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Sei la bambina più bella, brava e intelligente del mondo, Sabrina Mannucci. Il tuo sarà un avvenire luminoso. L’universo intero ti deve ammirazione e ti sarà devoto, perché ogni qualità umana e ogni talento confluiscono nella tua personcina. Fama e fortuna, gloria e felicità ti apparterranno di diritto e, di riflesso, eleveranno la tua famiglia, che ti ha amata, “vista” e sostenuta come meriti. È il 1977, Sabrina è pronta per salire sul palco dello Zecchino d’Oro e tutto questo sembra ancora plausibile. Ma i poteri del Mago Zurlì basteranno?

Figlia di un funzionario RAI di caratura irrilevante – ma certo di contare moltissimo -, Sabrina cresce con la ferrea convinzione di essere speciale per davvero. Riccardo, suo padre, la porta in palmo di mano e sembra puntare su di lei – il cavallo migliore tra i figli – per iniziare un’ascesa in piena regola. Da famiglia piccolo borghese – con tutte le grettezze del caso – i Mannucci possono fare di meglio, possono seriamente tentare di insinuarsi nei giri che contano. Sabrina è uno strumento d’interposta ambizione e il prodotto mostruoso delle illusioni e delle frustrazioni altrui. La televisione è sempre accesa, pronta a istruire il pubblico su cosa sia legittimo sognare e a fornire un traguardo sempre visibile da tagliare: se arrivi qua dentro sei a posto, tutto cambierà.
Nel 2007, ritroviamo i Mannucci al capezzale di Riccardo e scopriremo gradualmente che ne è stato di loro. Sabrina sarà riuscita ad agguantare l’avvenire promettente tanto agognato? Sarà riuscita a trovare qualcuno capace d’amarla quanto l’ha amata suo padre? La famiglia sarà finalmente stata accolta nella cerchia dei ricchi e dei potenti? Son davvero tutti stupidi, brutti, grassi, ignoranti e grezzi a parte Sabrina o, nemmeno troppo in profondità, c’è sempre stato qualcosa di tragicamente sbagliato? E per noi che leggiamo, sarà così mostruoso tifare per il fallimento di Sabrina?

Sabrina è un personaggio ciabattesco da manuale. Contiene illusioni, vanagloria, megalomania e tutte le spiacevolezze e le robe orrende che vorrei tanto poter dire di non aver mai sentito crescendo, ma nel credersela così tanto si smaschera da sola e ci offre anche la possibilità di trovarla patetica e vittima di un contesto altrettanto “piccolo”. È l’eterna lotta tra pezzenti e ricchi, ultime ruote del carro e blasonati dirigenti, umili ingranaggi e macchinari pesanti. Nel rifiutarsi di restare al proprio posto possono emergere virtù e meraviglie che migliorano l’universo, ma non è il caso dei Mannucci. In loro si riassume molto di quello che non va nella “catena alimentare”, ma fanno parte del problema. Sperare non è peccato, ma è l’assoluta ineleganza con cui falliscono a risultare ripugnante. Anche quella, però, è una pura questione d’apparenza. Volete leggere qualcosa di malvagio? Sabrina è qua per voi.

[Vi va di ascoltarlo come ho fatto io? Trovate I giorni felici di Teresa Ciabatti su Storytel. Vi ricordo che passando per di qua vi donano un periodo di prova gratuito “prolungato” – 30 giorni invece di due settimane.]

Di primo acchito, Clara legge Proust di Stéphane Carlier – tradotto da Ilaria Gaspari per i Supercoralli Einaudi – potrebbe sembrare un romanzo dell’ormai consolidato filone “piccola bottega in cui si approda un po’ a caso finendo però per trovarci il senso della vita grazie alle gioie sincere delle cose semplici e della gente tanto carina e piuttosto eccentrica che fa avanti e indietro” ma non siamo in Giappone e Clara, la protagonista, si è quasi già rotta le palle della piccola bottega in cui lavora. Le francesi di 23 anni funzionano diversamente dalle coetanee giapponesi che tanto volentieri importiamo, forse. La piccola bottega di Clara è un saloncino da parrucchiera di una cittadina come tante e lei passa le giornate ad acconciare chiome con discreta maestria ma senza particolare emozione o slancio. Tutta la sua esistenza gira un po’ così: un sereno tran tran che potrebbe proseguire immutato fino alla tomba – e nulla di male ci sarebbe, a patto di soffocare qua e là gli sbadigli. Clara intuisce un vago baratro esistenziale, ma tutto sommato le pare di cavarsela bene e non trova concrete ragioni per lamentarsi o per ambire a chissà quali sterzate nell’avventuroso ignoto.

Serpeggia insomma un’insoddisfazione blanda ma caparbia e le giornate si srotolano sempre uguali, con le chiacchiere tra una permanente e l’altra e le storie minute delle clienti. Un bel giorno, però, uno sconosciuto entra per farsi tagliare i capelli e si dimentica al salone il primo volume della Recherche di Proust. Clara non è una gran lettrice, ma si mette il libro in borsa e lo lascia a stagionare su uno scaffale di casa per qualche mese, senza badarci. JB, il suo aitantissimo fidanzato – per giunta pompiere -, è lì lì per usarlo come fermaporte, ma pure quella pare una decisione troppo ardita nel sonnecchioso ménage domestico. Un bel giorno 2, però, Clara piglia il libro e comincia a leggere… e MAGIA DELLA LETTERATURA tutto cambierà per sempre.

Il “risveglio” di Clara passa attraverso la lettura di un tomo multiforme, vasto e di difficile descrizione. Alla ricerca del tempo perduto credo sia in cima alle classifiche delle opere che fingiamo d’aver letto per darci un tono e per posizionarci fra i colti e i sapienti, ma l’unico moto di vera sincerità di Carlier – in un romanzo altrimenti MOLTO volpino – è l’assenza assoluta di barriere all’ingresso all’opera di Proust. Clara non si domanda se sarà capace di leggerlo, non si preoccupa di confrontarsi col Mostro Sacro, non ha nessuno da impressionare o nessuna prova d’intelligenza che le preme superare. Si siede lì e comincia a leggere, saltando probabilmente anche le 54 prefazioni che di solito accompagnano ogni edizione della Ricerca. Legge di gusto e per il gusto di percepire i personaggi come esseri umani suoi pari, in una bolla che per lei si dimostrerà rivelatoria e lontanissima da sovrastrutture o ansie da proiezione.

Io non ho ancora letto Proust e non so quanto Clara abbia scatenato in me desideri di emulazione. Ma sono contenta per lei, perché il suo approccio – anche al libro “difficile” per definizione – è molto sano. Clara legge Proust è una storia breve e piacevole, che forse si contraddice anche un po’, nonostante Clara non sia affatto spocchiosa: c’è un intento edificante, c’è l’idea antica della lettura che nobilita… e quest’idea “migliorativa” della lettura sottintende una certa gerarchia. O magari sono io, che non ho letto Proust e continuo a sentirmi in difetto… senza essere nemmeno capace di farmi la piega con disinvoltura.

[Segnalazioni pratiche di fruizione: su Storytel – dove l’ho ascoltato io – la lettrice che legge a voi Clara che legge Proust è Ilaria Gaspari, che ha tradotto il romanzo].

Il primo approccio con Georgette Heyer ha prodotto del sano svago e, come molti miei esperimenti, è passato per Storytel – lì lo trovate letto da Claudia Cassani, ma potete anche reperirlo nel catalogo Astoria. Heyer è nata nel 1902 ed è scomparsa negli anni Settanta, lasciandoci una nutrita eredità letteraria che probabilmente verrà saccheggiata a scopi televisivi quando anche l’ultimo rampollo del Bridgerton-verso convolerà a (giuste?) nozze. I suoi libri più fortunati sono ambientati nei salotti buoni dell’Inghilterra regency e, come vuole il canone, son pieni di signore linguacciute, nobiluomini che tornano inzaccherati dalla caccia e cameriere a cui affidare confidenze potenzialmente indecorose. Tutto questo è presente in Una donna di classe? Decisamente sì. E con un discreto piglio.

In questo caso specifico, ci trasferiamo a Bath insieme alla signorina Wychwood che, ricca sfondata e stufa marcia di sorbirsi cognata, nipotini e un fratello maggiore che la tratta con asfissiante paternalismo, decide di fare i bagagli e traslocare nella dimora cittadina di famiglia. Per non destare scandalo – CIELO, UNA VENTINOVENNE NON ANCORA MARITATA CHE VIVE SOLA! – le appioppano una cugina pedantissima come dama di compagnia, ma l’allegra brigata è destinata ad allargarsi. Lungo la strada per Bath, infatti, Lady Wychwood si imbatte in una carrozza in panne (espressione non adatta all’epoca, ma rende l’idea) e si sorprenderà più che disposta ad assistere i passeggeri appiedati, una ragazza in fuga e il suo riluttante accompagnatore…

Lady Wychwood troverà l’amore o finirà per cavarsela più che bene anche da “zitella”? Quante signore cadranno vittima di letali infreddature? Come si annoda una cravatta? Perché si offendono tutti con così tanta facilità? Mi sono divertita? Direi di sì, anche se a tratti è estremamente ridondante – quante volte dobbiamo ricapitolare una disavventura o un legame di parentela? Mille, forse. Nonostante certe lungaggini, però, è un libro piacevolmente arguto e trito al punto giusto da risultare rassicurante. A Bath non c’è l’Esselunga, ma all’inesorabile “marriage plot” non si scappa.

Sono in difficoltà. Anzi, fatico ad elaborare un parere razionale PERCHÉ SONO TUTTI INTOLLERABILI. Mi capita raramente, ma ogni tanto capita. Un personaggio solo si salva – e ho a più riprese cercato di gridargli SCAPPA ANIMA BELLA TU PUOI FARCELA ALTROVE, pur sapendo che non poteva sentirmi. Il tema è spinoso ma non sconosciuto da queste parti: Quello che non sai di Susy Galluzzo – che ho ascoltato su Storytel ma che trovate anche in libreria per Fazi Editore – è una storia di maternità e di assimilazione difficoltosa del ruolo. Ci sono responsabilità enormi che andrebbero rette insieme ma che finiscono solo per alimentare dei grandi dossier immaginari del “te l’avevo detto”, c’è il tema di un distacco impossibile perché c’è la paura di non servire più, c’è l’adolescenza e c’è l’abitudine orrenda di misurare col bilancino quanto ci si vuole bene, quanto si fa per la famiglia e a quanto si rinuncia – e non perché ci fa felici, ma per avere abbastanza elementi da rinfacciare alla controparte.

Il nostro punto di vista è quello di Michela, ex cardiochirurga di sopraffino talento che ora fa la mamma quasi a tempo pieno e deve gestire sostanzialmente per conto suo – perché suo marito Aurelio è ancora un medico impegnatissimo – una figlia protoadolescente “difficile”. Leggiamo quello che Michela sceglie di affidare a una specie di diario scritto per la madre, ormai scomparsa da una quindicina d’anni ma ancora ben viva nella memoria e snodo fondamentale della vicenda.

Tutti, qua, vivono gestendo un rancore invalidante.
Michela e sua figlia sono intrappolate in una simbiosi che soffoca entrambe e che si incrina sul tramontare dell’infanzia, lasciando la madre alle prese col vuoto e con una serie di gelosie meschine e la figlia sempre più avviluppata in rituali compulsivi e scatti d’ira. Michela non ne pare consapevole, ma sta facendo penitenza. Ilaria paga altrettanto involontariamente il fatto di non corrispondere alle aspettative, trasformandosi anche nel ricordo perenne di un grande abisso.L’evento che scatena una reazione a catena di scenate, aggressività e ostilità asfissianti è una macchina che arriva e sta per mettere sotto Ilaria, mentre Michela resta a guardare senza muovere un muscolo – pur avendo ampio margine per intervenire. Da lì e tutto finito, non c’è meschinità o colpo basso che si risparmino.

È un romanzo davvero indigesto ma potente – sarà anche l’ottima lettura di Teresa Saponangelo, che resta espressiva ma ben calibrata – da cui si riemerge quasi con disgusto, perché contrasta ogni immagine felicemente stereotipata e ci proietta invece in una dinamica basata sul risentimento e sull’impotenza, sul senso di colpa e sul bisogno asfittico di controllare tutto per non rischiare di tornare più in un angolo molto buio. Non lo so, forse funzionerebbe meglio se le circostanze di Michela non fossero così estreme, peculiari e fin troppo ben apparecchiate per utilizzare il trauma come spiegazione “plausibile”. Nell’essere tremendo e claustrofobico, però, è anche un romanzo spericolato e pieno di pietà, nonostante le numerose ruvidezze e la generosa distribuzione di situazioni iperboliche.

Claudia e Francesco condividono un legame antico. Un po’ dipende dalla fascinazione di lui e un po’ dalle circostanze: la madre di Francesco e il padre di Claudia sono amanti. Quando, ancora ragazzini, si trovano a dover imparare a convivere con questa realtà parallela – che sgretola famiglie “ufficiali” ma spalanca uno spazio di sentimento libero, nonostante tutto – diventano un punto di riferimento l’una per l’altro. In comune hanno più di quanto si potrebbe sospettare e, negli anni, nemmeno la distanza li separerà, perché quello che davvero li fonde è l’essere perennemente spostati rispetto al contesto a cui appartengono.
I ritmi del distacco sono diversi. Claudia sceglie di andarsene dalla Puglia appena può, prima per studiare a Milano e poi per lavorare all’estero. Francesco resta, ma la sua vita “reale” è nel contatto assiduo che mantiene con Claudia, in quello che capita a lei molto lontano – amori compresi. Quel che si dicono, le poesie che si leggono, la musica che si scambiano sono da sempre una rete di salvataggio e il muro di cinta del loro universo privato. Ma per quanto potranno continuare a sorreggersi “da lontano”?

Spatriati di Mario Desiati è un romanzo che si allontana dalla narrazione di relazioni “lineari” e dall’utilizzo dei luoghi come cornici neutre o mero sfondo. Claudia e Francesco abitano un limbo fluido che si apre a un’idea di famiglia come spazio interiore, di ricerca di identità e di sperimentazione sessuale. Racconta anche di una generazione che osa immaginare l’altrove e che colleziona sconfitte, facendo della possibilità di mutare la sua unica vera arma. Si va alla deriva e si accetta quest’estraneità strutturale, senza mai smettere di cercare. Quel che salva, quel che fa “casa” è chi ci vede per quel che siamo e che nel tempo ci ha permesso di scoprirlo.

Per buttarla in metafora astronomica, Claudia e Francesco sono una specie di sistema binario che funziona con una gravità tutta sua, accogliendo nella sua orbita erratica parecchie meteore – più o meno destinate alla permanenza. In realtà, però, quel che davvero si cerca è una stella polare – che ritroviamo sempre anche se cambiamo latitudine. E c’è chi nella sua latitudine non si amalgama mai, ma ha avuto l’occhio lungo di scegliersi una stella polare molto brillante.

Dunque, sono sempre molto avvinta dai libri che usano la struttura come un elemento “strategico” che contribuisce a costruire la narrazione. In Tre piani di Eshkol Nevo, il gioco di prestigio si esplicita su diversi livelli. La base “architettonica” è una palazzina di tre piani in un quartiere residenziale di Tel Aviv. Il romanzo dedica una sezione a ogni piano, addentrandosi nelle vite, nei tormenti e nelle ripartenze di chi abita lì.

La suddivisione materiale del palazzo diventa anche la base per una metafora ulteriore: ogni piano rappresenta una componente freudiana della personalità e mette in scena, con le storie delle famiglie che occupano quei piani, l’idea di Es, Io e Super-io.
I piani, proprio come accade tra vicini di casa in un contesto non particolarmente vasto, presentano punti di frattura e di permeabilità: le persone si incontrano, si sfiorano ed esercitano un’influenza più o meno marcata sulle esistenze degli altri condomini, così come gli “scomparti” della nostra personalità non esistono nel vuoto, ma contribuiscono a un “chi siamo” complessivo.

Serve una laurea in psicologia per approcciarsi a questo romanzo? Direi di no. Anzi, la suddivisione dei piani scandisce il ritmo delle storie, che restano umanissime, vive e complesse, senza il rischio di farci scivolare nel pippone indigeribile. Nevo ha un indiscutibile talento per il dettaglio rivelatore e per la narrazione del quotidiano – tanti minuscoli accidenti dell’ordinario, tanti sfondoni istintivi e tradimenti silenziosi diventano, insieme a quanto di positivo possiamo ricavare dalla vicinanza, un ritratto formidabile di come ci relazioniamo con gli altri e di come proteggiamo noi stessi dal male e dal disastro, non sempre vincendo.

Nota di fruizione: ho ascoltato Tre piani su Storytel. L’audiolibro affida ogni piano a un lettore diverso – come mi pare anche appropriato, dato che tre sono le diverse prospettive e i tre mondi in cui Nevo ci trascina. La scelta del terzetto è quantomai felice: Adriano Giannini, Alba Rohrwacher e Margherita Buy.
Se vi va di ascoltarlo, rammento sempre che a questo link c’è un mese di prova gratuita per collaudare Storytel.

Allora, per essere una lista è effettivamente una lista, ma trattandosi di audiolibri dovrei forse osare di più? UNA COMPILATION. E siamo subito al Festivalbar.
Premesse superflue a parte, ecco qua un sintetico e funzionale ricapitolino degli ultimi ascolti su Storytel. C’è un po’ di tutto. Si ride, ci si ama in modo struggente, ci si spaventa perché c’è il gas aperto, si parla di donne notevoli e ci si fa prendere a pesci in faccia perché ci andrebbe di scrivere qualcosa.
Procediamo – e al fondo, come di consueto, trovate anche il link per il collaudo gratuito di un mese.

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Carmen Totaro
Un bacio dietro al ginocchio

Letto da Iaia Forte
Una madre, una figlia e un cataclisma che avanza silenzioso per anni, alimentato da una bugia che diventa troppo pesante da portare. Si comincia uscendo allegramente a cena per il compleanno di una ragazza che, in teoria, sta scrivendo la tesi, ma la serata termina con una porta chiusa e il vicinato intero radunato sul pianerottolo. Cos’è che Ada – la madre – si rifiuta di vedere? E perché sua figlia è così ferocemente intenzionata a fuggire da lei?
Un romanzo – quasi un noir psicologico, mi verrebbe da dire – fatto di donne imperfette, sorde, inadeguate e cocciute, che non sanno come stare insieme ma non sanno nemmeno come lasciarsi andare davvero.

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Francesco Muzzopappa
Figurine
Letto dall’autore
Pubblicitari insopportabili che mangiano pesce crudo, insetti temibili, teatro dell’assurdo, balere piene di anziani instancabili, tecniche di marketing autolesioniste e italico folklore: Muzzopappa è diventato uno dei miei punti di riferimento sul fronte dello svago. Quando ho bisogno di qualcosa di leggero, arguto e simpatico vado a bussare alla sua porta. Figurine è una raccolta di racconti quotidianissimi fra il buffo e il surreale, dieci episodi tragicomicamente vissuti che vi doneranno un paio d’ore di serena evasione.

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Vanni Santoni
La scrittura non si insegna
Letto da Gerry Gherardi
Vanni Santoni, per provare a presentarlo in maniera al tempo stesso riduttiva ma anche piuttosto accurata, è “uno di quelli che s’intende di editoria”. I libri li fa, li racconta e cerca anche di insegnare a scriverli, per quanto il compito sia arduo se non impossibile. La scrittura non si insegna non è un manuale di scrittura creativa e nemmeno un prodigioso decalogo dei passi fondamentali per scalare le classifiche e farvi tirar su monumenti davanti alle più blasonate biblioteche italiane. Più che altro è un libro che mira a non farvi perdere tempo, mettendo in fila quelle poche ma fondamentali domande che dovreste farvi prima ancora di coltivare ambizioni romanzesche. C’è un po’ di funzionamento del “mondo dell’editoria”, molto sull’importanza di leggere tanto per prendere meglio le misure, un pizzico di metodo di lavoro e, in generale, il cordiale ma fermo tentativo di scoraggiarvi.

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Igiaba Scego & Esther Elisha
Tell me mama
Come ormai ben sappiamo, Storytel ospita anche una vasta schiera di podcast originali. Tra le novità che ho accolto con più curiosità in questi mesi c’è Tell me mama di Igiaba Scego – ho iniziato a fare amicizia con lei partendo da La mia casa è dove sono, sempre su Storytel – e Esther Elisha, entrambe afroitaliane e molto attive nel testimoniare, scrivendo o recitando, che cosa significa davvero, oggi, in Italia, essere figlie di un mix culturale e promotrici di una visione del mondo più ricca, equa e sfaccettata. Tell me mama è allo stesso tempo una chiacchiera tra amiche e l’esplorazione, puntata per puntata, della storia di una donna afrodiscendente che, negli ambiti più disparati, si è fatta portavoce di novità e cambiamento. Ho cominciato dalla puntata dedicata a Bernardine Evaristo, perché Ragazza, donna, altro è uno dei libri che più ho amato quest’anno.

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André Aciman
Chiamami col tuo nome
Letto da Andrea Oldani
Non so dov’ero, quand’è uscito il film. Credo di essere rimasta l’unica al mondo a non averlo visto. Dato che al ritardo non si poteva più rimediare, ho deciso di ascoltare prima il libro e buonanotte. Arriveremo anche a Guadagnino, prima o poi, anche se dubito di riuscire a superare il sospetto che Armie Hammer voglia, in realtà, mangiare Timothée Chalamet. Tornando a noi, però, mi sentirei di incoraggiarvi a partecipare agli struggimenti di Elio e Oliver, perché è un libro che racconta l’amore come forma di riconoscimento, come evento totale che non sempre può durare nel tempo ma che al tempo ci restituisce irrimediabilmente modificati. È un romanzo che contiene sia la stella luminosa dell’amore corrisposto – e il percorso sempre miracoloso della scoperta di questa reciprocità – che la tragedia totale di un equilibrio irripetibile di circostanze perfette. Volete patire? A posto. Volete sperare? Benissimo anche in quel caso.

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Utilità pratiche.
Per altri consigli su cosa ascoltare su Storytel, vi rimando all’ormai nutrito archivio di COMPILATION a tema
Non avete mai collaudato Storytel? Ecco qua un bel mese di prova gratuita.

Buone nuove in tempi grami: gli audiolibri continuano a sostenermi. Dopo un doveroso classico – Le notti bianche di Dostoevskij, sentito per fortuna quando l’allegria ancora ci attorniava -, La corsara di Sandra Petrignani – che ha triggerato un approfondimento ginzburghiano di tutto rispetto – e Cos’è l’America del sempre gradito Francesco Costa, mi sto sollazzando con Questione di Costanza di Alessia Gazzola – che il cielo la preservi.
Ma ci troviamo qua riuniti, oggi, perché Storytel ha recentemente caricato una valanga di nuovi titoli (quasi DUECENTO, signora mia) del gruppo Mondadori, suscitando in me insopprimibili impulsi di aggiornamento della libreria dei futuri ascolti. Per chi fosse poco aggiornato sulla struttura molecolare del gruppo Mondadori, i copiosi editori coinvolti sono i seguenti: Mondadori (Capitan Ovvio, ti salutiamo), Einaudi, Piemme, Sperling & Kupfer e Rizzoli.
Per la vostra e la mia utilità, dunque, ecco una piccola panoramica di quello che potrete allegramente ascoltare d’ora in poi. La bislacca categorizzazione è opera mia, sollevo Storytel da ogni responsabilità.

Narrativona bestsellerona

Non so niente della Kinsella, ma sappiate che si può or ora andare a fare shopping con lei in tutte le salse, in ogni grande capitale del mondo e con i budget più disparati. Il più caloroso benvenuto anche al buon Ken Follett – che ho visto esibirsi a Pietrasanta con il suo gruppo musicale e mai lo dimenticherò, soprattutto perché indossava una camicia Versace tempestata di foglie dorate ed era visibilmente FELICISSIMO di stare al mondo – che approda sulla piattaforma con i suoi cavalli di battaglia, dai Pilastri della terra al Mondo senza fine. Su le mani anche per Zafón che appare con L’ombra del ventoIl labirinto degli spiriti. Spolverata disinvolta di ulteriori autori: Corrado Augias, Cecilia Ahern, Anna Todd – e i suoi innumerevoli After -, David Grossman con Qualcuno con cui correre, John Green con Colpa delle stelle e Sandrone Dazieri. Mi sento anche di citare Geronimo Stilton, perché sarà anche un ratto saputello col panciotto, ma i suoi libri sono indiscutibilmente dei bestseller.
Capolavoro definitivo: Ascolta il mio cuore di Bianca Pitzorno.
Sincere ambizioni mie: Sveva Casati Modignani. Sento di dover colmare questa lacuna.

Raccomandabili per direttissima (o quasi)

Rullo di tamburi: il primo Neil Gaiman in italiano! Ora, Neil Gaiman è anche un lettore splendido e moltissimi dei suoi lavori sono disponibili in lingua originale con la sua interpretazione (provateci, se il vostro inglese non è troppo zoppicante), ma non posso che rallegrarmi per la comparsa di Coraline nell’idioma che tutti quanti padroneggiamo. Speriamo sia il primo di una lunga serie. Io, nel frattempo, ne ho approfittato per aggiungere alla libreria anche Trigger Warning, una raccolta di racconti che bramo da tempo, e Smoke and  Mirrors, il suo debutto.
Gradita apparizione – per scalatori e non – è sicuramente Paolo Cognetti con Le otto montagne Senza mai arrivare in cima. Se, invece, vi va di addentrarvi in una maestosa saga familiare, procedete spediti con Stirpe di Marcello Fois (che legge anche), il primo capitolo della saga degli sventurati ma coriacei Chironi. Per affilare l’ironia e ridere amaramente del presente, invece, c’è Superficie di Diego De Silva – narrato dall’autore e da Luciana Littizzetto. Non se la prendano gli altri, ma la mia novità “preferita” è senza dubbio L’arminuta di Donatella Di Pietrantonio, interpretato qui da Jasmine Trinca.
E un classico? Che problema c’è: La luna e i falò di Cesare Pavese.

Personalissime curiosità

Dopo molteplici e attente consultazioni, nella mia libreria sono arrivati Il tunnel di Abraham B. Yehoshua, La misura eroica di Andrea Marcolongo – gli Argonauti! Giasone! Medea! -, Hotel Silence dell’islandese Audur Ava Ólafsdóttir – che avevo già trovato godibilissima con Rosa candida – e Gli immortalisti di Benjamin Chole – quattro fratelli, nell’estate del 1969, decidono di farsi rivelare da una veggente l’anno in cui moriranno, imprimendo una deformazione definitiva sui rispettivi futuri. Poi, ho scoperto che Bird Box – che vorrei finire di vedere su Netflix, dato che al primo tentativo abbiamo interrotto per il sopraggiungere di un’eccessiva angoscia – nasce da un libro di Josh Malerman che potrò comodamente sentirmi senza l’ausilio di Sandra Bullock. Visto che siamo in tema serie tv, c’è anche Killing Eve di Luke Jennings – prima lo ascolto e poi me lo guardo, a questo punto. Per concludere, direi di gettarci a capofitto nella divulgazione con Le mie risposte alle grandi domande di Stephen Hawking.

Non vi siete ancora cimentati con gli audiolibri? È un’abitudine assai piacevole e opportuna. Se vi va, cliccando qui si può collaudare Storytel per un mese senza cacciare una lira. 
Vi siete già cimentati con gli audiolibri? Spero vivamente che questa ricognizione possa rimpinguare le vostre librerie e intrattenere le vostre voraci menti – più o meno recluse.

 

Spero che nessuno mi affidi mai un gregge di pecore. Sarei in grado di accudirne una manciata, lasciando sprofondare le altre in un crepaccio senza fondo. Ecco, con gli audiolibri è un po’ la stessa cosa. Ne finisco parecchi ma non per tutti imbastisco un discorso. E non perché non si tratti di ascolti meritevoli d’attenzione, ma perché le mie giornate stanno diventando un susseguirsi di treni metaforici che lasciano la stazione prima che io riesca a salirci sopra. Si rende dunque necessario, di tanto in tanto, un sano e confortante recap di quello che imparo, apprezzo e assimilo lungo la strada – perché poi vado a piedi, visto che perdo i treni.
Un altro fenomeno consolante? La “gente” ama le liste. E anch’io devo riconoscerne l’indubbia funzionalità.
Ecco qua, quindi, un piccolo gregge di ascolti recenti scovati su Storytel che mi sento di applaudire e di diffondere con gioia.

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Grazia Deledda – Canne al vento
Letto da Michela Murgia
(7h 9m)
Gli audiolibri stanno innescando un fenomeno curioso – almeno nel mio cervello. Ci sono classici che non ho letto da piccola o classici che non ho apprezzato/compreso quando me li hanno ficcati in gola durante la scuola dell’obbligo. Solo in rari casi ho trovato la spinta per prendere in mano il libro e recuperare il tempo perso, ma mi sto accorgendo che l’ascolto può essere una soluzione preziosa per colmare le vaste lacune che ancora mi affliggono. Ecco, Canne al vento appartiene all’insieme dei romanzi mai letti – e pure di quelli che in classe non sono mai entrati. Perché? Chi lo sa. Da quello che racconta Michela Murgia nella preziosa introduzione al romanzo (perché sì, legge Canne al vento e ha curato anche l’introduzione), la mia professoressa di italiano non è stata l’unica a dribblare con disinvoltura la Deledda e, da quanto ho scoperto, un intero mondo. Canne al vento – come ho ascoltato da un’altra parte, forse in una chiacchierata tra la Murgia e Chiara Valerio – è quasi un romanzo gotico, ma alla luce del sole. Il buio è popolato di fantasmi e spiriti catalogati con precisione dalla tradizione sarda, ma è il sole implacabile delle giornate caldissime d’estate che sconvolge le menti e fa tremare di febbre i corpi. È al sole che si smaltiscono le conseguenze dei gesti estremi notturni e che si cerca di trovare, invano, la pace.
Per approfondire – e capire perché vale la pena fare amicizia con la Deledda – ecco qua l’introduzione di Michela Murgia.

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Chimamanda Ngozi Adichie – The Arrangements
Letto da January LaVoy
(31m)
Un esperimento narrativo che tenta di rispondere alla seguente domanda: ma cosa succede nella testa di Melania Trump? Il New York Times ha commissionato alla Adichie, nel 2016, un pezzo sulla campagna presidenziale. Il risultato è questo racconto di taglio “domestico”, che attinge dai ben noti manierismi di Donald e da quello che possiamo concretamente “vedere” (anche se preferiremmo farne a meno) per ipotizzare quello che si nasconde sotto la superficie e per provare a dare una voce a una donna che ci viene solitamente presentata come un’entità da osservare e non una persona da ascoltare.
[L’inglese di January LaVoy è altamente comprensibile e la sua “resa” delle battute di Trump è terrificante nella sua accuratezza].

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Philip Roth – La macchia umana
Letto da Paolo Pierobon
(15h 35m)

Non c’è di sicuro bisogno che lo faccia notare io, ma Roth è stato un impareggiabile esploratore della mente umana. I suoi personaggi sono sconfinati, si propagano in tutte le direzioni temporali e diventano a ogni riga più ricchi, veri, complicati e memorabili. La macchia umana è la storia di un fardello portato per una vita intera, di un segreto così ben nascosto da trasformarsi (accidentalmente) in un’accusa paradossale. Coleman Silk, stimato e temuto professore di Lettere Classiche all’Athena College, viene allontanato dall’università in seguito a un’accusa pretestuosa di razzismo. La cacciata (con disonore) e la sua relazione con una donna analfabeta molto più giovane di lui (e “socialmente” inadatta per un personaggio del suo calibro) sono due emblematici punti di ingresso che ci permetteranno di esplorare il “continente Silk” e l’architettura di una menzogna così vasta da fagocitare un’esistenza intera, senza risparmiare chi si incontra lungo in cammino. Ogni personaggio è una digressione nella digressione, un ingranaggio vivo che contribuisce a reggere (o a sgretolare) le tante maschere che portiamo.
[Non me ne voglia Luca Marinelli, mirabile lettore del Lamento di Portnoy… ma Paolo Pierobon è un Roth perfetto].

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Annie Ernaux – Il posto
Letto da Sonia Bergamasco
(2h
13m)
Una figlia “lontana” torna a casa per seppellire il padre. Quel che dissotterra, nel mentre, è il microcosmo della provincia francese dopo la Seconda Guerra Mondiale, il percorso di una famiglia che arranca per affrancarsi dal mondo operaio in un piccolo paese fatto di spacci e botteghe, di linguaggi condivisi e di goffi tentativi di avvicinamento a un benessere borghese che non potrà mai essere compreso e assimilato del tutto. È un racconto a metà tra l’autobiografia e l’indagine sociologica, una collezione di scorci di storia materiale e di gesti emblematici, tra il fiero e il patetico, tra franchezza e nostalgia per le distanze mai colmate. Splendido.
[All’inizio il tono di Sonia Bergamasco potrebbe sembrarvi un po’ troppo dolente, ma non ci metterete molto a rendervi conto che ha ragione lei].

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Andrea Camilleri – Ora dimmi di te. Lettera a Matilda
Letto da Rosario Lisma
(2h 18m)
Cosa si può lasciare in eredità a un’amatissima pronipote, quando la scrittura fa parte del tuo essere e sai anche che non avrai il tempo di vederla crescere? Ora dimmi di te è una lettera affettuosa e limpida che ripercorre le tappe fondamentali della vita di un autore amatissimo e di un uomo poco incline al compromesso. Si apre quasi con una lezione di storia – per aiutare i futuri adulti a riconoscere il male, mi è venuto da pensare – e prosegue con una carrellata di avventure professionali e personali narrate con ben poca autoindulgenza e una schietta autoironia. È davvero il tempo e la volontà di riflettere su quello che ci capita a renderci più saggi? Dopo aver ascoltato Camilleri tenderei a propendere per il sì.
[Sono passata da Storytel quando Rosario Lisma stava registrando questo libro… e l’ho pure disturbato. Ascoltando percepirete quello che ho visto io, sbirciando in cabina: una persona che legge sorridendo].

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Ilaria Bernardini – Faremo foresta
Letto da Ilaria Bernardini
(5h 2m)
La prima parte del libro è un susseguirsi di catastrofi ospedaliere, ma tenete duro. Il fatto che il corpo possa tradirci e poi tornare pian piano a funzionare è uno dei tanti fattori che contribuiscono a far crescere una foresta rigogliosa. La metafora vegetale sostiene l’intero romanzo che, di fatto, è la storia di una famiglia che si disgrega e che impara gradualmente a riconfigurarsi per ospitare identità nuove, case nuove, amori nuovi, ricordi nuovi. C’è una mamma che scrive e c’è un figlio che assimila il cambiamento e c’è, in generale, una coppia che affronta la fine naturale di un sentimento – che forse è anche la più difficile, perché non implica eventi catastrofici contro cui accanirsi o nemici da detestare, ma il terribile orizzonte piatto di un amore che si spegne. Ma la siccità finisce e i terrazzi tornano a fiorire. Ci vuole aiuto, ci vuole del tempo, ci vuole fiducia. Ma si fa – e si racconta anche.
[A meno di eclatanti eccezioni, gli autori sono i lettori che apprezzo di più. Perché è roba loro. Conoscono il ritmo, sanno quel che volevano dire, non devono ipotizzare intonazioni o acrobazie. Ecco, Ilaria Bernardini è piacevolissima da leggere e anche da sentire].

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