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La casa dei delfini di Audrey Schulman – in libreria per E/O con la traduzione di Silvia Montisè la rielaborazione romanzata di una vicenda reale… una di quelle cose che tenderemmo a bollare con l’etichetta STRANGER THAN FICTION.
Nel 1965, la NASA finanziò un progetto di ricerca che aveva l’obiettivo di misurare le capacità linguistiche dei delfini. In un’epoca in cui ancora poco si conosceva del funzionamento del cervello (che fosse il nostro o quello dei mammiferi ritenuti spannometricamente “intelligenti”) e in cui la disinvoltura sperimentale consentiva pratiche che oggi riteremmo estreme o poco etiche, una donna traslocò insieme a un delfino di nome Peter in una sorta di casa-acquario, allo scopo di insegnarli a parlare come già era stato tentato con i grandi primati o con gli uccelli.
Sarà stato l’LSD o sarà stata un’erronea valutazione iniziale del potenziale fisico-emotivo di un rapporto quasi simbiotico tra un’umana e un delfino, ma non finì benissimo… se vi va di approfondire, vi rimando a uno dei tanti pezzi che hanno ricostruito la storia di Margaret Howe e Peter – con la consueta enfasi sensazionalistica sui risvolti più pruriginosi.

La vicenda reale viene ripercorsa da Schulman nelle sue tappe sperimentali, mettendo però in campo personaggi fittizi. La protagonista, Cora, è un liberissimo calco della Margaret originaria, con una sfumatura significativa in più. Un esperimento che mira a far vocalizzare i delfini e a farli “parlare” nella maniera più umana possibile viene affidato – in maniera piuttosto accidentale – a una ragazza quasi completamente sorda. Cora perde l’udito da piccola, dopo un’otite. Nuotando con i quattro delfini del centro di ricerca si rende conto di riuscire a percepire meglio il paesaggio sonoro subacqueo di quello degli ambienti umani “asciutti”, spesso cacofonici o irriguardosi rispetto alle sue necessità. Se con le persone è complesso relazionarsi – e il fatto che lei non senta bene la declassa spesso, agli occhi altrui, a intellettualmente menomata -, nei delfini trova un universo in cui è in grado di comunicare utilizzando uno spettro ampio di interpretazione dei comportamenti e di un linguaggio fatto di suoni ricchissimi. Tratta i delfini come creature con una personalità definita e non come mere cavie a cui trapanare il cranio, insomma. Verrà capita? Non quando sarebbe più servito, nostro malgrado.

Il romanzo segue col puntiglio di una cronaca scientifica il percorso di avvicinamento di Cora ai delfini e la quotidianità del centro di ricerca. Outsider nel mondo “esterno” così come nel contesto della laguna, la parabola di Cora è anche – se non soprattutto – una riflessione sul potere. I delfini sono in balia quanto la loro alleata umana dei tre docenti a capo del progetto e non c’è istante in cui Cora si conceda di abbassare la guardia. È una ragazza che si avventura in un territorio dove la sua presenza non è prevista, concepibile o auspicata. Per spuntarla dovrà vedere quello che gli uomini non vedono – cercando pure di farsi guardare dagli uomini il meno possibile -, dimostrando molto più di quanto mai verrà richiesto a un ricercatore “canonico”.

Come possiamo sperare di capirci – che si tratti di una relazione tra esseri umani o tra umani e animali – se non ci mettiamo mai in discussione? A cosa si riduce la comunicazione, se una parte si rifiuta di mettersi in ascolto ma si aspetta soltanto che ci si uniformi a uno standard arbitrario dettato da chi ha il coltello dalla parte del manico? Come si misura l’intelligenza? Sia da Cora – cavia fra le cavie – che dai delfini ci si aspetta un docile allineamento a un’idea di intelligenza che ha più punti in comune con l’ammaestramento che con un’architettura complessa di pensiero. E non c’è da stupirsene: pensare tende a sposarsi bene con la ricerca della libertà – il peggior risultato sperimentale possibile.

 

 

Ero quasi certissima che Il profilo dell’altra – il romanzo d’esordio di Irene Graziosi uscito per E/O – non fosse un pacco, ma data la mia indole solare e fiduciosa ho comunque tirato un appagante sospirone di sollievo. È andata bene, è un bel libro. E ne potremmo discutere per una settimana, perché è anche una di quelle storie stratificate e cangianti che contengono una marea assai poco placida di temi “vicini”, veri e nostri. Mi son sembrati fin troppi, ogni tanto, ma la scrittura ha quell’elasticità naturale che scongiura l’artefatto e il legnoso… e regge, tenendo insieme tutto. Ma di che parla? Di specchi, credo. E di scoprire chi siamo, indipendentemente dal riflesso che ci restituiscono gli altri o da quanto ci piaccia quel che vediamo.

La nostra narratrice è impantanata in un presente che non lascia spazio d’immaginazione concreta di un qualsiasi futuro. Dovrebbe andare avanti a studiare, ma dopo la morte della sorella si è trasferita da Parigi a Milano al seguito del suo ragazzo e, di base, sta sul divano a guardare Law&Order.
Per una serie di millanterie sfacciatissime e di incroci fortuiti che nemmeno lei sa se augurarsi o no, si ritrova assunta come “assistente” e grillo parlante di Gloria, influencer diciottenne dotata di una fanbase sterminata e di argomenti inesistenti. Maia accetta il lavoro con l’intenzione nemmeno troppo velata di fallire ma, un po’ per sfida e un po’ per sincera curiosità antropologica, si ritrova a orbitare stabilmente nella vita della sua protetta e, in parallelo al personaggio “pubblico” che tutti credono di conoscere, parte alla ricerca del nucleo reale di questa ragazza che appare spensieratamente vuota, fortunatissima e legittimo approdo dell’invidia generale. Chi è Gloria? E chi siamo noi che la seguiamo? Quanto solido e autentico sarà davvero il castello di carte che ha costruito?

C’è molta carne al fuoco e uno degli aspetti migliori, secondo me, è il tentativo di rappresentare in maniera credibile il paesaggio relazionale in cui siamo immersi. Quel parallelo di difficile gestione tra persona pubblica e privata, tra identità che si adattano ai contesti e ricerca autentica del nostro centro, al di là di come scegliamo di mostrarci. È una questione che appartiene intrinsecamente al crescere, credo, ma i tanti posti nuovi in cui il processo può oggi essere narrato, allestito e spettacolarizzato la rende un po’ più complicata che in passato. Non si sconfina nei due possibili estremi “facili” dell’“anche le influencer piangono” VS “IO PENZO KON LA MIA TESTA KE VADANO A ZAPPARE LA TERRA KUESTE MIRAKOLATE!!1!!1”… per me ci è anche andata giù leggera nel descrivere le molte possibili brutture del dietro le quinte delle dinamiche social-commerciali ma, pur non trovandoci niente di sconvolgente, è un quadro realistico. Il nodo vero non sta nemmeno troppo lì, probabilmente. È di margini di libertà che si parla. Di quanto “costa” scegliere di esserlo davvero. Di quanto siamo disposti ad accettare la compagnia costante di chi siamo quando nessuno ci guarda. Chi è il ventriloquo e chi è il pupazzo, tra Maia e Gloria? E, soprattutto, con che voce abbiamo deciso di parlare noi?

Il fatto che nel nostro immaginario esistano Lila e Lenù – e che spesso e volentieri si sia approdati e approdate al resto della produzione di Elena Ferrante dopo aver letto L’amica geniale – genera indubbiamente un impulso quasi inevitabile al confronto, al parallelismo, alla comparazione, alla ricerca di temi comuni e del riflesso condensato di qualcosa di più vasto che vediamo gonfiarsi e propagarsi nelle anime della quadrilogia.
Ecco, nella Figlia oscura ho ritrovato molto più di quel mondo di quanto mi aspettassi, forse anche perché sono fresca di Lenù televisiva che diventa madre e che, come quasi tutte le giovani madri di Ferrante, mal digerisce il ruolo e ancor peggio accoglie la trasformazione. L’arrivo dei figli, qui come per Lenù o Lila, continua a comprimere identità e lavoro in una sorta di tenaglia che spreme capacità e intelligenze pregresse, riducendole ai minimi termini e tirando fuori quelle frustrazioni e quelle meschinità istintive che minano alla base la propensione ad accudire.

La figlia oscura - Elena Ferrante

Questo romanzo, pur nella sua relativa brevità, è di una potenza devastante. È come se individuasse i nuclei più problematici di Lila e Lenù per assegnarli a una protagonista anagraficamente più “grande” e meno impantanata in rioni, famiglie e origini da ripudiare o riconquistare, ma solo in superficie pacificata dal tempo. È una donna che ha tentato di tenere a bada la frantumaglia – già, anche qui – di identità che deformano la ricerca principale di chi siamo e che, negli anni, si è resa conto di aver bisogno dell’esistenza da cui credeva di dover scappare. Non è né una vincitrice né una sconfitta, non è virtuosa e non è buona, esige con inquietudine ondivaga uno spazio da riempire con più pezzi di lei di quanti ce ne stiano. Ma come si continua a vivere, quando ci si accorge che con tutti questi pezzi non si costruisce di più di quello che si ha già?

Per dovere di cronaca, una rapida ricognizione di quel che materialmente comincia ad accadere in questo libro. Leda, di base, va al mare. Prende una casa in affitto per conto suo – le figlie sono cresciute e si sono ormai trasferite in Canada col padre da un pezzo – e va in spiaggia con un po’ di libri e nessuno a cui badare. Insegna all’università, ha corsi da preparare e ricerche da portare avanti. Pare tutto tranquillo, ma in spiaggia arriva una grande famiglia rumorosa – quei “napoletani” dall’invadente e minacciosa cordialità che Leda sa inquadrare con precisione, perché da lì è spuntata anche lei -, una bambina “perde” una bambola e la nostra protagonista spalanca un vaso di Pandora di ricordi, fatiche comparate, sguaiataggini, omissioni sempre più ingestibili, mariti, prole, carriere accademiche, rimpianti, gente pericolosa e trappole domestiche. Leda sparisce a intermittenza, sia dalla spiaggia che dagli snodi cruciali della sua vita passata  – e mai sapremo se la sua mancanza sia stata avvertita con la medesima intensità che ha accompagnato la repentina scomparsa di quella bambola lercia, malconcia, eccessivamente umanizzata e piena d’acqua sporca di mare… ma amatissima. Come uno specchio, uno scudo, una zavorra che nel capirla meglio si fa più leggera. Si fa nostra. Anche se ci trascina sul fondo.

*

Leda è una di quelle protagoniste che potrebbero farvi esclamare “no, è un brutto romanzo. Lei è troppo spiacevole. Come si fa”. Resto convinta che è con le brutte persone che si facciano i bei libri e vi esorto a dare a Leda una solida possibilità, soprattutto se avete apprezzato la quadrilogia. Dalla Figlia oscura è stato anche tratto un film – con Oliva Colman e l’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal – che sicuramente vedrò, per quanto il cambio di “scenario” piuttosto radicale mi allarmi. Ultima nota sul fronte della “fruizione”, potete leggerlo o ascoltarvelo in audiolibro come ho fatto io – lo trovate su Storytel con la voce sempre calzante di Anna Bonaiuto. Per provare il servizio, vi ricordo come di consueto il link per il mese gratuito.

 

Nives di Sacha Naspini è la cronaca in presa diretta di una  rivelatoria telefonata a sera tarda (con flashback incorporati) tra una neo-vedova di campagna e un veterinario alcolizzato. Telefonata pesantina, devo dire.

Nives, la nostra neo-vedova, chiama il veterinario perché la gallina che ha deciso di tenersi in casa per farle compagnia dopo la morte del marito si è imbambolata davanti a una pubblicità del Dash. Pietrificata. Ipnosi profonda. Catalessi. Coccolone? Non si capisce, ma per quanto la sventura della bestia aggiunga folklore, è di certo il minore dei problemi.

I due, gallina o non gallina, non impiegano molto a partire per una super tangente che copre tre decenni di rimpianti, amorazzi nei canneti, pettegolezzi di paese, corna e rancori funesti… e in qualità di zabetta mancata devo confessare di averlo trovato piuttosto spassoso anch’io.
Intrigo!
Maldicenza!
Bisbetiche!
Uomini pavidi!
Fiaschi di rosso!
Nessuno che si fa una bella saccocciata di fatti suoi!

 

Sto per partire, incredibile ma vero. E quest’anno, forse, riuscirò anche a riposarmi vagamente – nonostante l’adorabile ma impegnativa presenza dell’erede. A grande richiesta (sul serio, mica racconto panzane), arriva dunque l’elenchino di libri che avrei l’ambizione di leggere in agosto. Fallirò? Ne leggerò uno in croce e mi sentirò scema come una roccia? È possibile. Ma non demoralizziamoci anzitempo. Ecco qua una lista ultra-aspirazionale di romanzi e/o vari prodotti editoriali accumulati negli ultimi mesi e inesorabilmente rimandati “a quando potrò finalmente buttarmi a pancia per aria”. Non li ho ancora letti, ma per una serie di ragioni vorrei farlo. E magari verrà voglia di farlo anche a voi. In chiusura, poi, troverete qualche fulmineo consiglio per letture estive già collaudate e dunque raccomandatissime.

Ma procediamo, che se no mi rubano il posto a bordo piscina e l’infante mi scappa prima che possa cospargerlo di protezione OTTOMILA.

***

DIVERSI LIBRI CHE VORREI LEGGERE MOLTO

Beatrice Mautino
Il trucco c’è e si vede
(Chiarelettere)

Una biotecnologa e divulgatrice scientifica – molto istruttiva anche su Instagram – tenta di diradare le possenti nebbie del marketing sensazionalistico per aiutarci a decifrare meglio quello che ci spalmiamo in faccia. Dalla cosmesi al BIUTI, una piccola e rigorosissima guida per spendere soldi (spesso parecchi) in maniera più consapevole e saggia.

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Alan Rauch
Il delfino
(Nottetempo)
Traduzione di F. Conte

L’ultimo arrivato nel serraglio della collana Animalía di Nottetempo: un imprescindibile saggio zoologico-culturale sul delfino. Dalle doti acrobatiche ai risvolti mitologici, dalle leggende all’arte, una storia ragionata e super estrosa di una bestia acquatica che sembra meritarsi da centinaia di anni la nostra più sincera fascinazione.

*

Simone Lisi
Un’altra cena
(Effequ)

Quattro amici e quattro atti per raccontare una cena. Chiacchiere quotidiane che diventano passettini verso una specie di abisso in cui le cose che non ci diciamo restano in agguato. Vorrei leggerlo anche solo per capire se i commensali, alla fine, riescono a digerire.

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Gail Honeyman
Eleanor Oliphant sta benissimo
(Garzanti)

Traduzione di S. Beretta

Mi pare di capire che Eleanor Oliphant sia piaciuto a tutti. Il che, di solito, è una roba che mi insospettisce. Comunque, la storia è quella di una ragazza un po’ svitata e solitaria che parla solo con una pianta in vaso e tiene tutti a debita distanza, convincendosi che l’autarchia emotiva sia la chiave per superare il grande trauma che l’ha segnata. Ma che succede quando qualcuno tenta finalmente di rompere il guscio? Non ne ho idea, ma vorrei scoprirlo… sperando che Eleanor non diventi la nuova Amélie Poulain.

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Michele Mari
La stiva e l’abisso
(Einaudi)

L’opera di recupero degli arretrati di Mari prosegue con caparbia gradualità. Tanti romanzi non sono stati ristampati per parecchio tempo ed erano praticamente introvabili… ma il vento pare essere cambiato. Anche se di vento, in questo libro, pare essercene ben poco. La storia si svolge su un galeone spagnolo inchiodato dalla bonaccia in un angolo remoto d’oceano. Il racconto segue la diffusione di una follia strisciante e misteriosa che si impadronisce lentamente dell’equipaggio, mentre il capitano – bloccato nella sua branda -, tenta di districarsi nei meandri di una realtà allucinatoria e sconosciuta.

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Michael Crichton
I cercatori di ossa
(Longanesi)

Traduzione di D. Comerlati

Che vi devo dire, Il regno distrutto è piaciuto solo ad Amore del Cuore. Chissà che cosa direbbe Crichton di Jurassic World e seguiti vari, CHISSÀ. Ma non soffermiamoci su domande che non avranno mai risposta. Leggiamo, piuttosto, il primo romanzo a base di dinosauri del compianto creatore di Jurassic Park. La storia è ambientata nel selvaggio West nel 1876. Qui, in mezzo alla polvere e a indiani battaglieri, un paleontologo si accinge a riportare alla luce una scoperta sensazionale, che gli verrà però contesa da una spedizione rivale, pronta a tutto per fargli le scarpe. E forse anche la pelle.
I cercatori di ossa è una specie di evento. Il libro, infatti, è stato “rinvenuto” – non si sa se sottoterra o no – dieci anni dopo la morte dell’autore e non era mai stato pubblicato da nessuna parte.

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Elena Ferrante
L’amore molesto
(E/O)

Della Ferrante ho letto solo la quadrilogia dell’Amica geniale. E, onestamente, vorrei approfondire. E/O ha inaugurato da qualche mese una collana – Le Cicogne – che raccoglie i titoli più emblematici e “famosi” della casa editrice. E il libro che ha fatto conoscere la Ferrante al grande pubblico non poteva mancare. Sempre ambientato a Napoli, L’amore molesto è la storia del rapporto vastissimamente problematico tra una madre (che si ammazza) e una figlia che cerca di sottrarsi al potere soverchiante del loro rapporto.

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Teju Cole
L’estraneo e il noto
(Contrasto)

Traduzione di G. Guerzoni

Teju Cole è un intellettuale a tutto tondo. Fotografo, narratore, artista e viaggiatore, è una delle penne più eclettiche e curiose del panorama culturale contemporaneo. L’estraneo e il noto è una raccolta di articoli e piccoli reportage – mai comparsi in Italia – in cui Cole affronta temi diversissimi, toccando argomenti di pressante attualità (come il movimento Black Lives Matter) e rileggendo gli eventi più disparati attraverso la lente della creatività e della riflessione artistica.

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Isaac Bashevis Singer
Satana a Goraj
(Adelphi)

Traduzione di A. Dell’Orto

Un testo di rara potenza linguistica, fatto di foschi presagi e vasti misteri. Siamo nel 1666, tempo di fedi ferventissime, paesaggi desolati, maledizioni e catastrofi. Sprofondare nel peccato e nell’oscurità per riemergerne purificati: gli ebrei polacchi della piccola comunità di Goraj attendono l’arrivo (profetizzatissimo) del nuovo Messia, che porrà fine al loro Esilio e li condurrà nuovamente in Terra Santa. Peccato che a tirare le fila della sfrenata deriva morale di Goraj ci sia il diavolo in persona e che nessuna promessa, quando c’è di mezzo Satana, può dirsi sacra.

*

Tristan Garcia
7
(NN)
Traduzione di S. De Sanctis

Qui basta proprio “il concept” del libro. Sul mercato c’è una nuova droga. Se la prendi avrai la possibilità di ritornare al tuo “schema cognitivo” dei trent’anni, dei venti o dei dodici. Non ho idea di come questa roba possa svilupparsi all’interno di una narrazione o che cosa diamine capiti partendo da queste premesse, ma sono già travolta dalla fascinazione.

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Piero Angela
Il mio lungo viaggio
(Mondadori)

L’autobiografia di Piero Angela. Non penso sia necessario aggiungere altro.

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Tara Westover
L’educazione
(Feltrinelli)

Traduzione di S. Rota Sperti

La vicenda di Tara Westover è così incredibile che, sulle prime, ero convinta che L’educazione fosse un romanzo e non un memoir. Cresciuta in una famiglia di mormoni in mezzo alle montagne dell’Idaho, Tara vive all’interno di un microcosmo completamente scollato dalla realtà. In casa non ci sono libri e non ci sono giornali. Andare a scuola è vietatissimo, la medicina “scientifica” è bandita e le uniche occupazioni possibili per lei e per i fratelli sono aiutare i genitori a mandare avanti il rottamaio del padre o bollire erbe per la madre guaritrice. A diciassette anni, però, Tara scopre un’alternativa… e sceglie di emanciparsi con l’unica arma su cui può ragionevolmente mettere le mani: l’educazione.

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C. S. Lewis
Lontano dal pianeta silenzioso
(Adelphi)

Classicone della fantascienza. Un professore di filologia viene rapito da due scienziati e trasportato su un altro pianeta, Malacandra. Il professore riuscirà a fuggire e partirà per una personalissima esplorazione del mondo su cui è coercitivamente capitato. Incontrerà le creature più impensabili che, condividendo con lui i segreti del loro pianeta, gli sveleranno in realtà il grande mistero della Terra, “pianeta silenzioso” che ha smesso ormai da millenni di comunicare con gli altri mondi.

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Eleonora C. Caruso
Le ferite originali
(Mondadori)

Per la rubrica “Esperimenti arditi”, tuffiamoci nel groviglio della più subdola seduzione. Dunque, trattasi di complicatissimo triangolo sentimentale con devastante resa dei conti finale. Anzi, quadrangolo. Anzi, facciamo così: c’è un bellissimo ingannatore. Si chiama Christian. Christian sta, contemporaneamente, con Dafne – che studia medicina -, Davide – che studia ingegneria fisica – e Dante – un fascinoso quarantenne con famiglia e una RAL assai robusta. Nessuno dei tre, ovviamente, è a conoscenza della vastità delle panzane che Christian – tra un’ondata e l’altra di euforia/autodistruzione da disturbo bipolare – va loro spiattellando. Che accadrà? Ne usciranno mai? Ne usciranno interi? Chissà.

***

LIBRI CHE HO GIÀ LETTO (PIÙ O MENO RECENTEMENTE) E CHE SECONDO ME SONO VACANZIERI E MERITEVOLI

Valeria Fioretta
Se tu lo vuoi
(Piemme)

Dunque, seguo Valeria ormai da qualche anno. Amo il suo blog e mi piace ascoltarla dai remoti albori di Snapchat. Sono molto contenta che sia riuscita a trovare il tempo di scrivere un romanzo e sono ancor più felice di averlo apprezzato. Perché quando qualcuno che “conosci” – anche solo virtualmente – scrive qualcosa la faccenda si fa sempre spinosa. Vorresti avere la possibilità di parlarne bene, ma mica è detto che escano sempre delle meraviglie. Niente, Valeria mi ha fortunatamente liberata dall’imbarazzo scrivendo un libro godibilissimo. È una storia di sentimenti, di cuori che si aggiustano e di avventure cittadine estive (in quel di Torino). La protagonista, Margherita, viene brutalmente mollata da un uomo che le piaceva parecchio – e che aveva cercato di irretire con ogni mezzo, fallendo -, evento che la fa sprofondare repentinamente in una specie di rabbiosa letargia da abbandono. Si riprenderà facendo una cosa lontanissima dal suo “personaggio”: la tata per una bambina sveglia ma molto riservata, figlia di un papà single. Già, l’impianto è da commedia romantica… perché sì, è una commedia romantica, alla fin fine. E funziona bene. È un libro leggero (nell’accezione più positiva del termine) e spigliato, pieno di battute sagaci e di sinceri interrogativi sullo stare al mondo. Si legge volentieri, Valeria ha una voce narrante molto caratteristica e si finisce per fare il tifo per Margherita… il che è un ottimo segno, perché ci si affeziona veramente solo ai personaggi che funzionano.
Portatevelo in spiaggia insieme a un bricco di Estathé. La morte sua.

*

Marco Marsullo
Due come loro
(Einaudi)

Altro romanzo ad alto tasso di ombrellonabilità, con tanto di Dio in camicia hawaiana e Diavolo che stappa ottime bottiglie di rosso. Non è un libro che vi spalancherà reami inesplorati dell’interiorità, ma la storia è piacevolmente caciarona, nonostante la posta in gioco sia la salvezza eterna delle anime. Come funziona? C’è un tizio piuttosto derelitto e cialtrone – che risponde all’improbabile nome di Shep – che serve (a insaputa delle controparti) sia Dio che il Diavolo. Il suo compito, per entrambi, è quello persuadere gli aspiranti suicidi a gettarsi di sotto (un punto per il Diavolo) o a scendere dal cornicione (un punto per Dio), garantendo così l’equilibrio ultraterreno. Shep, che ancora non si è ripreso dalla rottura con l’amatissima Viola, si barcamena in questo scenario impossibile, facendo del suo meglio per non farsi stramaledire da nessuno dei due importanti committenti e cullando perennemente il sogno di riconquistare la fidanzata perduta – ormai instradata verso una nuova vita.
Portatevelo a bordo piscina – ma solo la piscina è piena di smandrappone come quelle che piacciono a Dio – o in cima a un vulcano. In ogni caso, non scordate il salvagente e non sporgetevi nel cratere.

*

Jean Echenoz
Inviata speciale
(Adelphi)

Traduzione di F. Di Lella e L. Di Lella

Echenoz ha una scrittura che, lì per lì, potrebbe anche risultare fastidiosa. Perché è perennemente arguto. In maniera quasi sfiancante. Ogni frase è un piccolo mondo in miniatura dove ogni nevrosi, stramberia o dettaglio insolito vengono amplificati fino ad ottenere un festival dell’assurdità umana. Ciò detto, è così bravo che stai lì e ti sciroppi tutto. Questo libro è una specie di spy-story surreale, che si apre con il sequestro di una bella donna – con poco senso pratico – e si sviluppa in maniera ancor più imprevedibile, trasformandosi in un tentativo di destabilizzazione della Corea del Nord. Lo so, sembra una barzelletta, ma Echenoz vi tira scemi fino alla fine, nonostante le estenuanti descrizioni della vastissima rete metropolitana parigina.

*

Temo di essere stata eccessivamente ambiziosa. Ma il buonsenso è palesemente una virtù che non mi appartiene. Quindi metto in valigia… e parto. Sperando di aver scelto bene.
La vostra brama di mamozzi da leggere non si è ancora placata? Date un occhio alle numerose liste e recensioni che popolano coraggiosamente la categoria Libri e il video-archivio dei #LibriniTegamini. E godetevi delle corroboranti vacanze all’insegna della miglior nullafacenza.

Le ferie si avvicinano, le ciabatte di gomma non vedono l’ora di portarci in spiaggia e i parei sventolano all’orizzonte. Insieme al consueto mantra del “quest’estate non faccio niente: mangio, mi riposo, non guardo le mail dell’ufficio e nuoto con la tavoletta” riaffiora anche un grande classico, il sempreverdissimo LEGGERÒ UN CASINO. Perché, come al solito, siamo assolutamente convinti che d’estate si possa finalmente leggere tutto quello che in una vita intera abbiamo più o meno volontariamente trascurato. Non è detto che ci si riesca, ma quel che conta è partire con le migliori intenzioni – e una trolley pieno di romanzi da imbrattare di crema solare.
Visto che non di sola caccia ai Pokémon può vivere l’uomo, mi sento in dovere di sostenere i buoni propositi dei villeggianti di ogni latitudine spiattellando la mia ambiziosa reading list e illustrandovi molto volentieri quello che sto combinando su Snapchat.

Parto da Snapchat, che è la roba meno importante a livello geopolitico.

Pur continuando a detestare il filtro-cagna, Snapchat sta cominciando a piacermi davvero e – in barba ad ogni più rosea previsione – ho scoperto che è un buon posto dove parlare di libri. Anzi, dove consigliare cose da leggere agli altri esseri umani – esseri umani che, inspiegabilmente, sembrano fidarsi di quel che dico.
All’inizio mi limitavo a fare due chiacchiere sull’ultimo libro che avevo letto e a sistemarlo sullo scaffale – scatenando una reazione a catena di roba che si sposta e polvere che si alza – ma, in qualche settimana, l’intera faccenda si è trasformata in #LibriniTegamini, una rubrica giornaliera in cui frugo nella libreria di casa e faccio del mio meglio per rispondere alla precisa richiesta (o alle domande) di chi vuole scoprire letture nuove.
Chi vuole un consiglio può felicemente scrivermi un messaggio – spiegandomi in rapidità i suoi gusti e che cosa sta cercando – e io, nella prima “puntata” utile di #LibriniTegamini provo a scovare il libro giusto per quella persona.
Cioè, niente che un libraio normale non faccia già da millenni… ma tant’è: #LibriniTegamini prospera e la gente SCRINSCIOTTA copertine con un’abnegazione che non cessa di commuovermi.
Ma perché ve l’ho detto?
Un po’ perché sono felice che #LibriniTegamini funzioni, ma anche un po’ perché potrei soccorrervi tempestivamente mentre vi aggirate per la Feltrinelli di Finale Ligure in cerca di un libro capace di surclassare il Novella 2000 della vicina d’ombrellone.
Non sono ancora abbastanza colta per sconfiggere la micidiale combo Gente più materassino gonfiabile in omaggio, ma se vi va di divertirvi con #LibriniTegamini (e di sorbirvi le fandonie che racconto quotidianamente), su Snapchat mi chiamo Tegamini e potete trovarmi qui.
Per il resto, c’è chi prende anche appunti.


Ma veniamo alla mia irrinunciabile wishlist estiva
– ovvero, due settimane al mare e un irragionevole milione di pagine.
Che cosa butterò in valigia – facendola poi portare ad Amore del Cuore?
Ecco qua.

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Julian Fellowes, Belgravia

librinitegamini belgravia

Pubblicato a puntate su un’apposita applicazione a partire dal mese di gennaio di quest’anno – iniziativa assai vittoriana, devo dire -, Belgravia dovrebbe essere uno splendido polpettone storico-romantico pieno di balli, intrighi di società, collane di perle, uniformi tintinnanti, cannonate e personaggi arguti che si mandano a quel paese. L’autore è Julian Fellowes – quello di Downton Abbey e Gosford Park, per capirci -, quindi credo ci si possa fidare.
Io leggerò la versione “integrale” in inglese, ma il libro c’è anche in italiano – pubblicato da Neri Pozza e tradotto da Simona Fefè.

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Elena Varvello, La vita felice

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Per stemperare la spensieratezza delle barzellette del Cucciolone – che non fanno ridere, maledizione -, un romanzo di formazione dall’aria misteriosa e tagliente.
Il protagonista è un ragazzo di sedici anni che, ormai cresciuto, ricorda la fatidica estate che gli ha azzoppato per sempre la vita. Dovrebbero esserci rapimenti, un padre pazzo, cotte adolescenziali e oscuri segreti.
Gettiamo i Cuccioloni oltre l’ostacolo e vediamo che cosa succede.

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Ransom Riggs, La casa per bambini speciali di Miss Peregrine

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Una sperduta isola gallese, una schiera di scherzi della natura, un nonno che nessuno prende sul serio, mostri, nazisti e un ragazzo che parte dalla Florida per indagare sul passato bizzarro – e tremendamente reale – della sua famiglia.
Tim Burton ci ha fatto un film (in uscita a dicembre), ma voi potrete dire di essere arrivati prima… e criticare spietatamente tutto quello che vedrete – anche se, a dire il vero, l’atmosfera somiglia troppo a quella di Big Fish per trasformarsi in un conclamato schifo.
In italiano lo trovate da Rizzoli, con la traduzione di Ilaria Katerinov.

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Ben Lerner, 10:04

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Va bene, di trentenni in crisi esistenziale che vivono a New York coltivando ambizioni letterarie e inanellando fallimenti amorosi e variegate goffaggini ne abbiamo visti passare parecchi, ma hanno sempre il loro fascino. Nello specifico, il trentenne di Ben Lerner riesce addirittura a sfondare come scrittore, ma ciò non basterà a metterlo al sicuro. Malattia potenzialmente mortale diagnosticata in un momento poco propizio? C’è. Migliore amica che vorrebbe essere fecondata senza però diventare la tua compagna? Presente. Certezze che si sgretolano? Ovvio.
Facciamoci venire l’ansia e buonanotte.
Potete leggerlo in inglese o regalarvi l’edizione italiana di Sellerio.

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Elena Ferrante, Storia della bambina perduta

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La serie dell’Amica geniale è piaciuta a così tanta gente che ci ho messo all’incirca vent’anni a decidere di cominciarla. Ero certa che avrei deplorato ogni pagina, ma mi sono tragicamente invasata. Dopo i primi tre romanzi, però, ho deciso di prendermi una pausa: l’odio per Nino Sarratore, infatti, era semplicemente troppo per proseguire. Riuscirò a scoprire come finisce la storia senza lanciare il libro in mare? Staremo a vedere.

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La vostra sporta dei libri è ancora vuota e non sapete dove sbattere il cranio? Lasciatevi soccorrere da #LibriniTegamini.
La vostra wishlist finirà per somigliare alla mia? Felice di esservi stata utile.
Leggerete qualcosa di diverso? Raccontatemelo senza indugi.
Per il resto, tanti cuorini. Ricordatevi la protezione 30 e non buttatevi in acqua con la pancia piena di focaccia.