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Accadono un mucchio di cose, in questo periodo. E io sono contenta, perché ho gli occhi grandi e una specie di scomparto/cassapanca adibito alle curiosità e alle avventure che aspetta sempre di essere riempito. Nonostante le numerose spedizioni scientifiche e le rigorose analisi speleologiche, però, non s’è ancora capito se lo scomparto/cassapanca abbia un fondo. La teoria più accreditata vota per l’ipotesi abisso-senza-fine. Che è una buona notizia, se ci pensiamo, soprattutto quando si inciampa in una coccosità da raccontare. Perché non capita spesso, ma ogni tanto succede che si faccia qualcosa per la prima volta.

Perché io non sono abituata ad andare ai corsi di origami. Non so bene come funzionino, le vostre giornate, ma io non mi diletto abitualmente con la nobile arte della piegatura della carta. Non faccio quasi da mangiare, mi rifiuto di imparare a stirare. Figurati se mi metto lì a piegare dei pezzi di carta carina.

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1740465_209642815900497_2137399360_nChe a vederli così sembra facile. Ma volano le bestemmie, quando tocca a te.

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È successo che Sony si è inventata dei nuovi Vaio – tutti sottilissimi, tutti leggerissimi, tutti snodatissimi. Ce n’è uno con lo schermo che si stacca della tastiera gridando “sono un Transformer tablet-pc-e-viceversa! YOLO! Fai di me ciò che vuoi!”. E un altro ha lo schermo che gira al contrario tipo esorcismo-touchscreen. Ve lo giuro, me l’hanno aggeggiato davanti per quindici minuti ma non ho ancora capito quale stregoneria gli consenta di piegarsi di qua e di là. Un portatile, siori e siore, ma ora diventa un portatile con lo schermo ribaltato sul coperchio, siori e siore, non c’è trucco e non c’è inganno! -, dicevo, Sony si è inventata questi pc portatili che fanno i miracoli e, per farci divertire ancora di più, ha pure organizzato una lezione di origami con un’adorabile signorina maestra giapponese che era così giapponese che sembrava finta.

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Dunque, Kayoko si è rimboccata le maniche del kimono, ci ha spiegato da dove vengono gli origami – i nobili giapponesi superglamour, intorno all’anno 1000, facevano regali a un sacco di gente… e molto spesso la piegatura della carta faceva parte del regalo, oltre che funzionare da sfarzosa confezione -, ci ha raccontato la storia della gru – leggiadro simbolo di speranza e pace – e ha cercato di insegnarci a piegare una farfalla e un fiore di loto. Io, che ho la manualità di un orso di pezza con la congiuntivite, ho più volte gridato aiuto. Li volevo far bene i miei origami, ci tengo tantissimo a queste imprese disperate. Mi appassiono, anche se ho le mani di legno. E poi come si può deludere una persona così tenera e adorabile? Kayoko è praticamente commestibile, santo il cielo!

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sony experience tegamini 2Ora pieghiamo GLU.
Anzi no, GLU è troppo difficile.

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Al posto di GLU, abbiamo fatto una farfalla e un fiore di loto. Gli origami dovrebbero donare un’anima alla materia inanimata, trasformare la carta in poesia, in arte e fantasmagorica illusione. Bene, la mia farfalla è l’unico origami che non solo non prende vita, ma riesce addirittura a far regredire la materia prima: da splendido quadrato di carta turchese di prima qualità a risma di fogli super economici per la stampante dell’ufficio.
Il fiore di loto, invece, m’è uscito con le proporzioni sbagliate. Ci vorrebbero tutti dei petali che avvolgono magicamente la corolla, ma io avevo solo la corolla. I petali sotto, stitici e storti, manco si vedono. Come esercizio di pura auto-flagellazione, vi invito ad individuare il mio fiore di loto, che spicca per scarsa grazia e assoluta asimmetria in mezzo alle meraviglie di Kayoko. Accidenti a lei e alle sue ditine affusolate.

Insomma, sono un’inetta, ma è stato molto istruttivo. E poi è successa un’altra cosa assolutamente surreale. Perché s’era fatta una certa, e ci hanno generosamente offerto la cena, con sushi, lasagnazze e tutti quei cosini nei bicchierini con le forchettine piccine picciò. La cosa fantastica è che se prendi una dozzina di blogger e li metti davanti a un buffet, i blogger rispetteranno il buffet. Si sistemeranno tutti quanti alla distanza più idonea rispetto alla tavola imbandita e, belli dritti in piedi, faranno le foto al cibo, perfetto e intatto – così com’è. Solo dopo aver fatto la foto al cibo – ed essersi assicurati che tutti i presenti ci siano riusciti senza interferenze e, anzi, con una buona angolazione -, ecco, solo in quel momento si sentiranno autorizzati ad avvicinarsi alla roba da mangiare.

Agli apericena ci vorrebbe un cordone di blogger che ripristinano l’ordine e la civiltà. Altroché pizza fredda e patate coi tocchi di salsiccia unta.
Armonia. Cibo fotogenico. Dagherrotipi.
Mi sembrava di stare alle corse di Ascot. O in una missione di James Bond, nel caso della tizia che fotografava le cosa con l’orologio.

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Come se non ci avessero cullati a sufficienza, poi, ci hanno anche donato delle cose utilissime. Un po’ di carta da origami – con istruzioni (per infanti) che riuscirò comunque a fraintendere mentre tento disperatamente di piegare un cuore per Amore del Cuore – e la manna delle manne, il bombarozzo-batteria portatile. Me n’ero appena comprato uno di quella serie lì, solo un po’ meno capiente, e già mi sentivo Robocop. Adesso che ne ho due posso sopravvivere anche in fondo a un crepaccio, con un’orda di stambecchi mannari alle calcagna. Anche perché, ormai, l’iPhone mi sta carico per tre ore, poi crolla al 22% e poi si spegne. Una vita grama. Tutte le volte che penso alla batteria dell’iPhone mi viene in mente quel gioco-esperimento per i bambini che amano la scienza… quello con la patata con tre elettrodi conficcati nella buccia che – non so come – fa funzionare un orologio, o qualcosa di altrettanto ininfluente dal punto di vista energetico. E’ così, l’iPhone, ha la batteria che va a patate.

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🙂

E niente. Volevo raccontarvelo, visto che è stato una tenerezza. Ho anche conosciuto @LaVyrtuosa, finalmente! 😀

Grazie, allora, Vaio-inventori. E’ stato proprio super divertente.
GLU a voi!

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Il mondo potrebbe essere bellissimo.
E invece è pavido e palloso.
Il mondo potrebbe essere confortevole e variopinto.
E invece è pieno di mutande che ti vanno a finire in mezzo alle chiappe.
Vivere è una meraviglia, in teoria. E’ che ci sono dei problemi, spesso e volentieri. Problemi, ostacoli e convenzioni sociali di rara imbecillità. Menate, vicini di casa impiccioni e buona creanza. Gente che sale sul tram senza darti il tempo di scendere. Standard cultural-comportamentali, fumose norme sul decoro e la dignità, completi da consulente pendolare e costrutti artificiosi privi di anima che, tanto per fare un esempio, non consentono a un essere umano adulto di affrontare la giornata indossando una tutina zoomorfa in morbido pile cinigliato. Con la coda, dove serve. Con la coda, il cappuccio e delle grosse orecchie simpatiche.

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I Kigu, gente, la più fantastica invenzione dell’umanità, il punto più alto della nostra parabola evoluzionistica! Siamo andati sulla Luna… e, se mai andremo su Marte, sbarcheremo sul rossiccio suolo alieno con una Kigu-tutina, se mai debelleremo la fame, gli stenti e le zanzare, se mai capiremo dov’è veramente il Molise e troveremo il modo di coesistere in pace, ebbene, lo faremo indossando un Kigu. Rovesciare le dittature, spazzar via i pregiudizi, fare film degni dei libri, mangiare senza sporcarsi, sconfiggere la placca, capire l’arte moderna e mettersi il mascara conservando un’espressione intelligente. Tutto questo potrebbe accadere, se solo avessimo un soffice Kigu!
Come ho fatto a sopravvivere fino a questo momento, senza aver mai sentito parlare dei Kigu? Vegetavo nell’oscurità e nel tormento, ma ora ho visto la luce!

Insomma. I Kigu vengono da questo sito/azienda/fabbrichetta/nobilissima impresa britannica che, nel 2009, ha deciso di provare a diffondere i kigurumi fuori dall’Asia, perché pure il resto dell’umanità li meritava. I kigurumi esistono in Giappone – E DOVE ALTRIMENTI – da decenni e, letteralmente, la parola kigurumi vuol dire una roba tipo “costume da animale”.  Il sito dei Kigu è pieno zeppo di persone come me e voi che vanno in giro vestite da panda rosso o da scoiattolo volante. Così, senza una preoccupazione al mondo. Ora, io non so che scusa abbiano usato questi personaggi qui – ho perso una scommessa! È il mio addio al celibato! Una devastante dermatite mi impedisce di indossare indumenti attillati! -, ma non posso che invidiarli ferocemente. Sono lì, che fanno la spesa con su un Kigu a draghetto, e sono contenti. Sorrisi di totale appagamento. Gioia. Sport invernali e gufini con le ali.

E chi li ammazza.
Ma soprattutto, perché noialtri no? Bisogna adottare una strategia tipo Progetto-Mayhem. Prima ci troviamo in un po’ di gente in cantina, a casa di qualcuno, tutti con su un bel Kigu. Pian piano, poi, Tyler Kigu comincerà ad assegnare dei compiti: regala un Kigu a uno sconosciuto. Ruba i vestiti alla gente in palestra e riempi gli armadietti di Kigu. Ingolfa Tumblr di Kigu-gif. Caccia George Clooney dentro a un Kigu (si sa, l’ENDORSMENT delle SELEBRITIES è importante). Cosa di assoluta importanza, poi, è far capire alla popolazione mondiale che un Kigu non è poi molto più strano di quello che si mette Anna Dello Russo anche solo per portare il cane a fare la cacca. O per affrontare i rigori dell’inverno. Dai, di cosa stiamo parlando. Col Kigu almeno non brini, il 26 di gennaio. E puoi comunque metterti in posa come una bestiolona sexy che sta sempre in braccio ad Anna Wintour alle sfilate. Tié, guarda che magnificenza.

Dopo aver costruito uno zoccolo duro di indomiti cittadini con gli armadi pieni di Kigu, il Kigu-brand dovrebbe pensare a una massiccia campagna pubblicitaria. Ho già in mente il testimonial perfetto: il ragazzino (che ormai avrà finito l’università) di Where The Wild Things Are. Perché lui l’ha già fatto. Lui ci andava in giro tutti i santi giorni, vestito da volpegattino bianco. E gli hanno giustamente dato una corona.

Non solo, ma ragazzino-volpegattino avrà anche il coraggio di difendere i nostri diritti. Salirà in piedi sui tavoli e inveirà con decisione contro chi tenterà di tirarci fuori dal nostro Kigu. VOI, CON LE VOSTRE CAMICIE SCOMODE! VOI, COI VOSTRI LEGGINGS FIORATI! VOI FASHION BLOGGERS, SENZA CALZE NELLA NEVE! Io vi ripudio! Io scelgo il Kigu!

E se la Kigu-rivoluzione fallirà, se nemmeno il ragazzino-volpegattino riuscirà a difenderci dalla tristezza e a costruire una fortezza abbastanza grande da tenerci al sicuro, noi coi nostri Kigu a forma d’unicorno, ecco, vi chiedo di seppellirmici, dentro a un Kigu. E di fare un libro tutto illustrato pure per me.

Kigu, per la gloria!
Amici, vale la pena combattere. Dobbiamo tentare.
…vanno pure in lavatrice.

È un po’ che non parliamo dell’alpaca e che non gli dedichiamo l’attenzione che merita. Perché l’alpaca è l’animale più sublime di tutte le galassie! Paladino di poffosità, amico di ogni creatura visibile e invisibile, protettore dei pascoli erbosi e della gioia più splendente!
Ecco.
Per ricordarvi perché l’alpaca è straordinario, oltre a suggerirvi l’attenta lettura della prima e indimenticabile puntata della rubrica Gli animali ti guardano, sento anche il bisogno di rinvigorire il vostro entusiasmo con questa raccolta di dotti aforismi e illustri osservazioni. Che a me magari potete anche non credere, ma vi sfido a contraddire Darwin, padre della teoria evoluzionistica.

La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli alpaca.
Gandhi

La crudeltà verso gli alpaca è tirocinio della crudeltà contro gli uomini.
Publio Ovidio Nasone

L’alpaca è la virtù che, non potendo farsi uomo, si è fatta bestia.
Victor Hugo

Quando gioco col mio alpaca, chissà se sono io che mi sto divertendo con lui o lui con me.
Michel de Montaigne

L’etica, come viene intesa nel mondo occidentale, è stata finora limitata ai rapporti tra uomini. Ma questa etica è limitata. Abbiamo bisogno di un’etica più vasta, che includa anche gli alpaca.
Albert Schweitzer

Non c’è una differenza fondamentale tra le facoltà mentali dell’uomo e quelle dell’alpaca. Per quanto grande sia la differenza fra la mente umana e quella degli alpaca, si tratta certamente di una differenza di grado e non di genere.
Charles Darwin

 

Bene. Ma perché siamo qui? Siamo qui perché questi momenti d’oblio non si ripetano più. Mesi e mesi in cui il mirabile quadrupede andino è rimasto confinato in un minuscolo angolino del nostro cuore, senza poter galoppare liberamente su e giù per le praterie d’amore che meriterebbe invece di percorrere e abitare in ogni istante della vita del mondo. Eccoci dunque qua, pronti a partire alla perigliosa ricerca di un simbolo immortale, pronti a dar prova della nostra solidissima devozione.  E come, con cosa? Con un’icona, che domande, con un simulacro d’alpaca da tenere in bella vista nelle nostre abitazioni, così lontane dal Sud America e dall’ambiente naturale del nostro beniamino. Così su due piedi sembrerebbe impossibile trovare un oggetto capace di racchiudere e riassumere in se stesso tutta la nobiltà dell’alpaca. Ma, dopo attente e meticolose ricerche, sono qua per darvi speranza. Perché, da qualche parte nell’estremo oriente, c’è chi crea pupazzi a forma d’alpaca, pupazzi di rara bellezza… alti fino a quaranta centimetri e super accessoriati!
Giubilate!

Ora, rimanendo sempre sui modelli di jumbo-alpaca, sono indecisa fra questi tre esemplari… e gradirei un vostro consiglio. Ve li presento.


Alpaca UNO. Con un’inspiegabile tortina al collo.
Quel che non mi garba è la forma dimessa e malinconica delle orecchie, che dovrebbero essere ben svettanti e vigili, invece che spiaccicate all’ingiù come le tristi fronde di un salice.

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Alpaca DUE.  Con orecchie infiocchettate e cravattino.
Mi piace il portamento, ma il muso è da imbecille.

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Alpaca TRE, con accessori tartan.
Mi piace il portamento, mi piace l’espressione spavalda. Il cappello lo getterei nel fuoco.

 

Io propenderei per l’alpaca TRE. Ma è importante che ci sia consenso popolare, visto che finirebbe per diventare una delle numerosissime mascotte di Tegamini, nonché tormentone incancellabile e gradita aggiunta allo stemma araldico del mio casato. Comunque vada a finire, però, aggiungerò allo stupidissimo ordine un’irrinunciabile minipochette rosa a forma di cucciolo d’alpaca, che porterei con me in ogni dove e cullerei senza sosta e senza posa.

Ovviamente, chi fosse a conoscenza di qualche altro genere di morbido simulacro d’alpaca è pregato di segnalarmelo senza indugi. Perché limitarsi a un piccolo altare, quando si può erigere un maestoso tempio?