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Ci siamo, il Natale sta per assalirci.
Cosa donare ai consanguinei?
Cosa regalare a chi ha saputo conquistare il nostro affetto?
Un libro va sempre bene? Giammai! Funziona se lo si sceglie con cura e se risponde con allegra puntualità a un interesse o a una passione – e magari anche a una più che legittima inclinazione estetica. Insomma, questo fanno le strenne: sono libri belli o edizioni pazze e preziose, sono libri ben delimitati dal punto di vista tematico, sono libri estrosi che si lasciano associare volentieri alle fissazioni e alle curiosità dei destinatari. La premessa metodologica di queste liste festive è sempre la stessa, ma trovo sensato ripeterlo anche per il 2025.
In caso di ulteriori necessità esplorative, al fondo trovate i rimandi anche alle edizioni passate di queste carrellatone.  
Ultima nota e poi si parte: liberissimi e liberissime di segnarvi su un pezzo di carta le proposte che troverete qua dentro per andarvele a comprare in libreria, senza necessariamente avvalervi dei link (sì, sono affiliati).
A posto? A posto.
Sproniamo le renne, si parte!


Margaret Atwood
Le nostre vite. Una specie di autobiografia
(Ponte alle Grazie)

Traduzione di

Che ci si meravigli (e spaventi) con le sue ancelle o che ci si addentri nella testa delle temibili Zie di Gilead o che la scintilla per Atwood si sia messa a crepitare partendo da un altro tra i suoi innumerevoli romanzi, Le nostre vite è l’avventura definitiva e rallegrerà di certo chi già coltiva una sana fandom per l’autrice canadese, che qui si racconta con franchezza, godibilissima perfidia e grande generosità.

P. S. Se vi va di donare Il racconto dell’ancellaI testamenti, ecco qua uno splendido cofanetto.


Renaud Roche & Laurent Hopman
Le guerre di Lucas. Episodio II
(BAO Publishing)

Potremmo litigare per ore sulla parabola filmica dell’universo di Star Wars – quale trilogia “nuova” ha maggiormente suscitato il vostro sdegno? Come è stato possibile concepire quella cazzata dei midichlorian? Vogliamo parlare di Jar Jar Binks? Come diamine hanno resuscitato l’imperatore Palpatine?  – ma l’impatto di George Lucas sui nostri immaginari e sulla storia del cinema resterebbe saldo e indubitabile. Roche e Hopman hanno iniziato a raccontare il making-of di A New Hope nel primo volume delle Guerre di Lucas e proseguono qui il viaggio. Auspico per questa serie un’estensione su nove tomi, ma vediamo come si mette. Se la forza scorre potente in casa vostra, ficcateli entrambi sotto l’albero.

P. S. L’ultimo set Lego di Star Wars che ho costruito potrebbe essere un buon elemento d’accompagnamento.


Sofia Fabiani
Il dolce. Basi e ricette di pasticceria
(Gribaudo)

Per la rubrica “i social hanno fatto anche cose buone”, eccoci qua a impiastricciarci di pastafrolla con @cucinarestanca. È di certo una proposta editoriale più “tecnica” rispetto ai suoi libri precedenti – Cucinava sempreCucinare stanca. Manuale pratico per incapacy – e che conferma la sua ferrea competenza e la rara capacità di renderla accessibile. Insomma, funzionerà benone per chi vuole partire dai fondamentali della pasticceria e lanciarsi in esperimenti estrosi dopo aver imparato almeno a camminare. E un cuore a Sofia.

Altri spunti legati alle cibarie?
Per chi vuole fare il pane c’è questo bel manuale a fumetti di Ken Forkish e Sarah Becan (Quinto Quarto). Robin Ha vi insegna – sempre a fumetti – a cucinare koreano. Volete semplicemente ammirare dei meloni e delle angurie stupende? C’è un’enciclopedia a tema che ha tutte le fattezze di un coffee-table smorfioso. A tal proposito, vi rammento che è sempre possibile scoprire ricette strabilianti e contemporaneamente fare del bene ai civili palestinesi con l’ebook di Cocomero & Friends.


Coco Wyo
Posticini carini – Colora la tenerezza
(Magazzini Salani)

Per Coco Wyo è partito un sommovimento internazionale di fulgido amore – che ha inevitabilmente generato anche una valanga di copycat orrendi generati dall’IA. Senza lasciarci ingannare, dunque, che fa il collettivo Coco Wyo? Ha rivitalizzato l’ormai saturo mercato dei coloring book proponendo innanzitutto degli angoletti confortevoli e degli ambienti armoniosi – per quanto zeppi di roba – in cui sarebbe bello poter sostare. Oltre a Posticini carini, troverete anche Soffici cuccioliCoccole a Natale. Forse mi starò rincoglionendo, ma sono assolutamente rapita. SOFFICI CUCCIOLI CAPITE?!


Marion Montaigne
I nostri mondi perduti
(BAO Publishing)

Che Zerocalcare ficcasse prima o poi una graphic novel piena di dinosauri nella collana Cherry Bomb – che sta curando per BAO – era un po’ il segreto sogno di tutti quanti. Ebbene, ci siamo. I nostri mondi perduti è una vastissima ricognizione paleontologica che mescola storia della scienza e cultura pop, divulgazione e cruente dispute evoluzionistiche. Ottima idea, Zerocalcare.

Altri dinosauri? C’è Andrea Cau – esimio paleontologo – con Il dilemma dei dinosauri, un saggio a tratti dolorosissimo che spiega per filo e per segno da dove vengono le bestie a sangue caldo di Jurassic Park e perché non dovremmo prenderle per buone. Lo so, è un duro colpo… ma è anche un efficace spaccato di storia recente della paleontologia. Volete saperne di più? Qua ci siamo noi che facciamo una chiacchiera.

Preferite continuare a crogiolarvi nel vostro affetto per Spielberg? Ecco una latta di schiuma da barba da usare come borraccia – sì, è quella che Dennis Nedry voleva riempire di embrioni di dinosauro. Capolavoro.
Ma abbiamo anche un libro sul making-of di Jurassic Park A FORMA DI VHS.

Potrei andare avanti delle ore, ma preferisco concludere il capitolo dinosauri con questa lista tematica che contiene sia proposte per grandi che per piccoli.


Dante
Divina Commedia | Inferno
(Blackie edizioni)

Blackie continua ad alimentare la sua collana/progetto dei Classici Liberati e, dopo IliadeOdisseaGenesi, ci manda allegramente all’Inferno con Dante e tutti i suoi illustri peccatori. L’idea, come sempre, è quella di accompagnare a un’opera fondamentale una serie di apparati che possano attenuarne gli aspetti potenzialmente ostici e “farci mondo” attorno.

Volete recuperare un’iconografia così solida da essere quasi diventata “canonica” per la Commedia? L’Ippocampo ne ha ficcata parecchia in Fantastico Gustave Doré, librone-retrospettiva della sua produzione più visionaria.


Mary Shelley feat. Minalima
Frankenstein
(L’Ippocampo)

Vista l’ondata d’entusiasmo collettivo per i “mostri” classici, segnalo il ritorno dei Minalima alla loro collana di preziosi illustrati pieni zeppi di trovate cartotecniche. Da quel che m’è parso di capire dalla quarta, il testo di quest’edizione dovrebbe essere quello del 1818. Parte dall'”originale” del 1818 anche il Frankenstein illustrato da Marco Calvi e tradotto da Tiffany Vecchietti uscito per ReBelle Edizioni – che vi segnalo con ancora più entusiasmo.

Servono approfondimenti sulla genesi dell’opera? Kathryn Harkup ha ricostruito la parabola biografica di Mary Shelley in La nascita di Frankenstein (Utet), mettendo particolarmente in risalto il precipitato delle conoscenze scientifiche dell’epoca nel romanzo.

Per la falange del cinema, invece, Guillermo del Toro ha raccolto in un libro la storia produttiva del “suo” Frankenstein. Come i migliori art-book cinematografici, è un oggetto di rara beltà… anche se chi ha amato con passione il recente adattamento forse s’accontenta anche di una semplice foglia secca.

Altri spunti per donare dei classici in edizioni illustrate di grande formato? Dall’Ippocampo trovate la collana Papillon Noir che fa proprio quello. Per ora ci sono Cime tempestoseIl grande GatsbyIl ritratto di Dorian Gray
Volete stare sul perturbante? Bur ha sfornato Weird, una nuova collana dalla veste grafica molto gagliarda. Al momento ci trovate Ann Radcliffe con I misteri di UdolphoFosca di Tarchetti, Il re in giallo di Robert W. Chambers e Alle porte dell’incubo di Poe.


Jonathan Wilson
La piramide rovesciata – La Bibbia della tattica nel calcio
(Limina)

Chi apprezza il GIUOCO del pallone non potrà che accogliere con gioia questo autorevole saggio che è sia una “storia del calcio” che una ricognizione tattica e un atlante cultural-sportivo. Ci troverete dentro filosofie, grandi allenatori, campioni, colpi di genio e, forse, anche lo scheletro della squadra perfetta.

Se in casa (come la sottoscritta) avete una persona abbonata alla Riserva, segnalo anche Il mito dei bomber di provincia del prode Emanuele Atturo (Einaudi).


Adriano Panatta & Paolo Bertolucci
La telefonata – Gli Slam del 2025
(Fandango)

Intanto che ci occupiamo di sport, mi pare sensatissimo pensare al tennis e a chi il tennis lo ama – o ha imparato ad apprezzarlo di recente. Fa niente se noi c’eravamo già, bisogna accogliere volentieri anche i tifosi e le tifose dell’ultima ora. Panatta e Bertolucci a tennis ci hanno giocato con gloriosi risultati e ormai da un pezzo si dedicano al commento del loro sport, ritagliandosi anche un podcast divertentissimo in cui un po’ parlano dei tornei più importanti del circuito e un po’ si prendono per il culo. Ecco, in questo libro ci sono gli Slam del 2025, più o meno come li abbiamo ascoltati.

Ma qualcosa su specifici campioni? Limina vi soccorre, per il momento, con NovakAlcaraz, entrambi di Mark Hodgkinson.

Il tennis come esperienza estetica? Emanuele D’Angelo di Broken Rackets ha sfornato Paradise Courts, un volume fotografico avvenente e smorfiosissimo che censisce i campi da tennis più belli del mondo.


Masato Tanaka & Shuzen Iwata
La storia universale in infografica
(Vallardi)

Traduzione di Nicola Emanuele Jacchia

Mia personalissima fissazione, gli atlanti e/o i libri divulgativi con i grafici, le mappette e le illustrazioni MAI MANCHERANNO IN QUESTI LISTONI. Qui, con l’ausilio di inesauribili trovate visive e coccosi personaggetti tondeggianti, si parte dalla preistoria per approdare alla storia novecentesca e ai più recenti disastri, sintetizzando l’impossibile e producendo una piacevole infarinatura che incoraggia approfondimenti ulteriori.

Se vi garba il genere o sapete a chi potrebbe garbare, vi segnalo anche Le operazioni della Seconda Guerra Mondiale in 100 mappe della premiata ditta Lopez-Aubin-Bihan per l’Ippocampo.
Illustrazioni vispe per spiegarsi meglio? Ci sono anche nel saggio di Alessandro Maccarrone per Blackie, L’infinito piacere della matematica. Là fuori, evidentemente, c’è qualcuno che la capisce e sa addirittura renderla comprensibile.


Ximo Abadìa
Verticale – Storia illustrata dell’arrampicata
(Quinto Quarto)

Amiche e amici in fissa con l’arrampicata? Congiunti, sodali d’escursione, gente che ama scarpinare in salita – e non solo perché al rifugio c’è la polenta da mangiare? Perfetto, abbiamo un illustrato pronto a raccontarci la perigliosa e affascinante storia dell’esplorazione montana, dai primi geloni alle più recenti competizioni canonizzate.

Un libro potenzialmente affine? Visionario ribelle, la storia di Yvon Chouinard, fondatore di Patagonia.
Un libro che si tuffa in un ambiente tradizionalmente percepito come opposto alla montagna? Ecco qua Mare di Piotr Karski – sempre edito da Quinto Quarto. È uno di quegli albi ibridi che possono essere apprezzati da bambini, grandi, medi, tutti quanti. Oltre a raccontare mari e oceani con imprevedibile creatività, contiene anche numerosissime attività buffe da svolgere.


Marracash
Qualcosa in cui credere – La mia trilogia
(Rizzoli Lizard)

Niente, al Marrageddon è poi finita che non ci sono andata perché quando avevamo comprato i biglietti non avevamo valutato che in casa ci sarebbe stato un bambino di un paio di mesi da accudire e a sentire Marra ci sono andati mio marito e il mio giovane cognato. Io no, a casa col Dadani. Al di là delle mie vicissitudini personali, i musicisti tendono a far uscire dei libri che sono più assimilabili a gadget fotografici che a qualcosa che si può leggere davvero, ma questo malloppo di Marracash è un oggetto che credo gli faccia onore e che aggiunge tassellini degni d’interesse a Persona, a Noi, loro, gli altri e a È finita la pace. Se ascoltate Marra o cercate qualcosa per chi lo apprezza e ha apprezzato la sua recente trilogia musicale, Qualcosa in cui credere è uno spunto validissimo.

Per chi invece era con me a sudare a San Siro con delle bottigliette rigorosamente senza tappo (e senza ghiaccio) di vodka lemon in mano, ricordo sempre che esiste un’autobiografia di Gabry Ponte. SI VOLA. 😀
Intanto che ci siamo: lo sapevate che anche Max Pezzali ha raccontato la sua storia in un libro? Si chiama I cowboy non mollano mai


Flavio Parisi
Tokyo è una grande cucina – I giapponesi si conoscono a tavola
(Utet)

Di Flavio Parisi s’era già parlato da queste parti per il suo primo lavoro Giappone-centrico – Cadere sette volte, rialzarsi otto era una riflessione sull’apprendimento di una lingua ostica mentre si vive in un posto affascinante e anche profondamente “alieno”. In questo nuovo libro si torna a Tokyo per raccontare il paese e i suoi abitanti attraverso la cucina, le abitudini a tavola e la convivialità. Il cibo è un potente veicolo culturale e mangiare in Giappone è senza ombra di dubbio un’esperienza mistica.

Ci sono splendidi viaggi in cantiere? Eriko Kawasaki aka Erikottero può soccorrervi con Easy Japan (Longanesi), un manuale linguistico dalla spiccata vocazione pratica che saprà anche darvi una mano nel decifrare comportamenti e forme di cortesia. Non sono usciti ieri, è vero, ma sia I love Tokyo che I love Japan della Pina restano delle piacevolissime guide.

Vi risparmio le librerie con l’inevitabile gatto saggio, le botteghe di quartiere dove tornare ad apprezzare il senso della vita, i baretti e i negoziucci che garantiscono rinascite personali ma credo sia il caso di salutare con favore il ritorno di Antonietta Pastore – pioniera della traduzione letteraria dal giapponese all’italiano – al tema della vita in Giappone. Seguito ideale di Leggero il passo sui tatamiDove vuole andare, sensei? (Einaudi) è un nuovo reportage sentimental-pratico che abbraccia una lunghissima frequentazione diretta – cominciata nel 1974 e mai interrotta.
Un altro graditissimo ritorno? C’è Laura Imai Messina con Le parole della pioggia, illustrato da Emiliano Ponzi.

E i manga? Da vecchia ciabatta quale sono, non posso non menzionare l’edizione completa per i 30 anni di I cortili del cuore di Ai Yazawa.


Roberto Alajmo – Marco Carapezza
Avventure postume di personaggi illustri
(Sellerio)

Per la quota cimiteriale – che mai deve mancare -, un saggio snello e favolosamente folle sulle vicissitudini di dieci salme ragguardevoli. Gente che da viva ha fatto la storia e che, da morta, si sarebbe forse meritata un destino meno rocambolesco.

Approfitto dell’atmosfera vagamente sinistra di questo blocco per rammentare che è uscito un nuovo romanzo di Michele MariI convitati di pietra, una storia che affosserà per sempre la già scarsa reputazione delle rimpatriate del liceo.


Iacopo Bruno & Francesca Leoneschi
Inseparabili
(Rizzoli)

Nelle profondità di un oceano sconosciuto, un piccolo polpo piange il padre scomparso e abbandona il regno per ripescare la sua anima da un abisso scurissimo. Sempre là sotto, lo spettro di una bambina che ha perso il cuore in un naufragio cerca consolazione. Si incontreranno? Certo. I disegni di Iacopo Bruno, qui, meriteranno tutto il vostro più sincero stupore.

Un altro romanzo – teoricamente per ragazzi – che può allietare sia per inventiva che per cura dell’edizione? Cesare vi consiglia L’ordine dei Senzasonno di Isaak Friedl per Giunti.


Stefano Zuffi
Animali dipinti
(24Ore Cultura)

Per le bimbe e i bimbi di Michel Pastoureau, un atlante ragionato degli animali nell’arte. Attraversando epoche e tradizioni pittoriche, Zuffi cataloga le bestie dalla simbologia più nutrita, inserendole nel loro habitat iconografico di riferimento e offrendoci numerosi capolavori da ammirare.

Più scienza e meno arte? Roberta Ragona – aka Tostoini – ha firmato per Aboca Fossili viventi – Le straordinarie creature del passato che vivono tra noiPer un approccio estremamente attivo e partecipato all’evoluzione, invece, c’è Evolution Book. Estinguiti o sopravvivi, un libro a bivi che vi spronerà a decidere che bestia diventare – e a capire perché certe creature proprio non ce l’hanno fatta.


Daniel Keyes
Fiori per Algernon
(Nord)

Uscito nel 1966, il topolino Algernon e il “suo” scienziato riappaiono per Nord tirati a lucidissimo con il trattamento superlusso. Labirintico taglio colore! Risguardi matti! Un modo intelligente per rinfrescare un romanzo che vale la pena continuare a leggere.

A proposito di romanzi che appaiono con particolare cura nel confezionamento – e che possono tornarvi utili nel caso ci sia già dell’apprezzamento per le autrici: Noi di Christelle Dabos (e/o) e Katabasis di R. F. Kuang (Mondadori).


Jane Austen
I capolavori
(Newton Compton)

Per i 250 anni dalla nascita dell’autrice sono state più che legittimamente sfornate numerose proposte editoriali, spesso e volentieri rivolte a un pubblico giovane, vispo e assai abituato al taglio colore di cui sopra, alle copertine gradevoli da vedere e a un impianto di publishing meno polveroso rispetto a quello che noi rognosi e rognose millennial abbiamo esperito. In questo filone si inserisce anche il cofanetto completo delle opere di Jane Austen prodotto da Newton Compton con la curatela di Felicia Kingsley – cofanetto che da ragazzina, ve lo dico, mi sarebbe parecchio piaciuto ricevere. E invece.

Vogliamo esplorare la vicenda biografia di Jane Austen? Carolina Capria la ripercorre con precisione, affetto e passione in Per sempre tua: il mondo infinito di Jane Austen (Gribaudo).
Vogliamo frazionare i romanzi di Jane Austen per potercene gustare un frammento tutti i giorni? Liliana Rampello ha curato Un anno con Jane Austen (Neri Pozza), una raccolta di 365 scene memorabili, dialoghi e citazioni.
Servono strumenti per orientarsi meglio? Ecco qua la mappa letteraria di Orgoglio e pregiudizio (il Saggiatore).


Daniel Wallace
Big Fish
(il Saggiatore)

Traduzione di Silvia Lalia

Sempre ci accapiglieremo su trasposizioni e adattamenti, ma risalire ai materiali originali di film molto fortunati o emblematici è sempre un esercizio fascinoso. Ebbene, anche Big Fish arriva da un libro… ci uniamo al circo?

Altri recenti e curiosi esempi? Abbiamo K-PAX di Gene Brewer (Accento)Ammazzati amore mio di Ariana Harwicz per Ponte alle Grazie – da cui è stato tratto Die My Love, in arrivo al cinema – e Lezioni di chimica di Bonnie Garmus (di cui si era parlato anche qui).
Attori che scrivono? Minimum Fax ha appena tradotto The Book of Elsewhere di Keanu Reeves e China Mieville. Per approfondire vi rimando qui.


Ludovica Lugli
Le chiavi magiche
(Utet)

Ludovica Lugli ha scelto un sottotitolo pacato e modesto, che fa così: “Indagine di una lettrice su Elsa Morante e i suoi romanzi”. Non sta mentendo, perché Le chiavi magiche è esattamente un viaggio nei libri di Morante, in quello che ci hanno lasciato e in quello che potevano dirci sia di lei che della sua epoca, ma a quel “lettrice” avrei aggiunto “lettrice molto accorta, molto acuta, molto sveglia, proprio una brava lettrice”. Veniva lungo? Sì, ma ci voleva.

Un approccio più “visivo” al Morante-verso? Per Einaudi è uscito Album Morante, un volume curato da Emanuele Dattilo che raccoglie lettere, fotografie e parecchi materiali inediti che ricostruiscono il mondo e il contesto personale e culturale dell’autrice.
Un altro volumone fotografico einaudiano – che si posiziona saldamente nel solco della nostalgia mondana e cinematografica? Francesco Piccolo ha firmato e “organizzato” Paparazzi, una raccolta di un’ottantina di scatti emblematici dell’epoca d’oro della “dolce vita”. Non vogliamo scansarci da Cinecittà? Olivia Laing torna al romanzo con Lo specchio d’argento (il Saggiatore) e sceglie di ambientarlo proprio lì, sul set del Casanova di Fellini.


Jean Jullien
This Is Not a Book
(Phaidon)

“Qual è il tuo libro preferito?”: quando me lo chiedono rispondo sempre che è impossibile deciderlo, ma sto seriamente valutando di usare Jullien come grimaldello universale. È questo, il mio libro preferito. Tié.

Un rimedio alla domanda opposta? Quale mai sarà il peggior libro del mondo? Auroro Borealo ci viene in soccorso con Il libro brutto dei libri brutti (Blackie).


Mi sono di certo dimenticata almeno 37 tomi che in realtà avrei voluto includere ma spero vivamente di avervi risolto qualche grana – o almeno di avervi indicato una valida pista. Se ci avete preso gusto o vi va di espandere le opzioni, qui trovate le edizioni passate dei listoni di Natale:

Per i bambini e le bambine, vi incoraggio a consultare questa lista, la carrellata tematica sui mezzi di trasporto e i mezzi pesanti, la raccolta degli atlanti (e dintorni) e il focus sugli insetti.
Per un approccio estremamente funzionale e sintetico a quello che di consultabile c’è qui sul blog nella sezione LIBRI o nei circoletti dell’Instagram, ecco il link generale a tutte le vetrine. Sì, le aggiorno man mano e senza soluzione di continuità.

Vi bacio, vi ringrazio per l’attenzione e vi auguro efficaci soluzioni a ogni dilemma regalifero. Evviva!

Incontenibili dinastie di bambini-guerrieri e mini-valchirie popolano Bea Wolfscritto da Zach Weinersmith e illustrato dalla mano favolosa di Boulet –, imprevedibile rielaborazione del mito di Beowulf  e secondo volume della collana Cherry Bomb, curata da Zerocalcare per Bao Publishing. Com’era la prima uscita? Portentosa. E sta qui per chi volesse recuperarla. 

I mostri da combattere appaiono, tradizionalmente, per incarnare un Grande Male, per darci qualcosa di tangibile e reale da fare a pezzi e per aiutarci a identificare eroi, simboli positivi, ispirazioni, guide. Qui il Grande Male è il tempo che passa e che ci fa crescere, trasformandoci in quegli adulti tristi e grotteschi che tanto orrore fanno allo schieramento dei piccoli, invariabilmente rumorosi e spavaldi, disordinati e liberi.
Prodezze e marachelle diventano materiale leggendario e, nel ripudiare sia i grandi che gli adolescenti (agghiacciante trailer del futuro più prossimo), i bambini fondano una sorta di società alternativa in cui le regole imposte dal mondo “cresciuto” sono soppiantate dall’immaginazione, da una gioiosità esplosiva e da un codice basato sulla condivisione, sul rispetto guadagnato in corroboranti fanfaronate, sulla ricerca del divertimento e sull’accoglienza di chiunque voglia rimandare il più possibile l’ingresso nella condizione adulta.

Il materiale mitico di partenza diventa la base per episodi riadattati (spesso a colpi d’orsacchiotto) e per una rivisitazione linguistica: la scrittura di Wienersmith cerca infatti di riprodurne e richiamarne il ritmo, le sonorità e le figure retoriche – un accollo vero per Leonardo Favia, che riemerge vittorioso da una traduzione per nulla agevole.
Sarà vero che crescere comporta per forza la cancellazione di un’epoca selvaggia e prodigiosa? Per quanto ingrigita, mi auguro che qualcosa sopravviva ancora – anche se le caramelle gommose non le ho mai mangiate volentieri.

Vedere Samantha Cristoforetti che si industria sulla ISS – leggendoci ogni tanto pure Douglas Adams, con un asciugamano che le fluttua sulla spalla – è uno spettacolo meraviglioso e un fenomeno relativamente “consolidato”, ma i programmi spaziali non sono di certo stati inaugurati con grande spirito d’accoglienza e inclusione. I primi a volare erano piloti d’estrazione militare e i decisori, sia a livello politico che amministrativo, erano i consueti maschi bianchissimi. Astronaute è un saggio a fumetti – costruito da Jim Ottaviani e Maris Wicks a partire dagli abbondanti materiali d’archivio della NASA e grazie alla testimonianza fondamentale di Mary Cleave – che ripercorre e sistematizza il lungo e accidentato percorso delle donne nello spazio, dalle missioni Mercury ai primi equipaggi “misti” del programma Shuttle, passando per un prezioso lavoro di sensibilizzazione pubblica portato avanti da Nichelle Nichols – la tenente Uhura di Star Trek. Giuro, è vero.

Mentre ai vertici del programma statunitense si rideva ancora in faccia ai medici che, test alla mano, erano riusciti a dimostrare che una donna può tollerare le condizioni della permanenza nello spazio bene come un uomo, l’Unione Sovietica spediva in orbita Valentina Tereshkova – dimostrando che, come in molti altri ambiti, le donne sono parte di una dinamica di potere in cui raramente hanno voce in capitolo. Ancora relegate a terra, le americane continuarono a studiare, a pilotare velivoli, a specializzarsi e a fornire incessanti prove delle loro vaste capacità, finché non fu più possibile opporsi all’oggettivo valore del loro contributo pratico e scientifico. Essere eccezionali è splendido, per certi versi, ma l’eccezionalità è anche accompagnata da una sfumatura di solitudine: l’eccezionalità è rara, ma la possibilità di partecipare all’esplorazione dello spazio e a una mastodontica impresa scientifica corale dovrebbe poter essere di tutte. Ed ecco come le tredici pioniere della Mercury – che mai furono chiamate al servizio effettivo – trasformarono la loro eccezionalità in un esempio per le future astronaute. Come Mary Cleave. Come Samantha Cristoforetti. E come le bambine di oggi, se lo vorranno.

 

La lotteria di Shirley Jackson è una delle short-story più celebri della letteratura americana. Pubblicato per la prima volta sul New Yorker nel giugno del 1948, il racconto scatenò un putiferio mastodontico e i lettori, sconvolti e scandalizzati, subissarono la rivista di lettere più o meno indignate. Perché? In estrema sintesi, La lotteria condensa in una manciata di pagine serratissime sia la crudeltà cieca del destino che l’emersione repentina, all’interno di un contesto di apparente civiltà, degli istinti umani più brutali.
Questa lotteria annuale – che si tiene in disciplinatissimo ordine in una piccola e decorosa comunità in cui tutti si conoscono – è un’esperienza catartica collettiva, un rito di passaggio che convoglia il male quotidiano su un unico bersaglio. Non si capisce bene che cosa faccia più paura, in fin dei conti. L’approccio estremamente pratico e funzionale alla faccenda? L’esito agghiacciante del sorteggio? I bambini che ammucchiano allegramente i sassi? L’ordinato svolgersi degli eventi?
La lotteria ha visto una nutrita schiera di trasposizioni. L’ultima versione è una graphic novel firmata da Miles Hyman – nipote di Shirley Jackson e artista eccelso – uscita per Adelphi nella traduzione di Franco Salvatorelli. La sua narrazione per immagini ci mostra i silenzi e tutto quello che si nasconde negli spazi bianchi del testo e fa, se è possibile, ancora più spavento. Un racconto magistrale e splendido… in tutte le versioni.

Non so se riuscirò mai a ricordarmi nell’ordine giusto le creature che popolano il titolo di questo illustrato tenererrimo di CharlieMackesy – uscito per Salani con la traduzione di Giuseppe Iacobaci –, ma quello che posso affermare per certo è che a esplorare il mondo ci sono un bambino che un po’ teme la solitudine, una talpa fiduciosa e tondeggiante che può contenere quantità industriali di torta, una volpe di poche parole che impara pian piano a mettere da parte le sue diffidenze e un cavallo saggio che si finge meno magico di quello che è. Vanno a zonzo insieme, si palleggiano con semplicità e grazia grandi dubbi esistenziali, chiedono aiuto quando ce n’è bisogno e, soprattutto, ci raccontano l’amicizia con un candore che squaglia il cuore e lascia aperto uno spiraglio di speranza, nonostante si stenti spesso ad accogliere le proprie fatiche e a concedere agli altri un po’ di fiducia. Anche i grandi hanno bisogno di sentirsi dire che andrà tutto bene? Secondo me sì. E pure piuttosto di frequente. È un libro? Di sicuro. Ma è anche un fuocherello capace di confortare – a ogni età. 

Visto che Zerocalcare non lavora abbastanza – e ci tiene tantissimo ad alimentare questa sua devastante fama di lazzarone, lavativo,  fannullone e perdigiorno – ha deciso di curare una nuova collana per BAO Publishing. Cherry Bomb, si chiama così, è e sarà destinata a contenere quello che all’ottimo Zerocalcare è particolarmente garbato negli anni e che gli pare degnissimo anche della nostra attenzione. Un “vorrei che si pubblicasse anche qui da noi quello che mi è piaciuto leggere e che in italiano non è ancora uscito”, insomma, tanto per riassumere l’intento progettuale con un virgolettato inventato a cui è suo malgrado molto abituato. Anzi… dovevo fare così: “Io, curatore di collana pubblico quello che mi pare”. Si vede che non so titolare come un quotidiano nazionale, lì dentro c’è ancora troppo buonsenso.

Comunque, The Grocery del duo Ducoudray-Singelin – tradotto da Francesco Savino – è il primo titolo di Cherry Bomb e può senza dubbio configurarsi come un poderoso battesimo, sia per “mole” del volume che per ricchezza e densità dei temi, che trascinano fino a conseguenze devastanti e paradossali molte derive già fin troppo visibili nella contemporaneità. È una storia corale e una parabola collettiva di perdita progressiva dell’innocenza, ambientata in una Baltimora fatta di zone, gruppi sociali distinti e “subculture” criminali in conflitto accesissimo tra loro. La drogheria del titolo è il negozio di Milton Friedman, che si è trasferito da poco nel quartiere con Elliott, suo figlio. Entrambi sono – e in parte restano – dei frescoloni, nonostante il contesto in cui gradirebbero inserirsi sia ben lontano dalla sbilenca forma di candore che li caratterizza. Elliott fa amicizia con Sixteen e con la piccola banda di spacciatori che staziona all’angolo della strada. Tutti quanti cercano di sbarcare il lunario in un ambiente ostile e insidioso, senza pestare i piedi alla gente sbagliata e tenendosi alla larga da guai troppo grandi. Quando Ellis One viene scarcerato – visto che la sedia elettrica con lui non ha funzionato, a quanto pare – gli equilibri di potere del mondo criminale sono destinati a rovesciarsi e si entra in una nuova fase di truculento conflitto. Eliott e i suoi amici se la caveranno? Quali alleanze sarà conveniente coltivare? Avranno mai la possibilità di scegliere un cammino diverso?

L’universo di The Grocery è una galassia di storie che si intrecciano e ingarbugliano gradualmente per restituirci l’immagine complessiva di una deriva. Ci sono i marine che tornano dalla Guerra del Golfo e si trovano le case ipotecate e i risparmi prosciugati dalla bolla speculativa dei subprime, ci sono i ricchi dei quartieri “bene” che pretendono la costruzione di un muro che li separi dalle zone degradate, c’è la consapevolezza pervasiva che finire ammazzati per strada a colpi d’arma da fuoco sia un’eventualità costante e normalissima. C’è la droga che fa girare intere economie alternative quando non esiste un vero accesso a possibilità d’impiego “normali”, ci sono le gang che si impadroniscono delle funzioni regolatorie di un ordinamento pubblico inesistente e corrotto, ci sono famiglie che vivono per strada dopo aver perso i loro alloggi e che cercano di creare reti di mutuo soccorso senza alcuna speranza di riscatto, perché tutte le risorse sembrano essere già state allocate e di certo non sono alla loro portata. Ci sono Fratellanze Ariane, vendette da giurare, svastiche tatuate e spedizioni punitive. C’è un fondamentale rifiuto dell’umanità e della dignità altrui e ci si rende conto molto presto che, quando si lotta per sopravvivere, anche quelli che riteniamo altissimi valori degni d’impegno e abnegazione possono andare presto a farsi benedire e, soprattutto, quei valori non basteranno a garantire la salvezza o a far trionfare la giustizia – troppe sono le distorsioni, troppa è l’ingiustizia, troppo forte è il potere della prevaricazione.

Che aspetto ha The Grocery? Senza dubbio ricchissimo, sicuramente matto. Gli ambienti sono resi con una minuzia e un’abbondanza di dettagli notevole, ma i personaggi sono dei pupazzi zoomorfi – chi più chi meno – con testoni e fattezze tondeggianti. Che delle creature che visivamente richiamano più i canoni della carineria cucciolesca che dell’ultraviolenza finiscano per farsi vicendevolmente quello che si che fanno è un’ulteriore dissonanza che aggiunge un livello di lettura affascinante alla storia.

Insomma, hai pescato una cosa bella e che fa pensare, Michele. Grazie. Però un pisolo prova a farlo, ogni tanto.

Farò come per JFK, ma senza epiloghi cruenti. Giacomo Keison Bevilacqua: GKB.
Sono una lettrice “tardiva” di GKB. Mi son persa le prime incursioni del suo celeberrimo panda, ma sono arrivata in tempo per Troppo facile amarti in vacanza e non volevo perdermi questo suo nuovo lavoro, che è tante cose diverse insieme. Come parecchie storie che si rivelano preziose, il punto di partenza è un momento di crisi. Il garbuglio da districare è fatto di ritmi lavorativi che confliggono con quelli “personali”, di bimbi che nascono e che rivoluzionano il modo che abbiamo di intendere il tempo e il nostro posto nel mondo, di dolori articolari che non passano mai e di incapacità di restare coi piedi piantati nel presente.

Sono una testa di panda – in libreria per BAO Publishing (ed equipaggiato pure con una ghiotta incursione di Zerocalcare) – è una riflessione che vortica attorno a un percorso artistico lungo, fortunato e poco riposante e alla necessità di costruirsi una corazza per soddisfare aspettative pubbliche ed esternare un livello “adeguato” di gratitudine. Misurare se per gli altri i nostri sforzi saranno mai sufficienti è complicato, quando siamo noi in prima battuta a pretendere sempre qualcosa in più da quello che creiamo, dai ritmi che ci imponiamo, dall’originalità delle nostre idee, dalla qualità delle relazioni che teniamo in piedi.
Chi c’è dietro la maschera – che nel caso di GKB è il testone di un panda, ma ognuno poi finisce per scegliersi la corazza più adatta? Cosa succede quando ci si affeziona troppo alla propria corazza? Quand’è che si supera il confine e le barriere protettive diventano prigioni che ci isolano nelle nostre teste? Come è possibile che anche il lavoro che amiamo finisca per trasformarsi in una trappola?

Quello di GKB è un percorso di auto-ascolto, mi vien da dire, fatto di interventi “corporei” e ansie raccontate. L’obiettivo è riconquistare gli spazi vuoti per lasciarli effettivamente vuoti, è un lavoro di attribuzione di significati nuovi – e mi sa anche più sani – all’inefficienza. Non è tempo che perdiamo, è tempo che serve per riossigenarci. È concedersi il grande lusso di pensare che c’è qualche no che va detto, perché non abbiamo più pezzi di noi da dare agli altri e le batterie vanno ricaricate per ritrovare slancio. È camminare fino all’acqua, guardare una manina che accarezza una poltrona soffice, rammentare che non ci è stato regalato molto e che costruirsi una strada ha richiesto fatica e dedizione.
Essere “abbastanza” è possibile, ma se ce lo concediamo, se arriva un bel DIAMOCI UNA CALMATA che spezza la ruota su cui corriamo perché star fermi ci spaventa – o ci pare di saper fare solo quello. Ma è anche riconoscere che stiamo camminando su quella ruota e che man mano che avanziamo impariamo a districarci meglio e a superare gli ostacoli. Cosa succederà a GKB ve lo lascio scoprire leggendo, cosa succederà a voi pure. C’è molto che può parlarci in questo fumetto, anche se il nostro lavoro non è scrivere e disegnare e anche se magari non abbiamo nessuno – a parte noi – da crescere. E dici poco? È quello il lavoro vero di una vita intera.

Vi risparmio l’elenco lunghissimo degli importanti riconoscimenti conquistati da Kate Beaton per questo lavoro, ma tenete presente che ci sono – Eisner Award compreso – e che sono meritati. Ducks è un libro che potrebbe alimentare una tale quantità di discussioni “calde” da farci scoppiare la testa, anche perché l’epoca che racconta è al contempo vicina (cronologicamente) ma lontanissima per sensibilità e istanze maneggiate dall’opinione pubblica. Credo sia questa specifica collocazione “di confine” a farne un libro così emblematico: i nodi sono venuti al pettine oggi (o in un passato relativamente molto recente), ma il garbuglio c’era già… o c’è sempre stato, anche se non conveniva alzare la mano per segnalarlo.

Si sta discutendo spesso di autofiction, di preponderanza dell’autobiografia sulla narrativa d’invenzione, di presunzioni d’universalità anche quando si racconta delle proprie unghie incarnite, di che valore possano avere le minuzie individuali – vendute e ben confezionate come grandi rivelazioni – nel panorama del pensiero umano. Ecco, Beaton ha saputo riconoscere la rilevanza di un’esperienza personale e ce l’ha restituita in Ducks – in libreria per BAO con la traduzione di Michele Foschini –, compiendo quella famosa prodezza del “tu che adesso hai una voce… usala per portare a galla questa roba che si è trasformata su mille piani diversi in un bel problema collettivo!”.
E quale mai sarà quest’esperienza così stratificata e significativa? Pare una faccenda circoscritta e MOLTO “site-specific” ma non è solo questo. Beaton arriva da un’isola del Canada atlantico. Nel 2005, a 21 anni, si è laureata in arte e ha deciso di partire per l’Alberta per trovare un lavoro abbastanza redditizio da permetterle di estinguere il suo gravoso debito studentesco. Ha passato due anni a lavorare nelle attrezzerie – e successivamente negli uffici “sul campo” – delle grandi compagnie estrattive dell’area di Fort McMurray, terra promessa delle sabbie bituminose.

Perché dovremmo mai leggere la storia di una ragazzina che fa i bagagli e parte da sola per lavorare in un luogo assurdo, lontanissimo da casa e potenzialmente letale?
Perché l’esistenza stessa di una struttura lavorativa simile si innesta su un profondo disagio socio-economico, fatto di posti che si spopolano e di generazioni giovani che non riescono ad accedere a un avvenire dignitoso perché son sommerse dai debiti prima ancora di riuscire a laurearsi – impresa in cui ci si imbarca con l’idea probabilmente superata che il titolo di studio basti a poter star meglio di come stanno le famiglie d’origine.
È una storia tremenda (e preziosa) perché una popolazione “aziendale” in cui il rapporto donne-uomini è di 1 a 50, residente in villaggi fatti di container in mezzo al nulla più assoluto e impiegata in turni che non permettono un contatto significativo con la rete sociale e affettiva di provenienza ECCO è un contesto che trasforma le più basilari norme di convivenza e di umanità, riscrivendole a favore di una situazione liminale, dove la responsabilità si edulcora e l’essere perennemente “di passaggio” fornisce un alibi di ferro per un cameratismo tossico, esasperato e concretamente violento.
È un libro importante perché parla di soldi, di risorse naturali e di impatto ambientale a livello “macro”, ma ci interroga anche sui vari gradi di complicità che possiamo esprimere in via indiretta, magari mentre cerchiamo con gran fatica di guadagnare anche solo il minimo indispensabile.
È una storia di migrazioni economiche e di sconfitta della retorica del “se vuoi puoi” – che di solito ci viene propinata da chi può molto perché parte con le spalle più che coperte -, di scelte impossibili tra radici e futuro, di ambizioni e patti infelici con la realtà, di opportunismo travestito da opportunità dorata. “Che vuoi farci, il mondo va così”, ci ripetiamo quando i problemi che si affastellano sono troppo grandi per essere maneggiati e ci sentiamo estremamente irrilevanti per poter fornire un contributo che faccia una qualche differenza. Forse è vero… ma è una fortuna che spunti, ogni tanto, una voce capace di rendere palese questa sconfitta, che ci racconti un posto “limite” che diventa crocevia di molto di quello che ci preoccupa e che, inevitabilmente, ci riguarda. La nostra storia non sarà mai sovrapponibile a quella di Beaton, ma a quello servono i testimoni attendibili: ci dicono quel che è successo, quello che noi non potevamo sospettare e, per fortuna, anche che quello che mai avremmo voluto sentire.

Pronta a cominciare il suo “praticantato” da sacerdotessa di Pandora, Clori comincia a sospettare che il tempio sia solo un grande baraccone tirato su per vendere vasellame ai turisti e si domanda se non abbia fatto meglio la sua amica – nonché suo unico amore – ad accettare una buona proposta di matrimonio in una polis vicina. Delusa e oltraggiata – oltre che discreta rompicoglioni, che l’Olimpo la conservi – Clori decide di verificare la tenuta del culto per vie empiriche… e apre il vaso. CAOS! MALI DEL MONDO IN LIBERTÀ! SENSO DI COLPA! DISASTRO INCOMBENTE! Convinta di aver condannato tutti alla sofferenza, mette qualche peplo in un fagotto e parte per la sua missione di redenzione, in compagnia di Pigrizia – una pingue sfinge mignon – e della famelica Speranza. E giá così si vola.

Dove abitano i mostri? In un grande vaso leggendario o nella nostra testa? E qual è il peggiore? Da dove arriva il timore di non essere mai abbastanza? La speranza è una forza positiva per definizione o quando è cieca fa più danni che bene? Clori e il suo corteo di mostruosità cercheranno di capirlo, tra gesti eroici e oracoli che (ovviamente) ti dicono che la risposta è dentro di te… e ogni tanto hanno ragione.

Fabio Pia Mancini rivisita il mito di Pandora servendosi di una scrittura guizzante e contemporanea – riferimenti pop compresi – e di un impiantone visivo ricchissimo e francamente magnifico. Il risultato è un’avventura stramba, molto divertente e fuori dal tempo, che riflette su timori frivoli e grandi abissi.

The End di Anders Nilsen – in libreria per Add con la traduzione di Francesco Pacifico – ha conosciuto diverse iterazioni, revisioni e limature. Descrive un sentimento complesso – la perdita – e l’ha fatto negli anni cercando di rendere giustizia ai nuclei più significativi di quella circostanza, avvalendosi di volta in volta di quel prezioso “senno di poi” a cui sarebbe bello potersi appoggiare per non affrontare con strumenti irrimediabilmente inadeguati il peggio che può succederci. Ogni lutto è di tutti, perché la morte è un destino comune, ma chi rimane lo assorbe come se fosse un evento unico e incomparabile rispetto alle esperienze altrui, perché quel che perdiamo non è un concetto astratto ma una persona vera, che ha occupato uno spazio “pratico” e ideale nel nostro orizzonte concreto.

Nilsen ha messo insieme The End, disegnando e scrivendo, dopo la malattia e la morte della sua fidanzata – una morte che tenderemmo a definire inopportuna e precoce, data la giovane età – nel tentativo di ricavarci consolazione e anche una sorta di messaggio “universale” capace di attutire l’insensatezza delle condanne irreparabili e arbitrariamente distribuite. Tra metafore visive e documentazione delle minuzie di una quotidianità che pare aver smarrito il suo centro, Nilsen analizza il rapporto con un’assenza inaccettabile e con la fatica di abitare un presente monco, perché per concepirci davvero nel punto mediano tra passato e futuro deve esistere un futuro possibile, una vita da costruire con la persona che amiamo e che non c’è più.

È legittimo continuare a vivere? È rispettoso? È auspicabile? Nessuno verrà a rilasciarci un’autorizzazione in carta bollata, ma quel che si apprende qui è che abbiamo tutti diritto a dettare delle condizioni di sopravvivenza “gestibili” e che, molto spesso, è complicato lasciar andare il dolore, perché il dolore riempie ed è pur sempre meglio del vuoto completo.
Non è un libro allegro, ma è onesto e prezioso proprio per la testimonianza di lungo periodo che offre, per il discorso che si sviluppa facendosi sempre più rarefatto e libero dal caso specifico, nella benevola ambizione di poter diventare fonte di conforto in una moltitudine di altri casi. Non si dimentica, ma si impara a tenere la fiamma accesa e a portarla vicino al cuore, dove ci scalda anche se non produce più la luce brillante e visibile che eravamo abituati a seguire.