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Ah, Francesca! Tu a un anno recitavi a memoria le poesie! E quando andavi ai giardinetti con la tata sgridavi sempre gli altri bimbi che volevano tirare i sassi nella fontana. Sai cosa gli dicevi? SE BUTTI A SASSI A FUNTANA VIENE A CARAMBINIERI LEGA I MANI E METTE A PRIGIONE. Ma ti ricordi Bruno? Eri piccola, ma tutte le volte che lo vedevamo gli davi del nano. Bruno non è mai stato altissimo, ma tu niente, glielo dovevi chiedere. MA COME SEI BASSO BRUNO. MA BRUNO MA SEI UN NANO? Che figure che mi hai fatto fare, che figure. Anche coi nostri cugini di Chivasso. Ti ricordi, dalla zia per capodanno? Dovevi fare tre anni. C’è anche il filmino. Vero, Mimmo? L’avevi fatto il filmino. Avevamo il vestito di velluto uguale, io e la bambina. Quello nero con i fiori. Niente, non volevi stare nel seggiolone. Cercavo di farti sedere, ma tu ti eri stufata e volevi andare in giro. E a un certo punto ti sei girata e mi hai detto PUTTANA. Ma forte e chiaro. Si è capito proprio bene. Bello scandito. Pensa te, cosa mi è toccato sentire. Davanti a tutti, poi.

Ogni famiglia dispone della propria mitologia.
La nostra, come quella di tutti quanti, è zeppa di episodi discutibili di questo genere.
Pericolosi criminali alti un’ottantina di centimetri da consegnare alle forze dell’ordine. Malcapitati vicini di casa che, sull’onda dell’entusiasmo per Willow, venivano reclutati tra le fila degli eroici nani ribelli. E c’è, in effetti, una poesia antichissima che ancora mi ricordo – a spizzichi e bocconi -, ma dubito di averla declamata per mari e per terra prima ancora di imparare a camminare. Quanto al PUTTANA, MADRE di certo non se lo meritava, ma la provenienza dell’epiteto risale di certo ai viaggi in macchina con lei. MADRE ha sempre guidato molto bene, ma non si è mai dimostrata tenera con gli altri automobilisti, che venivano apostrofati nei modi più incredibili e con grande veemenza. Io, evidentemente, ero una passeggera molto ricettiva.

L’episodio più celebre, però, resta anche il più incomprensibile. Perché in casa mia non bestemmiava nessuno. Persino mio nonno e mia nonna si limitavano a ingiuriarsi in piacentino, senza però avvalersi di nulla di particolarmente blasfemo. L’unico che cristonava parecchio era il Nando, il nostro vicino in campagna, un signore altissimo e un po’ sdentato che ha passato la vita in canottiera bianca e salopette. Ma il Nando non bestemmiava con rabbia o con dell’autentico rancore verso il divino nel suo complesso, era più un intercalare. Quasi un gioviale apprezzamento nei confronti del cosmo e della sua benevolenza. C’è il sole? Il Nando non poteva limitarsi a dire “Che bellezza, c’è il sole!”, la Madonna (fantasiosamente deturpata) andava in qualche modo invocata per sancire l’estrema piacevolezza della giornata.
Anche se nessuno è mai riuscito a capire il perché, dunque, e sempre durante le fatidiche feste natalizie del PUTTANA, MADRE aveva deciso di portarmi a vedere questa sublime mostra di presepi nella cripta di un’antica chiesa cittadina.
Ettari di presepi. Presepi giganti, super complicati, accessoriatissimi e dotati di pecore quasi vive. Acqua corrente, lucette, dromedari, pastori devotissimi, angeli, chili di vera sabbia, muschio VIVO.
Uno di questi presepi artistici ospitava anche una grotta infestata da un piccolo demonio cornuto che appariva a intermittenza fra le fiamme. Credo fossero dei listellini di carta sospinti da un mini-ventilatore e illuminati come il set degli Occhi del cuore. Le fiamme si agitavano in pianta stabile, ma il piccolo Satana sbucava solo di tanto in tanto, allietandomi oltre ogni immaginazione. MADRE, che di certo non m’aveva portata alla mostra dei presepi per adorare il Maligno, doveva comunque star lì piantata davanti alla grotta per permettermi di gioire ogni volta che il demonio decideva di onorarci con la sua presenza, intoppando il passaggio e causando ingorghi fra i devoti visitatori. Non si sa bene quando accadde, perché MADRE non si è mai diffusa troppo sull’argomento, ma ad un certo punto, animata da un’incontenibile felicità per l’ennesima apparizione del diavoletto fiammeggiante, si narra che io, bionda e boccoluta, col ditino puntato in direzione della spelonca infestata dalle forze del male, abbia strillato fortissimo: IL DIAVOLINO PORCO ***!

Stacco.
Montaggio ravvicinato delle espressioni inorridite degli astanti.
Un prete, sullo sfondo, estrae il crocifisso.
Una signora anziana impugna il rosario come farebbe Wonder Woman col suo lazo magico.
E MADRE, vedendosi ormai accerchiata, mi trasporta di corsa fuori dalla chiesa, tenendomi come un pallone da rugby. O come una bomba pronta ad esplodere.

Cosa non darei per ricordarmelo.
Il diavolino, in realtà, ce l’ho in mente. È quel che ho detto che mi manca. Le concitate conseguenze della mia esclamazione devono aver generato un tale vortice di confusione da cancellare nella mia memoria ogni traccia verbale dell’episodio. E MADRE, ancora oggi, racconta la faccenda del diavolino con un misto d’orrore e divertimento, come una specie di sopravvissuta a una catastrofe (potenzialmente ben peggiore di quella che poi si è effettivamente verificata).

Perché è vero: i bambini dicono delle enormità. Anche se in casa loro, magari, son tutti dei poeti, dei santi o dei navigatori. No, magari dei navigatori no, che poi si sconfina subito nel gergo portuale.
Comunque.
Il bambino è, per definizione, imprevedibile. Perché non controlla i nessi causa-effetto, perché non sa ancora cosa aspettarsi dal mondo e perché i costrutti della socialità sono una faccenda complessa da amministrare. A me Bruno stava anche simpatico, ma a tre anni trovavo perfettamente legittimo investigare sulla sua altezza. C’è gente che sui social continua a comportarsi come mi comportavo io a tre anni con Bruno, ma il tatto verso gli altri esseri umani non è soltanto una qualità innata, c’è pure una considerevole componente sociale. Ci mettiamo un po’ a capire come stare insieme alla gente o a individuare il confine tra comportamenti accettabili e inaccettabili e, mentre prendiamo le misure, diciamo cazzate di ogni genere. Soprattutto se siamo piccoli e chiacchieroni.
Ecco.

Dati i miei vivaci trascorsi verbali infantili – nell’epoca precedente al sopraggiungere di una razionalità lievemente più strutturata -, vivo nel terrore. Perché ora un figlio ce l’ho io e, di certo, non sono pronta a sentirlo bestemmiare in chiesa. Nemmeno nei film esoterico-apocalittici con le mamme che scoprono di aver messo al mondo l’Anticristo c’è il piccolo Anticristo che bestemmia in chiesa (fosse anche in aramaico). Cesare si è approcciato al linguaggio con serena pigrizia. È da quando ha compiuto i due anni e rotti che ha deciso di parlarci oltrepassando la soglia dei suoi bisogni più immediati. Capiva tutto, ma non era particolarmente interessato a dircelo o a cimentarsi più di tanto nelle acrobazie dell’arte oratoria.

Ora, in compenso, non tace mai. Si esprime con un miscuglio di storpiature, termini precisissimi e onomatopee che lo fanno somigliare a una specie di Dario Fo a un passo dal coma etilico – ma più mobile. Assorbe tutto. Ripete tutto. Rielabora implacabilmente e, quando meno te lo aspetti, ti risputa fuori una roba che aveva sentito sei mesi prima in piazza a Rivergaro. E gli esiti non sono sempre edificanti.

Quand’è che bisogna bandire del tutto il turpiloquio dalle conversazioni domestiche?
Quand’è che va calata la scure della censura?
Quand’è che devi astenerti dal gridare CAZZO! quando t’arriva una multa?

Accidenti!
Caspita!
Perbacco!
…quando in realtà vorresti salire su una rupe e urlare VAFFANCULO STRONZI CHE NON SIETE ALTRO FICCATEVELA IN GOLA QUESTA MULTA DI MERDA!
O qualcosa del genere.

La risposta da vincitore delle Olimpiadi della Genitorialità dovrebbe essere la seguente: gli ultimi improperi vanno pronunciati in sala parto. Nulla di disdicevole, dal momento della nascita in poi, dovrà anche solo sfiorare le tenere orecchie della prole.
Ora, noi non so se mai ci qualificheremo per le Olimpiadi della Genitorialità. Va già bene se arriviamo alle selezioni provinciali. Milano è grande, mica è uno scherzo. Nel nostro piccolo, però, stiamo facendo il possibile per trasformarci negli sceneggiatori di Topolino. Innumerevoli personaggi di Topolino esternano a più riprese il loro disappunto, la loro rabbia e il loro legittimo furore senza scivolare nella trivialità più assoluta. Anzi. Non c’è nulla di più bello di un personaggio di Topolino che prorompe in una serie di esclamazioni desuete per prendersela con qualcuno. O che sceglie di canalizzare un dolore fisico LANCINANTE in una cascata di CORBEZZOLI e CORPO DI MILLE POLENE. Sempre con classe e pacatezza. Con dell’immaginazione. Con un lessico sublime, per quanto prestato a una situazione che fa incazzare.
Nonostante le nostre ottime intenzioni, però, ci troviamo spesso di fronte ad eventi imprevedibili. Perché il nostro infante, come tutti gli infanti, crea mostri anche là dove non c’era altro che innocenza. Tra le loro numerose qualità, infatti, i bambini hanno anche il dono della decontestualizzazione. Una roba “normale” viene presa, assimilata, processata e scomposta, per poi scaturire nuovamente da tuo figlio in un momento a caso, ubbidendo a una struttura che vive di vita propria e che tu non puoi governare.
Io, che qualche mese fa mi divertivo con PANDA che al plurale fa PANDI – o con UOVA/UOVI -, ora ho il terrore di sbucciare banane in presenza del mio erede perché, un pomeriggio, ho inconsapevolmente commesso un errore.
Adesso la mamma ti sbuccia la banana, Cece. Ecco qua. Togliamo tutto e… accidenti, si è rotto il culetto qua in fondo.
E per i quindici minuti successivi, Cesare ha urlato a pieni polmoni CULO ROTTO! CULO ROTTO!

Non c’è scampo.
Non c’è speranza.
Chiaro, potevo usare il termine “sederino” o buttarmi sul puntiglioso con un “accidenti, si è rotta la parte terminale della banana” e/o “l’estremità inferiore della banana”. Ma mica sono una tata-robot. Sono una madre che sbuccia banane al meglio delle sue possibilità. E ogni tanto i culi si rompono.

A onor del vero, però, va specificato che Cesare dice anche cose bellissime.
Anzi, le cose bellissime sono quasi sempre la norma.
La prima volta che ha risposto a un “ti voglio bene” con ANCA IO MAMMA TANTO TANTO BENE credo di aver pianto per due ore e mezza, soffiandomi il naso a più riprese e spedendo messaggini di giubilo anche ai vicini di casa che non ho mai visto.
Tralasciando per un attimo il rischio di creare (anche accidentalmente) delle bombe a orologeria verbali, però, quello che forse mi sto chiedendo davvero è che cosa “arriva” di quello che dico.
Cosa assimilano questi infanti? Come elaborano e fanno proprie tutte le chiacchiere che ci scambiamo? Sarò capace di trasmettere a Cesare qualcosa di importante, come le coordinate basilari della felicità, della sicurezza nelle sue capacità, del rispetto per gli altri e dell’amore? Riusciremo a fare un po’ di luce sulla vastità delle faccende del mondo? Riusciremo, in sintesi, a trovare un modo per farci ascoltare, quando vorremo (e vogliamo) provare a spiegargli quello che conta di più?
Come al solito, non ne ho la più vaga idea. Ma persevero nel descrivergli anche le azioni più piccole. Parlo di mele, lamponi, talloni, apatosauri, castori, pettini, pigiami e bambù. Parlo di quello che si vede e di come mi sento, di come mi sembra che si senta lui, di come si coccolano i gatti e di che cosa è successo oggi, anche se non è successo niente di decisivo per le sorti del mondo. Che ne farà di tutte queste parole? Un gran pasticcio, probabilmente. Diventerà un piccolo calderone da cui usciranno periodicamente robe inaccettabili – CAZZO! -, robe tenere – APATOALLO MANGIA EBBA – e immagini di una certa specificità – PAVONE FA UOTA, NONNA! – mentre sul fondo rimarranno a bollire altre storie, i ricordi antichi, le scoperte nuove. E, magari, anche le cose “grandi”, i piccoli fari con cui speriamo di guidarlo. Nonostante i culi rotti.

Aspettiamo che la fotografa faccia la post-produzione, ho pensato. Scegliamo un po’ di foto, Amore del Cuore fa qualche prova di impaginazione, gliele ridiamo, lei ce le sistema tutte bene-bene e poi posso sventolarle di qua e di là. Solo che siamo ancora allo step uno, in pratica. Scegliamo le foto, Amore del Cuore? Ma c’è il Milan… di Pippo Inzaghi! Allora le guardiamo domani. Ma domani dobbiamo andare all’anteprima delle Tartarughe Ninja! Insomma, il disagio. Abbiamo una roba tipo seimila foto, in milioni di cartelle. Cartelle in bianco e nero. Cartelle a colori. Cartelle. Dopo numerosi tentennamenti, ci siamo messi lì ad appiccicare dei pallini digitali vicino a quelle che ci piacciono. I miei pallini sono verdi e quelli di Amore del Cuore sono gialli. I pallini sono stati copiosamente distribuiti, ma poi la vita ci ha sopraffatti ancora una volta e non siamo riusciti a cimentarci nell’organizzazione di un ipotetico album. Non ancora, almeno.
Visto che bisognava dare una svolta al processo creativo, qua ci sono un po’ dei nostri pallini colorati delle Matrimoniadi. Le mirabili foto sono opera di Emanuela Balbini, che vorremmo pure ringraziare con tutto il cuore per essere stata pazientissima, disponibile, invisibile, fantasticamente vigile e – tanto per sintetizzare – un casino brava. Ogni volta che passiamo davanti a una siepe o a un muro romanticamente sgarrupato pensiamo a lei che ci grida AMOREGGIATE! (e MENO LINGUA!, anche). Nel mio caso c’è stata anche una lunga serie di SALTA! che un po’ più giù riuscirete ad apprezzare meglio.
Pronti?
Pronti, valà, che sono già passati tre mesi.
Benvenuti al (sommamente frammentario) Fotoromanzo delle Matrimoniadi. Stavo per mettere tutte le foto che possediamo, ma vi ho risparmiato l’omelia di Don Giovanni, Amore del Cuore che si allaccia le scarpe con incredibile perizia, il buffet dei dolci, noi che limoniamo duro con centinaia di metri quadri d’edera alle spalle e tutti quanti i convenevoli. Il buffet dei dolci non l’ho visto nemmeno io, adesso che mi ci fate pensare.

***

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Qua c’è la mia adorata cognata Alice-Fenice che veste Amore del Cuore in una bizzarra camera d’albergo eletta a campo base della famiglia dello sposone. Si vocifera che Fenice sia la persona più brava della Lombardia ad abbottonare le camicie.
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Qua c’è Beatrice che cerca di capire come farmi somigliare a una persona.
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Un pregevole ricciolo-cannellone, forgiato dalle prodigiose mani di Elena.
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Ottone von Accidenti si è rifiutato di portarci le fedi, così ci siamo rassegnati al tradizionale cuscinetto.
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Vogue Piacenza – Luglio 2014.
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Qua è un po’ il momento in cui ci si domanda se i tacchi sono troppo alti. Certo che sono troppo alti, ma produrrete una tale quantità di endorfine da dimenticarvi delle vostre estremità. E anche di fare la pipì per un’irragionevole quantità di ore.
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Se ce l’ho fatta io, possiamo farcela tutte.
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Là sotto ci siete voi, ma prima o poi vi tireranno fuori.
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Le ragazze di Poesie Sposa non solo vi vestiranno, ma vi allieteranno anche con stupefacenti numeri di magia. Qui, per dire, un aggeggio di seta rosa scaturisce direttamente dalla mia generosa scollatura.
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EVVAI. Ci state ancora dentro. Non siete ingrassate all’improvviso come dei leoni marini!
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Questo, invece, è un po’ il momento in cui vi domanderete se vostro marito sarà in grado di slacciarvi il vestito, in un momento imprecisato della notte. E sarà anche l’ultima volta nell’arco della luminosa giornata del vostro sposalizio in cui sarete in grado di fare un respiro profondo, di quelli che coinvolgono l’intera cassa toracica, con spostamenti di costole e tutto il resto.
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Lì ero un po’ angustiata perché temevo di rossettarmi accidentalmente qualcosa di bianchissimo. Terrore che ha continuato ad accompagnarmi per il resto delle Matrimoniadi.
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Nel frattempo, all’accampamento dei Del Cuore si pensava alle cose importanti.
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Il perché al mondo esistano le occhiaie continua ad essere un mistero.
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Ma guarda. Siete addirittura arrivate.
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A livello di difficoltà, ho patito molto di più a scendere da quella macchina lì che a laurearmi. Anche perché ci sono arrivati tutti dopo a decidere di fare in là la stramaledetta portiera. Quella signora lì con la capoccia bionda è MADRE, Terrore delle Galassie. Ho avuto il divieto di pubblicare primi piani ravvicinati perché ha detto che è rugosa. Quindi ci si accontenterà di inquadrature vaghe e truffaldine.
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Il mio papà che tenta invano di comprendere come camminare di fianco a una persona avvolta in una tonnellata abbondante di organza di seta multistratificata senza causarle un danno permanente.
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Qua eravamo al “vai, papà. Conto fino a tre e vediamo cosa succede”. Nonostante le raccomandazioni, poi, ho continuato a impugnare il BUCHE’ come una Babolat.
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Questa è più o meno l’unica foto in cui non guardiamo entrambi per terra con un’espressione sommamente preoccupata. Si vede che a metà strada ci eravamo ormai convinti di essere capaci. Adesso posso anche chiudere la sfilata di Chanel, ma mangiando un panino con la salamella.
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FIGATA SPAZIALE! Siamo riusciti ad arrivare in fondo alla navata! Questo matrimonio sarà un successo!
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Attacco al Regno dei Cieli. Con due carrarmatini.
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Caspiterina, un anello!
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Amore del Cuore, lì fuori ci sono le persone che ci vogliono tirare il riso.
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Volée di dritto matrimoniale!
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Preparatevi all’irreparabile. Vi ritroverete chicchi di riso anche nelle mutande.
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Ricordate, amici. Tirate il riso pilaf, che non sporca lo sposo. E non scuoce.
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E usate il BUCHE’ per proteggere i vostri momenti di intimità.
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Fate anche un po’ le timide.
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E masticate con la bocca chiusa.
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Numerosi TVB.
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Amore del Cuore, mi si sono afflosciati tutti i capelli, ma è la prima volta che mangiamo insieme da sposati e sono molto contenta.
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L’unico giorno caldo dell’estate 2014. Il cielo ci protegge.
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Radiose giovani donne che non hanno paura di inciamparmi nello strascico. Amore del Cuore, al terzo UISCHI SAUAR, comincia a dare segni di cedimento. La provenienza delle rose giganti è ignota.
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Per rallegrarci come si deve della magnificenza del mio pizzo.
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La foto ufficiale con i CupidoS. A loro dobbiamo la nostra felicità. Manuela, per farmi una cortesia, è diventata all’improvviso poco fotogenica.
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Compito della sposa è vagare incessantemente per i tavoli, tipo ape operaia.
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MADRE, Flagello dei Mondi, spupazza Amore del Cuore con evidente soddisfazione. E Amore del Cuore sembra anche che ci stia.
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Una roba a metà tra uno SCIO’ PUSSA VIA e un saluto dalla carrozza. L’assurdità del gesto è sicuramente imputabile alla signorina a pois, l’iperattiva madamigella Gabbianella.
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Andrea Gentile non avrà fatto in tempo a leggere in chiesa perché si è dimenticato a casa i pantaloni, ma il discorso gli è venuto benissimo e ci siamo assai commossi.
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Cielo, la squadra di tennis di mio marito!
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SALTA!
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SALTA, MALEDIZIONE, SALTA!
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Ecco, andava bene anche se saltavo un po’ meno. Su TMZ titolerebbero “Bride flashes flancy embroidered thong”. Credo sia la mia foto preferita.
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Le due eroiche signore che hanno avuto la pazienza di spiegare ad Amore del Cuore com’è fatto un ufficio. Amore del Cuore, al tempo, aveva moltissimi capelli.
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Ecco, quell’energumeno col boccione di rosso è Cippo, l’artefice del nostro viaggio di nozze. Fatevi organizzare i viaggi dalla gente che è capace di divertirsi, che vengono meglio. Grazie Cippone! (Il giorno dopo si è scoperto che, per tornare a casa, Cippo ha attraversato in macchina un campo di mais).
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Può accadere che ad un certo punto qualcuno decida di issarvi su una seggiola. Se non c’era il papà di Amore del Cuore, però, col cavolo che ci salivo.
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Un assembramento di ovaie selvaggiamente felici. Ve le noleggio, se avete delle amiche un po’ menose.
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Può anche capitare che vostro marito venga sollevato da terra da un uomo che si fa chiamare Andres Diamond. Il medesimo uomo, poi, vi metterà della musica bella.
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La scandalosa avvenenza dei giovani Del Cuore.
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Le incomprensibili scapole appuntite della sposa.
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La torta alla fine era così. In cima ci sono i dinosauri acquistati da MADRE – Devastatrice di Orizzonti – chissà dove. Probabilmente è andata fino in Mongolia a scavarli via dalle pendici di un crepaccio. Lì, nel frattempo, ci siamo noi che accoltelliamo la torta. Più che un taglio è venuta fuori una pugnalata. Perché non sembra, ma non è facile capire come affrontare una torta nuziale. Quale sarà la consistenza? A che altezza bisogna intervenire? Che faccia c’è da fare? Un casino. I petali erano lì di default. Non avevo idea che avremmo avuto dei petali.
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Tiè, torta. Noi ci abbiamo provato. E adesso che ci pensino dei professionisti.
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In realtà facciamo così anche a casa. Ogni volta che apriamo una bottiglia la alziamo al cielo ed esultiamo.
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La torta era un po’ storta, secondo me. L’importante, però, è ridersela.
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Quel topo morto che ho lì davanti è il papillon di Amore del Cuore. Non mi ricordo perché fosse lì, ma mi sentivo molto importante. Quella roba bianca e tondeggiante a circa tre metri dal suolo, invece, è il mio bouquet da lancio. Ne avevo inspiegabilmente DUE. Uno per me – che MADRE (Valchiria Fiammeggiante) ha fatto essiccare come una reliquia benedetta di Santa Rita – e uno da scagliare alle le giovani donne in età da marito presenti alla cerimonia. Se vedete una cravatta, là in mezzo, è perché un conto è l’identità di genere e un conto è l’orientamento sessuale.
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E fatevi raccontare com’è andata la festa, perché voi avrete troppi parenti da salutare.

 

***

Perbacco, dopo tutto questo tempo chissà che cosa vi aspettavate. Io vorrei comunque ringraziarvi un’altra volta per averci accompagnati in questi mesi di scleri e felicità. Organizzare delle Matrimoniadi è un po’ come mandare della gente su Marte, ma con qualcuno che ha voglia di riderci un po’ su insieme a te si fa molto meglio.
Grazie, insomma. Qua ci si ama sempre molto.

 

Dopo aver appurato che non saremmo riuscite a incrociarci – come le vere donne di mondo, che hanno sempre degli impegni precedenti -, abbiamo elaborato un piano infallibile. Ilaria doveva lasciarmi allo stand di Compagine, al Salone, una preziosa copia con dedica del suo Vintagismi, che così poi passavo e me la compravo. Poi però si è dimenticata, ma fa niente, sono comunque successe delle coccole. Me l’hanno passata al telefono – super imbarazzo, che io non so telefonare – e sono stata accolta con grande affetto, in un tripudio di foto e tolleranza. Tolleranza e immenso garbo, anzi, perché sono riuscita a esclamare “Ma che carine queste noci! Ma perché avete un cestino di noci, qua in mezzo ai libri?”. Senza battere ciglio, mi hanno indicato il gigantesco logo appeso al muro. Che poi è questo qua.

Lo so, lo so.
Con me ci vuole un po’ di pazienza.
E forse vale la pena cambiare argomento… che siamo qua per commuoverci con Vintagismi.

È un librino tenero, pieno zeppo di ricordi,  scoperte e ciuffetti storti. Ci sono le lumache, le scarpe con gli occhi, un giardino con piantata in mezzo una pietra gigante, un papà iperattivo, i pomodori dell’orto, una nonna pettoruta e abilissima nel distorcere la realtà, un divano-nascondiglio, la foto di classe di prima elementare e la tragedia dell’abbigliamento anni Novanta. Sulla pagina dell’OUTFIT natalizio è come se ci fossi anch’io, con collettone di pizzo e calzamaglia rossa che prudeva tantissimo. MADRE contribuiva al folklore complessivo trasformando la gonna scozzese in una gonna-PANTALONE scozzese, tanto per farmi capire da subito che il mondo è un luogo tetro, ingiusto e inospitale. Vi torneranno in mente i passamontagna e gli inspiegabili fuseaux con le ghette, insieme a tutti gli sport che vi hanno fatto fare anche se non ne avevate voglia e pativate come dei cani. Poi ci sono i cantanti del cuore – che ve li immaginavate bellissimi ma poi erano tutt’altro – e le estati di noia, in cui si impara a leggere per divertimento e non ci si annoia mai più.

È proprio un librino felice. Si va in giro per i ricordi di un’altra persona e, senza neanche pensarci troppo, cominciano a venire a galla anche i tuoi. Fa nostalgia allegra, ecco, anche per le cose più surreali e le passeggiate di venti chilometri in salita – sia all’andata che al ritorno.
Poi quando capisco se sono più adorabili le illustrazioni o i testi torno indietro e ve lo dico.

 

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La rubrica revival definitiva.
I pensierini delle elementari, direttamente dal quaderno (uncensored, con strafalcioni e mega-parole usate a caso).
Perchè non è mai troppo presto per essere surreali.

***

16 novembre 1994
Riassumo il racconto a pag.116-117 del libro di lettura intitolato “La lotta per difendere il proprio piccolo”

In pieno oceano, sotto il circolo polare, pioveva ininterrottamente da tempo. Era uno di quei giorni di mare lungo, che le balene e le orche odiavano tanto, perchè soffrono di mal di mare.
Una balena ondeggiava lentamente, spossata, tenendo tra le pinne il suo piccolo. Cercava per lui dei mari calmi per insegnargli a nuotare.
A un certo punto apparve un’orca. La balena aveva paura, perchè sapeva di cosa erano capaci le orche. La loro strategia era di infastidire le balene e di morderle sotto la gola per costringerle a emettere un suono, a questo punto si avventavano sulla bocca delle balene e strappavano loro la lingua. Così loro se ne andavano tristi e mute per i mari senza poter più dire nulla.
L’orca era già a poca distanza dalla balena e dal balenottero, quando a un tratto dietro a un’onda si profilò il beluga, il grande delfino bianco.
L’orca si tuffò per cercarsi un nascondiglio, ma il delfino le aveva già tagliato la strada, e con un guizzo rapido la raggiunse e le morse la coda. La lotta fu aspra. Ma dopo poco ritornò la calma: il corpo ferito dell’orca ondeggiava trasportato lontano da un’onda.
La balena ringraziò commossa il beluga che aveva salvato il suo piccolo.
Il beluga raccomandò alla balena di non far prendere freddo al balenottero e la madre rispose che finchè rimaneva stretto a lei non correva rischio di raffreddarsi. Così si separarono e ognuno andò per la sua strada.

 

A casa mia c’era snobismo, quindi non si aspettava Babbo Natale ma avevamo Santa Lucia, una portatrice di regali di nicchia. E io credevo a Santa Lucia con una fervida, incrollabile e cieca fede, cieca almeno quanto lei.

Fondamentalmente, ci credevo così tanto perchè non avevo ben chiari i meccanismi dell’economia di mercato. Esempio lampante: ero una bambina convinta che il bancomat regalasse i soldi, ma allo stesso tempo non riuscivo a dare un valore a quello che c’era nei negozi, che mi sembrava assolutamente fuori dalla nostra portata. Di conseguenza, non era plausibile che ricevessi tutti quei giocattoli in una botta sola senza un aiuto sovrannatural-divino… tutti quei giocattoli avrebbero rovinato noi e la nostra discendenza, rendendo arida la terra, sterili gli armenti e secche le fonti.
Il fatto è che il denaro mi trascinava nella più assoluta confusione.