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Il parco apre la mattina, nemmeno troppo presto. L’orario è variabile, ma ragionevole. L’infante ha ormai nove mesi… e si desta tra le sette e le otto e mezza, solitamente di ottimo umore. Ti vede e ti sorride serafico, anche se hai ancora la faccia sfigurata dalle pieghe del cuscino. Sei felice, perché è tenero. E la giornata comincia.

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…a dirla tutta, però, l’infante si sveglia tra le sette e le otto e mezza solo durante la settimana. Nel weekend è operativo alle sei spaccate. Non abbiamo idea di come faccia a distinguere i sabati e le domeniche dai feriali, ma ci riesce. Che bello, è sabato! Possiamo dormire un po’ di più! E INVECE.

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In casa nostra non vige una ferrea divisione dei compiti. Valutiamo il chi fa cosa in base a come siamo conciati in un determinato istante. In linea generale, ci pensa il genitore meno catatonico – con il tacito accordo di riequilibrare gli sforzi nel corso delle ostilità quotidiane. Ma la faccenda è irrilevante, in fondo. L’unica garanzia è quel che si trova nel primo pannolino.

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La cacca non mi stupisce più. Non dico che mi piaccia, chiaramente, ma ormai la considero inoffensiva. Le smorfie le faccio ancora, come riflesso condizionato, ma resto stoicamente indifferente. Va bene, è cacca. Non può nuocermi. Leviamocela dai piedi e tanti saluti. Ne valuto colore, composizione e consistenza – per assicurarmi che la creatura non produca nulla di eccessivamente fantasmagorico o ignoto alla scienza pediatrica – e procedo baldanzosa ai lavaggi di culino.

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Sono una grande estimatrice dell’acqua corrente. Alle salviettine si ricorre in situazioni estreme, quando proprio non c’è un lavandino nei paraggi. Che ne so, in un deserto. In una masseria remota solitamente utilizzata per i sequestri di persona. Se c’è un rubinetto, il culo del bambino va sotto al rubinetto. Peccato che il culo del bambino sia ormai diventato voluminoso – proporzionalmente al resto del bambino, per fortuna – e che l’infante, preso dall’entusiasmo, detesti la staticità. Se prima, dunque, potevo contare su un bambino maneggevole e facilmente rubinettabile, ora detergergli il deretano in un lavandino è una specie di avventura oceanografia, un naufragio su un vascello pirata, una passeggiata su una spiaggia devastata da uno tsunami.

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Il cassetto dei pannolini è vuoto. Dove diamine sono i pannolini. Ma soprattutto, come PERDIANA è possibile che siano già finiti. LI ABBIAMO COMPRATI SEI MINUTI FA.

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I pannolini non si volatilizzano, amici. I pannolini vanno smaltiti come le scorie radioattive. C’è chi si ingegna in modo diverso, ma noi abbiamo un onesto e funzionale mangiapannolini che troneggia fiero nel bagno perennemente allagato in cui svogliamo le pregevoli attività di pulitura della creatura. Visto che nessuno freme dalla voglia di cambiare il sacchetto ogni 13 minuti, il mangiapannolini si riempie. E si riempie. E si riempie. E, ad un certo punto, il maniglione si incastra. E tu, con un bambino di quasi dieci chili in braccio – avvolto in un asciugamano e divertitissimo dalle tue difficoltà – ti ritrovi a scuotere un mangiapannolini con la mano libera, bestemmiando i santi di ogni confessione e insultandoti per la scarsa lungimiranza dimostrata ANCHE QUESTA VOLTA. Perché il mangiapannolini ha ragione (ed è anche piuttosto capiente), sei tu che sei imbecille.

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Un tempo, mi ricordo, cambiare il pannolino era un’esperienza rilassante. Disponendo di un neonato pacifico e allegro, l’attività a bordo del fasciatoio non richiedeva un particolare sforzo muscolare e non suscitava pianti e strepiti acutissimi. Minicuore accettava di buon grado abluzioni, pernacchie sulla pancia e, soprattutto, la sostituzione dell’indispensabile arnese. Oggi, invece, sperare che stia coricato sul fasciatoio a farsi cambiare un pannolino è pura fantascienza. Se va molto bene, si alza in piedi contro al muro. Se va male, scaglia in terra quello che trova nel comodo e funzionalissimo vano portaoggetti-indispensabili-all’igiene e cerca di tuffarsi nel cesto dei bodini sporchi – doppio carpiato con avvitamento, coefficiente di difficoltà 9.7. Metterlo sul letto è l’unica soluzione praticabile, ma appena lo appoggi sul materasso si rivolta come una cotoletta mannara, schizza verso l’altiera e si avventa sui cavi penzolanti dei caricabatterie, sradicandoli dalle prese con immensa soddisfazione. E tu là, col pannolino in mano e l’acutissimo desiderio di assumere una tata-wrestler. O un gladiatore, di quelli col forcone e la rete. Fermati, miseria ladrissima. Lasciati mettere questo DIAMINE di pannolino.

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Sono le 9.07. E hai già un polpaccio dolorante e tre stiramenti alla schiena.

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Prepari il latte, collochi il bambino nella sdraietta – le due attività si svolgono spesso in parallelo, con l’ausilio di un secondo paio di braccia che di tanto in tanto spuntano miracolosamente all’altezza delle costole -, metti Mozart a palla – perché la musica fa diventare intelligentissimi, si sa – e consegni il biberon al bambino. Il bambino, che il cielo lo benedica, è capace di sgarganellarselo da solo, quindi tu ne approfitti scaltrissimamente per 1) Fare la pipì, 2) Levarti il pigiama – per indossare roba casuale che somiglia tantissimo a un pigiama, 3) Inghiottire un caffè e un biscotto – senza sederti, il che ti fa sentire molto al bar, 4) Metterti in faccia una crema a caso, 5) Tirarti su i capelli in modo da non farti scalpare nel corso della mattinata.

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Sono stati dodici minuti bellissimi, ma non possiamo aspettarci che durino in eterno. Il bambino accetta di soggiornare nella sdraietta solo mentre beve il suo latte. Il latte finisce, il bambino odia la sdraietta. E, di riflesso, l’intero universo.

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Porre tempestivamente fine al disappunto – e ripristinare la felicità – è uno dei doveri principali di una madre, mi pare di aver capito. Senza indugio, dunque, libero la creatura e la sguinzaglio sul tappeto, terra di vaste opportunità ludico-motorie.

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Trascorro l’ora successiva a domandarmi perché il bambino disprezzi ogni singolo e COSTOSISSIMO giocattolo scandinavo dalle proprietà multisensoriali, sonore e tattili che gli abbiamo comprato per prediligere invece i controller della Wii – debitamente privati delle pile -, un pacchetto di fazzoletti del Carrefour, un sacchetto di carta, l’estremità della mia treccia, il pendaglio delle tende, i telecomandi.

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Nella speranza di distoglierlo dall’insana passione che nutre per il mio telefono, poi, ho cercato di ingannarlo acquistando uno stupendo telefono per bebè alla Chicco – con una musichetta diversa per ogni tasto, tre potenziali contatti da chiamare (la scimmietta, la giraffina e l’ippopotamino) e pure la vibrazione. Si illumina, suona, ronza ed è bellissimo. Ma lui se ne sbatte vigorosamente i coglioni.

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Mi ricordo improvvisamente di avere il lavandino pieno di piatti, ventidue chili di bucato da lavare e qualcosa di indefinibile che soggiorna nella lavatrice in attesa che qualcuno decida di stendere. Potrei cacciare il bambino nel seggiolone e intrattenerlo con le mie gloriose e necessarie attività domestiche, ma mi sembra troppo contento per sradicarlo dal tappeto. Regola fondamentale: se il bambino è contento NON LO SPOSTARE NON LO INTERROMPERE VA BENE COSÌ.

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Contro ogni logica e previsione, l’infante decide di devastare ogni tua aspettativa abbandonando il tappeto di sua spontanea volontà e gattonando come un pazzo in direzione della cucina. Nell’illusione di poterlo contenere, superi il pouf con un balzo e fai del tuo meglio per rincorrerlo.

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Nonostante la velocità del bambino non smetta di atterrirti, i suoi progressi sul fronte pre-deambulatorio un po’ ti commuovono. Fai quattordici video e li spedisci a tutti i tuoi congiunti. E pure agli amici. Alla chat del corso pre-parto no, invece, perché hai paura a scriverci qualsiasi cosa. Sono piene di bambini afflitti da continui problemi insormontabili. Il tuo dorme, mangia, se la ride ed esegue un impeccabile Cassina 2 alla sbarra. Non hai il diritto di lamentarti.

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Visto che in cucina ci siamo in qualche modo arrivati, decido di lanciarmi in un repentino progetto-lavastoviglie. Inserisco l’erede nel seggiolone – legandolo come un criminale di guerra, visto che ha già manifestato l’intenzione di gettarsi fortissimo al suolo – e sfodero il diversivo definitivo: l’onnipotente galletta di riso.

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Le merendine sgranocchiette che elargisco parsimoniosamente a Minicuore costano all’incirca come un Cayenne. Da quando ha la facoltà di nutrirsi di pappe, frutta, carnine e roba appartenente al regno pseudosolido sono diventata una di quelle signore molto a modo che frequentano i NaturaSì. Non ho ancora fatto la tessera – perché spero mi passi, prima o poi -, ma mi sto appassionando. La gente mangia cose incredibili. Ho scoperto cereali mai sentiti, intolleranze alimentari di nicchia, bacche del Mar Caspio. Per Minicuore compro le farine per le varie pappe, le verdurette, le adorabili fettine biscottatine MIGNON di farro, i biscottini a forma di stella senza zucchero senza burro senza lieviti SENZA UN CAZZO alla mela e alla carota… non prendo neanche il cestino, perché se prendo il cestino finisce come da Sephora. E già così è una tragedia, perché gli mollo comunque trentamila euro a botta. Mi ripiglierò? Me lo auguro. Per ora, invece, fingo di essere una ricca milanese eco-bio.

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Il bambino azzanna la galletta di kamut/riso/farro/CEREALE POCO MAINSTREAM A SCELTA, mastica per quindici secondi e la scaglia sul pavimento, cercando di colpire il gatto.

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Mangi la galletta che è caduta per terra – ma proprio per non avere la sensazione di aver scaraventato cinque euro nel cesso -, rinunci a dargliene un’altra e fai partire la lavastoviglie, valutando la possibilità di convertire l’intera famiglia all’utilizzo di piatti, posate e pentolame di plastica. Armata dell’entusiasmo che solo il completamento di un compito semplice e lineare (per quanto fastidioso) può donarti, fai ritorno sul tappeto con il bambino abbarbicato addosso e, mentre lo osservi ogni suo movimento come un condor di montagna, produci cinque minuti di monologhi sconnessi su Snapchat – tanto per perdere ancora di più il contatto con la realtà.

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Nascondi il telefono (PERCHÉ SE LO VEDE È FINITA) e torni a rincoglionirlo con storie di ogni genere. Attacchi con “La sirenetta impanata”, una filastrocca di tua invenzione dalla rara potenza immaginifica. Perché le sirene che siamo abituati a vedere nei cartoni animati, nell’arte e nella cinematografia sono tutte magre, flessuose, belle e figherrime? Semplice: quelle in carne vengono catturate e cucinate dai marinai di passaggio. È tutto spiegato nella canzoncina, tranquilli. INSOMMA, mentre ti sgoli con “La sirenetta impanata” il bambino pesta una costruzione gommosa, perde l’equilibrio e precipita. MA TU LO PRENDI AL VOLO, salvandolo dal trauma cranico.

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Visto che tuo figlio ha l’indole dello stuntman e l’istinto di conservazione del cast di Jackass dopo una piomba a base di tequila, il salvataggio non lo scalfisce più di tanto. E CHE SARÀ MAI, DONNA. NON FACCIAMOLA TANTO LUNGA. Per esprimerti tutta la sua gratitudine, anzi, ti assesta ridacchiando un poderoso sberlone sul naso, impiegando i cinque minuti successivi per artigliarti la faccia – perché se gridi MA AMORE PICCOLISSIMO DEL CUORE MI FI MALE PIANO PIANO AHIA lui si diverte ancora di più.

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Mentre valuti la possibilità di acquistare una tenuta antisommossa da utilizzare sul tappeto, il bambino ti guarda negli occhi e dice distintamente MAM-MA MAM-MA.

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Mentre cerchi di stabilire se si sia trattato semplicemente di un evento fortuito o se, in realtà, la creatura che hai portato in grembo per nove mesi e che sei riuscita ad accudire in questo mondo per un tempo altrettanto lungo abbia effettivamente detto MAM-MA capendo che la mamma sei tu, INSOMMA, mentre piangi di gioia e lo baci moltissimo perché ha messo in fila (più o meno casualmente) alcune sillabe che ti definiscono, il bambino si caga addosso.

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Sono nove mesi che sbottoni e riabbottoni bodini e minuscoli indumenti. Ma ancora non padroneggi gli automatici. E sbagli a chiuderli almeno due volte al giorno. Carissimo inventore degli automatici, devi sapere che non sono automatici per un cazzo.

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Espletati i doveri di lavaggio/cambio/vestizione, t’accorgi magicamente che è mezzogiorno e mezza. Il tempo si srotola in maniera bizzarra, quando si sta a casa con un bambino. Non ti sembra che passi mai e, ad un certo punto, ti sembra che passi tutto insieme.

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È ora di mangiare. SEGGIOLONE!

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Preparare la pappa è fonte di continui enigmi e perplessità – di cui probabilmente ti libererai soltanto fra numerosissimi anni, quando tuo figlio ti chiederà dei soldi per andarsi a mangiare un cheeseburger coi suoi amici, per esempio. In attesa che quel rinfrancante momento arrivi, però, ti arrangi schiacciando verdure bollite, miscelando granaglie polverose, sminuzzando finemente petti di pollo e producendo ettolitri di brodo vegetale. E il bambino MANGIA TUTTO, VIVA LA MADONNA.

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Il fatto che Minicuore ingurgiti di buon grado quello che gli propino non è però garanzia di pasti pacifici. Perché può accadere che, preso da un’incontenibile emozione, il bambino decida di vaporizzarti negli occhi una cucchiaiata di frutta frullata, spernacchiandola senza pietà in ogni direzione e deturpando irrimediabilmente ogni essere vivente o arredo nelle vicinanze del seggiolone.

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Ma può anche succedere che, gesticolando come uno sbandieratore fiorentino, il bambino decida di assestare un poderoso manrovescio al cucchiaino colmo di cibo che stai tentando di avvicinargli alla bocca, costringendoti ad effettuare un’attenta esegesi della sua postura e del suo stato d’animo prima di arrischiarti a proporgli una nuova cucchiaiata.

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La famiglia dispone di una vasta selezione di bavaglini. Bavaglini grandi, bavaglini piccoli. Bavaglini di tessuto – con fodera sottostante di plastica, bavaglini-poncho in pura plastica, bavaglini di plastica con vano raccoglitore per la pappa che precipita. Nonostante quest’abbondanza di bavaglini – fornitura che a me, all’inizio, pareva addirittura eccessiva -, il bambino troverà comunque il modo di gettarsi almeno una palata di pappa sulle ginocchia e di insozzare a più riprese il pavimento della cucina.

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Ma la mossa che ogni volta mi stronca definitivamente è lo stropicciamento di faccia (già parzialmente ricoperta di pappa) per mezzo di pugnetto che stringe una manciata di – METTIAMO – carotine spappolate.

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Ma affrontare una situazione di profondo caos nella sua interezza non ha mai fatto bene a nessuno: il disagio va scomposto, frazionato e gestito un po’ alla volta. Non è un bambino ricoperto di pappa che mi osserva con una certa belligeranza dalla sommità di un seggiolone non lindissimo, posizionato nel bel mezzo di una cucina da ripiastrellare – GIAMMAI! È un bambino sazio e soddisfatto, un bambino BRAVISSIMO che ha mangiato quel che doveva mangiare e che ripulirò senza farmi prendere dal panico, un ditino alla volta.

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Con un immane dispendio di acqua corrente, carta da cucina, spugnette a forma di pesciolino e teneri asciugamani tempestati di orsacchiotti, riesco a debellare lo strato di cibo semidigerito che ricopre il mio primogenito. E lo abbraccio teneramente, anche se non può fare a meno di starnutire ogni volta che gli bagno il naso.

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Dopo un’intensa mattinata di ginnastica da tappeto, giochi vorticosi, gattonamenti e lauti pranzi, l’infante sembra stanchino. Me lo isso su una spalla, abbasso la tapparella e attacco con la procedura standard di disinnesco a base di passeggiatina per la cameretta e rassicuranti massaggini circolari sulla schiena, coadiuvati dalla mia personalissima interpretazione mugugnata della devastante ninna nanna di Brahms. NEMMENO UNO SCOIATTOLO IMBOTTITO DI ANFETAMINE PUÒ RESISTERE A BRAHMS. Nonostante alcune flebili proteste, il bambino si assopisce.

hammond elicottero

Ma non lasciamoci ingannare. Un conto è tenere in braccio un bambino addormentato… e ben altra faccenda è adagiare un bambino addormentato sul suo materasso. Un bambino che ti russa sulla clavicola potrebbe destarsi strepitando alla minima variazione posturale – e i movimenti necessari a depositarlo nel suo lettino sono numerosi, complessi e variamente destabilizzanti. Mentre fingi di poterlo mettere giù senza correre alcun rischio, lo riempi di minuscoli bacini nell’incavo del collo (area tra le più morbidine, teporosine e profumatine del creato) e cerchi di raccogliere il coraggio per effettuare la manovra.

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Le menate, come minimo, sono due.
UNO – Sostenerlo correttamente mentre vi piegate sul lettino, tentando di raggiungere un materasso che vi arriva all’incirca alle caviglie.
DUE – Riuscire a riprendervi i vostri avambracci una volta depositato l’infante nel lettino – sfilandoglieli di soppiatto da sotto la testolina e dal retro-coscini.
Al mondo ci sono sicuramente robe più complicate, ma quando riesco a preservare il sonno del bambino nel passaggio spalla-lettino mi sento sempre un po’ miracolata. Nonché un genio assoluto del pilates.

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Giuro, è come se tutti i giorni dopo pranzo prendessi di nuovo 110 e lode alla specialistica. La soddisfazione è quella. Fiera del traguardo conseguito, contemplo Minicuore per quindici minuti. Perché non c’è niente di più bello di un bambino che ronfa a pancia per aria.

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MA IL BAMBINO DORME IL BAMBINO DORME È IL MOMENTO DI COMPRIMERE LA MIA INTERA ESISTENZA NON MATERNITÀ-RELATED NELL’ESIGUO SPAZIO DEL SUO PISOLINO! Apro il computer e cerco di capire di che cosa dovrei occuparmi con urgenza. Della roba che rimando da un mese? Del blog? Dei 13 libri che dovrei tradurre fingendo di avere effettivamente a disposizione una giornata lavorativa normale? Della situazione disperata delle mie cespugliose sopracciglia? Dei pacchetti arrivati la settimana scorsa? Delle fatture da preparare? Dei romanzi che vorrei leggere? Delle domande della gente su Snapchat? Delle mie amiche che mi invitano a pranzo e non ricevono risposta?

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Nel vano tentativo di riordinare le idee, vado a fare la pipì – spostandomi per casa come un ninja. Il minimo rumore scomposto potrebbe destare l’infante… ed è decisamente troppo presto, non ho ancora combinato una mazza di niente. Anche fare la pipì comporta dei rischi. Per evitare che lo scroscio risulti troppo perentorio, butto una palla di carta igienica nel water per attutire i decibel e penso alla regina Elisabetta. La regina Elisabetta fa una pipì impercettibile, ne sono sicura.

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Torno al computer, ma mi dimentico dov’è e lo cerco per dieci minuti. Il mio “ufficio”, in teoria, è nella cameretta del bambino e, non potendo disporne durante il suo sonnellino – né mai, a dire il vero – vago per casa con documenti, fogli, chiavette, caricabatterie, scanner, astucci, post-it e agende sotto al braccio, contribuendo grandemente all’accrescimento della confusione che già provo.

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Colta da un raptus igienista, resetto il salotto – riponendo tutti i giocattoli al loro posto – e pulisco la cucina.

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Apro Facebook – ERRORE!!111!!! – e mi imbatto in un post antivaccinista. Sapendo perfettamente che discutere è inutile (e quasi controproducente) blocco e mi incazzo come una bestia per i fattacci miei.

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I muratori, impegnatissimi ad infierire sulla facciata del palazzo di fronte ormai da due mesi, attaccano col martello pneumatico.

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Muratori, lo so che anche voi dovete campare, ma perché vi ostinate a trapanare SEMPRE E SOLTANTO durante la siesta di Minicuore? State su quel ponteggio tutto il santo il giorno e non producete il minimo rumore. Lo metto a dormire e vi parte all’improvviso l’acutissima necessità di demolire il balcone della signora Fumagalli? Perché, dico io. Spiegatemelo. Mettiamoci d’accordo, a questo punto. Se appendo un drappo rosso alla finestra vuol dire che il bambino dorme e che dovete ficcarvi quei martelli là dove nessun martello è mai giunto prima (o almeno così mi piace pensare), se invece appendo un drappo verde vuol dire che potete martellarvi felicemente anche le corna, se vi va, perché il bambino è attivo. VA BENE, PERDIANA? VE LI FONDO, QUEI MARTELLI.

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Il bambino, non si sa come, riesce a non svegliarsi. Venti minuti dopo, però, faccio l’errore di tossire, provocando istantaneamente uno di quei piantini interlocutori che preannunciano un repentino ritorno dal mondo dei sogni. Mi stramaledico più e più volte, mi levo le ciabatte e mi avvicino come una spia russa alla camera del bambino. Potrebbe continuare a dormire. O potrebbe svegliarsi. O potrei svegliarlo io nel tentativo di capire se vuole svegliarsi. La terza ipotesi, ovviamente, è quella che si verifica più spesso. MA CIAO AMORE ECCOTI QUI LA MAMMA È CRETINA PERCHÉ È VENUTA IN CAMERA PERCHÉ SE ME NE STAVO FUORI TU CONTINUAVI A SONNECCHIARE MA NO IO DEVO ENTRARE A VEDERE COME STAI E POI FINISCE CHE TI SVEGLIO IO COME UNA DEMENTE BUON POMERIGGIO AMORE PICCOLO DELLA TENEREZZA BEN TORNATO.

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Il pomeriggio comincia ufficialmente – anche se sono tipo le 13.49 e il bambino ha fatto il pisolino più corto del mondo.

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Sollevi la tapparella e ti accorgi che la creatura ha qualcosa in faccia.

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DUE PUNTURE DI ZANZARA DUE! Una in mezzo alla fronte e una – oltraggio massimo – sul guancino tondeggiante. ROSSE GIGANTESCHE PUNTURE DI ZANZARA DETURPANO IL VISO DEL MIO BAMBINO!

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Le zanzare che – di giorno, poi – morsicano gli infanti sui teneri faccini sono la prova lampante della non-esistenza di Dio.

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Mentre giuro vendetta all’intero reame entomologico, il gatto transita incautamente per il corridoio. Il bambino lo scorge e lancia un fragoroso strillo di apprezzamento. Cesare ADORA il gatto. La mera presenza di Ottone riesce a rallegrarlo più di quanto io sarò mai in grado di fare. Cesare brama la compagnia di Ottone che, ovviamente, lo evita come la peste perché teme di vedersi strappare il pelo a ciuffi. E ha ragione da vendere. Ma c’è ben poco che io possa fare per contenere l’entusiasmo di mio figlio… e decido di liberarlo in corridoio alle calcagna del gatto.

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Ottone ha stabilito una soglia-limite. Se Cesare gli arriva a mezzo metro, Ottone si allontana. Se Cesare lo osserva rispettosamente a più di mezzo metro, allora lo tollera. Cesare non ha idea di quanto sia mezzo metro e, in ogni caso, punta a prendere il gatto per le orecchie e a salirgli in groppa, ambizione che rende irrilevante ogni tentativo di misurare le distanze. Ottone, comunque, non è un artista della fuga e finisce regolarmente per cacciarsi in qualche vicolo cieco, esponendosi senza possibilità di riscatto alle potenziali sevizie del bambino.

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Salvo il gatto – perché, insomma, voglio bene anche a lui e, soprattutto, voglio evitare che cavi gli occhi a Minicuore durante una manovra difensiva -, abbevero il bambino con un po’ d’acquetta, trascino il seggiolone in bagno e mi appresto a rendermi presentabile per l’uscita pomeridiana.

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Posizioni il bambino in modo che, dal seggiolone, non possa allungarsi fino al ripiano del lavabo – su cui troneggiano i tuoi investimenti BIUTI più riusciti e una miriade di utensili che potrebbero rivelarsi letali per un essere non ancora completamente padrone dei suoi arti superiori. L’infante la prende BENISSIMO.

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Lo plachi con una confezione ancora sigillata di Lines Intervallo dal rassicurante packaging rosa e procedi con le operazioni. Non si sa come mai, ma il bambino trova spassose le persone che si fanno la doccia. Il che è molto positivo, perché puoi utilizzare i preziosi momenti dedicati all’igiene personale come una specie di intermezzo cabarettistico. Mentre fai le pernacchie sul vetro e ti esibisci in buffi gargarismi gorgoglianti, ti ricordi all’improvviso di non aver pranzato.

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Ti asciughi, ti spalmi addosso della crema rassodante a casaccio – va rassodato TUTTO, è inutile star lì a selezionare una zona specifica -, ti lavi le mani e, nuda come una salamandra di fiume, ti rechi in cucina alla ricerca di banana, bavaglino (di quelli con vano raccoglischifo) e coltello. Distribuisci rondelle di banana sul tavolino del seggiolone (precedentemente sterilizzato con l’Amuchina) e fai del tuo meglio per truccarti un po’ mentre l’infante fa merenda ghermendo la banana con le ditine.

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Non sarai diventata bellissima, va bene, e hai guardato più il bambino che lo specchio, ma almeno sei pulita, pettinata, vestita e truccata al minimo sindacale. Poi guardi i piedi per capire se ti sei già messa le scarpe o se sei ancora in ciabatte di gomma e ti accorgi che il pavimento del bagno è pieno di bananine masticate.

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Prendi il telefono per scoprire che ore sono e ti casca l’occhio sulle notifichine di WhatsApp. La chat del corso pre-parto sembra essersi rianimata! Quali incredibili quesiti ci riserverà oggi il destino? Trovi 378 nuovi messaggi che trattano dei seguenti argomenti: lenticchie sì o lenticche no? Dentizione e ano infiammato: reale correlazione o semplice sfiga sistemica? Il mio nano continua a svegliarsi quattro volte a notte: è normale, ragazze? Ma voi quante volte siete uscite a cena da quando sono nati? E, dulcis in fundo: ho visto che ci sono i guinzagli per i nostri puffi, voi li avete provati?!?!111!!
Scelgo di contribuire alla discussione utilizzando Cesare come un meme. Di foto ne ho in abbondanza e mandare il mio KUCCIOLO che ride mi sembra molto più garbato rispetto all’opzione scrivo-quello-che-penso-davvero. Che è più o meno una roba di questo genere:

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Sciacqui la creatura e un rapido esame olfattivo ti porta a constatare, con una certa soddisfazione, che il bambino ha cagato (di nuovo, già) con un tempismo favoloso, risparmiandoti l’incombenza di doverlo cambiare in mezzo a un prato. O sul sagrato del Duomo. O nell’angusto bagno, sprovvisto di un piano vagamente adatto, di un qualche locale.

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Solita manfrina del pannolino, più cambio DI OUTFIT. Si esce carini, perbacco. Dopo innumerevoli contorsioni e aver sventato svariati tentativi di cruentissimo suicidio, riesci a infilare al piccolo umano un paio di braghette adorabili tempestate di palmette e una maglietta con un bradipo appeso a una liana tropicale. COME SEI TENERO TATONE PICCOLO.

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Inserisci la creatura nel passeggino e, mentre infierisce sul ripiano della libreria a cui l’hai incautamente accostato, ispezioni il contenuto della borsa del cambio. Non ci capisci niente, quindi ci butti dentro un biberon d’acqua, un pacco di gallette al kamut ECO BIO CHILOMETRO ZERO FATTE A MANO INTEGRALI SENZA SALE AGGIUNTO SENZA GLUTINE, una manciata di pannolini, un ombrello e un pupazzo che suona, sfrigola e scrocchietta. E decidi che va bene così. C’è un limite al caos che puoi controllare.

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Usciamo, finalmente. E trascorriamo il resto del pomeriggio a vagare paciosamente per zone casuali – ma ombreggiate e piacevoli – della città. Ormai conosco a memoria la conformazione dei marciapiedi, l’assortimento merceologico di ogni vetrina, la collocazione di negozi impensabili e le scorciatoie più esotiche per tirarla in lungo (nel caso il bambino sia tranquillo) o correre rapidamente al campo base (nel caso si sia rotto l’anima di farsi scarrozzare).

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Se l’infante è particolarmente ben disposto, posso arrischiarmi ad entrare nei negozi meno affollati e labirintici – escludendo a priori quelli dotati di numerosi piani o porte troppo complicate. Se va di lusso (e se trovo qualche commessa dal cuore di cioccolato che si fa commuovere dalla coccolosità di Cesare, bambino che sorride immancabilmente a TUTTI, ma pure a gente che somiglia a Pacciani, Himmler e Sauron), posso anche provarmi due vestiti in croce, che spesso finisco per comprare più per la soddisfazione di essere riuscita a provarmeli come una persona normale che per la loro effettiva resa addosso a me.

not a good idea

UNA PIADINERIA! PRESTO, DATEMI QUALCOSA RIPIENO DI QUALCOS’ALTRO!

megalo

In un tratto particolarmente agevole (marciapiede ampio, pianeggiante, senza pendenze laterali che ti costringono a spingere il passeggino come farebbe un grosso granchio), mi arrischio a controllare la mail. Che bello, la prossima settimana ci sarebbero cento cose stupende da fare! Scarto a priori il 98% di quello che mi propongono, guardo il CALENDAR mentre aspetto che il semaforo diventi verde e chiamo i miei per sapere se mercoledì – PER CASO SE SIETE LIBERI SE VI VA SE AVETE VOGLIA SE VI MANCA CESARE – sono disposti a venire a Milano a stropicciare il bambino mentre io vado a svolgere delle attività piacevoli ma comunque configurabili come lavorative.

behind

MADRE il mercoledì gioca a tennis…

cry

…ma per amore di suo nipote troverà una sostituta.

smile cast

Mi dirigo baldanzosa verso casa, fiera di aver quasi sfangato il pomeriggio e sperando fortissimo che Amore del Cuore abbia deciso di sua sponte di recarsi al supermercato per ovviare alla vastità del nulla che alberga nel nostro frigorifero. Mentre immagino cenette meravigliose – cucinate senza il minimo sforzo da parte mia, ma nemmeno di pianificazione – Amore del Cuore mi telefona per sapere che cosa deve comprare.

right

Io non lo so, va bene? Non lo so. Mangio tutto quello che ti pare, non mi interessa.

mangiare

Perché devo dirtelo io che cosa comprare per cena. Chi sono, Sonia Peronaci? Ingegnati! Non ci abiti anche tu insieme a noi? Non lo sai che cosa manca? DAI FACCIAMOCELA SU.

woman

Dopo aver attaccato senza troppe cerimonie, cinque minuti dopo gli mando un messaggio in stampatello per ricordargli che non abbiamo niente da bere PER CARITÀ RISOLVIAMO IL PROBLEMA.

margarita

Cesare saluta con la manina i passanti che gli piacciono e rivolge grida agghiaccianti a quelli che intralciano il suo cammino, costringendomi a superarli per salvare l’intero quartiere dalla sordità.

gallimimus

Il portinaio mi consegna i quattro scatoloni arrivati durante la giornata. Ringrazio sentitamente e cerco di capire come portarli di sopra senza sfondare il passeggino. O senza sfondarmi io.

trice

Il bambino apprezza i giretti, ma dopo un po’ vuole spostarsi da solo. Non è mai stato un soprammobile o un particolare fan di sdraiette, palestrine e forme d’intrattenimento basate sulla compostezza della posizione supina. Disprezza legacci e cinturine e si sta allenando con caparbietà per divincolarsi definitivamente dalle ridicole costrizioni che gli impongono di stare seduto nel passeggino. Ogni volta che lo libero la gioia è grande e vibrantissima.

spinosauro gate

Ottone, lì per lì contento di vederci rincasare, corre al riparo.

run run

Mi levo le scarpe e crollo, così come sono, sul tappeto. Il bambino riabbraccia i suoi giocattoli (più i materiali non concepiti per il gioco che siamo stati costretti a considerare comunque giocattoli) come se l’avessi appena riportato a casa dopo cent’anni di guerra di trincea. Bordeggia, mi calpesta, lancia cubi di gomma, morsica i fenicotteri, scaraventa al suolo tre telecomandi e, in generale, sembra dilettarsi.

petting zoo 2

Sta provando ad alzarsi in piedi. Appoggia le manine per terra e cerca di stendere le gambine. Ce la farà? Forse fra qualche settimana. Ma sono comunque fierissima e gli consegno mentalmente un Nobel motorio.

alan wow

Una zanzara sorvola la zona di gioco. La POLVERIZZO a mezz’aria, abbandonandomi a grida di trionfo piuttosto inconsulte.

gnam

E la mia felicità non è destinata ad esaurirsi. Perché, all’improvviso, avverto il suono celestiale delle chiavi che girano nella toppa. AMORE DEL CUORE È TORNATO AMORE DEL CUORE È ARRIVATO A CASA SONO SALVA C’È AMORE DEL CUORE GRAZIE DIVINITÀ DI OGNI LATITUDINE FORMA E COLORE CE L’HO FATTA!

bike raptor

AMORE DEL CUORE SEI QUI SEI QUI COME SEI BELLO NON TI RICORDAVO COSÌ BELLO NON ANDARE VIA MAI PIÙ!

kiss

PRENDITI TUO FIGLIO! TIENILO OCCUPATO! LASCIAMI QUI A CONTEMPLARE PACIFICAMENTE IL NIENTE PER ALCUNI MINUTI!

trex over here

A seguire, scene di ragionevolezza familiare. Io che mescolo la pappa mentre Amore del Cuore prepara la cena – senza consultarmi, per fortuna -, birrette e fette di salame fanno la loro comparsa, Cesare – opportunamente seggiolonato – monitora la situazione mangiandosi cucchiaiate e cucchiaiate di pastina col formaggetto e le verdurine, cercando di coricarsi nel piatto e di cacciarmi contemporaneamente le dita negli occhi. Ma va bene lo stesso, perché ci siamo tutti.

ellie grant

Amore del Cuore è incaricato delle procedure serali di avvicinamento al sonno, incombenza che ha assunto con mio grande sollievo per potersi coccolare un po’ il bambino e sfogare, al contempo, le sue ambizioni canore. Perché io ho le mie tecniche, ma lui va di karaoke, prediligendo i cantautori italiani delle epoche più disparate (e disperate) o le ballate romantiche della tradizione folk americana. Ho rinunciato a capire e non c’è niente che io possa fare per migliorare la playlist. Finché funziona, per me va benissimo. E mi limito a ridere, nascosta dietro alla porta. Come spesso accade quando si cerca di cavarsela con un infante simpatico e ben disposto ma parecchio energico, il procedimento rasenta il surreale… ma il risultato è assolutamente portentoso.

life finds a way

E chi l’avrebbe mai detto.
Il parco è chiuso, per oggi.
Buonanotte a tutti!

bone

Tra le cose molto difficili che devi provare a fare quando metti al mondo un neonato c’è, secondo me, anche il rimanere vagamente normali. “Ma come mi trovi. Cioè, non sono impazzita, vero?” è l’ultima domanda che faccio a chiunque ci venga a trovare. Ma proprio sul pianerottolo. Magari mentre la gente aspetta l’ascensore. Bisogna chiederlo lì, sullo zerbino, perché se ti dicono che hai perso la brocca è molto più facile gestire la situazione. Sbatti la porta e ciao, torni in casa a rimuginare mentre ascolti per la trentesima volta in un’ora il loop ipnotico delle musichette della palestrina. Il fatto di aver ricevuto solo risposte incoraggianti è per me fonte di immensa soddisfazione. Il fenomeno è spiegabile in due modi. A) Ho amici, parenti e visitatori incredibilmente diplomatici. B) Sto riuscendo, in qualche modo, a mantenere una certa dignità.
Comunque sia, il merito è in gran parte di Minicuore.
Non so come, ma abbiamo fatto un bambino ragionevole. Minicuore dorme la notte (non nel nostro letto), ci riconosce, fa i sorrisi, non è soggetto a devastanti piaghe da pannolino, produce gorgheggi molto teneri, non si offende quando lo immergi in una vaschetta d’acqua calda, è gentile con gli sconosciuti e ricorre al pianto solo in casi di disagio ben decifrabili. Non ho idea del perché abbia deciso di comportarsi così bene, ma sto zitta prima di tirarmi addosso una sfiga apocalittica. Anzi, passo immediatamente al racconto di una difficoltà, tanto per non ridere in faccia al karma.
Minicuore mangia con la foga e la disperata passione di un nobile debosciato della Russia zarista.
Ora, l’allattamento è una faccenda complicata e molto personale. E per me, in tutta onestà, voi potete fare un po’ come vi pare. Minicuore ha beneficiato per due mesi pieni di quanto sono riuscita a produrre ricorrendo unicamente alla prorompenza delle mie strabilianti mammelle, ma ora sembra aver deciso di raggiungere le dimensioni di un cucciolo di brontosauro – o almeno di ritornare a crescere al ritmo baldanzoso di qualche settimana fa – e in qualche modo dobbiamo pur aiutarlo. La pediatra ci ha dunque autorizzati – con mio grande sollievo – a biberonarlo in pace e serenità.
Grazie, signora pediatra.
E come funziona?
Continuo a vestire la maglia da titolare nell’FC Milk e, se serve, chiedo il cambio al quaratesimo del secondo tempo e il biberon finisce vittoriosamente la partita. Ma anche – e purtroppo devo abbandonare questa EFFICACISSIMA metafora -, posso uscire di casa di tanto in tanto senza l’angoscia di non aver lasciato in eredità abbastanza latte.
DEVO STARE FUORI DUE ORE, MORIRÀ DI STENTI NELLA TUNDRA.
Ecco, no. Gli si prepara un biberon adeguato al suo famelico stomachino e cento punti al Progetto Normalità.

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Ora, la faccenda del biberon è piuttosto intricata.
CI FOSSE UNA ROBA FACILE OGNI TANTO INVECE ZERO DEVI SEMPRE FARTI OTTANTADUE DOMANDE SANTO IL CIELO PERCHÉ.
Abbiamo cominciato con un biberon che ha prodotto grandi sbrodolamenti, sputacchiamenti vari e rutti un po’ troppo perentori e frequenti – che si sa, rutti = grandi celebrazioni in tutto il regno, ma se ogni quattro minuti è necessario ruttare c’è evidentemente qualcosa di sghembo. Con piglio e spirito d’avventura abbiamo quindi cambiato strategia e ci siamo cimentati con i biberon Philips Avent, i Natural da 260ml che vanno bene per i bambini che hanno tagliato brillantemente il traguardo del mese d’esistenza. Minicuore 260ml se li scofanerà tra un po’ di tempo, ma veleggiamo già oltre i 150ml dei biberon per i piccoli-piccoli e il formato ci va più che bene. Anche perché sono comodi da tenere in mano, non è mica come ritrovarsi a dar da mangiare al bambino con un tubo di palle da tennis.

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Comunque, la Avent mi sta simpatica da tempo. Ho usato con felicità il loro tiralatte manuale e diversi aggeggi per la manutenzione della tetta, ma sui biberon ero ancora ignorante e bisognosa di collaudi seri.
E com’è andata?
Dunque, a parte la carineria dell’involucro (ALLEGRE SCIMMIETTE!), la facilità di riempimento, la forma gradevole da impugnare e gli avvitamenti agevoli (a prova di madri mancine), Minicuore mangia con molta più civiltà. È di certo un bambino assai perspicace (PER FORZA È FIGLIO MIO DI CHE COSA STIAMO PARLANDO), ma la tettarella evidentemente lo aiuta. E fa il possibile per frenare i suoi entusiasmi. Mi pare sia un biberon più realistico, insomma. Non genera sgargarozzamenti, c’è un sistema intelligente di circolazione dell’aria – che finisce nel biberon invece di finire all’interno del vostro erede, dove provocherebbe potenziali disagi, deflagrazioni ed estemporanee disperazioni – e, soprattutto, non si ingozza. MA POI SE LO ABITUI COSÌ NON È PIÙ CAPACE DI ATTACCARSI VERGOGNATI AI MIEI TEMPI QUESTE COSE NON SI FACEVANO. Che vi devo dire, Minicuore gestisce brillantemente entrambe le opzioni. Sarà che stiamo usando un biberon sensato e ben studiato per l’allattamento misto. O forse è un premio Nobel. Non saprei… ma la spiegazione più semplice tende spesso ad essere quella esatta – e i biglietti per Stoccolma magari li prenotiamo un’altra volta.
🙂

DISCLAIMER
Questo post non contiene nemmeno l’1% di quello che ci è accaduto. E non ambisce a far meglio di così. Perché, in tutta franchezza, non si può.
Questo post, in sintesi, è un trailer. Ma di quelli fatti bene. Mica un trailer con già dentro tutta la trama, che cavolo.

***

BENE. PROCEDIAMO.

Pur continuando a non capacitarmi di come una persona – per quanto piccola – sia riuscita a raggiungere il mondo esterno transitando per la mia coraggiosa vagina, l’operazione “Riproduciamoci, orsù” si è conclusa con successo e, dal 24 settembre, abbiamo un Minicuore. 
Anzi, un Cesare.
E siamo felici come degli imbecilli.

Ora, potrei mettermi qua a dirvi cose poetiche e piene di sentimento. Potrei scrivere due cartelle sul potere salvifico della vita che sboccia. Potrei provare a farvi piangere con una minuziosa descrizione del primo battito di ciglia di mio figlio. Potrei intrattenervi con una moltitudine di sconfinate tenerezze… ma non è questo che ci serve.
Perché è tutto bellissimo, ma è anche un gran casino. E quello che ti preme all’inizio – oltre a non uccidere accidentalmente tuo figlio – è riprendere un vago controllo della realtà.
Nell’ambizioso tentativo di arginare l’entropia neonatale, ho dunque deciso di affrontare la faccenda con razionalità, mappando i fenomeni principali che si sono scatenati nelle prime settimane di vita di Minicuore. Perché sì, la gente non vi dirà mai che un bambino ha un mese e mezzo. I bambini hanno sei settimane. E nessuno capirà mai di che cazzo state parlando.

Misurazione del tempo in settimane

Comunque.
Partorire è un problema.
Sono entrata in ospedale alle 18 di un venerdì sera e ho trascorso i tre giorni successivi a vagare seminuda e dolorante in mezzo a sconosciuti di ogni tipo, sfoggiando una batteria di surreali camicioni da notte ereditati da mia nonna Lelia che, prevedendo un olocausto atomico circoscritto al solo abbigliamento da letto, ne aveva immagazzinati due container (senza mai mettersene neanche uno, visto che credeva nell’onnipotenza della sottoveste di seta nera – indipendentemente dalla stagione).
La mia stanza, poi, era sprovvista di bagno. Mi è dunque toccato trascinare la mia carcassa gonfia al cessetto dietro l’angolo per una quantità interminabile di volte, brandendo giganteschi assorbenti a forma di Toblerone e maledicendo a gran voce il mio utero tumefatto.
Insomma, passi una vita a riprenderti dalle umiliazioni dell’adolescenza, ma poi partorisci e ti rituffi nell’abisso.

Livello di dignità personale

Il vostro parto è stato soave, edificante e sereno?
Brave voi e bravi tutti.
Io ho patito così tanto che non ho neanche fatto in tempo a spaventarmi. Però avevo un’ostetrica argentina super rassicurante e abilissima che ha serenamente discusso di Harry Potter con Amore del Cuore mentre un’infermiera gigantesca mi spezzava le vertebre cervicali nel tentativo di immobilizzarmi e permettere a un’anestesista con dei capelli fantastici di piantarmi un tubo nella schiena.
Il risultato finale è che, in un istante di particolare ottimismo prodotto dall’epidurale, mi sono convinta di poter far uscire Minicuore in sette secondi netti urlando EXPECTO PATRONUM.
Non provateci, non funziona.
Ma l’epidurale ve la consiglio anche a scopi ricreativi.

Cose belle della vita per livello di piacevolezza sprigionato

All’epidurale, comunque, non ci si arriva agevolmente. Te la devi sudare. Devi meritartela, come il regno dei cieli. A me è toccato rantolare per una mattina intera (e vomitare parecchia roba fosforescente in un secchio) prima che il Dottor Futomaki mi elargisse la sua benedizione.
Io col Dottor Futomaki ce l’ho su davvero.
Un po’ perché non è carino irrompere in una stanza e infilare all’improvviso un braccio intero nella patata di una persona – ma così, senza nemmeno presentarti – e un po’ perché non puoi piantarti in mezzo al corridoio alle otto del mattino per raccogliere le ordinazioni del pranzo. Sushi, poi. In un reparto pieno di donne gravide che soffrono come dei maiali e che il sushi non lo mangiano da nove mesi.
Graziella, te cosa vuoi? Gli uramaki Spicy Salmon o i Rainbow Roll? Chiedi anche alla Diletta, che di solito prende quelli con le uova di pesce volante, ma lo sai com’è fatta. Cosa dite, aggiungo un po’ di tartare, che ce la mangiamo prima?
CHE TU SIA MALEDETTO, DOTTOR FUTOMAKI. UN GIORNO AVRÒ LA MIA VENDETTA!
Ma poco importa. Perché, dopo tanto patire, ti ritrovi con un neonato di tre chili e trecento grammi in braccio. E ti sembra di una bellezza prodigiosa.

Maternità e distorsioni percettive

Potrei raccontarvi com’è che si campa in un ospedale pieno di donne sconvolte che spingono carrettini-lettino con dentro dei bambini minuscoli e variamente terrorizzati, ma mi sembra di essermi già dilungata in particolari già abbastanza cruenti. Vi basti sapere che, se voi avete avuto dei problemi, le altre ne hanno immancabilmente avuti di più. E non vedono l’ora di farvi pesare anche l’ultimo effetto collaterale del loro cesareo.
Quindi niente, io passerei ai regali. I regali sono sempre fonte di grande stupore.
La nascita di un figlio è un evento giustamente festeggiato dalle genti di ogni cultura con un’esplosione di doni strabilianti. In prevalenza ricamati a punto croce.

Frequenza di utilizzo del ricamo a punto croce

Fare regali a un neonato è difficile. La nascita di un infante è un avvenimento di una certa rilevanza – quindi non vuoi arrivare con una cazzata -, ma non vuoi neanche passare per quello che bada troppo al sentimento e troppo poco al lato pratico. Pragmatismo e lungimiranza, dunque, ma anche affetto e coccolosità.
Il risultato?
Al grido di “tanto il bambino cresce e la roba per i primi tempi non gli va più bene dopo un secondo e comunque ho pensato che ne avrai già a pacchi e che era importante regalarvi qualcosa che potete usare anche fra un po’, no?”, vi ritroverete con mille tutine ADORABILI taglia 6-9 mesi e nulla di utilizzabile nell’immediato – che poi è più o meno il momento in cui il bambino si caga anche sulle scapole… e te hai in lavatrice tutto il vestiario che possiede perché le scapole se le riempie di sterco ogni tre ore.
Che il cielo benedica lo shop online di H&M. E quelle due persone che vivono nell’eterno presente.

Composizione del parco-doni

Comunque, visto che la cacca ha già fatto la sua inevitabile comparsa, direi di occuparcene. In ospedale siamo stati istruiti su come cambiare efficacemente un pannolino, detergendo con rapidità e perizia il deretano del nostro bambino. Ogni volta che andavi al Nido – è così che si chiama lo stanzone pieno di neonati dove si espletano le principali funzioni di accudimento mentre sei ancora ricoverata – e cambiavi tuo figlio, un’infermiera/dottoressa/puericultrice correva da te e t’interrogava sul contenuto del pannolino. La pipì veniva accolta con un benevolo cenno del capo, ma senza particolari entusiasmi. La cacca, invece, era festeggiata con salve di cannone e il passaggio in corridoio della fanfara dei Bersaglieri.
Io, nella mia angoscia neogenitoriale, interpretavo il tutto più o meno così.
Il bambino caga? Sei una buona madre.
Il bambino non caga? Sei un mostro e Studio Aperto verrà presto a stanarti.

La cacca è importantissima. Ti sorprendi a parlare così tanto di cacca – con tuo marito, con i nonni, con gli amici, con i semplici passanti – che, quando effettivamente ti tocca pulirla, non ti fa più nemmeno schifo. Certo, non ci verniceresti le pareti, ma non ti fa particolarmente impressione. Anzi, la cacca è una buona notizia, è un evento positivo. Come la piena del Nilo. Come l’arrivo della stagione delle piogge nella savana riarsa. La cacca è oggetto di dibattiti, tavole rotonde e bollettini dal fronte. La cacca, nuova grande protagonista. E pensare che, due mesi fa, potevi sederti a tavola a discorrere di viaggi, progetti, carriera e amicizie, come una persona normale. Ora no, parli solo di merda.

Frequenza e composizione degli argomenti di conversazione

La cacca, insieme al naso tappato, ha per noi rappresentato una grande incognita. Minicuore, pur non incappando mai in raffreddori conclamati, ha passato le prime due settimane a respirare come un piccolo mantice otturato, gettandomi spesso nel panico. ODDIO, SE DIVENTA TUTTO BLU E MUORE? ODDIO, MA AVRÀ QUALCOSA DI DEVASTANTE AI POLMONI? Dopo aver scoperto il potere salvifico dei lavaggini nasali con la soluzione fisiologica – manovra cruentissima da eseguire con una siringhina spuntata, da utilizzare tipo Super Liquidator per sparare acqua nelle minuscole narici tappate di vostro figlio -, sono felicemente passata a preoccupazioni di altro tipo. ODDIO, HA UN OCCHIO UN PO’ GONFIO, È SICURAMENTE GUERCIO! Ma anche IL BAMBINO NON CAGA DA QUATTRO GIORNI, ESPLODERÀ?
Ad ogni micro-allarme, ovviamente, rompevamo i coglioni a qualcuno. Ho telefonato al Nido dell’ospedale, alla guardia medica, alla pediatra, al collega pediatra della nostra pediatra, al pronto soccorso pediatrico e pure al neonatologo dell’ospedale – disponibile solo in risicatissime fasce orarie praticamente inaccessibili (che ci sia lo zampino del malefico Dottor Futomaki?). E che cosa ho scoperto, alla fine? Ho scoperto che devo stare molto calma. E che non esiste una via di mezzo. 

Tipologie di risposta a condizione di malessere

Al ventesimo È NORMALE che ti rifilano, un po’ ti senti scemo. Perché di fronte a un “è normale” non c’è soluzione. Devi aspettare che la situazione migliori da sola (come ti promettono immancabilmente) o ti viene concesso di intervenire in maniera blandissima e quasi certamente inefficace (“lavi l’occhietto con una garzina”, “massaggi il pancino o stimoli con delicatezza l’orifizio”). Non so voi, ma io funziono così: ho mal di testa > prendo un Moment > mi passa il mal di testa > FAVOLA! Ecco, se uno mi venisse a dire che il mal di testa “è normale” (perché agli esseri umani nella vita un mal di testa può anche venire), mi incazzerei come una bestia e reclamerei a gran voce un rimedio un po’ più significativo, possibilmente a base di sostanze stupefacenti. CERTEZZE, CI SERVONO CERTEZZE.
A volte, dunque, di fronte alla scarsissima propensione all’allarmismo degli operatori sanitari a vostra disposizione, vi sorprenderete a consultare con un certo interesse l’orripilante chat del corso pre-parto – chat alla quale avete messo SILENZIOSO 1 ANNO praticamente subito dopo la nascita dei primi bambini.
Ma perché sì, maledizione.
E per due macro-ordini di motivi.
Uno. Il continuo bombardamento fotografico perpetrato dalle madri degli infanti più raccapriccianti.

Curva dell'ingiustificata fierezza materna

Due. I nomignoli imbecilli.

Termini prevalentemente utilizzati dalle neo madri per indicare i propri figli

PUFFI?
NANI?
CUCCIOLI?
…ma io vi sfondo le costole a colpi di mestolo.
Non ho trascorso nove mesi nel disagio e nella scomodità per mettere al mondo uno GNOMO, accidenti a voi. Non ho patito le pene dell’inferno per una giornata intera per poi sentirmi dire “ma che belle zampine che ha!”. ZAMPINE UN CAZZO. SONO MANI, CRETINA. MANI!
Io non capisco, è come se a chiamarli col loro nome (BAMBINI) si facesse la figura degli insensibili. E lo dice una che è sposata con Amore del Cuore e che ha messo al mondo Minicuore. Ma quelli sono fattacci miei, che diamine – è come ho deciso di chiamare due persone specifiche, mica un’intera categoria di esseri umani. Non pretendo di andare in giro a dire “Oh, ma guarda quanti bei Minicuore ci sono in questa nursery! Sei una donna fortunata, il tuo Amore del Cuore sarà un papà fantastico!”. Dai, cos’è. Anzi, come direbbe mia suocera, MA CE LA FATE?
Comunque.
Il confronto con gli altri è sempre una grande incognita. Ma più per voi che per vostro figlio. Anzi, vi renderete presto conto che vostro figlio, incredibilmente, non è per nulla misantropo. 

Curva della finta serenità neonatale

Quei due o tre giorni che passi in ospedale con il bambino sono una specie di allenamento, ma poco realistico. Nonostante le ostetriche ti chiamino ripetutamente MAMMA – credo più per farti rendere conto di che cosa ti è appena capitato che per l’effettiva impossibilità di ricordarsi nome e cognome di ogni singola puerpera ricoverata –, cominci a capire veramente quello che ti è successo quando rimetti piede in casa. Noi siamo entrati, abbiamo appoggiato per terra sacchetti, valigini, mazzi di fiori, pacchetti e pacchettini e, dopo sette minuti di euforia da “Oddio, che bello, il mio bidet!”, abbiamo sistemato Minicuore sul divano, nella navicella del passeggino, e ci siamo domandati E ADESSO?.
E adesso niente, sono fattacci tuoi.
Non credo ci sia niente che può davvero prepararti a gestire la faccenda, a parte il buonsenso.
Perché prendersi cura di un neonatone è un po’ come conoscere una persona nuova, solo che questa persona si piscia addosso a ripetizione e non è perfettamente in grado di farti sapere che cosa le sta succedendo. O di soffiarsi il naso in autonomia, se è per quello. O di capire che ha le mani. O di distinguere il giorno dalla notte. O te da un materasso.

Mappatura dei luoghi del sonno per frequenza di assopimento

All’inizio, inevitabilmente, le questioni pratiche ti fagocitano. E cambiare la garzina al cordone ombelicale. E farlo mangiare regolarmente. E non lessargli il sedere sotto al rubinetto. E il freddo. E il caldo. E la copertina in faccia. E le calzine. E l’appuntamento dalla pediatra. E come si fissa l’ovetto al sedile della macchina. E la cuffietta. E mettilo a pancia in su. E giralo sul fianco. E starà crescendo. E se non cresce come facciamo. Ogni cinque minuti ne hai una. E ogni due ore e mezza il sistema operativo si azzera, BAMBINO.EXE si riavvia (girano con Windows, all’inizio) e la gioiosa tarantella ricomincia da capo: pannolino > tetta > rutti & secrezioni assortite > nanna (auspicabilmente). Nel caso ci sia da cambiare una tutina, poi, i tempi si dilatano notevolmente…

Legge di moltiplicazione falangea del neonato

Con il passare dei giorni, comunque, si diventa più bravi. Anche accudire un neonato, infatti, segue determinati schemi motorio/cognitivi. E l’allenamento, come insegna MADRE, aiuta sempre. Non avrei mai pensato, ad esempio, di riuscire a tollerare la cronica mancanza di sonno con la disinvoltura che sto dimostrando. Non avrei mai pensato di potermi rallegrare, alle quattro del mattino, per il sorrisotto storto che ti fa un bambino minuscolo quando lo prendi in braccio dopo un piantino. E non avrei mai pensato di potermi commuovere davanti a uno stendino, ma è capitato anche quello. Se lì con una vaschetta piena di tutine tempestate di pinguini e orsacchiotti e ti viene un po’ da piangere, tra una molletta e l’altra.
Insomma, ce la caviamo. Oserei dire che ce la caviamo bene. L’impegno, di sicuro, ce lo mettiamo. E Amore del Cuore è, come prevedibile, molto bravo. Se potesse, credo che mi solleverebbe anche dai doveri dell’allattamento. E io glielo lascerei fare volentierissimo. Tutti ti raccontano quanto è utile allattare e quanto fa bene al bambino, ma sorvolano un po’ sulle difficoltà iniziali. Io sono uscita dall’ospedale con i capezzoli ridotti peggio di una trincea di Verdun ma, a quanto pare, pure quello fa parte del pacchetto. Dopo essermi cosparsa di creme alla lanolina e aver protetto i miei preziosi rubinetti con paracapezzoli in argento 925 – roba uscita per direttissima da un film di Austin Powers -, le mie piastrine hanno finalmente deciso di mettersi all’opera e, dopo settimane di discreti patimenti, ho conquistato la libertà di annoiarmi di tanto in tanto. Perché i bambini piccolissimi mangiano dalle sei alle otto volte al giorno. E ogni volta ci mettono una mezz’oretta buona. Trovarsi un hobby è assolutamente fondamentale.

Allattamento - composizione delle attività svolte in parallelo

E niente.
Siamo qui.
Siamo in tre (più Ottone).
Stiamo ancora tutti quanti bene e ci amiamo fortissimo.
Ciò è sufficiente a fare di me una MADRE? Non credo proprio… ma da qualche parte bisogna pur iniziare.
Ben arrivato, Minicuore. Ti adoriamo. E ce la faremo, promesso.
🙂

***

Visto che mappare in maniera esaustiva i fenomeni principali dell’esistenza di un neonato e cacciarli tutti in un solo post è vagamente impensabile, l’ambizioso progetto procederà su Facebook – senza alcuna periodicità o criterio. Voi fateci un giro, però. Sarà bellissimo.

Come ormai ben saprete, sto cercando di metabolizzare l’intricata faccenda della maternità. Sia chiaro, la felicità che provo è fiammeggiantissima e assoluta, ma sono parecchi anche i dubbi, le incertezze, le legittime preoccupazioni e le ansie da prestazione. Sono al quinto mese (abbondante) e comincio a domandarmi con una certa insistenza come sarà, davvero, provare ad allevare un Minicuore. Penso alle semplici azioni della nostra quotidianità e mi domando che cosa cambierà. Mi guardo intorno per casa, cercando di capire come lo spazio dovrà adattarsi al mini-umano che, fra qualche mese, si materializzerà fra noi. Riempio la lavastoviglie… e mi chiedo se ci potrò cacciare dentro un biberon. O un ciuccio. I ciucci vanno in lavastoviglie? A che temperatura posso serenamente lavare un bodino da neonato senza che si disgreghi? Di quanti bodini avrò ragionevolmente bisogno? Quale tra le cento possibili allacciature di bodini che esistono in questa galassia è la più pratica? E via così, in eterno.
Tutta questa roba super sconclusionata si può facilmente riassumere in un unico macro-quesito: sarò una madre orribile o, prima o poi, capirò che cos’è necessario fare? Cioè, l’ideale sarebbe incappare in una repentina illuminazione, tipo Mosè. Anch’io voglio arrampicarmi all’improvviso su per un dirupo e ricevere le tavole della legge e una fiducia incrollabile nella provvidenza.
Sarebbe funzionalissimo e particolarmente opportuno.
Pensateci. Domani salgo su un ponticello del Naviglio, il cielo si apre, una luce celestiale mi investe e, senza un perché, mi appare il sacro spirito della Chicco – avvolto in una nube di borotalco – per rivelarmi come si fa a scegliere un passeggino.
La vita.
Visto che la fede, diciamocelo chiaro e tondo, non è precisamente il mio cavallo di battaglia, ho deciso di procedere per gradi. Empiricamente e interattivamente. Facendo una cosa che mai al mondo, lo giuro sui velociraptor di Chris Pratt, avrei mai pensato di fare.
HO PARTECIPATO A UN EVENTO PER MAMME.
Anzi, ho pure un’aggravante.
HO PARTECIPATO A UN EVENTO PER MAMME IN QUALITÀ DI MAMMA BLOGGER.
Ma tenetevi forte, che non è mica finita.
E MI È PURE PIACIUTO.
Parliamone. Razionalmente.

Sabato scorso – quando era ancora estate, per intenderci -, mi sono levata il pigiama, mi sono vestita al meglio delle mie gravide possibilità, ho messo quattro carabattole in uno zaino con gli unicorni e mi sono presentata a #BabyShowerIT, una giornata di “istruzioni per l’uso” pensata per mamme in attesa (e volenterose neomamme) organizzata da Fattoremamma in collaborazione con Chicco, Envie de Fraise, Humana e Voihotels.
Il posto, lasciatemelo dire, non era malvagio.

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Gli addobbi e le decorazioni – super minimal – mi hanno causato una sorta di vertigine iniziale, accompagnata da un’avvisaglia di coma diabetico. Dopo aver bevuto un sorso d’acqua, però, mi sono resa conto che, in determinate circostanze, abbandonarsi senza ritegno ai colori pastello e ai dolcetti a forma di orsacchiotto può essere liberatorio, salutare e assai rasserenante. Il mondo può ossere orribile, ma i biscotti per le feste dei bambini ci salveranno.

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Oltre ad imparare il più possibile sugli infanti – seguendo uno dei millemila incontri supermultidisciplinari disponibili (dal massaggio neonatale ai consigli alimentari di Marco Bianchi, fino ai suggerimenti su come fare attività fisica anche con una pancia che va da qui a Gossolengo), uno dei miei felici compiti era quello di collaudare la nuova collezione di Envie de Fraise, un marchio francese specializzato in moda premaman. Visto che Minicuore arriverà a metà settembre e che, se tutto va bene, raggiungerò dimensioni vergognose proprio nel bel mezzo dell’estate, la faccenda dell’abbigliamento mi è sempre sembrata un problema non trascurabile. Ci sarà caldo e sarò una specie di orca assassina… che cosa diavolo dovrei mettermi, a parte un tendone circense? O un paracadute? O uno di quegli striscioni da Champion’s League che coprono una curva intera? O un lenzuolo queen-size? O un copridivano?
E invece no.
Ho scoperto che c’è speranza anche per le gravide.

Chiara Fracassi for Direzione Ostinata

In un moto di fiducia assolutamente inedita nelle mie possibilità, ho accettato di indossare una jumpsuit rosso fuoco (la prima jumpsuit mai provata nella vita) e di zampettare su e giù per una sala piena di portatrici sane di megapancioni. A parte l’autostima totale che solo una roba tipo fare la (PSEUDO)modella nel momento di massimo gonfiore mai raggiunto nella vita può regalarti, ho scoperto che le tute sono meravigliose. E che Envie de Fraise può, effettivamente, salvarmi dal disagio del Ferragosto.

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Durante la giornata mi sono anche resa conto che tutto quello che dovrò comprare per Minicuore potrà, potenzialmente, essere a forma di animaletto. Tale consapevolezza, come potrete ben immaginare, sarà il mio imperituro sostegno. Tipo. I bavaglini di silicone con pratica vaschetta raccoglimastichini e raccoglimangiarini esistono anche a forma di gufo, giraffa, ippomaiale e cento altre bestie. TUTTO, NEL MONDO DEGLI INFANTI, PUÒ AVERE SEMBIANZE DI BESTIOLA.
Sono raggiante.

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Comunque.
Sentendomi ormai molto padrona della situazione, ho deciso di iscrivermi con piglio e decisione al laboratorio di decorazione di bodini per neonati. Funziona così: la Chicco ti fornisce un minuscolo body di cotone purissimo e assolutamente immacolato – alto, ve lo giuro, circa sei centimetri – e tu, armata di pennarelli, colori per stoffa e formine, devi fare del tuo meglio per rovinarne irrimediabilmente la candida armonia. La cosa molto confortante, comunque, è che tuo figlio potrà venire a rinfacciartelo solo dopo aver raggiunto l’età della ragione… e che voi potrete infallibilmente contrattaccare giocandovi la carta dell’abnegazione materna: “Minicuore, io ci ho messo tutto l’impegno possibile. È il gesto che conta. È l’amore”.
Ecco.
Un’altra cosa che ho adorato del laboratorio di decorazione di bodini è l’impegno che ci abbiamo messo tutti quanti. Mi sono ritrovata a un tavolo con un vasto gruppo di future madri ormai del tutto adulte che, con la massima serietà, hanno trascorso un’ora a domandarsi vicendevolmente roba di questo tipo: “Non è che là da voi c’è lo stampino a forma di gatto?”. “Mi passi il pennarello rosso, quando hai finito?”. “DOV’È IL BLU”. “Ho combinato un casino. Cosa dici, fa schifo? Si capisce che è una nave?”. Il mio personalissimo contributo è stato il seguente: “LO STAMPINO A FORMA DI DINOSAURO. MA ORA ME LO DITE. C’ERA UNO STAMPINO A FORMA DI DINOSAURO! MA HO FINITO, ORMAI. NON LO POSSO USARE. COME FACCIO. MI SENTO MALE! LO RUBO. NON MI INTERESSA. IO LO RUBO”.
In compenso, con l’amore, ho prodotto questa roba qua. Spero basti.

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Forse con la tuta rossa ero un po’ buffa. E forse il mio bodino non è precisamente un capolavoro. Forse potevo imparare più cose, seguire più lezioni, ascoltare meglio e imparare a memoria l’intera tabella nutrizionale dei biscotti Humana (senza olio di palma!). Forse andrà sempre così: cercherò di capirci il più possibile e avrò sempre la sensazione di non essere mai brava abbastanza.
Per questa settimana, però, credo vada bene così. 
Ho cominciato.
Ho fatto qualche piccolo esperimento.
Ho capito, guardandomi intorno, che posso riuscirci anch’io.
La cosa davvero bella, credo, è proprio questa.
Dopo quasi sei mesi di *Insert coin – Loading Minicuore*, non mi sono sentita stramba. O un po’ sola. O spaesata. O la prima femmina al mondo a sperimentare un certo tipo di mal di pancia. Mi è sembrato di aver trovato un piccolo branco di voluminose dinosaure con cui continuare a brucare verdura rigorosamente sterilizzata col bicarbonato. O bollita. O cotta al forno. O precedentemente surgelata.
Cioè, capite quanto è complicato?
Uno mica scherza.
Neanche la verdura puoi mangiare in pace.
Una vita a sentirti dire che la verdura fa bene… poi sei gravida e ci metti due ore a disinnescare un’insalata.
Ma che vita è.
DATEMI UN BODINO. MI CALMO SOLO SE DECORO UN BODINO.

Grazie per l’ospitalità, #BabyshowerIT. C’è ancora molto da fare, ma è stato adorabile iniziare insieme a voi. 🙂