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Aprile 2013

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Sbruffonaggine o stress post-traumatico. Questo è il dilemma!

Che vi devo dire, è periodo di supereroi.
Dopo avervi inflitto uno strampalato commento sul nuovo trailer di Thor, adesso c’è anche una recensione per il bizzarro Iron Man 3… recensione piena di confusione e preoccupazioni che potrete leggere su BadTaste, perché ogni tanto la vita è meravigliosa e quelli del tuo sito cinematografico preferito ti chiedono di scrivere una fangirlata per loro, che si erano divertiti tanto con il post degli Avengers.
Ed eccoci qua.
È quindi con immensa allegria e sconfinato orgoglio che vi spedisco a leggere tutto quanto su BadTaste. AAAAIRONMAAAAAN!


 

 

***

Voi magari non avete sette anni, ma io sì. E qua in seconda elementare siamo tutti contentissimi per la magica apparizione del primo trailer del nuovo film di Thor, l’indomito polpettone di Asgard. Solo che non si chiamerà “Thor – Asgard’s Meatloaf” ma “Thor – The Dark World”. E si dovrebbe poter vedere in autunno, perché adesso va così, ogni sei mesi c’è un giro in giostra con un supereroe.
Direi di fare un po’ come la volta scorsa, con il trailer di Iron Man 3 – che esce il 24 aprile, tanto per ricordarlo a chi vive su Caronte, sassoso e ghiacciato satellite binario dell’ex-pianeta Plutone. Qua c’è il trailer e sotto c’è quello che ci ho capito io, più un diffuso e meritatissimo disprezzo per Jane Foster, il personaggio femminile più insipido e piagnucoloso del mondo. Che Sleipnir la sfiguri con tutti e otto i suoi zoccoli.

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Dunque.
Inizia con dei bambini che fanno fluttuare un tir. Non sappiamo perché, ma siamo molto contenti per loro. L’avessi fatto fluttuare io, un camion, quand’ero piccola. E invece no, al massimo facevo la rondata sulla trave alta.
Dopo i piccoli autotrasportatori telecinetici, Odino ci informa che prima della creazione non c’era il nulla, ma c’era l’OSCURITAH. Al che presumo ci mostrino il cattivo. Che forse è quello lì, un tizio tutto incatenato in una camera buia, con una specie di casco-tagliola in testa. Ma che fa, sta lì piantato come un monumento perché qualcuno deve ancora risvegliarlo? E chi mai sarà il supergenio? Ma soprattutto, che vuole?
Poi niente, un’immensa (e bellissima) nave nera a forma di accetta rovesciata solca le acque di un qualche posto grigissimo per andarsi a incastrare nel pratone all’inglese di un college. Ad accogliere l’evento con moderato sconcerto troviamo l’amica di Jane Foster, quella con le tette grosse e l’attitudine per la scienza di una commessa di Kiko. Gente che scappa, finestroni inestimabili che esplodono in un milione di pezzettini, fogli che volano. Misericordia, perché la gigantesca nave nera a forma d’accetta è venuta a rompere i vetri proprio a noi? Temo sia perché in quel posto lì c’è anche la nostra Jane. E ovviamente, come ogni personaggio inutile e imbranato, avrà bisogno di essere salvata.
Arriva Thor! I mantelli svolazzano!
Bene. Thor atterra, afferra la sua umana del cuore e, senza manco salutare, si smaterializza con lei verso Asgard. Così a vedere dal mare, sembrerebbe che il regno degli Asi sia leggermente migliorato… c’è sempre una doverosa maestosità, ma ben poche cose sono rimaste a forma di cannellone. Nel primo Thor, ogni palazzo era una composizione di cannelloni dorati. Ma si sa, il tocco magico del modesto Kenneth Branagh…
Comunque!
Thor regala un vestito asgardiano a Jane e se la porta a spasso. Lady Sif, interpretando un po’ i sentimenti di tutti, la incenerisce con lo sguardo. Anzi, la guarda con un disprezzo talmente meraviglioso e plateale che mi viene quasi da pensare che sia innamoratissima di Thor e megagelosa. Secondo me ci fanno qualcosa di interessante, con questa rivalità tra femmine.
Nel frattempo, i capelli di Thor – con treccina, grande innovazione – diventano più strabilianti e luminosi ad ogni inquadratura. Beato lui.
Distruzione ad Asgard, distruzione in un bosco, distruzione a Midgard, accorati appelli interventisti presso il trono di Odino e martelli fosforescenti che sfrecciano. Polpettone in posa plastica e onda energetica ribalta-nemici.
Poi vediamo una treccia bianca e minacciosa, molto più imponente della treccina di Thor.
La mamma di Thor, contrariatissima, piglia un pugnale e fa fare due passi al suo bel vestito, che mi pare un Vivienne Westwood Anglomania metallizzato.
Lady Sif fa uno di quei movimenti a scatto con la testa, quelle robe girachioma da guerriera indomita. Il fatto che ci rifacciano vedere Lady Sif vorrà forse dire che è diventata un personaggio importante? In ogni caso, ha uno scudo molto carino.
Ma ci sono moltissime femmine in questo trailer, che cosa sta succedendo.
Thor finisce in un polverone tempestoso e c’è un mostricciattolo blu mezzo sfigurato dall’acido muriatico che gli sventola davanti la sempre indifesa Jane Foster, crocifissa per aria. Thor, stracciato, stanchissimo e pesto, crolla sui ginocchioni gridando un inevitabile NNOOOOOOOOH.
Titolone di Thor.
E poi succede quello che qua in seconda elementare volevamo vedere sul serio.
Thor, nello sterco di Sleipnir fino al collo, si appropinqua a una di quelle solite gabbie di vetro per supercattivi e va a chiedere aiuto a Loki che, giustamente, lo prende per il culo ancor prima di vederlo arrivare.
La felicità è grande.
E se proprio dobbiamo proseguire nel filone “commento-capelli”, è ormai chiaro che Loki ha passato buona parte degli Avengers a farsi la piega. Qua è in camicione verde tutto stropicciato e ha in testa più o meno quello che mi ci ritrovo anch’io quando mi asciugo col FON con troppa esuberanza. Qualcuno gli porti del balsamo e un bel costume. Ridategli tutti i suoi giocattoli. E fategli prendere un po’ di sole, santo il cielo. Fate quel che vi pare, ma mettetelo in ogni inquadratura.
Più Loki! Più cattiveria! Più elmi cornuti! Più lavoro per gli psicanalisti! Forza!

***


Diamine, se è brutto.

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Non so voi, ma sono positivamente impressionata.

E con questo, vado a stendere la maglietta di Ironman, che domani al cinema ci vado con quella. C’è pure il triangolo-Ark-cuore che si illumina al buio!

Fermi tutti.
Lo so, lo so.
C’è un uccellone grigioazzurro che sembra voler stritolare una papera… ma non facciamoci travolgere dall’entusiasmo. Perché il Balaeniceps Rex, per gli amici più cari anche “Becco a scarpa”, è molto più di un frantumatore di papere. È un artista. È un fine interprete drammatico, di quelli così bravi da riuscire anche a sorprenderci in un ruolo comico. Tipo, chi l’avrebbe mai detto, quello lì sa anche far ridere!
Ebbene, il becco a scarpa, oltre che un estroso volatile di rara espressività, è anche il nuovo protagonista della rutilante rubrica “Gli animali ti guardano – rubrica che tutti i Piero Angela del mondo dovrebbero invidiarci e leggere ad alta voce ai propri Alberto Angela.

Dunque.

Il becco a scarpa occupa una nicchia classificatoria tutta sua. Dopo averlo ficcato in mezzo alle cicogne e agli amici delle cicogne, i naturalisti decisero poi di isolarlo in un famiglia nuova di pacca, quella dei Balaenicipidi (credo), uccelli del tutto estranei al trasporto di neonati.
Il becco a scarpa è un pennuto imponente. Può raggiungere i centoquaranta centimetri d’altezza e i sette chili di peso. Vive in Africa, lungo il corso del Nilo Bianco e, in generale, ama zampettare nei pressi di paludi e acquitrini. Sa volare, ma non gli interessa: vive, mangia, si riproduce e dorme per terra, passeggiando come un gentiluomo d’altri tempi. Si nutre di pesci, rane, mammiferini e protopteri. I protopteri sono delle specie di anguilloni disgustosi che somigliano anche un po’ ai pesci-gatto. Ma non è che devono piacere a noi, devono piacere al becco a scarpa. Comunque. Il nostro voluminoso amico è una bestiola perbene, anche se un po’ irascibile. Il becco a scarpa, infatti, è monogamo, ed entrambi i genitori partecipano alla cova e alla costruzione del nido. Non è che si sbattano poi chissà quanto, visto che il nido del Balaeniceps Rex non è altro che un buco in terra. Durante la cova, però, diventa territoriale e vendicativo. Arrivategli a meno di un chilometro e vi demolirà… e rinunciate a spiegargli che una distanza di sicurezza di 999 metri è qualcosa di assolutamente rispettabile. Lasciategli covare le sue uova – da una a tre – e ingozzare i suoi piccoli di protopteri masticati e tutto andrà bene.
Ma perché poi si chiama becco a scarpa? La leggenda narra che uno sfacciato esemplare di questa florida specie di uccelloni passeggiatori un bel giorno si trovò davanti a una scarpa piena di cibo. Goloso e irruento, il pennuto tuffò la testa nella calzatura – di chi fosse o perché c’era dentro della roba da mangiare non lo sapremo mai – ma, una volta inghiottito tutto l’inghiottibile, non fu più in grado di liberarsi e la scarpa gli rimase incastrata sul becco.
Ebbene, andate a raccontare queste frottole a un becco a scarpa qualsiasi e verrete ricompensati, immancabilmente, con un’espressione di questo genere:

Il mondo non è pronto per il becco a scarpa. Siamo gente abituata allo sguardo vitreo e stolido del piccione, all’occhio pallato e immobile della civetta, ai movimenti nevrastenici e senza senso delle cocorite domestiche. Gli uccelli che ci sono familiari, gli uccelli “normali”, sono un po’ come Monica Bellucci quando recita. Faccia di pietra e palpebre immobili. Il Balaeniceps Rex no. Lui è l’Al Pacino dei volatili, il Daniel Day Lewis del Nilo Bianco. Mettete un becco a scarpa su un palcoscenico insieme ad Albertazzi e gli farà un culo a capanna di fango. Non sappiamo perché, ma l’espressività e il talento drammatico di questo improbabile pennuto africano hanno qualcosa di sovrannaturale e mitologico, altroché il cane di The Artist. Il becco a scarpa è nato per il cinema.
Eccelle negli intensi primi piani:

(la foto viene da qui)

Stupisce per saggezza e abilità introspettiva:


E convince ancor di più quando esterna il proprio dolore, riuscendo a trasformarlo in quel dolore universale che unisce e accomuna tutte le creature:

(la foto viene da qui)

Sa intimorire:


Può apostrofarci con tutto il rancore e il risentimento accumulati in millenni di burle evolutive:


E può spuntare all’improvviso dalla macchia per intimarci, come un qualsiasi papà americano che vede minacciato il pratino davanti a casa, di uscire dalla sua proprietà:

Può esibirsi in comportamenti solo all’apparenza immotivati ma che, in realtà, vogliono incoraggiarci a fare tesoro di ogni istante della nostra esistenza e a impiegare il tempo che ci è concesso per raggiungere la grandezza. Mica vorrete passare la vita a guardare in terra a bocca spalancata, no?


Ma non è finita. Perché il becco a scarpa è anche un fine interprete delle dinamiche di coppia. Qua, per dire, credo che la becca a scarpa sta ricordando al suo compagno che questa casa non è un albergo:


In questa circostanza, invece, due becchi a scarpa in fila dal medico di famiglia s’indignano per la sfacciataggine di quelli che passano davanti a tutti con la scusa di doversi solo far firmare una ricetta.

Ci sono, poi, eccellenti caratteristi.
La bionda svampita:

Il supereroe:

(la foto viene da qui)

Gong-Li:


Il cavaliere dell’Apocalisse e/o la morte campionessa di scacchi:

L’indomito e testardo pilota di caccia:

 

Quello che davvero dovrebbe sconvolgerci, però, è la consapevolezza con la quale il becco a scarpa ci regala questa impareggiabile gamma di espressioni e pose teatrali. Nulla accade per caso, quando c’è di mezzo un Balaeniceps Rex. E qualcuno dovrebbe dirlo all’Academy.

Dai, facciamo una foto coi fenicotterini rosa. Serio, però, che dobbiamo creare uno di quei bei contrasti tra sconfinata bellezza interiore e vuota bellezza esteriore. Intenso, mi raccomando, sei il saggio che si staglia con fierezza contro la grettezza della società dell’immagine.

Superbo. Spettacolare. Facciamone un’altra, che dici? L’ultima, promesso. Sempre coi fenicotteri, ma stavolta come vuoi te.



***

Che cosa è successo nelle puntate precedenti.
Dunque.
Lo scorso anno, a luglio, ho improvvisamente deciso di leggere Anna Karenina. Ma così, presa da uno slancio inspiegabile e repentino. Senza un particolare allenamento, una missione filosofico-letteraria o precedenti incontri con poderosi romanzi russi.
…in realtà avevo iniziato Guerra e pace… e mi piaceva immensamente, ma ce l’avevo diviso in tomi e, non mi ricordo per quale motivo, ad un certo punto mi sono dimenticata l’ultimo in una città che non era la mia. E addio, ho perso il ritmo, ho scordato la faccia di Pierre e non l’ho mai più finito. Ero anche a buon punto, per dire.
Comunque, a parte la sfortuna logistica patita con Guerra e pace, Anna Karenina sarebbe stato il mio primo, vero incontro con un illustre superclassico russo. Ce la farò. Non ce la farò. Ci saranno slitte, manicotti di pelliccia e svenimenti? Fortune sperperate? Figli bastardi? Insomma, l’ho cominciato con la sensazione di essermi messa lì a fare qualcosa di importante. Non so bene come spiegarlo, ma mi sembrava una faccenda solenne, una lettura che sarebbe stata diversa da tutte le altre della mia vita. Ero proprio emozionata.
In mezzo a questo turbine di aspettative, senso di responsabilità e timore reverenziale, non so bene con quale motivazione, mi sono messa a twittare quello che mi veniva in mente mentre leggevo. E man mano che andavo avanti, c’erano sempre più particolari che non avrei voluto dimenticare o impressioni da condividere, o moti di funestissima indignazione che non potevo in alcun modo tenermi per me. E #annasottoaltreno cresceva e si riempiva di citazioni, di impressioni, di stizza, preoccupazioni, cose buffe e immagini. Insomma, si è trasformato in un diario di lettura molto spontaneo e scanzonato in cui ci si augura che Vrònskij si spacchi le tibie cascando da cavallo e che Lèvin la smetta, una buona volta, d’ammorbarci con la falciatura dei campi. Senza alcuna ambizione “classificatoria” o equilibrio rispetto alle varie parti della narrazione, #annasottoaltreno è un piccolo frammento di quello che mi è successo mentre leggevo un romanzo meraviglioso, un libro pieno di pensieri – inclusi quelli dei cani da caccia – e di decisioni complicate.
Che è accaduto poi?
Anna è finita sotto al treno e la timeline di Twitter ha imparato a vivere senza di lei.
Anzi, Anna è stata sepolta dal resto della mia timeline.
Ma poi, magimagia. Il download dell’archivio di Twitter! Pure per noi italiani.
E allora ho pensato, ma che cavolo, perché non scolliamo dalle rotaie i suoi derelitti resti?

#annasottoaltreno (reloaded) è diventato un lunghissimo e strambo Storify.
Con voragini che non mi spiego (possibile che non ci sia davvero niente su Anna che ritorna da suo figlio?! Dov’ero, in un posto senza 3G?), grande affetto per particolari minuscoli che fanno perdere la visione d’insieme, plateali antipatie e un gran gusto dell’assurdo. Intanto che recuperavo i pezzi e li ricomponevo, poi, ho deciso di cacciarci dentro un’allegra confusione di immagini cinematografiche (e no, l’ultimo film non mi è piaciuto… i costumi, però, erano bellissimi), riferimenti geografico-mangerecci, commenti e chiacchiere.
E questo è quello che è venuto fuori.

Ben sapendo che non sarò mai in grado di accettare la storia del Giardino dell’Eden, del diluvio universale e della gente che risorge dopo il terzo giorno e poi vola in cielo con tutte le scarpe, sono comunque costretta ad ammettere che, di tanto in tanto, ci sono cose che riescono a convincermi dell’esistenza di un’entità superiore e onnipotente. Cose che alimentano e incoraggiano la mia spiritualità e il mio atavico bisogno di credere nell’invisibile.
Ecco, tra queste magiche manifestazioni del divino c’è di sicuro The Useless Web. Che voi magari lo conoscete già, ma io che vivo in una palude infestata dalle banshee non l’avevo mai visto.

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Niente. Voi andate lì e tutte le volte che schiacciate sul PLEASE rosarosa vi si apre un’assurdità meravigliosa e sommamente insensata. Siti idioti. Siti scemi. Siti che non servono a niente ma sono bellissimi. Miracoli dell’ingegno umano all’apice dell’estro e del più totale scollamento da un qualsiasi principio di funzionalità e utilità. Tanto per farvi capire, ecco cosa mi si è aperto in dieci schiacciate del PLEASE rosarosa:

http://www.wutdafuk.com/ > una distesa lampeggiante di grassi WTF a pois.

http://www.leekspin.com.au/ > una cartoncina animata giapponese che fa roteare un cipollotto.

http://www.pleaselike.com/ > potete solo fare LIKE, c’è solo quello. Un LIKE al nulla cosmico. Credo si tratti di una riflessione metafisica sulla deriva del gusto e sulla contrazione della nostra capacità di esprimere costruttivamente un’opinione. O anche solo di discernere un contenuto meritevole da una fumante pila di sterco vaccino. Ma forse sono io che penso troppo.

http://www.leduchamp.com/ > uno dei beneamati ready-made di Duchamp (la ruota di bicletta) da aggeggiare e far girare a vostro piacimento.

http://sometimesredsometimesblue.com/ > a me è uscito blu.

http://www.oppositeofpoop.com/ > una gigantesca e incontrovertibile verità.

http://ihasabucket.com/ > un tricheco con un secchio. Anzi, un tricheco felice con un secchio. Poi glielo portano via. È bellissimo.

http://chickenonaraft.com/ > un pollo su una zattera. Che vi basti.

http://r33b.net/ > L’IPNOROSPO!

http://www.toggletoggle.com/ > niente, c’è un interruttore gigante e voi potete accendere o spegnere la luce.

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E chissà quanta altra roba aspetta solo di essere scoperta! Là fuori c’è un mondo d’insensatezza che può intrattenerci. E basta, volevo solo farvi sapere che avevo trovato questa cosa. Ora potete andare a cliccare e moltiplicarvi. Ma magari fatemi sapere che cosa trovate, che la faccenda è divertente… come tutto quello che non ha un perché.

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P.S. grazie e cuoricioni a Leda per la magnifica segnalazione spappola-sinapsi.

Come forse sapete (una crostatina per voi) o come forse non sapete affatto (una crosta puzzolente di pane ammuffito per voi), gli splendidissimi di Gazduna, con coraggio e grande pazienza, hanno cominciato ad ospitare i miei sconclusionati sproloqui. Il mio primo pezzo, di gennaio, era tutto un bel polpettone sulla storia delle tute spaziali della missione Apollo. E finisce con Neil Armstrong che mette piede sulla Luna con su una roba che gli ha confezionato la Playtex, tra un reggipetto e l’altro.  Per il secondo pezzo, invece, mi hanno detto che potevo inventarmi quello che mi pareva.
MADORNALE ERRORE.
In preda al più confuso degli entusiasmi, dunque, ho avanzato alla giocosa redazione le seguenti proposte:

proposta UNO)
Una roba sulle uova di Fabergé. Che cavolo sono. Da dove vengono. Fabergé: è un posto, un tizio, un’entità vaga e astratta? A che servivano. Che significato racchiudevano nelle loro preziose profondità. Insomma, capiamoci qualcosa, delle benedette uova.

proposta DUE)
L’esegesi delle categorie di YouPorn. Da una che YouPorn non l’ha mai manco aperto. Mai, ve lo giuro, che l’alopecia possa devastare tutti i miei Minipony se non è vero.

Ecco.
Indovinate un po’ quale hanno scelto.

Tegamini pieni di lussuria.
YouPorn for dummies: tutte le zozzissime categorie raccontate da una ragazza curiosa
Parte #1
Parte #2


Parte #1, eh. Che ad un certo punto mi sono fatta trascinare dall’entusiasmo. La seconda puntata (dove incontreremo anche insospettabili femmine umane capaci di trasformarsi in prorompenti GAISERs), la potrete leggere la prossima settimana. Intanto beccatevi un mirabile preambolo e una prima – timida e garbata – sintesi di quel che ci ho capito io. Santo il cielo.

L’AGGIUNTINA DELL’11 APRILE

Ebbene, c’è anche il secondo pezzo. E proprio nel giorno in cui Sasha Grey è arrivata in Italia! Ma non è gonfissima? Che diavolo le è capitato?

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Allora, qua c’è tutto un prologo che vi dovete sorbire. Perché l’adorabile illustratrice di A.A.A. – Il diario fantastico di Alessandro Antonelli, Achitetto è anche la medesima persona meravigliosa che, tempo fa, decise di partecipare a uno dei miei Contest-ini con un Loki che sfreccia sul dorso della borsa-gallina. E vinse, che diamine. Come si fa a non amare follemente un Loki che sfreccia su una gallina gigante? Così, mandai a Ilaria Urbinati una bella Sportini-premio (“Andare a vedere i narvali”) e continuai ad esserle molto grata, ma un po’ da lontano.

Ecco. Poi, la settimana scorsa, si scopre che Ilaria è in partenza per la fiera del libro per ragazzi di Bologna. E allora le grido “ma vai a salutare Amore del Cuore, che è a quello stand là”. “Ma come faccio a riconoscere Amore del Cuore?”. “Non temere, allo stand sono solo in due, e lui è molto grosso”. Ed è solo grazie all’indomito coraggio e alla gentilezza di Ilaria se sono qua a parlare di questo libro. Perché lei allo stand ci è andata e, oltre a “Scusa, mi vergogno molto, ma tu sei Amore del Cuore?” ha anche deciso di farmi un regalone. Con tanto di biglietto e autoritratto.

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Ma cuori, cuori!
E io il libro l’ho letto e, come succede sempre quando c’è qualcosa che mi piace, ne parlo con sincero trasporto.
Dunque, A.A.A. (Espress edizioni) viene fuori da Ilaria, Fabio Geda, Marco Magnone e dal 150° anniversario della stipula del contratto per la costruzione della Mole, super edificio che, oltre ad essere il simbolo di Torino, è anche la grande eredità di un personaggio avventuroso, ambizioso, sognatore e bisbetico. Questo libro a fumetti è il diario fantastico dell’architetto Alessandro Antonelli. C’è l’infanzia, ci sono gli studi, la laurea, i primi progetti, una discreta quantità di porte in faccia, delle solenni rampognate da parte dei committenti e anche una casa a forma di fetta di polenta. C’è la ricerca della perfezione e la volontà di costruire sempre più in alto. C’è tutta la vita di un uomo fuori dal comune e la storia delle opere che ha solo immaginato – come il progetto per la “nuova” Piazza Castello – e di quelle che è riuscito a realizzare – come la Cupola di San Gaudenzio a Novara e, ovviamente, la Mole… anche se morì prima di vederla completata.

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Il pollo alla Marengo dell’Antonelli non l’ho assaggiato, ma la sua storia mi è piaciuta davvero. Tanto per cominciare, ho imparato delle cose che ignoravo sovranamente (che vi devo dire, colpa mia), ma ho anche fatto mille oooh e aaah. Un po’ per i magnifici disegni di Ilaria e un po’ per i pensieri e i sogni – appassionati e contagiosissimi – che finiscono nella testa dell’illustre Architetto. Insomma, le costruzioni saranno pesanti e complicate, ma questo libro è felice e pieno d’ispirazione. E una volta finito non sarete grati solo al trio di autori, ma anche a quegli omini-alpinisti che si svegliano alla mattina e vanno a staccare le stalattiti in cima alla Mole. O frugano nei buchi fra un mattone e l’altro per vedere se ci si sono incastrati dei falchi. O raddrizzano le stelle arrugginite. Ecco, evviva tutti quanti, allora.