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Ragnarök

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Che difficoltà, gente. Sto invidiando con ogni mitocondrio del mio organismo chi, in questo periodo gramo, ha trovato nella lettura un benefico rifugio. Io, da essere umano che considera la lettura un elemento saldissimo della quotidianità, sto arrancando. Perché tanti sono stati gli aggiustamenti necessari per farla funzionare, questa nuova versione della quotidianità, e nello scombussolamento generale mi sono un po’ arenata e ben poche pagine sono state macinate. Diciamo anche serenamente che è già andata bene se sono riuscita ad andare avanti con il romanzo che sto traducendo e con le altre attività da PRODIGIOSA content-creator, ma non lamentiamoci.
Così a naso, però, mi pare di non essere l’unica ad aver subito un certo rallentamento.
Ecco dunque perché mi è sembrato interessante provare a compilare una listina di libri smilzi (da 200 pagine, all’incirca e suppergiù) per provare a ripartire con slancio.
Anzi, per dirla con maggiore veemenza:

Procediamo?
Procediamo.

M. T. Anderson – Paesaggio con mano invisibile

160 pagine.

Per chi apprezza la fantascienza stramba: alieni VUUV che colonizzano la terra, diciassettenni che cercano di riscattarsi con l’arte, umanità che si arrabatta (senza riuscirci), un finto idillio creato a uso e consumo degli invasori, dei gran problemi intestinali.

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A. S. Byatt – Ragnarök

142 pagine.

Per chi gradirebbe allargare i suoi orizzonti mitologici: una bambina seccolina (che diventerà poi una grande scrittrice) cerca di dimenticarsi della guerra rifugiandosi ad Asgard. I miti norreni più celebri, rielaborati per noi seguendo una lente lirica, autobiografica e maestosa… come un lupo gigante che divora il sole. 

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Peter Cameron – Gli inconvenienti della vita

122 pagine.

Per chi apprezza gli svisceramenti interpersonali: due racconti lunghi per altrettante coppie inquiete, traballanti e ormai impermeabili al potere protettivo del “facciamo finta che vada tutto benone”.

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Diego De Silva – La donna di scorta

148 pagine.

Per chi è stufo di leggere sempre le solite menate sulle relazioni extraconiugali: un marito fedifrago, un’amante che non gli rompe l’anima per sostituire la legittima consorte. Anzi.

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Jeffrey Eugenides – Le vergini suicide

216 pagine.

Per chi… per le tre persone al mondo che non l’hanno ancora letto, credo. Le cinque sorelle Lisbon, che s’ammazzano tutte nell’arco di pochi mesi, vengono ricordate a distanza di vent’anni, tra nostalgia e vero enigma, dai ragazzini che hanno assistito alla loro breve, enigmatica e sfolgorante parabola esistenziale.

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Hiraide Takashi – Il gatto venuto dal cielo

132 pagine.

Per chi ha bisogno di una storia lieve e delicata dove non succede praticamente niente, a parte un gatto che fa avanti e indietro e cerca di scroccare da mangiare (mantenendo una certa dignità) a una coppia serena ma malinconica.

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Rachel Ingalls – Mrs. Caliban

148 pagine.

Per chi ha più paura dei mostri “normali” che dei mostri-mostri: una casalinga perfetta si innamora di un uomo-rana scappato da un laboratorio segreto. Giuro. È meraviglioso.

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Francesco Piccolo – L’Italia spensierata

162 pagine.

Per chi ormai si rimetterebbe volentieri anche in coda sull’autostrada: una raccolta di mini-reportage sui grandi riti collettivi del nostro Bel Paese… ma anche un po’ un viaggio in tutte quelle esperienze che tendiamo a rinnegare, ma poi ci caschiamo dentro comunque… non senza un certo godimento.

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Yasmina Reza – Felici i felici

168 pagine.

Per chi è affascinato dagli infiniti garbugli della commedia umana: non c’è legame affettivo o di parentela (ma pure alla lontana) che Yasmina Reza non passi al setaccio e non punzecchi con raro acume – e pure un po’ di compiaciuta cattiveria. Ah, che benessere.

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Kurt Vonnegut – Ghiaccio-nove

224 pagine.

Per antropologi in erba e paciosi cultori dell’inevitabilità della catastrofe: che cosa succede se su una bizzarra isoletta caraibica convergono gli eredi a lungo trascurati dell’inventore di una sostanza capace di congelare all’istante tutta l’acqua del pianeta? Vonnegut, patrimonio UNESCO.

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Amélie Nothomb – Stupore e tremori

105 pagine.

Per chi pensa di lavorare in un postaccio e ha voglia di consolarsi un po’: il devastante disfacimento di un’impiegata occidentale che cerca di districarsi in una MEGADITTA giapponese, soccombendo con caparbia inventiva e inanellando una tampa dopo l’altra. Un auto-sabotaggio magistrale. La mia prima Nothomb non si scorda mai.

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David Foster Wallace – Questa è l’acqua

162 pagine.

Per chi si chiede con cosa convenga cominciare a leggere David Foster Wallace, probabilmente. Diciamo che possono esserci diversi approcci, ma Questa è l’acqua, forse, è una delle rappresentazioni più sintetiche, per quanto sfaccettata e profonda, di quello che è stato in grado di raccontarci. Sono sei “pezzi”, scritti tra il 1984 e il 2005, per cominciare a fare amicizia con l’autore… o per cominciare a chiamare per nome i grandi casini, belli e brutti, che gestiamo campando.

 

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Dunque. Dipende un po’ da come siete voi. Se desiderate accumulare una conoscenza enciclopedica e puntigliosissima sui miti nordici – con tanto di spatafiata etimologica per ogni parola che incontrate, gioiosi percorsi tematici trasversali, profili accuratissimi sulle principali figure e divinità, storia delle bestie, storia del mondo, usi e costumi e becchime prediletto dei corvi spioni di Odino -, ebbene, se avete bisogno di tutte queste cose potete comodamente lanciarvi sui Miti nordici di Gianna Chiesa Isnardi. Lo pubblica Longanesi e male non vi farà. Se, invece, siete personcine un po’ trasognate e meravigliabili, pronte a rimanere a bocca aperta davanti a un gigante di ghiaccio, allora vi conviene leggere fortissimo Ragnarök di A. S. Byatt.

Ma che succede in questo libro? Niente, madama Byatt ci racconta la storia di una “bambina magra” che fugge da Londra allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Va in campagna con la sua mamma, per stare più al sicuro. Suo padre è partito per l’Africa e tutti a Natale gli fanno un brindisi propiziatorio di torna-presto-sano-e-salvo, ma senza particolare convinzione… che è meglio non sperarci troppo, quando qualcuno fa l’aviatore. La bambina magra passeggia per i prati, guarda i fiori che crescono, va a scuola, va in chiesa a farsi venire dei gran dubbi e, soprattutto, legge Asgard e gli dèi. È un librone che comincia con la creazione del mondo – ci sono Odino, Vili e Vè che fanno a pezzi un gigante d’argilla e ci impastano l’universo – e finisce con il Ragnarök – divinità che si annichiliscono vicendevolmente mentre la struttura della materia collassa in un ribollire di fulmini e abissi oscuri.

Odino prese Hel e la gettò verso Niflheim, la buia terra delle nebbie e del freddo. Lei rimase rigida, come una freccia tirata da un arco, un missile dalla punta aguzza, ancora e ancora, giú giú, cadde per nove giorni attraverso la luce del sole, della luna e delle stelle, oltre i cocchi in gara del Sole e della Luna, oltre le cime degli abeti e le loro radici, giú nei pantani e le paludi senza luce di Niflheim, attraverso il freddo torrente di Giöll e dentro Helheim, dove avrebbe regnato sui defunti umani che non erano abbastanza fortunati da morire in battaglia, un regno di ombre.
Il ponte sul fiume Giöll era d’oro, di ferro il recinto di Hel, alto e insuperabile. Dentro il tenebroso palazzo, un trono attendeva quella creatura ammaccata, livida, la dea, la figlia mostruosa, e su un cuscino nero c’era una corona, fatta con oro bianco, e pietre di luna, perle come lacrime congelate e cristalli, come brina. Quando sollevò la corona, e la bacchetta posata lí accanto, i morti cominciarono a confluire nel palazzo come pipistrelli sussurranti, innumerevoli, insostanziali. Lei diede loro il benvenuto, senza sorridere. Quelli le giravano intorno, fischiettando debolmente, e lei fece portare piatti, con i fantasmi di frutta e carne, e ampolle, dentro le quali aleggiavano fantasmi di idromele e vino, con bollicine fantasma all’orlo.

Che gioiona immensa.
Madama Byatt
, che riuscirebbe a rendere avvincentissimo anche un sasso, usa la storia e la sensibilità della bambina magra come super cornice e, tra fonti della conoscenza, fronde luccicanti, pellicce ispide e spettacolari terrori, riscrive per tutti quanti noi i miti più significativi della mitologia nordica. Se pigliate la Gianna Chiesa Isnardi, vi accorgerete che in Ragnarök non c’è tuttotutto, perché non serviva che ci fosse niente di più. Ci sono i miti indispensabili, quelli che fanno procedere il carrozzone delle divinità verso l’inevitabile cataclisma finale. Ci sono i grandi pilastri del mondo (il frassino Yggdrasil, l’uncinone sottomarino Randrasill, il ponte-arcobaleno), c’è la storia dei tre figli di Loki (la serpentessa di Midgard, Fenris e Hel, la regina bicolor dell’oltretomba), c’è la morte di Baldur e c’è la devastazione totale, coi lupi che divorano gli astri e il buio che si mangia pure le belve. Tra dèi che gozzovigliano, valchirie che garriscono, cavalli a otto zampe ed esplosioni di pura cialtronaggine ultraterrena – perché gli déi sanno che il mondo finirà, ma non hanno la forza di fare niente per evitarlo… e continuano a bersi delle birre imponenti e a tirare addosso roba a Baldur, che tanto lui è invulnerabile -, questo librino è un beato galoppo in un universo magico, una saggia riflessione su quello che di più tremendo potrà mai capitarci e una bellissima collezione di fantasie pure. Alcune sono luminose, altre fanno paura, come se le nostre teste – come quella del gigante che ha prestato la calotta cranica a Odino per farci la volta del cielo – fossero piene di lupi che corrono coi dentoni aguzzi di fuori. Insomma, se avete bisogno di qualche sano OOOH e anche di qualche AAAH, questa inesorabile discesa verso il crepuscolo degli dèi vi farà splendere gli occhioni ben più della chioma di Frigga. E vi farà diffidare per l’eternità del vischio. E dei salmoni.