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Ci siamo. Lo so, l’immagine di copertina di queste guide ai doni di Natale editorial-letterari diventa di anno in anno più grottesca, ma dispongo di un senso dell’umorismo davvero elementare e mi basta pochissimo per divertirmi. Parto con la solita tiritera delle premesse metodologiche.

Cosa troverete in questo listone? Le strenne. Le strenne si configurano come idee-regalo efficaci perché sono libri dal perimetro tematico molto chiaro e perché sono tendenzialmente degli oggetti “belli”. Insomma, edizioni curate che offrono una buona risposta a un interesse dichiarato e manifesto. Ogni anno faccio il possibile per coprire un ampio ventaglio di argomenti ma, in quanto frutto di una selezione soggettiva, tendono a finirci inevitabilmente dentro delle proposte che rispondono anche alle mie fissazioni e alle mie curiosità. Mi auguro possano coincidere con quelle delle persone a cui vi va di fare un regalo… o con le vostre.

Al fondo del post troverete ulteriori collegamenti per esplorare le liste degli anni passati e vi esorto a spulciare ben bene anche gli eventuali paragrafetti che concludono le singole “schede”, perché anche lì troverete suggestioni e indicazioni aggiuntive. Non sono stata lì a contare, ma quella di quest’anno è largamente la lista più nutrita che mi sia capitato di comporre. Spero possa essere d’aiuto.

[Sì, la lista contiene dei link di affiliazione. Nulla vi vieta di prendere nota dei titoli e di andare a procurarveli nella vostra libreria di fiducia o nei luoghi che frequentate abitualmente, ci mancherebbe altro.]

Procedo.


Hjörleifur Hjartarson & Rán Flygenring
Il libro segreto degli elfi d’Islanda
IPERBOREA

Traduzione di Silvia Cosimini

Per chi ha già esplorato gli sconvolgenti paesaggi vulcanico-ghiacciati e per chi continua a sognare d’andarci, una mattissima ricognizione di un pezzo molto significativo del folklore islandese: gli elfi. Che fanno, dove si nascondono, come interagiscono con gli esseri umani, di quali prodigi o iatture sono responsabili. Un curiosissimo viaggio che mescola racconto, illustrazione, meta-contributi, epoche e registri diversi per coltivare miti e comprendere come continuino a persistere nella storia culturale del presente.

Paesaggi gelati e incontri che squarciano il velo della realtà? Possiamo orientarci anche su Susanna Clarke – già dal mondo acclamatissima per Jonathan Strange & il signor Norrell (stupendo) e per Piranesi (lo dovrei leggere ma non ci sono ancora arrivata). Anche Il bosco d’inverno (Fazi) fa parte del medesimo universo e racconta di una ragazza inquieta – come tutte le sante – che comprende meglio la natura e le bestie di quanto capisca le persone. È smilzissimo ma deliziosamente illustrato e sia per formato che per copertina ricorda le fiabe di Coralie Bickford Smith.
Altre fantasticherie? L’Ippocampo sta creando una mini-collana illustrata per mappare le entità leggendarie: streghe, fate, mostri, draghi.


Laura Pasquini
Il diavolo | Storia iconografica del male
CAROCCI

La festività che celebra la nascita del Bambin Gesù potrebbe essere quella meno opportuna per presentarsi con un tomo riccamente illustrato che indaga la parabola iconografica del demonio, ma chi sono io per moralizzarvi. Anzi, sono prontissima ad accompagnarvi fino all’Albero della Conoscenza e a indicarvi la mela più matura. Pasquini parte dalla remotissima antichità per approdare al presente e, tra code puntute e lingue di fuoco, ricostruisce il percorso figurativo del diavolo e le molte facce che nel corso dei secoli ha deciso di “indossare” per tentarci. Una magnifica panoramica per il più temibile degli avversari.

Un corollario? Di diavoli Gustave Doré ne ha sicuramente raffigurati parecchi… e non solo nel “suo” Inferno dantesco. Per ritrovarli e per esplorare il vasto rapporto di Doré con il mitologico e il fantastico c’è un volumone notevole uscito per l’Ippocampo.


The Christmas Book
PHAIDON/MARSILIO ARTE

Tradizione, folklore, immaginario pop, giocattoli, addobbi, abeti, pacchetti, renne, musica… il Natale è un costrutto multiforme in cui convergono usanze, fede, riti turbocapitalistici e speranze umane d’ogni sorta. The Christmas Book – ideato da Phaidon e pubblicato qui in Italia in una co-edizione con Marsilio Arte – ambisce a raccontarci che cos’è (e che cos’è diventato) il Natale a partire da una sterminata molteplicità di contributi visivi commentati, dalla storia dell’arte alla pubblicità, dal cibo ai riti collettivi.


Giulia Depentor
Dinastia | Alla ricerca della tua storia di famiglia tra segreti e misteri
FELTRINELLI

La ricerca autoriale di Giulia Depentor si è in prevalenza concentrata sui cimiteri e sulla valenza culturale dei riti funebri. Non sarà un tema particolarmente festoso, va bene, ma è senza dubbio curioso e ricchissimo di spunti, storia e sorprese. Anche Dinastia si occupa di memoria, incoraggiandoci però a ricostruire le gesta dei trapassati attraverso gli strumenti della genealogia e parecchio spirito investigativo. Insomma, in questo libro troverete Depentor che va volenterosamente alla ricerca dei suoi avi ma anche una guida pratica per far luce sulla vostra storia “dinastica”.


Jens Andersen
Lego | Una storia di famiglia
SALANI

A Ole Kirk Kristiansen, falegname di campagna, dobbiamo molte gioie, anche se la “sua” Lego era incomparabilmente più piccola di quella che conosciamo oggi. Tutto inizia in Danimarca nel 1934 e, tra innovazioni, invenzioni geniali e abbondante spirito d’adattamento, nasce un impero – rigorosamente fatto di mattoncini. Questo libro, autorizzato e benedetto dagli stessi Kristiansen, ricostruisce la storia delle tre generazioni che hanno contribuito al successo planetario della Lego, tra cronaca aziendale e saga di famiglia.


Sofia Coppola
Archive
MACK BOOKS

Dalle Vergini suicidePriscilla, questo tomone poderoso – curato dalla stessa Coppola – raccoglie i materiali più significativi che hanno accompagnato la regista durante la produzione dei suoi film. Alla conclusione di ogni lavoro, Coppola inscatolava tutto quello che le era servito in fase di sceneggiatura, riprese, definizione della scenografia, costumi, bozzetti, foto scattate sul set e memorabilia di ogni genere. Ecco, dopo aver accumulato parecchi scatoloni, ha deciso di aprire il suo notevole archivio e di riorganizzare i reperti più salienti in questo libro.

E in italiano cosa c’è? Potete orientarvi felicemente su Sofia Coppola: Forever Young di Hannah Strong, uscito per Il Saggiatore. 


Kate Strasdin
Il diario di Mrs Anne Skyes | Una vita in abiti e stoffe
FELTRINELLI

Traduzione di Mariagiulia Castagnone

Strasdin è una storica della moda e, nel 2016, ha ritrovato in fondo a un vetusto baule un album unico nel suo genere. Iniziato nel 1838 da una giovane donna inglese assai meticolosa, l’album conteneva numerosissimi scampoli di stoffa “commentati”. Tra annotazioni biografiche, viaggi, coordinate spaziotemporali e occasioni mondane ben catalogate, Strasdin ha studiato a fondo l’album per ricomporre in questo libro la parabola personale della sua proprietaria e lo spaccato sartorial-sociale di un’epoca intera.

Vogliamo intripparci ulteriormente con orditi, trame e filati? Da Gribaudo trovate anche La grammatica dei tessuti di Michela Finaurini. Potrebbe interessarvi un’incursione negli archivi inestimabili del Musée de l’Impression sur Étoffes di Mulhouse – già luogo di pellegrinaggio per chiunque crei abiti? Ci ha pensato Taschen con i due volumi di The Book of Printed Fabrics | From the 16th century until today
Ulteriore corollario: ci sono persone di vostra conoscenza che vogliono approcciarsi al lavoro a maglia? Perfetto, qua c’è Knit, knit, knit! di Sara Menetti (Feltrinelli), un manuale illustrato sull’arte di sferruzzare. Volete imparare a rammendare a livello squisitamente pratico ma volete anche assimilare i valori filosofico-conservativi legati al rammendo? C’è Con ago e filo. Un manuale per rammendare abiti, abitudini e cuori di Sonya e Nina Montenegro (Quinto Quarto).


Camilla Sernagiotto
Senza scadenza | L’intramontabile packaging made in Italy
ULTRA

Per il Team Nostalgia e per chi ama esclamare “ah, ai miei tempi saltavamo i fossi per il lungo!” ma anche per chi nutre un più che legittimo interesse per il packaging e per la grafica commerciale, Senza scadenza è un’avvincente enciclopedia visiva dei prodotti più caratteristici della storia industriale italiana.

Delle amarene Fabbri vi intriga più il lettering che la confezione? Non c’è problema, pure quello è assolutamente fondamentale e potrete approfondirne numerosi aspetti in Thinking with type. Tipografia e progettazione grafica: una guida critica di Ellen Lupton per Quinto Quarto.


Fornasetti | Memorie del futuro
ELECTA

La bellezza devastante dell’immaginario fornasettiano non ha bisogno di particolari presentazioni. Piero fonda il marchio negli anni Quaranta e Barnaba, il figlio, ne raccoglie l’eredità, valorizzando gli archivi paterni e traghettando il marchio verso i vasti orizzonti internazionali. Tra arte, design, fantasia originalissima e soluzioni disallineate, quello di Fornasetti è un universo creativo unico. Questo librone è un po’ il “greatest hits” del marchio, una retrospettiva museale sfogliabile e anche un buon premio di consolazione, visto che le seggiole con lo schienale a forma di capitello io non me le posso ancora permettere anche se le amo di un amore puro, sconfinato e assoluto.


Matthew Shindell
La luna. Miti, scienza e mappe
EINAUDI
Traduzione di Daniele A. Gewurz

I Saggi Einaudi hanno una gabbia molto riconoscibile e codificata. Sì, sono dei libroni rigorosi e spesso sono accompagnati da apparati iconografici d’eccezione, ma capita molto di rado di imbattersi in un esemplare di questo tipo, sia per formato che per veste grafica “indipendente”. La luna è un compendio eclettico del sapere astronomico accumulato dall’umanità a proposito del nostro nobile satellite ma anche un viaggio nella leggenda e nel mito, una spedizione – corredata da mappe e da un notevole dispiegamento di forze visive – fatta di scienza, storia, arte e suggestioni popolari. Tifo indiavolato per i Saggi fuori formato.


Elizabeth Stamp
150 librerie da vedere almeno una volta nella vita
24ORE CULTURA

Qua vorrei dire SENTI ELIZABETH FAREMO IL POSSIBILE POTRESTI ANCHE NON METTERLA GIÙ COSÌ PERENTORIA ma la verità è che vorrei prendere in mano questa guida ragionata delle librerie più piacevoli e avvenenti del mondo e salire sulla prima metro per Linate. Turismo bibliofilo, ce lo meriteremmo.

Orizzonti geografici leggermente meno ambiziosi ma comunque suggestivi? C’è Andare per i luoghi dell’editoria di Roberto Cicala per “Ritrovare l’Italia”, meravigliosa collana del Mulino che molte peregrinazioni mirate potrebbe ispirare.


Peter Brown
Il robot selvaggio
SALANI

Traduzione di Dida Paggi

Non infilo quasi mai della narrativa-narrativa nei listoni delle strenne perché quelli sono suggerimenti che rispondono a tutto un altro ordine di criteri, per quanto mi riguarda. Può accadere nel caso di edizioni speciali di particolare pregio – spesso per i classici – o per libri che penso contengano una lucina eccezionale che può davvero far bene in maniera indiscriminata praticamente a tutti. Il robot selvaggio ci ha trasformati in fagotti singhiozzanti al cinema, ma vi farei volentieri notare che la storia comincia da qui. Per chi ha amato il film e vuole il libro da coccolare ma anche per chi non sa niente del film e ha semplicemente bisogno di una storia dotata di cuore.


A cura di Maria Luisa Frisa
I racconti della moda
EINAUDI

Mentre continuiamo a gridare NON È AZZURRO È CERULEO!11!!1 e cerchiamo di capire perché all’improvviso dobbiamo tutte quante rimetterci i mocassini, la moda sta già pensando a come dovremo vestirci l’anno prossimo. Di moda si parla per strada, nei camerini, sulla stampa più o meno specializzata, in ogni più remoto angolo dei social, alle conferenze sul clima, nei consigli d’amministrazione e nelle aule universitarie. Vuoi che non se ne parli nei libri? Frisa raccoglie in quest’antologia “tematica” una selezione di racconti – decisamente illustri -, contributi e inchieste che ben si collocano in uno dei tanti vortici propulsivi che rendono la moda una forza viva, pronta a investirci con la sua carica estetica, artistica e sentimentale.

Bonus track: Alessandro Michele che dialoga con Andrea Coccia e ci spiega da dove vengono tutti gli incantesimi che in questi anni ha disegnato.


A cura di Michela Dentamaro
Crear sé stessa – Vol.I | Storia della moda raccontata dalle scrittrici

RINA EDIZIONI

Restiamo nel territorio della moda con un altro progetto antologico davvero fascinoso, frutto di un lavoro improbo d’archivio e arricchito dalla prefazione di Olga Campofreda, da numerose illustrazioni originali e da un inserto cartamodellistico. Questo primo volume (a cui ne seguirà un altro) raccoglie una selezione di scritti e articoli di moda firmati da autrici italiane usciti dagli anni ’70 dell’Ottocento agli anni ’20 del Novecento. Sibilla Aleramo, Mara Antelling, Contessa Lara, Rosa Genoni, Marchesa Colombi, Olga Ossani, Matilde Serao… tutte si sono cimentate con il racconto di stili, tendenze, abbigliamento e muliebri occupazioni. I giornali “da donna” erano relegati ai gradini più bassi della catena alimentare e giudicati privi di una vera rilevanza culturale – che novità, vero? – ma hanno configurato uno spazio d’azione inedito per l’affermazione professionale delle voci femminili, trasformandosi anche in un’arena di riflessione autentica sulla condizione della donna nella società. Testimonianze preziose e rivelatorie, che possono continuare a parlarci anche oggi.


Nick Pachelli
The Tennis Court | A Journey to Discover the World’s Greatest Tennis Courts
WORD UNITED

Dunque, da quando me lo sono regalato in settembre non pare sia uscita un’edizione italiana, ma facciamo che siamo tutta gente di mondo e possiamo apprezzarlo lo stesso. The Tennis Court è un progetto fotogiornalistico che raccoglie circa 200 ragguardevoli campi da tennis, che Pachelli ritrae e descrive dagli angoli più imprevedibili del pianeta. Ci sono gli stadi degli Slam ma anche i circoli celebri, i campi geograficamente remoti e i più insoliti. Il risultato è una celebrazione visiva del tennis come luogo d’incontro, impresa sportiva e atto estetico. Beccati questo, padel.

Altri suggerimenti per rallegrare chi apprezza questo sport? Il tennis come esperienza religiosa di David Foster Wallace, il tomone principesco che Roger Federer ha composto con Assouline come biografia visuale della sua carriera, un abbonamento al Tennis Italiano – storica rivista mensile ben rilanciata da Fandango -, Open di Andre Agassicosì non m’accusate di dimenticanze illustri e Vite brevi di tennisti eminenti di Matteo Codignola (Adelphi).


Miranda Smith
Un dinosauro al giorno
NORD SUD

Non ho la minima intenzione di confinare i dinosauri alle proposte editoriali per l’infanzia, soprattutto se possono farci compagnia per 365 giorni in tutta la loro multiforme varietà. Questo atlante illustrato ci farà fare amicizia, scheda per scheda, con un dinosauro al giorno per un anno intero. Sì, ne scoprirete di nuovi. Sì, quelli che già amate verranno a salutarvi.

Saggistica divulgativa in area dinosauresca? Vi rammento volentieri Steve Brusatte e il suo Ascesa e caduta dei dinosauri (UTET) o La storia della vita in 25 fossili di Donald R. Prothero (Aboca Edizioni). Oppure Dinosauri eccellenti. Da Ciro a Sophie, storie di celebrità estinte di Willy Guasti (Gribaudo).


Riccardo Falcinelli
Visus | Storie del volto dall’antichità al selfie
EINAUDI

Falcinelli prosegue nella sua godibilissima e autorevole operazione visivo-divulgativa con Visus, un’indagine (supportata dal consueto e abbondante apparato iconografico) sulla rappresentazione del volto in arte, scultura, fotografia e “nuovi” mezzi. I modi che scegliamo per raffigurare qualcosa sono sempre il prodotto di un contesto storico, di una deliberata decisione simbolica e di obiettivi precisi. E leggere le immagini con gli strumenti giusti non può che aiutarci a decodificare il mondo.

Cos’è uscito prima, sempre a cura di Falcinelli? Cromorama – dedicato al colore e ai suoi significati – e Figure – che decodifica l’immagine con occhio simbolico-compositivo.
Un valido corollario? Volti nel tempo. Una storia del ritratto fotografico (Einaudi) di Phillip Prodger.


Bram Stoker
Dracula
Illustrazioni di Christian Quesnel
L’IPPOCAMPO

Dopo aver ospitato diversi classici illustrati da Benjamin Lacombe, L’Ippocampo sta facendo spazio ad altri artisti, soprattutto sul fronte della letteratura “fantastica”. Disponiamo di Araya, insomma, ma eccoci qua anche con il Dracula di Quesnel – una strenna da manuale.

Altri classici in “belle” edizioni? Sbizzarritevi comodamente con la collana Bur Deluxe – che sembra più un nome da elettrodomestici di fascia altissima, ma tant’è.
Un classico incendiario riproposto in una versione che è anche un bell’oggetto? Eccovi questo Fahrenheit 451 di Bradbury negli Oscar Cult, con il taglio colore e una fascetta da non buttare via dopo tre secondi. Che fa Einaudi? Il classico che torna quest’anno in una nuova traduzione e in versione Supercorallo-cofanetto è I demòni di Dostoevskij (a cura di Manuela Guercetti). Altri cofanetti? Ponte alle Grazie ha riunito Il racconto dell’ancella I testamenti qui, mentre E/O ha appena sfornato quello della quadrilogia dell’Attraversaspecchi – vi segnalo l’oggetto con fini di solerte informazione, perché io non mi sono mai imbarcata nella lettura – e trovate sempre anche i sei volumi della saga di Blackwater di McDowell per Neri Pozza.


Mariano Tomatis
Il mio libro di magia
TLON

Mariano Tomatis è un prodigio. Non avrei altro da aggiungere ma mi sento di produrre comunque un piccolo spiegotto su questa guida. Sì, contiene indicazioni pratiche su come cimentarsi nell’arte dell’illusionismo e propone anche una riflessione valente sul rapporto tra “performance” (più o meno magica) e pubblico di ricezione, per imparare a divertirsi con gli altri all’interno di una relazione di scambio e collaborazione – invece di propendere per l’approccio della presa per il culo. La magia può (e dovrebbe) essere “gentile”? Certo, se si basa sulla ricerca dello stupore e non della mera manipolazione della credulità altrui.

Vi appassionano le figure enigmatiche – e volete proseguire lungo magici sentieri? Francesca Diotallevi ha romanzato Gustavo Rol.


Wudz Factory
1997 | Il libro-game dei misteriosi anni Novanta
WUDZ

Un professore scompare e noialtri dobbiamo trovarlo. Siamo in una cittadina enigmatica e sì, siamo negli anni Novanta – con tutto quello che ne consegue a livello di immaginario musicale, cinematografico, pop e televisivo. Il fatto che un libro che omaggia gli anni Novanta – e che contiene un mistero da risolvere, irto di scelte difficili e decisioni da prendere – assuma la forma di un libro-game che somiglia a una VHS mi sembra più che ragionevole.

Vi piacciono i libro-game? Non posso non ricordarvi con grande affetto quelli di SioJohnnyfer Jaypegg e il tesoro degli alieni commestibili coloratissimiJohnnyfer Jaypegg e il problema dei tre corgi. Se vi è piaciuta la serie di Netflix e al posto dei corgi volete mettere dei corpi celesti, vi ricordo che la trilogia di Cixin Liu – che vale come una laurea onoraria in astrofisica – è disponibile anche in un unico volumone.


Sylvanian Families
Il mondo di Sylvanian Families
NORD SUD

Visto che abbiamo lambito l’Area Nostalgia, ne approfitterei per traslocare nel coccoloso universo delle Sylvanian Families, meticolosamente mappato ed esplorabile in ogni suo più recondito anfratto grazie a questo illustratone ufficiale. Sono più che sicura che al timone dell’azienda che produce queste bestioline da tempo immemore ci siano le bestioline stesse, che si fingono inanimate solo per confonderci.

Bonus track: c’è anche il libro gemello con gli adesivi e un’ambientazione natalizia molto garrula.


Ilide Carmignani – Elena Battista
Saltare nelle pozzanghere
Illustrazioni di Anna Godeassi
RIZZOLI

Imbattersi in uno di quei famigerati termini intraducibili dovrebbe essere l’incubo di ogni traduttore o traduttrice, ma Carmignani e Battista hanno deciso di prenderla con filosofia e hanno collezionato qui, attingendo dalle lingue straniere più disparate, una dadolata di parole “dense”, composite e guizzanti che, pur non avendo un diretto corrispettivo in italiano, hanno l’ambizione di catturare la felicità.

Vogliamo fare irruzione nello studio di una traduttrice? C’è Silvia Pareschi che ci invita volentieri nel suo.


A cura di Margaret Atwood e Douglas Preston
Quattordici giorni
PONTE ALLE GRAZIE

Traduzione di Guido Calza

Allora, qua c’è una gustosa spiegazione “strutturale” da fornire. Quattordici giorni è un romanzo collaborativo. Anzi, un romanzo che produce una cornice che contiene dei racconti. È stato idealmente paragonato al Decameron, anche perché è ambientato durante la (nostra) pandemia e i personaggi che si riuniscono per raccontarsi delle cose sono tutti inquilini del medesimo palazzo. Siamo a New York e una portinaia appena entrata in servizio trova il “registro” compilato dalla custode che l’ha preceduta, una sorta di cronaca della vita e delle tribolazioni dello stabile. Decide di proseguire l’opera, registrando le storie che i condomini si scambiano per quattordici settimane ritrovandosi sul tetto. Conflitto! Mistero! Dramma! Le storie del volume sono state affidate a penne illustri – tra cui Emma Donoghue, Dave Eggers, Diana Gabaldon, Tess Gerritsen, John Grisham, Erica Jong, Celeste Ng, Meg Wolitzer… Non saprete chi ha scritto cosa, lì per lì, perché tutto contribuisce alla costruzione corale e la curatela di Atwood e Preston assicura fluidità e incastri efficaci.


Feltrinelli ha scandagliato il suo vastissimo catalogo per assemblare due cofanetti prepotentemente regalabili.

Il primo ambisce a fornire le basi per la costruzione di una biblioteca personale ed è stato battezzato Ritratto del lettore da giovane. 10 libri per affacciarsi al mondoIl secondo risponde al nome di Amore scuote l’anima mia. 10 libri per leggere il proprio cuore ed è zeppo di classici che esplorano il sentimento amoroso.


Un angolino per prodotti che non son proprio dei libri-libri ma possono esservi utili per organizzare quello che leggete o la vostra esistenza? Eccoci!
Il reading journal escogitato da Ilenia Zodiaco è qua. Mentre qua c’è quello progettato da Blackie Edizioni – nel loro territorio trovate pure l’agenda 2025. Un’altra agenda letteraria? C’è sempre quella di Clichy.
Ve lo dico un giorno sì e l’altro pure ma per amor di completezza ribadiamolo: si possono donare anche gli abbonamenti a Storytel.

Non avete trovato niente di utile? Potrei scusarmi per non aver perfettamente mappato tutto lo scribile umano e potrei dispiacermi per non essere stata d’aiuto. Ma potrei anche dirvi:

Abbiamo finito? Abbiamo finito, ma vi piazzerei qua le edizioni passate dei listoni natalizi – che è anche un osservatorio interessante a livello “macro”:

Qui c’era una lista dedicata ai piccoli e alle piccole, anche. Se cercate narrativa, fumetti e saggistica e avete bene in mente gusti e inclinazioni potete spulciare con gioia la sezione libri, mentre qua nella vetrina c’è (quasi) tutto quello che man mano leggo, segnalo o ho approfondito sul blog.

Non litigate coi parenti e se vi sembra di non essere capaci di fare i pacchetti pensate sempre ai miei. Sono più brutti dei vostri, ve lo garantisco.
Felici doni libreschi e grazie ancora per l’attenzione. :3

Ebbene, l’eterno ritorno della settimana del Salone sta per investirci con tutta la sua dirompente potenza. Il sindaco ha profetizzato ingorghi e traffico, ma ce la caveremo egregiamente: a Rho Fiera ci si arriva meglio prendendo la metropolitana. E dov’è che vogliamo andare (anche)? Proprio lì. Che cosa succederà di bello quest’anno? Ci sono novità? Appuntamenti peculiari da segnalare? Imprese creative spigliatissime? Mobilio francamente incredibile da ammirare? Temi? Correnti? Idee? La risposta generale è SÌ MOLTO. La risposta precisa è ecco qua una guida sintetica e funzionale all’edizione 2024 del Salone del Mobile. Spero vi tornerà utile per razionalizzare visite, scovare tesori inattesi e orientarvi meglio nella miriade di proposte a disposizione.
Procedo?
Procedo.

LOGISTICA DI BASE

Dal 16 al 21 aprile il Salone del Mobile vi attende a Rho Fiera con i suoi 1900 e passa espositori internazionali.
Qui trovate le informazioni principali per spostamenti, biglietti e orientamento.
Qui si può scaricare l’app ufficiale che vi aiuterà a pianificare i giretti e a navigare i padiglioni grazie a una mappa interattiva. Potrete anche contrassegnare gli stand da visitare – e l’app vi consiglierà il percorso più efficace per arrivarci – e creare un archivio/promemoria dei pezzi che più hanno catturato il vostro interesse, fra i numerosi che troverete dotati di QR code d’approfondimento. Inoltre, mostrando il vostro biglietto (disponibile in app) agli ingressi dei vari stand, a fine fiera riceverete un video showreel che ricapitolerà tutti gli espositori a cui avete fatto visita.

 

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La novità grande di quest’edizione? Gli spazi sono stati completamente riprogettati, razionalizzati e “umanizzati” – è il caso di dirlo. Gli espositori saranno raggruppati per aree tematiche ben discernibili, i percorsi sono stati allargati e troverete qua e là anche oasi di quiete e installazioni che vi aiuteranno a “decomprimere”.
Per iniziare a discernere i raggruppamenti tematici, ecco qua un ricapitolone concettuale dei padiglioni.


LE INSTALLAZIONI

Il Salone può diventare in maniera ancora più incisiva un punto d’incontro tra design, cultura e arte? Altroché. Ecco qua le tre grandi installazioni che troverete nell’edizione di quest’anno.

“Interiors by David Lynch. A Thinking Room”
[Padiglioni 5-7]

David Lynch ha saputo immaginare stanze al confine tra realtà e simbolo, dentro e fuori, sogno e materia. Le due stanze “del pensiero” che ha progettato per il Salone – e che sono state materialmente realizzate dal Piccolo Teatro – continueranno ad abitare questo confine affascinante. Cosa ci troveremo, a parte quiete e vuoto? Una poltrona di legno, degli strumenti per scrivere o disegnare, delle nicchie che ospitano immagini enigmatiche, uno specchio, un orologio, dei cilindri di ottone e del doveroso velluto blu. Che ci combineremo? È il mistero che Lynch ci affida.
Vi va di approfondire? Ecco un’intervista ad Antonio Monda, che ha curato l’installazione e può giurarci che Lynch si diverte a piallare il legno.

“Under the surface” – Emiliano Ponzi
[Padiglione 10]

Date un occhio alla vostra libreria e troverete di sicuro qualche copertina disegnata da Emiliano Ponzi. Artista della sintesi e mago dei microcosmi, Ponzi ci invita a visitare un paesaggio sommerso – realizzato con Accurat e Design Group Italia – e a riflettere sull’importanza dell’acqua come risorsa vitale. Stupore scenico ma anche dati sul consumo idrico da lasciar filtrare lungo il percorso, perché unendo meraviglia “immersiva” e data visualization diventa più semplice affrontare anche grandi questioni del nostro tempo.
Per sviscerare meglio l’approccio, ecco qua un’intervista alla squadra creativa.

“All You Have Ever Wanted to Know About Food Design in Six Performances”
[Spazio centrale EuroCucina – Padiglioni 2-4]
Come si fa a riflettere sul cibo? Bisogna disporre di uno spazio per maneggiarlo/prepararlo ma anche di un posto in cui rifletterci su, ascoltando o leggendo chi sta indagando quel che mangiamo in senso storico, economico, spirituale, filosofico, emotivo, materiale. Questa, insomma, più che un’installazione visitabile è una sorta di festival fatto di una “grande” performance giornaliera (dalle 9.30 alle 17.30) e di un palinsesto di talk e interventi collegati che animeranno la Food Design Arena (ogni giorno alle 14.30). L’intero “impianto” è affidato a sei magazine internazionali indipendenti che hanno fatto della cucina e del cibo il loro punto focale. Ve li elenco agilmente qui, lasciandovi anche il link per esplorare la proposta di ogni magazine per questo spazio: Family Style (USA), Linseed Journal (UK), The Preserve Journal (Austria), Magazine F (Sud Corea), Farta (Portogallo), L’Integrale (Italia).

I tre “pilastri” della proposta culturale allargata del Salone, insieme al calendario completo delle tavole rotonde e degli eventi è consultabile qui.


CORRAINI (in fiera e in centro)

Dopo l’ottimo debutto del 2023, il bookshop del Salone sarà affidato nuovamente alle edizioni Corraini (padiglione 14). E sì, un bookshop così io lo considero una meta, un’esperienza suggestiva, un ANDATECI. Lo spirito eclettico, autorevole e giocoso è quello delle librerie che Corraini ha presidiato per anni felicissimi qui in città: in vendita troverete volumi di ogni genere e provenienza dedicati a illustrazione, arte e design – sia per “grandi” che per piccoli -, ma anche riviste, oggettistica, pezzi unici, curiosità, rari reperti, cartoleria e grafiche.

C’è altro? Chiaro. In Piazza della Scala troverete il Design Kiosk, uno spazio-libreria (con assortimento sempre a cura di Corraini) che fungerà anche da campo base del Salone in centro città. Oltre agli stupefacenti prodotti editoriali, infatti, il Design Kiosk ospiterà anche un palinsesto di incontri e conversazioni – gli appuntamenti si possono consultare qui.

Ho finito? Inevitabilmente no. Ma il tantissimo che vi lascio da scoprire ci aspetta allegramente in fiera. Un cuore e felice Salone a noi!

Come si dormiva nel Medioevo? Nudi? Vestiti? Da soli? Con tutta la famiglia (ed eventuali viandanti)? E se ti ammalavi e finivi all’ospedale? Quanto si puzzava e come la si risolveva? Come si fronteggiava il gelo? Chi fabbricava i letti? Qual era il destino di una puerpera? Con che grado di libertà ci si poteva avvicinare alle stanze di una dama? Dove si riposava la servitù? Boccaccio ci ha raccontato – tutto sommato – delle grandi verità? Come si intreccia un pagliericcio?

Guidandoci tra cortine, cuscini e cassoni, Chiara Frugoni – nostro malgrado da poco scomparsa – ci invita a coricarci in una stanza da letto del Medioevo, unico posto in un’abitazione di quell’epoca che potrebbe essere considerato “comodo” per gli standard moderni.
Facendo il consueto e sapiente uso di fonti iconografico-letterarie, dalle miniature ai garbugli amorosi del Decameron, Frugoni ricostruisce la storia sociale, materiale e culturale di un arredo domestico che, nell’espletare la sua funzione all’apparenza essenziale e semplice, spalanca in realtà vaste implicazioni romantiche, organizzative e addirittura morali. A letto nel Medioevo– in libreria per Il Mulino, come molti altri splendidi saggi storici di Frugoni – è un piccolo gioiello, degno di una studiosa che ha saputo come pochi altri conciliare curiosità, rigore, bellezza e gusto divulgativo.

Che diamine è il “soft power”? Il concetto è stato coniato nel 1990 da Nye – politologo americano – per definire l’uso dell’arte e dei valori culturali come leva di potere a livello geopolitico. L’Atlante della cultura di Antoine Pecqueur, in trenta capitoli o casi di studio tematici, esplora i meccanismi relazionali, politici, comunicativi ed economici che compongono il grande ingranaggio dei nuovi rapporti di forza mondiali, evidenziando come la cultura – nelle sue molteplici espressioni – si sia affermata come uno dei pezzi più importanti della scacchiera, nonostante spesso rifugga le metriche numeriche “oggettive”.

C’è di tutto. Dal k-pop che si quota in borsa alle fondazioni patrocinate dalla birra Carlsberg, dal modello filantropico americano all’ascesa del cinema Nigeriano. E c’è anche uno sforzo di allontanamento dalla prospettiva eurocentrica (o dal punto di vista strettamente occidentale) per mappare in maniera omogenea quel che sta capitando in tutti i continenti. Visto il tema e lo scopo di fondo – portare a galla le “prove” del peso globale dell’arte – mi pare pure normale, ma dati i bias prospettici che resistono mi garba comunque evidenziarlo.
Aggiungerei anche che il libro è molto “fresco” – l’edizione francese è del 2020 – e basato su dati e ricerche recenti. È anche sostenuto da un’esposizione chiara e sintetica, per quanto sfaccettatissima per distribuzione geografica e fenomeni analizzati. Come ogni degno atlante, poi, non lesina su mappe, infografiche e schemi.

Insomma, è un testo eclettico per aggiornarsi sui movimenti culturali più “caldi” a livello mondiale e per consolidare una visione di ampio respiro – per quanto condensata – sul settore culturale. Sarà per deformazione universitaria, ma è bello ritrovare qui una riflessione sfaccettata sulle implicazioni economiche – chi finanzia la cultura? Cosa cambia se ci pensa di più lo stato o se ci pensano di più i privati? […] – e comunicative che ogni “azione” culturale produce.
La cultura non è mai stata una forza neutra: nelle epoche più disparate se ne sono serviti monarchi assoluti, capitalisti più o meno sinceramente filantropi e dittature bisognose di una solida propaganda. Saper dare un nome a questa grande mano invisibile – che spesso regge un pennello o scosta un sipario – e saper stabilire collegamenti strategici con la nostra comune attualità è un esercizio affascinante, uno slancio di utile consapevolezza.

Ho battuto così tanto la fiacca con la Weekly Wishlist che alcune cose che desideravo hanno addirittura avuto il tempo di trasformarsi in un acquisto concreto. Incredibile! Prodigioso! Un processo decisionale che giunge a compimento! Non si era mai visto! Ma non crogioliamoci nell’autocompiacimento e proseguiamo con baldanza. Ecco un po’ di vari ed eventuali aggeggi (ed esperienze) che sto bramando in questo periodo o che ho già incamerato con soddisfazione.

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Sono riuscita ad andare al cinema a vedere Captain Marvel. E ora voglio il maglioncino di cotone di Carol Danvers. Questo è di Musterbrand, che sforna con grande efficienza indumenti “portabili” ispirati ai costumi dei nostri personaggi cinematografici e videoludici preferiti, da Star Wars a Zelda. Tempo fa mi sono regalata il cardigan lungo di Kylo Ren e ho felicemente constatato che i materiali sono buoni e anche la lavorazione. Insomma, l’obiettivo finale è andare in giro con un intero guardaroba da supereroe quasi in borghese. E non potendo disporre di un flerken, inizio dal maglioncino.

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A Ferrara, fino al 2 giugno a Palazzo dei Diamanti, c’è una mostra che credo potrebbe rimettermi al mondo: “Boldini e la moda”. Tra dipinti, abiti d’epoca e oggetti emblematici, la mostra esplora il rapporto tra Boldini, l’alta moda parigina e la Belle Époque. Perché il ritratto di una signora chic è anche il ritratto di un preciso e vasto mondo di riferimento.

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Mi sto riconvertendo gradualmente – e con successo – alle borse più piccole, da portare possibilmente a tracolla. La rivoluzione è partita dalla necessità di rincorrere un bambino senza ritrovarmi impicciata dai valigioni che di solito mi portavo in giro. Ebbene, le bottiglie d’acqua “classiche” ci stanno, nelle mie nuove borse? A volte no. E a volte sì, ma con immane fatica. Visto che la geometria solida non è un’opinione, ho dato retta alla mia amica Gabriella e mi sono presa una bottiglia piatta. Me la riempio prima di uscire e la caccio praticamente ovunque. Sì, somiglia a una fiaschetta da maestro di sci con una pesante dipendenza da grappa, ma è comodissima. Questa qua è la Memobottle formato A6 (375 ml), ma ce ne sono anche di più/meno capienti.

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La compagine europea di Hello Kitty mi ha donato, un po’ di tempo fa, una spazzola Tangle Teezer. Prima usavo le spazzole di legno e mi trovavo anche bene. Sapevo dell’esistenza delle Tangle Teezer, ma temevo fossero dei plasticoni inutili. Ebbene, facevo piuttosto male a partire prevenuta e, in tutta onestà, ho scoperto che con la Tangle Teezer faccio la metà della fatica, mi strappo meno capelli, sono assai più rapida e me li pettino pure meglio. Ho scoperto che esiste una Tangle Teezer con i denti più lunghi e solidi per i ricci e le chiome assai folte come la mia. E credo che procederò presto con l’investimento.

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Lavidriola è un brand spagnolo che sforna mirabolanti gioielli “artistici” dall’estremo potenziale pop. Sono robe giganti, stravagantissime e super dettagliate. Ci sono spille, collane che fanno provincia, orecchini e assurdità di ogni tipo. Si va dalla zoologia all’esplorazione spaziale, senza tralasciare Luna Lovegood con il copricapo da leone. Mi sento capita come poche volte al mondo.

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Visto che siamo già in ambito “sobrietà”, credo valga la pena soffermarci su Krukrustudio e sul suo catalogo di borse che somigliano a oggetti e creature vicine al sentire comune (dalle taniche di benzina alle sogliole). In più, c’è una gamma assai nutrita di pochette – con tracollina inclusa – a forma di libro. I titoli disponibili sono numerosi (dai grandi classici ai libri di testo di Hogwarts) e c’è una vasta scelta anche in termini di dimensioni. Diciamo che si può scegliere una borsa-libro paperback o una borsa-libro Treccani.

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Bene, mi fermo qua. La lista potrebbe proseguire fino all’orizzonte, ma teniamoci qualcosa anche per le prossime puntate. Nel frattempo, felici scoperte a tutti.

Sentimenti burrascosi! Notturni! Letteratura! Rovine! Dirupi! Sogni e turbamenti!
No, temo di non essere riuscita a riassumere in maniera esauriente le molteplici e fascinose sfaccettature del Romanticismo, corrente “multidisciplinare” che tra Settecento e Ottocento ha attraversato l’Europa modificando in maniera radicale la nostra sensibilità estetica, filosofica, musicale e artistica. Poco male, però, perché fino al 17 marzo potrete beneficiare di una mostra dal vasto potenziale esplicativo e dal magnetismo indiscusso e, magari, dilettarvi anche con un piccolo tour. Milano, infatti, è stata una delle grandi capitali romantiche del continente e conserva le tracce di questo passato, valorizzandone l’eredità tappa dopo tappa.
Ma procediamo con ordine.
A San Valentino non sono stata fortunatissima sul fronte delle rose rosse o delle scatole di cioccolatini a forma di cuore – e, vi dirò, va anche bene così – ma la bellezza non è di certo mancata. L’itinerario è ricchissimo, ma agevolmente replicabile.

Tappa uno!
Romanticismo alle Gallerie d’Italia
La mostra, con le sue 200 e passa opere esposte, riesce a fare contemporaneamente due cose molto pregevoli: affrontare i temi principali del Romanticismo sviscerandone le manifestazioni più emblematiche e i temi ricorrenti, ma anche mettere a fuoco le ricchissime peculiarità milanesi, restituendoci il dialogo costante tra città, arti (non solo figurative) e identità storica. Insomma, troveremo i rimescolamenti interiori e gli orizzonti sterminati di Caspar David Friedrich, ma anche Francesco Hayez che ritrae Manzoni o affida a una fanciulla a seno scoperto un messaggio politico di libertà, celebrando i tumulti cittadini delle Cinque Giornate. Il risultato è un percorso molto ben costruito tra concetti che trovano terreno comune in un’epoca dalle caratteristiche condivise – indipendentemente dal luogo – e declinazioni cittadine e nazionali. Bonus non trascurabile: lo spazio espositivo è magnifico.

Tappa due!
Romanticismo al Museo Poldi Pezzoli
La mostra si sviluppa su due sedi. Il “grosso” è alle Gallerie d’Italia, ma la visita prosegue al Poldi Pezzoli – dopo una passeggiatina di circa due minuti. Il Poldi Pezzoli è uno dei miei posti preferiti a Milano e ospita spessissimo mostre piccole ma estremamente curate, oltre ad essere un luogo valentissimo per conto suo – c’è una collezione permanente e si può andare a zonzo per le stanze, invidiando molto il gusto eclettico di messer Gian Giacomo. COMUNQUE. Perché proprio il Poldi Pezzoli? Perché la famiglia Poldi Pezzoli non si risparmiò durante i moti rivoluzionari del 1848 e la dimora rappresentò uno dei punti nevralgici dell’attività culturale e artistica della Milano romantica. Allargate il giro e non perdetevi Raffaello che abbraccia la Fornarina o le “istantanee” della città in subbuglio.

Tappa tre!
La casa del Manzoni
Poco incline a farsi ritrarre – anche se per Hayez si sentì di fare un’eccezione -, Alessandro Manzoni era ritenuto schivo e assai riservato. In questa casa amatissima, però, visse e morì con la sua grande anche se non fortunatissima famiglia, accogliendo con autentico affetto amici, intellettuali e personalità di spicco del suo tempo – E GUARDA UN PO’ SIAMO PROPRIO IN PIENO PERIODO ROMANTICO. Mantenere la dimora non fu una passeggiata: nonostante il successo nazionale e le traduzioni estere dei Promessi sposi, infatti, all’epoca non esisteva il diritto d’autore e Manzoni, di fatto, passò decenni a combattere la pirateria, impegnandosi anche a livello pubblico e politico per istituire una norma che tutelasse le opere letterarie e i loro creatori. Ma pensa un po’.
Tra prime edizioni, gallerie di ritratti e approfondimenti sull’intricata acconciatura di Lucia Mondella, due ambienti della casa – quelli conservati proprio come Manzoni li aveva lasciati – valgono il giro: la camera da letto in cui lo scrittore si ritirò dopo la morte della seconda moglie – in un cassetto ci sono ancora le pantofole – e lo studio al piano terra, completo di tabacchiera – da cui Manzoni non si separava mai – e vista sul giardino.

Tappa quattro!
Il Teatro alla Scala
Un tour “essenziale” della Milano romantica non può non comprendere il Teatro alla Scala. Perché è qui che il bel mondo si incontrava – anzi, che il mondo in generale confluiva per godere di quel che accadeva in scena ma, anche, per rispondere a pure esigenze di socialità, affari, divertimento, costume e spasso. Opere, concerti e balletti a parte, alla Scala si può entrare per visitare il museo, accedere ai palchi e sbirciare da lontano i lavori in corso.

Per chi volesse approfondire e/o espandere il percorso partito dalle Gallerie d’Italia, il Poldi Pezzoli ha confezionato un Taccuino romantico che contiene 25 luoghi – tra Milano e la Lombardia – da visitare per crogiolarsi ulteriormente nello spirito dell’epoca. Si può scaricare quiE sono giri, ovviamente, organizzabili in piena autonomia e libertà. Con la pioggia e col sole. A piedi o in carrozza. Quando e come vi pare. Insomma, una bonus-track di tutto rispetto.

Buona mostra e buone esplorazioni!

Di base, le sorprese non mi piacciono. Nulla mi terrorizza più della possibilità che qualcuno, armato di ottime intenzioni, decida di organizzarmi una festa di compleanno a sorpresa. Mi viene l’ansia anche quando partecipo alle feste a sorpresa degli altri, per dire. Mi nascondo dove mi dicono di nascondermi e fisso il vuoto, pensando al peggio. E se poi non ci vuole vedere. E se entra in casa e rutta. E se aveva altri programmi. Detesto anche che la gente mi dica una cosa e poi, per farmi una sorpresa – e rallegrarmi, ipoteticamente – si comporti in un’altra maniera. Panico.
Mi agito, non so che dirvi.
Non sono predisposta ad accogliere serenamente le sorprese.
Le uniche sorprese che riescono a infondermi felicità sono le sorprese postali.
Adoro aprire i pacchetti. Stravedo per il portinaio che ogni tanto mi ferma per informarmi che è arrivata della roba per me. Percepisco come meravigliose sorprese anche le cose che mi compro da sola, ma è quando in giacenza ci sono dei pacchetti sconosciuti e imprevisti che perdo completamente il senno. E, date le premesse, non potevo che invasarmi con le subscription-box – che in pratica sono delle sorprese, ma riesco a gestirle perché si può scegliere il concept (= quello che più o meno ci troverai dentro) e perché arrivano sempre e comunque al signor Amabile, il portinaio di cui si parlava poco fa.
Si può avere un nome più bello di quello del signor Amabile? Secondo me no, anche se Hoppípolla ci prova.
Hoppípolla è una parola islandese di certificata intraducibilità che significa, più o meno, “saltare nelle pozzanghere”. Mi sono brevemente chiesta come faccia un islandese a saltare allegramente in una pozzanghera gelata, ma poi ho deciso di dedicarmi a quesiti più importanti. Tipo, che diavolo c’è in una subscription-box di nome Hoppípolla.

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Il progetto è appena partito e l’idea, che già amo, è quella di recapitarci “cultura indipendente per corrispondenza”. La scatola dovrebbe raccogliere, ogni mese, progetti creativi e bizzarri, per farci scoprire qualcosa che ancora non conosciamo. I mattoncini promessi sono i seguenti: un oggetto di design, un prodotto editoriale, un suggerimento musicale, un qualcosa di illustrato e un aggeggino “jolly”.

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La prima scatola mi è felicemente arrivata qualche giorno fa. Che ci ho trovato dentro? Un porta riviste di cuoio da inchiodare al muro (di La Marchegiana), un numero delle rivista Effe (un’antologia di racconti e illustrazione), una canzone da ascoltare su Hoodooh, 16 cartoline di Donne con le palle (nostra vecchia e gradita conoscenza) e dei tatuaggetti temporanei da sfoggiare per le vie della moda in SABÒ.
Sono intrigata? Molto.
Ho voglia di vedere che cosa si inventeranno al prossimo giro? Assolutamente.
Quanto amo tifare per i progetti nuovi pieni di roba insolitissima e intrigante? TROPPO.
In bocca al lupo a Hoppípolla e buona conquista del mondo. Per chi volesse informarsi bene e donarsi/farsi donare un abbonamento, qui ci sono tutte le informazioni utili.
E pozzaghere (sgelate) a voi.

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Le vacanze sono finite. È arrivato il momento di farsene una ragione. Sono tornata a Milano ormai da due settimane. E il mio profilo Instagram si sta decisamente ammosciando. Per quattordici giorni – felicemente trascorsi in Sicilia – ho deliziato la mia coriacea “fanbase” con orizzonti marini, piatti di ravioli di cernia, viuzze romantiche, chiese barocche, birrette in spiaggia, tramonti di rara arroganza, dune sabbiose, crostacei, teatri di pietra, fichissimi fichi d’India, terrazzini baciati dal sole, altari stracarichi, centrini di pizzo, luce naturale, onde cristalline, racchettoni e parei svolazzanti. Tutti i miei scatti vacanzieri sono stati accolti con un calore assolutamente inedito. Cuorini a profusione, nuovi follower come se non ci fosse un domani, emoji gioiosissime e commenti incoraggianti. Se avessi improvvisamente deciso di fotografarmi le tette, avrei sicuramente riscosso meno successo. Pur continuando a non capire bene che cosa diamine sia capitato, l’involontario esperimento comparativo mi ha insegnato un sacco di roba importantissima sull’utilizzo feriale di Instagram.
Parliamone.
E che qualcuno prenda appunti, per carità.

Dovete scegliere la meta delle vacanze? Molto bene. Restate sempre in Italia. Del patriottismo, chiaramente, non c’è da curarsi. Mica siamo sottosegretari al turismo. È alla connettività che dobbiamo pensare. Chiaro, quando ci troviamo in una meta esotica, il wi-fi dell’albergo è sempre una buona soluzione… ma è comunque piuttosto disagevole. Ovvio, mica è fondamentale che TUTTO quello che postate su Instagram sia live. Ma, una volta tornati in camera, non potrete fare a meno di chiudervi in bagno – fingendo di dover fare la cacca -, per aggiornare il vostro profilo con le migliori foto della giornata. Presi dall’ansia di non poterle mai più caricare, ne butterete su centodue, ma senza un briciolo di gioia. Anzi, v’incazzerete pure. Il tempo che state sprecando attaccati al wi-fi, infatti, potrebbe essere splendidamente buttato alle ortiche in altro modo. In giro, ad esempio. A fare altre centodue foto indimenticabili.
Avete comunque optato per una meta lontana? Molto bene. C’è solo una cosa che dovete sapere: tutte le reti libere che trovate per strada sono delle stampanti.

Le persone vogliono la natura, l’orizzonte e il mare. Cieli pieni di nuvole che sovrastano strabilianti coste rocciose o imponenti picchi montani. Alla gente piacciono i paesaggi. Ma nei vostri paesaggi – tanto amati dalla gente – non ci deve essere altra gente. Se potete, quindi, evitate di andare in vacanza la settimana di Ferragosto. Fotografare una spiaggia deserta la settimana di Ferragosto è pressoché impossibile. Ci sono le signore con le teglie di melanzane fritte, i bambini che scavano voragini, i tipi che giocano coi racchettoni nella speranza di attirare un po’ di figa e i papà che gonfiano braccioli. A Instagram non piace l’umanità. Su Instagram funzionano le piazze deserte, le strade vuote, le coste disabitate, l’acqua limpidissima piena di riverberini e i nuvoloni burrascosi. Se proprio non vi danno ferie in un altro momento, puntate sul tramonto. La gente si leva dalle palle e, se il telefono non vi svirgola completamente le luci, rimedierete anche un glorioso gioco di colori che si riflettono sul mare. Sciambola!

Se mai vi venisse in mente di farvi una foto in costume da bagno, premuratevi di sdrammatizzare. Non avete il culo di marmo di Megan Fox, ma qualcuno potrebbe sempre accusarvi di volervela tirare. A Instagram non piace la gente che se la tira. Volete fare le fatalone? Verrete spernacchiate senza pietà. Difendete le vostre velleità da fashion blogger con una caption piena di giocosa autocommiserazione, tipo “Burrito on the beach”.

Il cibo è molto importante. Le persone, di base, si prendono bene con la roba da mangiare e sembrano interessatissime alla vostra dieta vacanziera. Più un alimento è pesante, indigeribile, grasso, fritto e MAIALOSO, più verrà apprezzato. Il problema, molto spesso, è la presentazione del piatto. Vi ingozzerete con quantità industriali di roba che, purtroppo, non è abbastanza bella per finire su Instagram. Potreste rinunciare a postarla o, presi dal panico, vi sentirete in dovere di ordinare un dolce – dopo aver ispezionato l’apposita vetrinetta refrigerata – solo per produrre un contenuto che documenti la meraviglia della vostra cena. Lo avanzerete dopo due forchettate, ma vi sentirete meno agitati.
Un’altra cosa a cui dovrete badare, andando a mangiare fuori, è la luce. D’estate è molto più piacevole sedersi all’aperto, ma l’illuminazione spesso insufficiente di cortiletti, pergolati e DEOR devasterà la vostre fotografie, trasformandole in un papocchio inutilizzabile e sfocato. Vedete voi: è più importante alimentarvi con quantità invereconde di specialità locali – in pace e serenità – o vantarvene su Instagram? CIOÈ.
Altro aspetto da non sottovalutare, in caso la cena offenda sia l’occhio che il palato, è IL POSTO. Nel dubbio, scegliete un ristorante fotogenico e bizzarro. Non fate i milanesi. Non andate a infrattarvi in uno di quei posti minimalisti, coi mattoni a vista e l’aria da spazio industriale dismesso. Instagram ama il rustico – ah, il fascino popolare della trattoria coi piatti sbeccati! – o i ristoranti che somigliano a un caffè viennese stracarico di carabattole di vostra nonna. Magari mangerete di merda, ma una foto super cuoriciabile ve la porterete a casa. Vittoria!

Instagram, nel periodo estivo, non tollera la pigrizia. Andatevi a cercare delle cose pazze da fare. E presentate ogni attività come una chicca nascosta del posto che state visitando. La gente è stufa del mainstream. La gente vuole il backstage, quello che non si trova sulla guida. Fate finta di vivere lì da cent’anni e non dedicatevi a nulla di normale. Infilatevi nei vicoli. Visitate botteghe dimenticate da Dio. Cercate i pazzi del paese. Buttatevi da una scogliera che nessuno ha ancora scoperto. Rincorrete i gechi. Fate parapendio con una testa di cavallo di plastica sulla testa. Rubate una fisarmonica. Arrampicatevi sulle piante e frugate nei nidi degli uccelli. Scovate animali rari e misteriosi. E raccontatela con allegra noncuranza – cioè, siete speciali… è ovvio che anche le vostre foto siano speciali. Perché Instagram non ne può più di piedi nella sabbia. Instagram vuole il kraken che emerge dalle acque, stringendo un capodoglio agonizzante in ogni tentacolo.

Vi siete dedicati al paesaggio, al FOOD e al FUN, ma non potete assolutamente tralasciare l’arte. L’ultimo libro che avete letto era per i compiti estivi della terza media? A teatro v’addormentate? Fate le scoregge con l’ascella e vi sentite dei musicisti? La calzamaglia bianca di Roberto Bolle vi fa ridere fragorosamente? Non importa. Capire è secondario. Quello che conta è il gesto. La gente ama genericamente IL BELLO – perlustrate dunque i siti archeologici più disparati, correte in tutte le chiese, piantonate le botteghe degli artigiani, schieratevi alla festa del patrono, rompete i coglioni con persiane romanticamente scrostate e sorbitevi almeno una mostra (non importa quanto irrilevante) – o, se proprio non trovate niente esteticamente piacevole da immortalare, sappiate che la gente ama anche lo strambo – basta che sia incredibilmente TIPICO. Il compromesso d’oro tra le due categorie è la street-art. Avventatevi sui murales – trovando il modo di trasformarli in un imperdibile scorcio urbano – e dannatevi l’anima dietro a stencil, poster strappati e adesivi appiccicati sui semafori.

Siete in vacanza in compagnia? Applaudite gli amici che vi abbandonano per ore intere salutandovi con “andiamo a fare le foto”. Siete tornati a casa dopo un lungo periodo di latitanza? Costringete vostra nonna a posare con voi. La nostalgia per la casa natia e i selfie pieni di affetto per i parenti lontani – più vecchi sono, meglio è – vanno un casino quest’anno.

Soprattutto, però, Instagram ama i SHOGNI. La gente vuole vedervi in barca. La gente vuole le piscine a sfioro, i cocktail giganti, gli attici pieni di luce e i roof-bar. Le spiagge coi lettini a baldacchino e gli ombrelloni con le foglie di palma. I party in spiaggia con le fiaccole fiammeggianti. Siete ricchi? Non c’è problema. Non siete ricchi? Appellatevi al magico potere delle piccole cose. Devastate i vostri follower con la dolcezza infinita delle mini-gioie quotidiane. La poesia del viaggio. Il gusto per i dettagli nascosti. I gatti randagi macilenti che sonnecchiano in uno spicchio di sole. Un fiore caparbio che cresce in mezzo a una pietraia battuta dalle intemperie. Un castello di sabbia. Un sassolino colorato. Fate finta di disprezzare i resort balinesi a mille stelle, prendete la cartaccia di un Liuk e spacciatela per un prezioso origami. Avvicinatevi alle stronzate più insignificanti con il rispetto e la commozione che riservereste alla lacrima iridescente di un unicorno. La gente di Instagram capirà. Perché la gente, d’estate, è più sensibile.

Cuori a voi, dunque.
Trovate un last-minute e fateci vedere chi siete.
Andate… e fotografate.
Sarà un luminoso successo.
…è il ritorno, che crea problemi.

 

 

bombay sapphire ultimate gin e tonic experience

Ho deciso che sulle meraviglie di Venezia farò ben due post due. Uno sulla mirabile avventura a bordo di una bottiglia di Bombay Sapphire (con tanto di lezione di gin-tonic e performance artistiche a due centimetri dai miei alluci), e l’altro su Venezia come posto fascinoso e terrificante. Perché quando non hai il senso dell’orientamento, Venezia può anche ucciderti. Soprattutto quando c’è il Carnevale.
Inizierei dall’argomento gin-tonic, se non vi dispiace… che si sa, ne parlo già tantissimo di mio (intanto che ci siamo: grazie a tutti i prodi che, periodicamente, mi ricordano di mettere i ghiaccetti in freezer), figurati cosa posso tirare fuori quando mi capita una roba che si chiama The ULTIMATE Gin&Tonic Experience. ULTIMATE, come il mostro definitivo di fine livello.
Come reagire, dunque?

A. Prendere un valigino. Riempire il valigino di lustrini.

B. Balzare su un treno in direzione Venezia S. Lucia.

Sul treno ero un po’ intimorita perché tutti gli altri che venivano a fare festa al Bombay Sapphire erano giornalisti. E io, no. Io ho un blog che si chiama Tegamini. Ah-ah-ah, no, non parla di cucina, tutto tranne quello. Piacere, piacere. Tranquilli, non fate caso a me. Sto qui nel mio cantuccio. Però scusate, perché avete tutti dei valigini più piccoli del mio?
I giornalisti liofilizzano gli abiti e le scarpe. Non so come facciano, ma è così.
Poi, però, abbiamo fatto amicizia. Ci siamo anche scambiati delle maschere piene di piume. Non sono affatto minacciosi, i giornalisti, dopo un paio di bicchieri. O dopo che un taxista veneziano super spiccio ti ingiunge di salire sulla sua barchetta, te e tutti i tuoi valigini. Nessuno è salito con grazia, perché la laguna incute rispetto.

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Comunque. Mi sono messa tutta bella composta vicino a un bancone pieno zeppo di bottiglie color zaffiro (pietra amatissima dalla regina Vittoria che, meraviglia delle meraviglie, appare in tutto il suo arcigno e corpulento splendore anche sull’etichetta del benamato Bombay) e ho degustato, ascoltato e gioito dell’altrui capacità di produrre robe buone da bere.
Ho imparato moltissime cose. E la mia naturale predisposizione al gin-tonic ha finalmente trovato una valvola di sfogo piena di immaginazione. Perché uno pensa che il gin sia una roba relativamente poco complicata, ma non è vero niente. I bicchieracci dei posti dove andiamo noi mica si chiamano bicchieri-Swimming-Pool. E non c’è da inorridire, quando ti mettono tanto ghiaccio, anzi. Non è perché sono tirchi, taccagni, braccini corti e spilorcioni: un cocktail fatto bene ha bisogno di un sacco di ghiaccio, perché se ce n’è parecchio non si verificano squagliamenti e quello che ti bevi rimane uguale dall’inizio alla fine. E segnatevelo, se dovete fare una festa chic: in una serata con della gente allegra che si beve 2-3 cocktail a testa, serve un chilo di ghiaccio a persona. E noi lì, coi sacchettini di plastica. Prendete un piccone e trascinatevi in casa un iceberg.

A parte i rudimenti dell’arte COCTEILISTICA, ho anche appreso innumerevoli utili nozioni sulla composizione del vivace Bombay Sapphire, che è il gin che ti vai a comprare quando non vuoi fare la figura dei cavapietre e che ti fa anche un po’ gridare perché io valgo! quando te lo passano alla cassa. Perché è più buono, ma anche da prima che mi facessero sedere al bar del Bauer di Venezia. Tutta la bontà accade – con nostra grande soddisfazione – perché nel Bombay prosperano aromi e ingredienti di impareggiabile stranezza. Io ho i miei colleghi tra loro maritati, in ufficio, che ogni tanto saltano su con affermazioni tipo “Cielo, è finito il sale rosa dell’Himalaya! Periremo!” oppure “L’altra sera abbiamo messo sulla pasta questa varietà di cardamomo biforcuto che cresce solo tra gli zoccoli pelosi di un particolare ruminante sputacchione della cordigliera andina, il fafnirpal”. Ecco, ora so come vendicarmi. Perché il Bombay Sapphire, senti un po’, contiene i seguenti dieci aromi (gli aromi, in Bombayese, si chiamano botanicals… e io li ho visti con questi occhi, dopo aver controllato sull’atlante illustrato dove li vanno a prendere): mandorle amare e limoni dalla Spagna, liquirizia dalla remota Cina, bacche di ginepro e radice di iris dall’Italia, radici di angelica dalla Sassonia, coriandolo dal Marocco, corteccia di cassia indocinese, grani di pepe Cubebe dell’isola di Giava e Grandi del Paradiso dell’Africa Occidentale.
Cheers e tanti saluti al fafnirpal.

tegamini bombay sapphire bancone

Visto che ho la faccia di tolla tipica dei bambini molto piccoli, poi, mi sono offerta volontaria per un esperimento da vera barlady. Con la supervisione del pazientissimo mastro-Bombay, ho preparato il gin-tonic preferito della regina Vittoria con una perizia da neurochirurgo. Faccio un gin-tonic, ma sembro una che si sta laureando in ingegneria biomedica. Ridete pure, ma bisogna mescolarlo da sotto in su, con un bel movimento rotondo, vigoroso ma delicato. C’è anche un video, che esiste solo perché ho assaggiato tutti e venti i cocktail della degustazione…

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Per chi volesse farsi una cultura e per i vostri amici che ancora ritengono che il gin-tonic sia noioso e del tutto privo di IMAGINATION – tema della goduriosa serata – qua ci sono i cocktail che si sono inventati per noi con gli ingredientini e i nomi belli, così potete prepararveli anche per i fatti vostri e innalzare di una tacca la felicità media del mondo. E’ un agile PDF, che fa anche un casino arredamento. E non ci crederete mai, ma il gin-tonic alla camomilla ha un suo perché.

E poi?
No, perché mica è finita.
Dopo aver presidiato il bancone in dorata solitudine e tranquillità, il bar si è riempito di variopinti personaggi che volevano vedere della seria live-arte. C’era un pianoforte con Giovanni Guidi – che è un giovane prodigio galattico del nu-jazz – che suonava, improvvisando per delle mezz’ore… il cielo solo sa come. Giovanni Guidi deve avere un cervello grosso il doppio del nostro, o ce l’ha uguale a noi ma la densità dei suoi neuroni è dieci volte maggiore. E c’era una grossa lavagnona nera con Letman – che è un calligrafo olandese che mi ha pure tollerata per tutta la cena mentre mi facevo i fatti suoi, tipo “ma i muri di casa tua, poi, hai deciso di dipingerli da solo o li lasci così?” – che disegnava, scriveva e artistava a ritmo di piano. Tre sonate improvvisate e tre lavagnate, son venute fuori. E io ero molto emozionata, perché dev’essere di una difficoltà estrema farsi venire in mente il modo di riempire una roba di tre metri per due con della gente piena di piume di carnevale che ti fissa con immensa curiosità.

BS-Letman4

BS Guidi1

Una gioia.
Alla fine, ancora discretamente salda sulle gambe, sono tornata nella mia stanza e ho preso una gran paura perché c’era la televisione che andava e le lampade accese in una maniera molto coreografica. E mi avevano anche scostato l’angolo del lenzuolo e risistemato tutti i vestiti. E avevo le pantofole messe su un tappetino vicino al letto. LA CAMERIERA PETRA ESISTE VERAMENTE. E chi lo sospettava. Visto che Amore del Cuore non aveva mie notizie dalle ore 17, poi, mi sono baldanzosamente diretta nello spazioso bagno marmoreo per inviargli una testimonianza della mia buona salute, maschera da giullare e tutto.

 

Indipendentemente dalla maschera, mi sento sempre Batman. #bombayandtonic

Una foto pubblicata da Francesca Crescentini (@tegamini) in data:

 

La risposta di Amore del Cuore è stata “METTI VIA QUELLE TETTE”.
E io le ho messe nel pigiama.
E ho messo il resto di me nel letto, sempre dentro al pigiama.
Buonanotte a Venezia. Buonanotte e molte grazie a Bombay Sapphire, che ha assecondato con impareggiabile gentilezza la grossa principessa curiosa che e in me. Buonanotte anche a Giovanni Guidi e a Letman, che spero abbiano fatto sognoni d’oro, dopo tutta quella performance complicata. E buonanotte ai giornalisti, che prendevano tutto con estrema naturalezza e tranquillità… mentre io sembravo un’orfanella di Dickens entusiasta dell’acqua calda che esce dal rubinetto.

E’ stato avventurosissimo, allegro e immensamente spassoso.
Grazie per l’accoglienza, le materne premure, le sorprese e le scoperte.
Se mi abituo è un casino, anche questa volta.

bombay-bauer-comodino

Avrei una gran quantità di cose da fare, ma la fuffa deve avere la precedenza. Perché l’arte non aspetta, l’arte sgomita e scalpita per farsi largo nella triviale quotidianità delle piccole cose della vita. L’arte è ovunque, e apprezzarla è un nostro dovere, anche quando ci sono di mezzo i cartoni della pizza.
La pizza d’asporto si chiama “pizza d’asporto” anche se, spesso e volentieri, non sei te che la asporti fisicamente dalla pizzeria. Te, che hai il culo pesante e il frigorifero vuoto, chiami la pizzeria e lasci che ad asportarla dal forno sia uno scattante giovane uomo col motorino. Sfidando le intemperie, i rigori dell’inverno, il traffico, i semafori rossi, la nebbia e il calore che – inesorabilmente – tende ad abbandonare la roba da mangiare a una velocità vertiginosa, il coraggioso giovane uomo col motorino apparirà sul tuo zerbino con uno scatolozzo termico pieno di pizza (e una Fanta omaggio, se hai ordinato in un posto che ha aperto da tre giorni). Individuare i pizzari più validi di una determinata zona è un’operazione di importanza capitale. Io e Amore del Cuore, per dire, abitiamo insieme dal mese di settembre dell’anno 2012 e solo dopo innumerevoli collaudi, decisioni difficili e atti di fede degni di Indiana Jones – che cammina su una passerella invisibile sospesa su un abisso senza fondo – siamo riusciti a capire dove è saggio ordinare la pizza. Indipendentemente dalla vostra scelta – più o meno oculata -, però, l’apparizione del giovane uomo delle pizze è sempre motivo di gioia. Io all’inizio mi spavento perché ho paura del campanello, ma poi sono felice come ogni persona normale. Del cibo, c’è una persona che ti porta del cibo. Anzi, della pizza! Cosa c’è di meglio della pizza! Credo sia per questo entusiasmo del tutto spontaneo, naturale e sacrosanto che, quando uno piglia le pizze e le porta sul tavolo, non sta troppo lì a guardare la scatola. Ci sono faccende più importanti da sbrigare. Dove sono i tovaglioli. La birra, la birra ci siamo ricordati di metterla in freezer? Era calda! Le posate, le posate! Non rispondere al telefono, diventa fredda! Ecco perché nessuno si accorge mai dei cartoni. C’è fermento, quando arriva una pizza, bisogna accoglierla, bisogna mangiarla. Si alza il coperchio e buonanotte, il cartone non lo guardiamo. Ma sbagliamo di grosso. Perché mentre noi affettiamo, mastichiamo e sputiamo nocciolini di oliva, anonimi artisti (e conclamati squilibrati) si sfogano sui coperchi, generando mostri e capolavori.
I cartoni della pizza sono interessantissimi.
E posso dimostrarlo.

Qui c’è un pingue cuocone, fiero del suo forno a legna, con dei pomodori che gli gravitano sulla zona inguinale. Ciuffi di basilico decorativo e colori caldi e rassicuranti.

cartone della pizza

In questo secondo esemplare di cartone della pizza, invece, il realismo si attenua. Un signore con le guance da criceto russo e una camicia a quadri simil-tovaglia decide di cacciare in forno un cartone tondeggiante – forma che in natura non esiste – proprio uguale a quello che lo ritrae. Un meta-cartone della pizza, pieno di scritte incoraggianti. LA QUALITA’! LA TUA PIZZERIA DI FIDUCIA!

tegamini pizza cartone tondo

In questo caso, invece, un cuoco baffuto (con un occhio guercio e una mano nei pantaloni) emerge da una pizza gigante per porgerci un’invitante fetta piena di funghetti. E, visto che gli slogan in inglese fanno autorevolezza, ci grida “THE BEST ONE”, con un’arroganza del tutto immotivata.

tegamini pizza the best one

Il pizzaiolo-principessa Disney, aiutato dal suo inseparabile animaletto sorridente. Ci piace pensare che il delfino non venga di tanto in tanto fatto passare per tonno all’olio d’oliva.

tegamini pizza delfino

Qui, invece, il pizzaiolo perde l’obbligatorio baffo a manubrio e si trasforma in uno studente della Bocconi che, stufo di farsi schiavizzare da Accenture (o da un’analoga società di consulenza e sofferenza) decide di aprirsi un ristorantino.

tegamini pizza bocconi

Fregi elfici e cuoco in stile Ratatouille. Di questo cartone andavano così fieri che l’hanno esposto in vetrina.

tegamini pizza ratatouille

Il mio preferito, però, è questo. Perché c’è Obama – circondato da melanzane e floridi pomodori – che si esibisce in un agile virtuosismo con la pasta. Obama.

tegamini pizza obama

Vorrei mangiare pizza tutti i giorni. Ma non solo perché è buona e fa tanto Tartarughe Ninja, ma anche un po’ per imbattermi in nuove rappresentazioni dell’eccellenza gastronomica italiana. Vorrei avere altri esemplari da analizzare, ma c’è un limite alle pizze che possiamo ingerire.
Ma come saranno i cartoni della pizza nelle altre regioni del Bel Paese? Cuochi robusti o cuochi esili? Realismo o rarefatto astrattismo?
Un museo, bisognerebbe buttare in piedi un’esposizione permanente di cartoni della pizza. Insieme possiamo farcela. Gettate la mozzarella oltre l’ostacolo: avete mangiato una pizza da un cartone particolarmente avvincente? E mandatemi una foto, santo il cielo. Il Corriere dell’Alpaca merita una sezione sui cartoni della pizza, con i nostri avvistamenti migliori. Vedete voi come fare. Appiccicatemela su Facebook, TUITTATEMELA (con la chiocciolina @francescapeach, che se no ciao), INSTAGRAMMATEMELA (con la chioccioletta @tegamini, che se no ciaone). E non dimenticate di inserire un esauriente commento da professoresse di storia dell’arte. Costruiremo una torre di cartoni della pizza così alta da sfiorare la cima dell’Olimpo!
Lievito! Gloria! Pomodori! Carciofini!
Prendetemi a cartoni!