appena trascorso cinquanta minuti a schiacciare SNOOZE, ti metti lì e aspetti, senza sapere quel che succederà – perchè alla mia fermata di San Paolo mica c’era l’erotico display che ti dice quanto manca -, stai là e ti disponi all’attesa, senza poter decidere se arrivare o non arrivare in puntuali in ufficio. I mezzi pubblici sono un ricettacolo di calamità e, quel che è peggio, riescono a renderci persone detestabili. Una volta, ad esempio, avevo aspettato il 15 per fai venti minuti… ero salita, mi ero incastrata in fondo, tra una porta e il baracchino per obliterare, e stavo lì tranquilla, a metabolizzare quel che prevedevo sarebbe diventato un ritardo di cinque minuti, che mi andava ancora bene. Ecco perchè, quando una sconosciuta passeggera è svenuta come un cappone bollito nello snodo tra la prima e la seconda vettura, tutto quello che sono riuscita a pensare è stato “ma con tutti i tram che c’erano, la gente deve venire a morire proprio sul mio?”
Ecco, son cose brutte, che non si dovrebbero mai e poi mai nemmeno immaginare. E lo so, è comodo dare la colpa all’esasperazione prodotta dalla perenne inaffidabilità del trasporto pubblico, si inizia così e si finisce a tifare per la pena di morte e per i totalitarismi deresponsabilizzanti.
Comunque.
Quel che cercavo di dire è, come al solito, un’altra cosa. Se col mezzo pubblico le difficoltà della mattina sono A) alzarsi B) governare l’indeterminabile (lottando per la propria integrità morale), se si va a piedi l’odiato fattore B scompare per magia. Ho dovuto traslocare, per eliminare B, ma ne è valsa la pena. E non lo dico perchè mi piaccia particolarmente attraversare l’incrocio con l’aria più plumbea di Torino o perchè il camminare mi permetta di afferrare un qualche tipo di svolazzante sottotesto filosofico. La verità è che cammino volentieri verso l’ufficio perchè tutte le mattine posso incontrare il mio personaggio preferito di sempre: il portinaio marsupiale.

Il portinaio marsupiale – cinquant’anni o giù di lì, grossi baffi e corporatura di una certa imponenza – lavora in uno di quei distinti palazzi col super portone di legno e le vetrate da gente come si deve. L’androne, che poi è anche il passaggio per le macchine che devono entrare e uscire dal cortile, è tutto di pietra un po’ scavata dalle ruote di centinaia di veicoli benestanti. Il portinaio marsupiale sta lì, mezzo nell’androne e mezzo sul marciapiedi, con la scopa in mano e uno yorkshire terrier a tracolla.
Di quel cane io ho sempre visto solo la testa. Il portinaio lo tiene dentro a una borsa-secchiello e non se lo toglie mai dalla spalla. Spazza, lava, pulisce e commenta la viabilità sempre col cane a tracolla. La bestia è, ovviamente, bella solo per lui: è uno di quei barboncini unti, un po’ canuti e inespressivi, che somigliano tantissimo a dei piccoli moci-rasta. Non so che cosa ne pensi il cane, della prigonia nella tracolla, ma per il portinaio è fondamentale tenerlo lì, tra la costola e l’ascella. Gli parla continuamente, gli racconta che cosa lo fa arrabbiare e che cosa bisogna fare, lo usa da platea per rimbrottare chi gli butta le cicche davanti al portone e per commentare i culi delle tizie che passano. Il barboncino non fa una piega, ma si vede che il portinaio apprezza la sua silenziosa disponibilità all’ascolto. A modo loro, sono una coppia affiatata, una coppia da sit-com: con la pioggia e col sole, il portinaio marsupiale non è mai stato visto senza il suo cagnetto.
E questi sono i fatti, ma credo ci sia anche del mistero. Penso spesso al portinaio marsupiale e queste, all’incirca, sono le cose che ho ipotizzato:

– il cane non è un cane intero, è un cane che ha solo la testa. Il portinaio lo tiene nella borsina perchè è l’unico modo per trasportare in giro una testa di cane e farle conoscere il mondo.
– se il cane è tutto intero (anche se non credo), dove trova sollievo nelle sue funzioni corporali? Che la tracolla contenga un avanzatissimo sistema di smaltimento delle scorie, qualcosa che solo gli astronauti utilizzano correntemente? Che, dunque, il portinaio sia stato astronauta, riuscendo così a carpire tale mirabile tecnologia per convertirla ai suoi fini?
– se il cane è tutto intero (anche se non credo), sarebbe capace di camminare da solo, vista la perenne reclusione nella borsa con conseguente atrofizzazione dei quattro piccoli arti?
– è il cane (intero o non intero) a controllare il portinaio marsupiale, come uno di quei parassiti che manipolano la mente dell’ospite? Quest’ipotesi spiegherebbe la simbiosi (il controllo del parassita sull’ospite non stai in piedi, se le due entità non collimano) e il sovradimensionamento del cranio del barboncino rispetto al resto del suo – presunto – corpicino peloso (il controllo della mente è, di sicuro, reso possibile da una scatola cranica capiente, in grado di contenere un cervello più grande del normale).
– in subordine a tutte le altre – ben più plausibili – spiegazioni, potremmo osservare che quella tra portinaio e unticcio yorkshire terrier sia una sincera amicizia, una di quelle relazioni solide e consolanti che sbocciano solo dall’incontro tra anime affini e sensibili. Magari il portinaio ha perso ogni fiducia nella razza umana e trova conforto solo nella presenza fedele e disinteressata del cane. Magari il cane era un poco di buono e il portinaio l’ha salvato dalla strada, meritandosi l’eterna gratitudine della bestiola che è riuscito a redimere.

Non so bene che pensare, ma confido di proseguire alacremente nell’indagine… tanto vado sempre al lavoro a piedi. E lì davanti al portinaio marsupiale ci passo per forza.

 

Ci sono delle avversità.
Tipo:
– ho sognato una base spaziale invasa dagli zombie. Tutti avevano fuciloni al plasma, possenti balestre e scimitarre galattiche. Io avevo una forchetta.
– un tizio mi ha inseguita per strada cercando di spegnermi una sigaretta sulla fronte.
– MADRE è affabile.
– la Fornarina mi ha invitata alla sfilata di Milano, ben due ore prima che iniziasse.
– si stanno bruciando tutte le lampadine-farettine di casa. E farò prima a traslocare che a capire come si cambiano.
– ho solo ed esclusivamente vicini interisti.
– c’è un romanzo che si chiama Cristo polverizzato.
– ci sono gonne fatte di cravatte.
Nonostante tutto questo, ho la felicità in pugno, perchè è finalmente arrivata la mia sciarpavolpe. Amorevolmente assemblata da una sconosciuta annodatrice di lana di Cracovia, la sciarpavolpe scalderà il mio collo e rallegrerà le mie giornate per centinaia di anni. Perchè la sciarpavolpe ha tutto quel che di bello esiste al mondo, compresi quattro morbidi piedini e un nome di battesimo: Volpecula.

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borsa-Gallina, mi ciberò dei tuoi pingui cosciotti!

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Reginald, buon Dio, dov’è la mia tisana alla malva?

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sferruzza una volpe, salva un pollaio (?)

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Per chi volesse dare un senso a questa mia opera di fiera pubblicizzazione dell’artigianato polacco – anche se non ho il fidanzato che mi fotografa con la Reflex mentre scavalco con simulata leggiadria i binari del tram a Porta Romana -, le sciarpevolpe sono fabbricate da celapiu. Che Odino la protegga.