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Minicuore ha esordito al nido a metà settembre, con una certa spavalderia. Pur contraendo malattie di ogni genere a intervalli regolari di dieci giorni, la convivenza con la micro-comunità di infanti della sua classe sta procedendo bene. Io, mio malgrado, sono stata inserita in una chat di mamme votata alla diffusione di regolari bollettini pediatrici e all’organizzazione di acquisti collettivi di adorabili scarpine di foggia zoomorfa. Per il momento ho imparato i nomi dei bambini, ma continuo ad avere qualche problema ad associarli alle rispettive genitrici, ma conto di farcela entro le vacanze estive. Morbi e madri a parte, il nido richiede una certa organizzazione. Siamo andati a presentarci alle educatrici, verso la fine di agosto, e siamo usciti dalla riunione con una lista di cose da portare e procedure da rispettare lunga come i rotoli del Mar Morto. Il lavoro più laborioso, da ripetersi a scadenza settimanale, è quello di organizzazione dei cambi. Perché i bavaglini si sbrodolano e le cacche possono sfuggire dai pannolini. Quindi te, tutti i lunedì, devi rigenerare il parco-indumenti del tuo erede, inserendo tutto in ordinatissime sacche e premurandoti di etichettare ogni capo di vestiario col nome della creatura, affinché Cesare non se ne vada in giro con le calzamaglie di Allegra.

La faccenda dell’etichettatura era un vago terrore che già sospettavo di dover fronteggiare. E, sin dal giorno della complicatissima compilazione della domanda per avere un posto in un nido vagamente normale del comune di Milano, ho giurato di non fare la fine di MADRE.
Dovete sapere, infatti, che in seconda media sono andata al campo estivo di tennis. E MADRE ha deciso che il modo più razionale per affrontare la faccenda dell’etichettatura dei miei vestiti era il seguente: comprare minuscole cifre in merceria – fino a comporre il numero “4107”, la matricola che mi era stata assegnata – e cucirle su ogni singolo vestito che mi sarebbe servito per quelle due settimane.
NO, GRAZIE. MA MANCO MORTA.
PIUTTOSTO PAGO UNA TATA INGLESE A DOMICILIO PER I PROSSIMI SEI ANNI.
CI SARANNO BEN STATE DELLE INNOVAZIONI NEL FLORIDO SETTORE DELL’ETICHETTATURA DI INDUMENTI PER BAMBINI.
E sì, ci sono state. Con mio grande sollievo.

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Ho chiesto qualche informazione a un po’ di mamme di Instagram che seguo con gioia e, visto che l’inizio del nido incombeva, ho deciso di fare un tentativo con Petit-Fernand, un sito specializzato nella stampa di etichette personalizzate di diversi tipi. Ci sono le etichette con nome termoadesive – che si attaccano ai vestiti con il ferro da stiro – e quelle adesive e basta – che vanno appiccicate, in un’inception di etichette, alle etichette degli indumentini. Quelle del colletto, per capirci. O, in alternativa, quelle con le indicazioni sulla composizione del tessuto e sul lavaggio. Visto che sono estremamente pigra e inetta, mi sono immediatamente orientata sulle etichette adesive, che promettevano di resistere in lavatrice fino a 60° (giro in asciugatrice compreso) e si potevano riempire di coccosità tipo piccoli dinosauri, sfondini pastello e font tondeggianti.
Ebbene, tre mesi dopo posso affermare con grande soddisfazione che le etichettine sono ancora tutte al loro posto. E di lavatrici ne faccio due a settimana – e pure con una certa irruenza.

Quand’ero lì lì per finire la prima mini-risma di etichette – le tengo nel cassettino del fasciatoio e le appiccico man mano sui vestiti che mi servono quando preparo la sacca per il lunedì. Ci vogliono tre secondi, non ci sono tempi tecnici di accensione di ferri da stiro e non esistono clausole vessatorie sull’utilizzo repentino, la vita – INSOMMA, quand’ero lì lì per finirle, Petit-Fernand mi ha scritto per chiedermi se volevo provare anche quelle per gli oggetti – perché vanno etichettati anche i biberon, che vi credete – e se mi andava di collaudare uno degli altri aggeggi personalizzabili dell’assortimento.
Visto che siamo in fase “impariamo a bere da recipienti diversi”, ho scelto la borraccia Petit-Fernand e ci ho istantaneamente schiaffato sopra un tirannosauro che va sullo skateboard nei pressi di Las Vegas. Così, perché gli va. Si possono scegliere 28 illustrazioni di sfondo e aggiungere una scrittina con il nome della vostra creatura – o quello che vi pare. Tutte le borracce sono in acciaio inox (completamente riciclabile) e mantengono i liquidi caldi per 12 ore o refrigeratissimi per una giornata intera. E L’ACQUA NON SI ROVESCIA. Sembrerà scontato, ma non lo è – credetemi.

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Visto che le etichette vanno via come il pane – non perché sia necessario sostituire quelle che si staccano, ma perché gli infanti crescono e le stagioni trascorrono – Petit-Fernand ha pensato anche di sfornare dei pacchettini-risparmio e dei kit per affrontare le situazioni di socialità più disparate. I mix sono molto convenienti, le etichette possono diventare vergognosamente carine – ci sono un sacco di possibili combinazioni ornamentali da creare – e, cosa ancor più importante, sono coriacee e superbamente comode. Insomma, un’ottima scoperta-semplifica-vita e una gradita conferma a questo secondo giro di collaudo.

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Se siete ridotte come MADRE e/o non avete ancora trovato una maniera sensata per sbrogliare l’annosa faccenda dell’identificazione dei capi d’abbigliamento della vostra prole, ecco qua un codice sconto che potete usare su Petit Fernand. Con tegamini17 avrete un -15% sulle etichette (per vestiti e oggetti) e sui pacchetti di etichette. Sarà valido dall’11 al 18 dicembre compreso. E spero possa tornarvi utile.

Che dire, felici operazioni di etichettatura a tutti. E… coraggio, supereremo brillantemente anche l’ennesima febbriciattola.

La domanda COME VA è solo all’apparenza un quesito di semplice gestione. Perché a un COME VA, di solito, non è dato rispondere in maniera troppo particolareggiata. Magari ci sono delle cose che vanno bene, ma anche cose che vanno male o cose che potrebbero andare peggio/meglio, ma non puoi metterti lì a fare l’elenco.
Quel che serve, per rispondere al COME VA, è una specie di calcolo karmico che sommi e sottragga le diverse forze in gioco, per arrivare a una valutazione complessiva che possa vagamente offrire all’interlocutore un’impressione generale del corso della tua recente esistenza. Quando risolvi l’equazione e arrivi a una risposta accettabile, poi, te la puoi riciclare finché i fattori non mutano in maniera drastica, costringendoti a un ricalcolo.
MADRE, per esempio, rispondeva costantemente ai COME VA con un incoraggiante RESISTO, che mi metteva automaticamente in imbarazzo, visto che denunciava velatamente una difficoltà di fondo di cui sospettavo di essere in qualche modo responsabile. Comunque.  Mi sono resa conto che la mia risposta quasi standard al COME VA è diventata BENE… MI STO ASSESTANDO. E lo dico agitando un po’ le mani per aria, come se stessi palpeggiando una specie di nuvola invisibile. Non ho idea dell’impressione che una risposta del genere possa suscitare, ma è la pura verità… ormai da un annetto.

Non sono mai stata una particolare fan della routine o dell’organizzazione maniacale. C’è chi per sentirsi in pace deve pianificarsi tutti i weekend da qui al 2023 o chi scrive su un bel quaderno pieno di washi-tape i suoi obiettivi a medio, lungo e lunghissimo termine. Io, anche prima di riprodurmi, avevo serie difficoltà a fare la spesa per più di un pasto alla volta.
Che diamine mangeremo domani?
Encefalogramma piatto davanti al banco dei latticini.
Così.
Che vuoi pianificare, con uno schema cognitivo del genere? Poco, ecco che cosa pianifichi. Un po’ perché, per indole, non hai super voglia di sforzarti, ma anche un po’ perché, tutto sommato, sei in grado di gestire l’imponderabile. Operi in un contesto dove esistono dei margini di manovra. Dove ti puoi permettere di pensare domani alla cena di domani. O di prenotare un viaggio la settimana prima di partire – se hai i soldi. Perché reagisci rapidamente, cambi quando serve e, non essendo una persona particolarmente strutturata, non ti agiti quando capitano cose in maniera repentina. O non ci metti molto a decidere e a passare all’azione. Ti arrangi. Ne esci comunque vincitrice.

È un vantaggio, rispetto all’estrema pianificazione?
Non ne ho idea.
E poco ce ne frega, visto che non è una gara e non si vince niente.

Quello che sto cercando di dire – forse – è che l’arte dell’improvvisazione è un po’ una scelta, ma è anche una specie di lusso. Decidere di “pensarci dopo” è una forma di libertà. E si va ad appollaiare in cima a una base di relazioni, impegni e situazioni già assodate che sei ormai capace di amministrare in automatico. È una sorta di cuscinetto che ti puoi gestire come ti pare per assecondare sghiribizzi o momenti di culo pesante. E ai COME VA finisci per rispondere in maniera molto avventurosa e spumeggiante. Ti viene da parlare proprio di quegli sghiribizzi lì e delle trovate dell’ultimo minuto, perché ti sembra che la parte più “viva” di quello che ti capita sia quella che hai previsto di meno, quella che si innesta sulla tua base di certezze più solide e costanti.

Ma che succede quando cerchi di far appollaiare il lusso della disorganizzazione parziale su una base fluida?
Ciao.

Ho un bambino che cambia tutti i giorni. Che fa cose nuove continuamente e che sviluppa abitudini inedite ogni venti minuti. È un genere di imprevedibilità diversa, ma imprevedibilità rimane. Ed è una mia responsabilità. Posso contare su alcuni punti fermi e imporre un certo ritmo, ma ora si improvvisa per gestire progressi visibili e minuscoli traguardi. E non puoi più permetterti di rimandare il rimandabile, perché in quello spazio di sereno tentennamento ci finirà sicuramente qualcosa di mai visto che dovrai risolvere. Non c’è nulla di meno statico di un infante. Perché crescere non ha nulla a che vedere col rimanere fermi o col creare rassicuranti cuscinetti in cui la realtà si comporta più o meno come ce l’aspettiamo, lasciandoci dell’altro spazio per indovinare soluzioni estrose a problemi che possiamo comodamente rimandare. Succede tutto contemporaneamente e tutto diventa un grande esperimento di adattamento perenne.

Ci si annoia? Direi di no.
Ci si ricalibra? Per forza.
C’è fascino? Molto.
C’è affanno? Anche.

Perché ti senti sempre un passo indietro. Non puoi abituarti a niente. E ogni tua dote d’improvvisazione finisce per confluire nella gestione di un cervellino che scopre pezzettini di mondo. O di cosciotti che sostengono rapidissime deambulazioni. Appena un meccanismo potrebbe vagamente configurarsi come routine, cambia tutto.
Bene, siamo finalmente riusciti a padroneggiare le pappotte. Ma cinque minuti dopo le pappotte ci fanno schifo e vogliamo le penne col ragù. Ci siamo stabilizzati sulle penne col ragù? Fantastico, ora voglio gestirmi la forchetta da solo. Mi auguro che presto decida anche di cucinarsele in autonomia, le benedette penne al ragù, ma – per ora – io lo rincorro. Mi stanco, mi stupisco, lavoro col computer in bilico su un ginocchio mentre supervisiono la costruzione di ambiziose torri di cubi gommosi. Lo accompagno e avanzo insieme a lui, perché non posso sapere cosa troverà domani e non posso governarlo. Ma posso cambiare quando ce n’è bisogno, perché mi ricordo come si faceva – per cose molto più stupide e molto meno importanti.
Cambio.
E mi assesto.
COME VA.
Bene, grazie, mi sto assestando.
Sempre.
E speriamo che basti.

Dunque, ho scoperto dell’esistenza delle Baby Box da una ragazza meravigliosa che seguo su Snapchat – @lavladina, andate e amatela – e che vive in Olanda. In Olanda, come in numerosi altri paesi più o meno scandinavi, lo stato recapita al domicilio delle future mamme uno scatolone pieno zeppo di roba che potrà servire al bambino o alla bambina nelle prime settimane di permanenza sul nostro pianeta. Una specie di scialuppa di salvataggio con l’occorrente di base per rispondere alle esigenze primarie della prole, pensata per dare una mano ai genitori e garantire una serena transizione delle creature dal grembo materno al mondo esterno.
Dai, ma che bello, ho subito pensato.
Che saggezza, che trovata funzionale.
Ascoltando la mia amica, poi, mi sono resa conto che riprodursi in Olanda non è sempre un susseguirsi di meraviglia, regali e pace, ma la faccenda della Baby Box mi aveva impressionato molto. Mi sono rivista al nono mese di gravidanza, mentre scrivevo su Google roba tipo “neonato cosa serve all’inizio” e buttavo aggeggi a caso in sedici diversi carrelli virtuali, in preda all’angoscia che solo il sospetto di non essere all’altezza può regalarti.
Qualche tempo fa, però, Mukako mi ha gioiosamente proposto di fare un giro dalle loro parti per collaudare lo store e dare un’occhiata alla loro “riedizione” della Baby Box – ispirata alla versione originale inventata in Finlandia nell’ormai lontano 1938 e sopravvissuta con crescente successo fino ai giorni nostri. Cesare ormai è cresciutissimo per una Baby Box ma, grazie alla GRANDIOSA esperienza accumulata sul campo, sono decisamente nelle condizioni di valutarne una. E ho pure un’amica che aspetta, mi metto avanti coi doni – invidiandola pure un po’. In questo caso, infatti, non posso fare a meno di prorompere in un PERBACCO MI AVREBBE FATTO COMODO PERCHÉ NESSUNO ME L’HA REGALATA QUAND’ERA IL MOMENTO.
Mukako propone diverse Baby Box – tutte assemblate con la benedizione e il supporto dell’associazione Semi per la SIDS -, più o meno accessoriate. Io ho scelto la versione base – perché ad aggiungere siamo bravi tutti, è la sintesi che è complicata – e, frugandoci dentro, mi ci sono ritrovata parecchio. Vi rimando all’elenco puntualissimo degli articoli ma, per cominciare, direi che c’è praticamente tutto: pannolini, salviettine, pasta lenitiva, bagnoschiumino, body, canottiere, bavaglini per allattamento e dentizione, massaggiagengive, succhietti, un carillon. Tutta roba che ho usato, che mi sarebbe servita e che penso potrebbe servire a chiunque.

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Baby Box a parte, Mukako è un bel posto. Lo store è diviso in tre macro-sezioni: prima infanzia – categoria che contiene all’incirca tutto lo scibile umano, dai passeggini alle lucette musicali per sconfiggere il terrore dell’oscurità, dai pannolini ai piattini per la pappa -, giocattoli – ripartiti per età e per categorie “funzionali”, tipo balocchi per lo sviluppo motorio, per quello cognitivo e per il gioco simbolico – e bellezza – sia per la mamma che per la cura degli infanti. Lo shop promette consegne in 24 ore… e non mente.
Che cosa ho scelto? Indumentini.
Perché non so come funzioni negli altri nidi, ma nel nostro partono maglie e pantaloncini come ridere. Sì, mamma, l’abbiamo cambiato perché una briciola di pane gli è accidentalmente precipitata addosso. Ah, mamma, l’abbiamo cambiato perché si era rovesciato una goccia d’acqua su una manica. Meglio così, ci mancherebbe, ma è da un mese che vivo nel terrore di esaurire le scorte d’abbigliamento. E non è una fobia campata per aria, ho solidissimi dati empirici: quando lo vado a prendere, molto semplicemente, non lo ritrovo mai vestito com’era alle nove del mattino. Mai. E devo continuamente rifornire l’asilo di roba pulita, etichettata e ben piegata. Quindi niente, sento il bisogno di prendergli dei vestiti ogni dieci minuti. E quelli di Mukako sono assai carini. Dove ci sono dinosauri c’è il bene, si sa.

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Vado ad applicare pratiche etichettine adesive sulle adorabili magliette nuove di Cesare – visto che oggi è stato rispedito a casa per defecazione troppo esuberante con una valigia di roba da lavare – e faccio spazio nell’armadio per la Baby Box in attesa del lieto evento. Sarà un regalo un po’ spoilerato, è vero. Quando ti nasce un figlio, però, di sorprese ne arrivano già in abbondanza. E un dono rassicurante ci vuole, almeno per cominciare.
🙂

Nella vita è inevitabile raccontarsi un po’ di menzogne.

No, davvero – non ho più fame.
Vuoi andare a farti un weekend a Cracovia coi tuoi amici? Ma certo, non c’è problema.
Guarda, cinque minuti e sono lì.
I baffi? Non li ho mica, figuriamoci.
Non ti alzare, faccio io.

Alle palle che sfoderiamo nel quotidiano (e che ci aiutano a risultare meno insopportabili al resto del mondo) si accompagnano anche le baggianate programmatiche che sforniamo per le faccende più importanti – tipo l’educazione e la crescita di una prole garbata, vergognosamente intelligente e profondamente empatica.
E la cosa interessante è che finiamo per crederci veramente.

Ah, io a Cesare farò vedere solo i documentari della BBC, Rai Storia, Ian McKellen che recita Shakespeare e film polacchi d’autore. E per non più di dodici minuti al giorno – che si sa, la tv è il male e Mozart mica ce l’aveva… e non si può certo dire che fosse un bambino imbecille.
Ecco.

Il problema, però, è vasto e ramificato. E ad un certo punto, mentre intrattieni tuo figlio sul tappeto con giocattoli in legno dal dirompente potere pedagogico, ti accorgi che devi fare la cacca. O che hai il bucato da stendere. Il lavandino pieno di piatti da scagliare in lavastoviglie. Il gatto da nutrire. Il letto da rifare. Dei panni da piegare. Ventisette mail a cui rispondere. I capelli da lavare. Delle verdure da bollire.
Potresti sbrigare tutte queste utilissime faccende ancorandoti addosso un infante di undici chili per mezzo di un marsupio o di una fascia (magari la doccia no, ecco), va bene, ma ormai hai la schiena rotta e le clavicole incrinate e, in tutta sincerità, non ti va. E il tuo infante neanche ci vuole stare addosso a te mentre carichi una lavastoviglie.
Che fare, dunque?

Box. Giochi. Planet Earth su Netflix – nello specifico, la puntata con il giovane guerriero della Mongolia meridionale che si arrampica su uno sperone roccioso per procurarsi un pulcino d’aquila reale direttamente da nido, sfuggendo ai ripetuti attacchi (assolutamente legittimi) di aquile adulte con artigli lunghi una spanna e gli occhi animati da un furore omicida.
E per dieci minuti sono a posto, pensi.
Posso precipitarmi a fare la lavatrice.
Posso pelare tre carote e buttarle in una pentola.
Posso, perché è li che gioca in un luogo sicuro, con uno speaker assai rassicurante che, in un italiano forbito e correttissimo, narra le eroiche gesta di un giovane guerriero martoriato dalle aquile. Se proprio vorrà guardare, poi, non vedrà altro che favolose carrellate di steppe innevate, nuvole che si rincorrono e possenti ali che fendono il vento.

Favola.

E invece un cazzo.

Perché tuo figlio se ne frega delle aquile della Mongolia. Così come dei tuoi nobili progetti educativi e/o delle goffe strategie d’intrattenimento intermittente che metti in campo quando devi andargli a tagliare la frutta per la merenda.
Tuo figlio non li vuole i documentari, i monologhi teatrali e la musica sinfonica.
Tuo figlio vuole una cosa sola.

PEPPA PIG.

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Peppa Pig è un mistero, per me.
Come la trinità di nostro Signore.
Come il teorema di Ruffini.
Come la Cappella Sistina.
Peppa Pig può tutto. Ed è in grado di placare ALL’ISTANTE ogni malumore. Non ci ho mai provato, ma sono sicura che se lasciassi Minicuore per sedici ore davanti a Peppa Pig potrei anche uscire per andare dal parrucchiere e, una volta rincasata con la piega fatta, lo ritroverei nella stessa posizione, come un monaco che medita su un cocuzzolo innevato.
È incredibile.
Ed è un fenomeno assolutamente inspiegabile.

Nel mondo di Peppa Pig sono tutti animali. Ma questi animali hanno anche degli animali domestici. E la veterinaria è la Dottoressa Criceto – che, nell’universo che abitiamo, è a sua volta un animale da compagnia. E gli animali domestici non parlano, mentre tutti gli altri sì. Non parlano i rettili e non parlano i volatili, ma i maiali, i cani, le volpi, i conigli e le zebre dicono moltissime cose. Gli adulti, salvo rare eccezioni, sono definiti unicamente dal loro grado di parentela con Peppa o con i compagni d’asilo di Peppa. Nessuno sa come si chiami davvero Mamma Pecora, mentre Susy Pecora è una Susy, ha un nome suo. Come diavolo si chiamava Mamma Pecora da ragazza? Nella versione originale, poi, l’intero serraglio ha nomi e cognomi con la medesima iniziale. Freddy Fox. Danny Dog. Zoe Zebra. Rebecca Rabbit. In italiano diventano, inevitabilmente, Freddy Volpe, Danny Cane, Zoe Zebra (che culo!) e Rebecca Coniglio. L’unico animale non tradotto è il maiale. Quindi Peppa Pig rimane Peppa Pig. E questa discrepanza mi tormenta. Va bene perdere l’assonanza tra le iniziali, ma che Pig non diventi almeno Maiale mi distrugge. Ma mi rendo anche conto che PEPPA PORCA fosse un po’ troppo, per il traduttore. E George? Già lo odiano, è palese, ma chiamarlo pure con un nome che inizia per G invece che per P è una palese dichiarazione di guerra.

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Ma parliamo anche delle abitazioni. Perché tutti vivono sulla cima di ripidissime colline? E perché sono così felici di fare la raccolta differenziata? Perché non riescono a ridere in posizione eretta, ma finiscono regolarmente a gambe all’aria, sbellicandosi sul pavimento come dei piccioni stecchiti dal freddo? E com’è possibile che l’intrattenitore televisivo più celebre sia una gigantesca patata senziente? Perché il Signor Patata cammina e parla mentre le patate che compongono il 1000% della dieta della famiglia Pig sono inesorabilmente inanimate? Da dove viene il Signor Patata? E perché TUTTI i nonni hanno una barca? Quali droghe assume l’intera comunità degli animali per accogliere una coda infinita dovuta ai lavori stradali del Signor Toro con una tale esuberanza? Ma soprattutto, che cos’è quest’ossessione collettiva per le pozzanghere di fango? Adulti, bambini. Tutti adorano saltare nelle pozzanghere di fango – una roba che, se la vedessi fare a Minicuore, mi verrebbe un infarto. Che lavatrice hai, Mamma Pig? E come fai, Papà Pig, ad andare a ripescare dei preziosi documenti di lavoro che Peppa ti ha tirato nel laghetto delle papere – devastandoli irrimediabilmente – con quell’incredibile serenità? Perché Susy Pecora va sempre in giro vestita da infermiera? Com’è possibile che l’intera economia del luogo si regga sulle capacità di multitasking della Signorina Coniglio? Non può fare tutto lei. Gli altri non hanno bisogno di lavorare? QUANTI ANNI HA ESATTAMENTE MADAME GAZZELLA? Papà Pig non ha dei genitori? Perché dobbiamo sucarci solo i nonni materni? I nonni paterni sono diventati prosciutti? Come si fa ad appassionarsi così tanto al compostaggio? Fa schifo. Puzza. I vermi. Ma perché! Con che coraggio si decide di affidare un gruppo di dodici bambini a Nonno Pig, che si addormenta regolarmente al timone della sua bagnarola? Perché l’asilo cade continuamente a pezzi ed è necessario organizzare raccolte di beneficienza ogni quindici minuti? Di che cos’è fatto quell’asilo, di mollica di pane? Perché il Signor Toro è scapolo? Affiancargli una Signora Vacca sarebbe stato contrario alla pubblica decenza? E potrei continuare, ve lo giuro. Le domande sono potenzialmente infinite.

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Ma, per quanto io non capisca e abbia passato anni a prendermi gioco di Peppa Pig, c’è evidentemente qualcosa che non riesco a captare… ma che per Minicuore è palese. Ed è in questo mistero che si annida l’amore degli infanti per Peppa. Saranno le musichine allegre? Saranno le forme tondeggianti, gli improvvisi versi che ogni animale fa tra una battuta e l’altra? Oggi è una splendida giornata *GRUGNITO*! Oh, adoro carro attrezzi di Nonno Cane, *BAU BAU*! Saranno i colorini? La chitarrina ipnotica di Madame Gazzella? L’irresistibile bikini di Mamma Pig? L’esasperante cortesia di tutti quanti? Buongiorno di qua. Buonanotte di là. Non ho mai visto un cartone animato con così tanti convenevoli, santo il cielo.
Ma forse tutto questo non è importante. 
Perché c’è una sola cosa che conta: Peppa Pig FUNZIONA.
Grazie, dunque, Peppa. Sei una maialina di una saccenza insopportabile – e tratti sempre malissimo tuo fratello -, ma grazie a te posso fare la cacca per conto mio, senza dovermi imbragare addosso un bambino assolutamente incontenibile. E, per quanto mi ripugni ammetterlo, ti sarò per sempre debitrice.
Maledizione.

P.S. Egregio Netflix, ma un po’ di episodi nuovi non li vogliamo caricare, PERBACCO?

Il parco apre la mattina, nemmeno troppo presto. L’orario è variabile, ma ragionevole. L’infante ha ormai nove mesi… e si desta tra le sette e le otto e mezza, solitamente di ottimo umore. Ti vede e ti sorride serafico, anche se hai ancora la faccia sfigurata dalle pieghe del cuscino. Sei felice, perché è tenero. E la giornata comincia.

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…a dirla tutta, però, l’infante si sveglia tra le sette e le otto e mezza solo durante la settimana. Nel weekend è operativo alle sei spaccate. Non abbiamo idea di come faccia a distinguere i sabati e le domeniche dai feriali, ma ci riesce. Che bello, è sabato! Possiamo dormire un po’ di più! E INVECE.

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In casa nostra non vige una ferrea divisione dei compiti. Valutiamo il chi fa cosa in base a come siamo conciati in un determinato istante. In linea generale, ci pensa il genitore meno catatonico – con il tacito accordo di riequilibrare gli sforzi nel corso delle ostilità quotidiane. Ma la faccenda è irrilevante, in fondo. L’unica garanzia è quel che si trova nel primo pannolino.

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La cacca non mi stupisce più. Non dico che mi piaccia, chiaramente, ma ormai la considero inoffensiva. Le smorfie le faccio ancora, come riflesso condizionato, ma resto stoicamente indifferente. Va bene, è cacca. Non può nuocermi. Leviamocela dai piedi e tanti saluti. Ne valuto colore, composizione e consistenza – per assicurarmi che la creatura non produca nulla di eccessivamente fantasmagorico o ignoto alla scienza pediatrica – e procedo baldanzosa ai lavaggi di culino.

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Sono una grande estimatrice dell’acqua corrente. Alle salviettine si ricorre in situazioni estreme, quando proprio non c’è un lavandino nei paraggi. Che ne so, in un deserto. In una masseria remota solitamente utilizzata per i sequestri di persona. Se c’è un rubinetto, il culo del bambino va sotto al rubinetto. Peccato che il culo del bambino sia ormai diventato voluminoso – proporzionalmente al resto del bambino, per fortuna – e che l’infante, preso dall’entusiasmo, detesti la staticità. Se prima, dunque, potevo contare su un bambino maneggevole e facilmente rubinettabile, ora detergergli il deretano in un lavandino è una specie di avventura oceanografia, un naufragio su un vascello pirata, una passeggiata su una spiaggia devastata da uno tsunami.

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Il cassetto dei pannolini è vuoto. Dove diamine sono i pannolini. Ma soprattutto, come PERDIANA è possibile che siano già finiti. LI ABBIAMO COMPRATI SEI MINUTI FA.

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I pannolini non si volatilizzano, amici. I pannolini vanno smaltiti come le scorie radioattive. C’è chi si ingegna in modo diverso, ma noi abbiamo un onesto e funzionale mangiapannolini che troneggia fiero nel bagno perennemente allagato in cui svogliamo le pregevoli attività di pulitura della creatura. Visto che nessuno freme dalla voglia di cambiare il sacchetto ogni 13 minuti, il mangiapannolini si riempie. E si riempie. E si riempie. E, ad un certo punto, il maniglione si incastra. E tu, con un bambino di quasi dieci chili in braccio – avvolto in un asciugamano e divertitissimo dalle tue difficoltà – ti ritrovi a scuotere un mangiapannolini con la mano libera, bestemmiando i santi di ogni confessione e insultandoti per la scarsa lungimiranza dimostrata ANCHE QUESTA VOLTA. Perché il mangiapannolini ha ragione (ed è anche piuttosto capiente), sei tu che sei imbecille.

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Un tempo, mi ricordo, cambiare il pannolino era un’esperienza rilassante. Disponendo di un neonato pacifico e allegro, l’attività a bordo del fasciatoio non richiedeva un particolare sforzo muscolare e non suscitava pianti e strepiti acutissimi. Minicuore accettava di buon grado abluzioni, pernacchie sulla pancia e, soprattutto, la sostituzione dell’indispensabile arnese. Oggi, invece, sperare che stia coricato sul fasciatoio a farsi cambiare un pannolino è pura fantascienza. Se va molto bene, si alza in piedi contro al muro. Se va male, scaglia in terra quello che trova nel comodo e funzionalissimo vano portaoggetti-indispensabili-all’igiene e cerca di tuffarsi nel cesto dei bodini sporchi – doppio carpiato con avvitamento, coefficiente di difficoltà 9.7. Metterlo sul letto è l’unica soluzione praticabile, ma appena lo appoggi sul materasso si rivolta come una cotoletta mannara, schizza verso l’altiera e si avventa sui cavi penzolanti dei caricabatterie, sradicandoli dalle prese con immensa soddisfazione. E tu là, col pannolino in mano e l’acutissimo desiderio di assumere una tata-wrestler. O un gladiatore, di quelli col forcone e la rete. Fermati, miseria ladrissima. Lasciati mettere questo DIAMINE di pannolino.

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Sono le 9.07. E hai già un polpaccio dolorante e tre stiramenti alla schiena.

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Prepari il latte, collochi il bambino nella sdraietta – le due attività si svolgono spesso in parallelo, con l’ausilio di un secondo paio di braccia che di tanto in tanto spuntano miracolosamente all’altezza delle costole -, metti Mozart a palla – perché la musica fa diventare intelligentissimi, si sa – e consegni il biberon al bambino. Il bambino, che il cielo lo benedica, è capace di sgarganellarselo da solo, quindi tu ne approfitti scaltrissimamente per 1) Fare la pipì, 2) Levarti il pigiama – per indossare roba casuale che somiglia tantissimo a un pigiama, 3) Inghiottire un caffè e un biscotto – senza sederti, il che ti fa sentire molto al bar, 4) Metterti in faccia una crema a caso, 5) Tirarti su i capelli in modo da non farti scalpare nel corso della mattinata.

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Sono stati dodici minuti bellissimi, ma non possiamo aspettarci che durino in eterno. Il bambino accetta di soggiornare nella sdraietta solo mentre beve il suo latte. Il latte finisce, il bambino odia la sdraietta. E, di riflesso, l’intero universo.

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Porre tempestivamente fine al disappunto – e ripristinare la felicità – è uno dei doveri principali di una madre, mi pare di aver capito. Senza indugio, dunque, libero la creatura e la sguinzaglio sul tappeto, terra di vaste opportunità ludico-motorie.

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Trascorro l’ora successiva a domandarmi perché il bambino disprezzi ogni singolo e COSTOSISSIMO giocattolo scandinavo dalle proprietà multisensoriali, sonore e tattili che gli abbiamo comprato per prediligere invece i controller della Wii – debitamente privati delle pile -, un pacchetto di fazzoletti del Carrefour, un sacchetto di carta, l’estremità della mia treccia, il pendaglio delle tende, i telecomandi.

good

Nella speranza di distoglierlo dall’insana passione che nutre per il mio telefono, poi, ho cercato di ingannarlo acquistando uno stupendo telefono per bebè alla Chicco – con una musichetta diversa per ogni tasto, tre potenziali contatti da chiamare (la scimmietta, la giraffina e l’ippopotamino) e pure la vibrazione. Si illumina, suona, ronza ed è bellissimo. Ma lui se ne sbatte vigorosamente i coglioni.

mal

Mi ricordo improvvisamente di avere il lavandino pieno di piatti, ventidue chili di bucato da lavare e qualcosa di indefinibile che soggiorna nella lavatrice in attesa che qualcuno decida di stendere. Potrei cacciare il bambino nel seggiolone e intrattenerlo con le mie gloriose e necessarie attività domestiche, ma mi sembra troppo contento per sradicarlo dal tappeto. Regola fondamentale: se il bambino è contento NON LO SPOSTARE NON LO INTERROMPERE VA BENE COSÌ.

raptor cage

Contro ogni logica e previsione, l’infante decide di devastare ogni tua aspettativa abbandonando il tappeto di sua spontanea volontà e gattonando come un pazzo in direzione della cucina. Nell’illusione di poterlo contenere, superi il pouf con un balzo e fai del tuo meglio per rincorrerlo.

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Nonostante la velocità del bambino non smetta di atterrirti, i suoi progressi sul fronte pre-deambulatorio un po’ ti commuovono. Fai quattordici video e li spedisci a tutti i tuoi congiunti. E pure agli amici. Alla chat del corso pre-parto no, invece, perché hai paura a scriverci qualsiasi cosa. Sono piene di bambini afflitti da continui problemi insormontabili. Il tuo dorme, mangia, se la ride ed esegue un impeccabile Cassina 2 alla sbarra. Non hai il diritto di lamentarti.

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Visto che in cucina ci siamo in qualche modo arrivati, decido di lanciarmi in un repentino progetto-lavastoviglie. Inserisco l’erede nel seggiolone – legandolo come un criminale di guerra, visto che ha già manifestato l’intenzione di gettarsi fortissimo al suolo – e sfodero il diversivo definitivo: l’onnipotente galletta di riso.

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Le merendine sgranocchiette che elargisco parsimoniosamente a Minicuore costano all’incirca come un Cayenne. Da quando ha la facoltà di nutrirsi di pappe, frutta, carnine e roba appartenente al regno pseudosolido sono diventata una di quelle signore molto a modo che frequentano i NaturaSì. Non ho ancora fatto la tessera – perché spero mi passi, prima o poi -, ma mi sto appassionando. La gente mangia cose incredibili. Ho scoperto cereali mai sentiti, intolleranze alimentari di nicchia, bacche del Mar Caspio. Per Minicuore compro le farine per le varie pappe, le verdurette, le adorabili fettine biscottatine MIGNON di farro, i biscottini a forma di stella senza zucchero senza burro senza lieviti SENZA UN CAZZO alla mela e alla carota… non prendo neanche il cestino, perché se prendo il cestino finisce come da Sephora. E già così è una tragedia, perché gli mollo comunque trentamila euro a botta. Mi ripiglierò? Me lo auguro. Per ora, invece, fingo di essere una ricca milanese eco-bio.

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Il bambino azzanna la galletta di kamut/riso/farro/CEREALE POCO MAINSTREAM A SCELTA, mastica per quindici secondi e la scaglia sul pavimento, cercando di colpire il gatto.

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Mangi la galletta che è caduta per terra – ma proprio per non avere la sensazione di aver scaraventato cinque euro nel cesso -, rinunci a dargliene un’altra e fai partire la lavastoviglie, valutando la possibilità di convertire l’intera famiglia all’utilizzo di piatti, posate e pentolame di plastica. Armata dell’entusiasmo che solo il completamento di un compito semplice e lineare (per quanto fastidioso) può donarti, fai ritorno sul tappeto con il bambino abbarbicato addosso e, mentre lo osservi ogni suo movimento come un condor di montagna, produci cinque minuti di monologhi sconnessi su Snapchat – tanto per perdere ancora di più il contatto con la realtà.

chaos

Nascondi il telefono (PERCHÉ SE LO VEDE È FINITA) e torni a rincoglionirlo con storie di ogni genere. Attacchi con “La sirenetta impanata”, una filastrocca di tua invenzione dalla rara potenza immaginifica. Perché le sirene che siamo abituati a vedere nei cartoni animati, nell’arte e nella cinematografia sono tutte magre, flessuose, belle e figherrime? Semplice: quelle in carne vengono catturate e cucinate dai marinai di passaggio. È tutto spiegato nella canzoncina, tranquilli. INSOMMA, mentre ti sgoli con “La sirenetta impanata” il bambino pesta una costruzione gommosa, perde l’equilibrio e precipita. MA TU LO PRENDI AL VOLO, salvandolo dal trauma cranico.

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Visto che tuo figlio ha l’indole dello stuntman e l’istinto di conservazione del cast di Jackass dopo una piomba a base di tequila, il salvataggio non lo scalfisce più di tanto. E CHE SARÀ MAI, DONNA. NON FACCIAMOLA TANTO LUNGA. Per esprimerti tutta la sua gratitudine, anzi, ti assesta ridacchiando un poderoso sberlone sul naso, impiegando i cinque minuti successivi per artigliarti la faccia – perché se gridi MA AMORE PICCOLISSIMO DEL CUORE MI FI MALE PIANO PIANO AHIA lui si diverte ancora di più.

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Mentre valuti la possibilità di acquistare una tenuta antisommossa da utilizzare sul tappeto, il bambino ti guarda negli occhi e dice distintamente MAM-MA MAM-MA.

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Mentre cerchi di stabilire se si sia trattato semplicemente di un evento fortuito o se, in realtà, la creatura che hai portato in grembo per nove mesi e che sei riuscita ad accudire in questo mondo per un tempo altrettanto lungo abbia effettivamente detto MAM-MA capendo che la mamma sei tu, INSOMMA, mentre piangi di gioia e lo baci moltissimo perché ha messo in fila (più o meno casualmente) alcune sillabe che ti definiscono, il bambino si caga addosso.

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Sono nove mesi che sbottoni e riabbottoni bodini e minuscoli indumenti. Ma ancora non padroneggi gli automatici. E sbagli a chiuderli almeno due volte al giorno. Carissimo inventore degli automatici, devi sapere che non sono automatici per un cazzo.

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Espletati i doveri di lavaggio/cambio/vestizione, t’accorgi magicamente che è mezzogiorno e mezza. Il tempo si srotola in maniera bizzarra, quando si sta a casa con un bambino. Non ti sembra che passi mai e, ad un certo punto, ti sembra che passi tutto insieme.

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È ora di mangiare. SEGGIOLONE!

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Preparare la pappa è fonte di continui enigmi e perplessità – di cui probabilmente ti libererai soltanto fra numerosissimi anni, quando tuo figlio ti chiederà dei soldi per andarsi a mangiare un cheeseburger coi suoi amici, per esempio. In attesa che quel rinfrancante momento arrivi, però, ti arrangi schiacciando verdure bollite, miscelando granaglie polverose, sminuzzando finemente petti di pollo e producendo ettolitri di brodo vegetale. E il bambino MANGIA TUTTO, VIVA LA MADONNA.

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Il fatto che Minicuore ingurgiti di buon grado quello che gli propino non è però garanzia di pasti pacifici. Perché può accadere che, preso da un’incontenibile emozione, il bambino decida di vaporizzarti negli occhi una cucchiaiata di frutta frullata, spernacchiandola senza pietà in ogni direzione e deturpando irrimediabilmente ogni essere vivente o arredo nelle vicinanze del seggiolone.

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Ma può anche succedere che, gesticolando come uno sbandieratore fiorentino, il bambino decida di assestare un poderoso manrovescio al cucchiaino colmo di cibo che stai tentando di avvicinargli alla bocca, costringendoti ad effettuare un’attenta esegesi della sua postura e del suo stato d’animo prima di arrischiarti a proporgli una nuova cucchiaiata.

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La famiglia dispone di una vasta selezione di bavaglini. Bavaglini grandi, bavaglini piccoli. Bavaglini di tessuto – con fodera sottostante di plastica, bavaglini-poncho in pura plastica, bavaglini di plastica con vano raccoglitore per la pappa che precipita. Nonostante quest’abbondanza di bavaglini – fornitura che a me, all’inizio, pareva addirittura eccessiva -, il bambino troverà comunque il modo di gettarsi almeno una palata di pappa sulle ginocchia e di insozzare a più riprese il pavimento della cucina.

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Ma la mossa che ogni volta mi stronca definitivamente è lo stropicciamento di faccia (già parzialmente ricoperta di pappa) per mezzo di pugnetto che stringe una manciata di – METTIAMO – carotine spappolate.

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Ma affrontare una situazione di profondo caos nella sua interezza non ha mai fatto bene a nessuno: il disagio va scomposto, frazionato e gestito un po’ alla volta. Non è un bambino ricoperto di pappa che mi osserva con una certa belligeranza dalla sommità di un seggiolone non lindissimo, posizionato nel bel mezzo di una cucina da ripiastrellare – GIAMMAI! È un bambino sazio e soddisfatto, un bambino BRAVISSIMO che ha mangiato quel che doveva mangiare e che ripulirò senza farmi prendere dal panico, un ditino alla volta.

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Con un immane dispendio di acqua corrente, carta da cucina, spugnette a forma di pesciolino e teneri asciugamani tempestati di orsacchiotti, riesco a debellare lo strato di cibo semidigerito che ricopre il mio primogenito. E lo abbraccio teneramente, anche se non può fare a meno di starnutire ogni volta che gli bagno il naso.

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Dopo un’intensa mattinata di ginnastica da tappeto, giochi vorticosi, gattonamenti e lauti pranzi, l’infante sembra stanchino. Me lo isso su una spalla, abbasso la tapparella e attacco con la procedura standard di disinnesco a base di passeggiatina per la cameretta e rassicuranti massaggini circolari sulla schiena, coadiuvati dalla mia personalissima interpretazione mugugnata della devastante ninna nanna di Brahms. NEMMENO UNO SCOIATTOLO IMBOTTITO DI ANFETAMINE PUÒ RESISTERE A BRAHMS. Nonostante alcune flebili proteste, il bambino si assopisce.

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Ma non lasciamoci ingannare. Un conto è tenere in braccio un bambino addormentato… e ben altra faccenda è adagiare un bambino addormentato sul suo materasso. Un bambino che ti russa sulla clavicola potrebbe destarsi strepitando alla minima variazione posturale – e i movimenti necessari a depositarlo nel suo lettino sono numerosi, complessi e variamente destabilizzanti. Mentre fingi di poterlo mettere giù senza correre alcun rischio, lo riempi di minuscoli bacini nell’incavo del collo (area tra le più morbidine, teporosine e profumatine del creato) e cerchi di raccogliere il coraggio per effettuare la manovra.

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Le menate, come minimo, sono due.
UNO – Sostenerlo correttamente mentre vi piegate sul lettino, tentando di raggiungere un materasso che vi arriva all’incirca alle caviglie.
DUE – Riuscire a riprendervi i vostri avambracci una volta depositato l’infante nel lettino – sfilandoglieli di soppiatto da sotto la testolina e dal retro-coscini.
Al mondo ci sono sicuramente robe più complicate, ma quando riesco a preservare il sonno del bambino nel passaggio spalla-lettino mi sento sempre un po’ miracolata. Nonché un genio assoluto del pilates.

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Giuro, è come se tutti i giorni dopo pranzo prendessi di nuovo 110 e lode alla specialistica. La soddisfazione è quella. Fiera del traguardo conseguito, contemplo Minicuore per quindici minuti. Perché non c’è niente di più bello di un bambino che ronfa a pancia per aria.

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MA IL BAMBINO DORME IL BAMBINO DORME È IL MOMENTO DI COMPRIMERE LA MIA INTERA ESISTENZA NON MATERNITÀ-RELATED NELL’ESIGUO SPAZIO DEL SUO PISOLINO! Apro il computer e cerco di capire di che cosa dovrei occuparmi con urgenza. Della roba che rimando da un mese? Del blog? Dei 13 libri che dovrei tradurre fingendo di avere effettivamente a disposizione una giornata lavorativa normale? Della situazione disperata delle mie cespugliose sopracciglia? Dei pacchetti arrivati la settimana scorsa? Delle fatture da preparare? Dei romanzi che vorrei leggere? Delle domande della gente su Snapchat? Delle mie amiche che mi invitano a pranzo e non ricevono risposta?

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Nel vano tentativo di riordinare le idee, vado a fare la pipì – spostandomi per casa come un ninja. Il minimo rumore scomposto potrebbe destare l’infante… ed è decisamente troppo presto, non ho ancora combinato una mazza di niente. Anche fare la pipì comporta dei rischi. Per evitare che lo scroscio risulti troppo perentorio, butto una palla di carta igienica nel water per attutire i decibel e penso alla regina Elisabetta. La regina Elisabetta fa una pipì impercettibile, ne sono sicura.

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Torno al computer, ma mi dimentico dov’è e lo cerco per dieci minuti. Il mio “ufficio”, in teoria, è nella cameretta del bambino e, non potendo disporne durante il suo sonnellino – né mai, a dire il vero – vago per casa con documenti, fogli, chiavette, caricabatterie, scanner, astucci, post-it e agende sotto al braccio, contribuendo grandemente all’accrescimento della confusione che già provo.

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Colta da un raptus igienista, resetto il salotto – riponendo tutti i giocattoli al loro posto – e pulisco la cucina.

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Apro Facebook – ERRORE!!111!!! – e mi imbatto in un post antivaccinista. Sapendo perfettamente che discutere è inutile (e quasi controproducente) blocco e mi incazzo come una bestia per i fattacci miei.

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I muratori, impegnatissimi ad infierire sulla facciata del palazzo di fronte ormai da due mesi, attaccano col martello pneumatico.

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Muratori, lo so che anche voi dovete campare, ma perché vi ostinate a trapanare SEMPRE E SOLTANTO durante la siesta di Minicuore? State su quel ponteggio tutto il santo il giorno e non producete il minimo rumore. Lo metto a dormire e vi parte all’improvviso l’acutissima necessità di demolire il balcone della signora Fumagalli? Perché, dico io. Spiegatemelo. Mettiamoci d’accordo, a questo punto. Se appendo un drappo rosso alla finestra vuol dire che il bambino dorme e che dovete ficcarvi quei martelli là dove nessun martello è mai giunto prima (o almeno così mi piace pensare), se invece appendo un drappo verde vuol dire che potete martellarvi felicemente anche le corna, se vi va, perché il bambino è attivo. VA BENE, PERDIANA? VE LI FONDO, QUEI MARTELLI.

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Il bambino, non si sa come, riesce a non svegliarsi. Venti minuti dopo, però, faccio l’errore di tossire, provocando istantaneamente uno di quei piantini interlocutori che preannunciano un repentino ritorno dal mondo dei sogni. Mi stramaledico più e più volte, mi levo le ciabatte e mi avvicino come una spia russa alla camera del bambino. Potrebbe continuare a dormire. O potrebbe svegliarsi. O potrei svegliarlo io nel tentativo di capire se vuole svegliarsi. La terza ipotesi, ovviamente, è quella che si verifica più spesso. MA CIAO AMORE ECCOTI QUI LA MAMMA È CRETINA PERCHÉ È VENUTA IN CAMERA PERCHÉ SE ME NE STAVO FUORI TU CONTINUAVI A SONNECCHIARE MA NO IO DEVO ENTRARE A VEDERE COME STAI E POI FINISCE CHE TI SVEGLIO IO COME UNA DEMENTE BUON POMERIGGIO AMORE PICCOLO DELLA TENEREZZA BEN TORNATO.

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Il pomeriggio comincia ufficialmente – anche se sono tipo le 13.49 e il bambino ha fatto il pisolino più corto del mondo.

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Sollevi la tapparella e ti accorgi che la creatura ha qualcosa in faccia.

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DUE PUNTURE DI ZANZARA DUE! Una in mezzo alla fronte e una – oltraggio massimo – sul guancino tondeggiante. ROSSE GIGANTESCHE PUNTURE DI ZANZARA DETURPANO IL VISO DEL MIO BAMBINO!

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Le zanzare che – di giorno, poi – morsicano gli infanti sui teneri faccini sono la prova lampante della non-esistenza di Dio.

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Mentre giuro vendetta all’intero reame entomologico, il gatto transita incautamente per il corridoio. Il bambino lo scorge e lancia un fragoroso strillo di apprezzamento. Cesare ADORA il gatto. La mera presenza di Ottone riesce a rallegrarlo più di quanto io sarò mai in grado di fare. Cesare brama la compagnia di Ottone che, ovviamente, lo evita come la peste perché teme di vedersi strappare il pelo a ciuffi. E ha ragione da vendere. Ma c’è ben poco che io possa fare per contenere l’entusiasmo di mio figlio… e decido di liberarlo in corridoio alle calcagna del gatto.

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Ottone ha stabilito una soglia-limite. Se Cesare gli arriva a mezzo metro, Ottone si allontana. Se Cesare lo osserva rispettosamente a più di mezzo metro, allora lo tollera. Cesare non ha idea di quanto sia mezzo metro e, in ogni caso, punta a prendere il gatto per le orecchie e a salirgli in groppa, ambizione che rende irrilevante ogni tentativo di misurare le distanze. Ottone, comunque, non è un artista della fuga e finisce regolarmente per cacciarsi in qualche vicolo cieco, esponendosi senza possibilità di riscatto alle potenziali sevizie del bambino.

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Salvo il gatto – perché, insomma, voglio bene anche a lui e, soprattutto, voglio evitare che cavi gli occhi a Minicuore durante una manovra difensiva -, abbevero il bambino con un po’ d’acquetta, trascino il seggiolone in bagno e mi appresto a rendermi presentabile per l’uscita pomeridiana.

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Posizioni il bambino in modo che, dal seggiolone, non possa allungarsi fino al ripiano del lavabo – su cui troneggiano i tuoi investimenti BIUTI più riusciti e una miriade di utensili che potrebbero rivelarsi letali per un essere non ancora completamente padrone dei suoi arti superiori. L’infante la prende BENISSIMO.

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Lo plachi con una confezione ancora sigillata di Lines Intervallo dal rassicurante packaging rosa e procedi con le operazioni. Non si sa come mai, ma il bambino trova spassose le persone che si fanno la doccia. Il che è molto positivo, perché puoi utilizzare i preziosi momenti dedicati all’igiene personale come una specie di intermezzo cabarettistico. Mentre fai le pernacchie sul vetro e ti esibisci in buffi gargarismi gorgoglianti, ti ricordi all’improvviso di non aver pranzato.

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Ti asciughi, ti spalmi addosso della crema rassodante a casaccio – va rassodato TUTTO, è inutile star lì a selezionare una zona specifica -, ti lavi le mani e, nuda come una salamandra di fiume, ti rechi in cucina alla ricerca di banana, bavaglino (di quelli con vano raccoglischifo) e coltello. Distribuisci rondelle di banana sul tavolino del seggiolone (precedentemente sterilizzato con l’Amuchina) e fai del tuo meglio per truccarti un po’ mentre l’infante fa merenda ghermendo la banana con le ditine.

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Non sarai diventata bellissima, va bene, e hai guardato più il bambino che lo specchio, ma almeno sei pulita, pettinata, vestita e truccata al minimo sindacale. Poi guardi i piedi per capire se ti sei già messa le scarpe o se sei ancora in ciabatte di gomma e ti accorgi che il pavimento del bagno è pieno di bananine masticate.

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Prendi il telefono per scoprire che ore sono e ti casca l’occhio sulle notifichine di WhatsApp. La chat del corso pre-parto sembra essersi rianimata! Quali incredibili quesiti ci riserverà oggi il destino? Trovi 378 nuovi messaggi che trattano dei seguenti argomenti: lenticchie sì o lenticche no? Dentizione e ano infiammato: reale correlazione o semplice sfiga sistemica? Il mio nano continua a svegliarsi quattro volte a notte: è normale, ragazze? Ma voi quante volte siete uscite a cena da quando sono nati? E, dulcis in fundo: ho visto che ci sono i guinzagli per i nostri puffi, voi li avete provati?!?!111!!
Scelgo di contribuire alla discussione utilizzando Cesare come un meme. Di foto ne ho in abbondanza e mandare il mio KUCCIOLO che ride mi sembra molto più garbato rispetto all’opzione scrivo-quello-che-penso-davvero. Che è più o meno una roba di questo genere:

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Sciacqui la creatura e un rapido esame olfattivo ti porta a constatare, con una certa soddisfazione, che il bambino ha cagato (di nuovo, già) con un tempismo favoloso, risparmiandoti l’incombenza di doverlo cambiare in mezzo a un prato. O sul sagrato del Duomo. O nell’angusto bagno, sprovvisto di un piano vagamente adatto, di un qualche locale.

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Solita manfrina del pannolino, più cambio DI OUTFIT. Si esce carini, perbacco. Dopo innumerevoli contorsioni e aver sventato svariati tentativi di cruentissimo suicidio, riesci a infilare al piccolo umano un paio di braghette adorabili tempestate di palmette e una maglietta con un bradipo appeso a una liana tropicale. COME SEI TENERO TATONE PICCOLO.

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Inserisci la creatura nel passeggino e, mentre infierisce sul ripiano della libreria a cui l’hai incautamente accostato, ispezioni il contenuto della borsa del cambio. Non ci capisci niente, quindi ci butti dentro un biberon d’acqua, un pacco di gallette al kamut ECO BIO CHILOMETRO ZERO FATTE A MANO INTEGRALI SENZA SALE AGGIUNTO SENZA GLUTINE, una manciata di pannolini, un ombrello e un pupazzo che suona, sfrigola e scrocchietta. E decidi che va bene così. C’è un limite al caos che puoi controllare.

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Usciamo, finalmente. E trascorriamo il resto del pomeriggio a vagare paciosamente per zone casuali – ma ombreggiate e piacevoli – della città. Ormai conosco a memoria la conformazione dei marciapiedi, l’assortimento merceologico di ogni vetrina, la collocazione di negozi impensabili e le scorciatoie più esotiche per tirarla in lungo (nel caso il bambino sia tranquillo) o correre rapidamente al campo base (nel caso si sia rotto l’anima di farsi scarrozzare).

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Se l’infante è particolarmente ben disposto, posso arrischiarmi ad entrare nei negozi meno affollati e labirintici – escludendo a priori quelli dotati di numerosi piani o porte troppo complicate. Se va di lusso (e se trovo qualche commessa dal cuore di cioccolato che si fa commuovere dalla coccolosità di Cesare, bambino che sorride immancabilmente a TUTTI, ma pure a gente che somiglia a Pacciani, Himmler e Sauron), posso anche provarmi due vestiti in croce, che spesso finisco per comprare più per la soddisfazione di essere riuscita a provarmeli come una persona normale che per la loro effettiva resa addosso a me.

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UNA PIADINERIA! PRESTO, DATEMI QUALCOSA RIPIENO DI QUALCOS’ALTRO!

megalo

In un tratto particolarmente agevole (marciapiede ampio, pianeggiante, senza pendenze laterali che ti costringono a spingere il passeggino come farebbe un grosso granchio), mi arrischio a controllare la mail. Che bello, la prossima settimana ci sarebbero cento cose stupende da fare! Scarto a priori il 98% di quello che mi propongono, guardo il CALENDAR mentre aspetto che il semaforo diventi verde e chiamo i miei per sapere se mercoledì – PER CASO SE SIETE LIBERI SE VI VA SE AVETE VOGLIA SE VI MANCA CESARE – sono disposti a venire a Milano a stropicciare il bambino mentre io vado a svolgere delle attività piacevoli ma comunque configurabili come lavorative.

behind

MADRE il mercoledì gioca a tennis…

cry

…ma per amore di suo nipote troverà una sostituta.

smile cast

Mi dirigo baldanzosa verso casa, fiera di aver quasi sfangato il pomeriggio e sperando fortissimo che Amore del Cuore abbia deciso di sua sponte di recarsi al supermercato per ovviare alla vastità del nulla che alberga nel nostro frigorifero. Mentre immagino cenette meravigliose – cucinate senza il minimo sforzo da parte mia, ma nemmeno di pianificazione – Amore del Cuore mi telefona per sapere che cosa deve comprare.

right

Io non lo so, va bene? Non lo so. Mangio tutto quello che ti pare, non mi interessa.

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Perché devo dirtelo io che cosa comprare per cena. Chi sono, Sonia Peronaci? Ingegnati! Non ci abiti anche tu insieme a noi? Non lo sai che cosa manca? DAI FACCIAMOCELA SU.

woman

Dopo aver attaccato senza troppe cerimonie, cinque minuti dopo gli mando un messaggio in stampatello per ricordargli che non abbiamo niente da bere PER CARITÀ RISOLVIAMO IL PROBLEMA.

margarita

Cesare saluta con la manina i passanti che gli piacciono e rivolge grida agghiaccianti a quelli che intralciano il suo cammino, costringendomi a superarli per salvare l’intero quartiere dalla sordità.

gallimimus

Il portinaio mi consegna i quattro scatoloni arrivati durante la giornata. Ringrazio sentitamente e cerco di capire come portarli di sopra senza sfondare il passeggino. O senza sfondarmi io.

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Il bambino apprezza i giretti, ma dopo un po’ vuole spostarsi da solo. Non è mai stato un soprammobile o un particolare fan di sdraiette, palestrine e forme d’intrattenimento basate sulla compostezza della posizione supina. Disprezza legacci e cinturine e si sta allenando con caparbietà per divincolarsi definitivamente dalle ridicole costrizioni che gli impongono di stare seduto nel passeggino. Ogni volta che lo libero la gioia è grande e vibrantissima.

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Ottone, lì per lì contento di vederci rincasare, corre al riparo.

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Mi levo le scarpe e crollo, così come sono, sul tappeto. Il bambino riabbraccia i suoi giocattoli (più i materiali non concepiti per il gioco che siamo stati costretti a considerare comunque giocattoli) come se l’avessi appena riportato a casa dopo cent’anni di guerra di trincea. Bordeggia, mi calpesta, lancia cubi di gomma, morsica i fenicotteri, scaraventa al suolo tre telecomandi e, in generale, sembra dilettarsi.

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Sta provando ad alzarsi in piedi. Appoggia le manine per terra e cerca di stendere le gambine. Ce la farà? Forse fra qualche settimana. Ma sono comunque fierissima e gli consegno mentalmente un Nobel motorio.

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Una zanzara sorvola la zona di gioco. La POLVERIZZO a mezz’aria, abbandonandomi a grida di trionfo piuttosto inconsulte.

gnam

E la mia felicità non è destinata ad esaurirsi. Perché, all’improvviso, avverto il suono celestiale delle chiavi che girano nella toppa. AMORE DEL CUORE È TORNATO AMORE DEL CUORE È ARRIVATO A CASA SONO SALVA C’È AMORE DEL CUORE GRAZIE DIVINITÀ DI OGNI LATITUDINE FORMA E COLORE CE L’HO FATTA!

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AMORE DEL CUORE SEI QUI SEI QUI COME SEI BELLO NON TI RICORDAVO COSÌ BELLO NON ANDARE VIA MAI PIÙ!

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PRENDITI TUO FIGLIO! TIENILO OCCUPATO! LASCIAMI QUI A CONTEMPLARE PACIFICAMENTE IL NIENTE PER ALCUNI MINUTI!

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A seguire, scene di ragionevolezza familiare. Io che mescolo la pappa mentre Amore del Cuore prepara la cena – senza consultarmi, per fortuna -, birrette e fette di salame fanno la loro comparsa, Cesare – opportunamente seggiolonato – monitora la situazione mangiandosi cucchiaiate e cucchiaiate di pastina col formaggetto e le verdurine, cercando di coricarsi nel piatto e di cacciarmi contemporaneamente le dita negli occhi. Ma va bene lo stesso, perché ci siamo tutti.

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Amore del Cuore è incaricato delle procedure serali di avvicinamento al sonno, incombenza che ha assunto con mio grande sollievo per potersi coccolare un po’ il bambino e sfogare, al contempo, le sue ambizioni canore. Perché io ho le mie tecniche, ma lui va di karaoke, prediligendo i cantautori italiani delle epoche più disparate (e disperate) o le ballate romantiche della tradizione folk americana. Ho rinunciato a capire e non c’è niente che io possa fare per migliorare la playlist. Finché funziona, per me va benissimo. E mi limito a ridere, nascosta dietro alla porta. Come spesso accade quando si cerca di cavarsela con un infante simpatico e ben disposto ma parecchio energico, il procedimento rasenta il surreale… ma il risultato è assolutamente portentoso.

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E chi l’avrebbe mai detto.
Il parco è chiuso, per oggi.
Buonanotte a tutti!

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Dover gestire un bambino appena nato mi ha tragicamente ricordato il mio rapporto con la matematica al liceo: non è che non sapevo le cose, è che le capivo con circa un mese e mezzo di ritardo – in tempo per la verifica successiva, per dire. Con i bambini funziona più o meno così.

Sei finalmente diventata brava a sistemare la medicazione del cordone ombelicale? Il cordone ombelicale saluta e se ne va.
Sei finalmente riuscita ad assemblare un parco-abbigliamento sufficientemente ampio da scongiurare l’emergenza continua? Molto bene, peccato che ormai ci voglia la taglia in più.
Hai finalmente capito come lavare tuo figlio in una vaschetta col riduttore? Stupendo, ma mi pare che ormai abbia i piedi fuori.
Padroneggi finalmente ogni recondito segreto della frutta grattugiata? Buon per te, ma adesso bisogna cominciare con la pappa.

Insomma, si cerca di creare una routine in grado di adattarsi a un fenomeno in continua ed imprevedibile evoluzione. E appena ci si stabilizza su una certa sequenza di azioni (o sull’utilizzo di determinati utensili, canzoncine, giocattoli pazzi, elettrodomestici, accessori, attività), tutto va puntualmente a farsi benedire.
Certo, le economie di apprendimento esistono e ogni volta non è necessario ripartire da zero, ma confesso che non mi dispiacerebbe una salutare settimana di stallo. Così, tanto per sentirmi vagamente padrona della situazione.
L’orologio a pendolo segna le quattro pomeridiane, mio carissimo Reginald. Il nostro giovane rampollo dorme, come è sempre solito fare a quest’ora del giorno. Si sveglierà alle diciassette e quindici e consumerà esattamente tre quarti di mela e cinque rondelle di banana, che digerirà senza particolari tribolazioni durante la sua abituale sessione ginnica in compagnia dei suoi balocchi stropicciabili.

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Comunque.

Dopo cinque mesi di onorato servizio materno, vorrei rendermi vagamente utile alla collettività raggruppando in questo umile post un po’ di cose (che col senno di poi mi sembrano assai elementari) che ci hanno semplificato la vita in questo periodo di affascinante e rocambolesca incertezza.

Pronti?

Ecco alcuni gioiosi e necessari DISCLEIMERZ per evitare interpretazioni asinine di quanto seguirà.
– Ogni bambino è diverso. Ogni genitore è diverso. Qui troverete una lista super basic di quello che ci è stato veramente utile e che ha funzionato PER NOI e per Minicuore, dopo un prolungato utilizzo quotidiano. La speranza è che possa servire a chi ha le idee ancora poco chiare su che cosa comprare (o farsi regalare e/o estorcere ai propri conoscenti) in vista dell’arrivo di un bambino, o a chi è in cerca di nuove strategie di sopravvivenza.
– Siete già genitori provetti e vi imbatterete in cose che a voi non sono piaciute? L’intento non è quello di convertirvi. Se vi siete trovati meglio con un altro passeggino sono solo contenta per voi e per il vostro infante.
– Dobbiamo ad Amazon la nostra sanità mentale. E molte delle cose che troverete qui (con relative foto brutte ma funzionali) saranno anche acquistabili lì sopra. Perché con un bambino che mangia ogni due ore la gente non può passare le giornate a vagare per centri commerciali e astruse parafarmacie.
– L’elenco comprende roba che ci siamo comprati noi, roba che ci è stata donata da parenti e amici, roba che mi hanno regalato i brand. Non c’è tutto quello che abbiamo ricevuto. C’è solo quello che mi è sembrato valido, sensato, comodo e degno del nostro rispetto.

PROCEDIAMO.

Il passeggino (anzi, il sistema TRIO)

Inglesina Trilogy colors

Ci siamo comprati il Trilogy Colors (che è un Trilogy City con i colori zarri) dell’Inglesina.
Perché?
Volevamo un aggeggio che entrasse nell’ascensore (largo ben 50 centimetri), che si potesse chiudere/aprire con una mano sola, che fosse leggero (e sollevabile da me senza bisogno dell’intervento di un prode cavaliere), che non costasse ventottomila trilioni di euro e che non ci obbligasse a comprare separatamente mille pezzi aggiuntivi (ma indispensabili). E abbiamo scelto questo. Telaio, navicella (LA CULLA), ovetto per la macchina, passeggino, borsa (con fasciatoio portatile), parapioggia. E tanti cari saluti.
Io volevo la carrozzina da principino d’Inghilterra, ma per questa volta ho lasciato vincere la realtà.

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Fasciatoio e culla

Stokke cameretta

Abbiamo estorto ai nonni l’intera cameretta Stokke, in pratica. Il lettino non l’ho ancora collaudato – quindi starò zitta -, ma il resto si è rivelato provvidenziale. E contiamo di poter usare tutto ancora per parecchio tempo, visto che i mobili sono scomponibili e combinabili per adattarsi alle diverse fasi della crescita del bambino.
Il mobilotto è una cassettiera con un piano aggiuntivo che funziona da fasciatoio. Nella cassettiera abbiamo cacciato tutto l’occorrente per il cambio e i vestitini di Minicuore, lasciando nello scomparto laterale del fasciatoio le cose da tenere a portata di mano. Ma la mia vera passione è la culla – che all’inizio neanche volevo. Ma figurati, prendiamo una navicella omologata per il sonno e lo teniamo lì per un po’, poi va nel lettino.
E INVECE, LA VITA.
Perché la mia culla – oltre ad essere incredibilmente carina – ha una caratteristica fondamentale e miracolosa: OSCILLA. E oscillazione = SONNO. Oscillazione = PACE. Sono in debito con quella culla, santo il cielo. E sono terrorizzata, perché sta diventando un po’ troppo piccola. Ma non ci abbandonerà. Perché le gambe della culla e il piano del fasciatoio sono studiati per incastrarsi e creare un tavolo. Così, come Megazord.
I mobili della Stokke costano poco? Non direi. Ne vale la pena? A noi pare di sì.
Grazie, nonni. E grazie anche a Valeria, che mi ha fatto scoprire le camerette Stokke.

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Mangiapannolini

mangiapannolini

Abbiamo fugacemente considerato l’ipotesi di dotarci di uno di quei mangiapannolini che insacchettano ogni singolo pannolino in una specie di bustina di plastica antiproiettile per evitare al 1000% ogni genere di odore sgradevole, ma poi il braccino corto ha avuto il sopravvento – mica te li regalano, i sacchettini, maledizione. E, alla fin fine, direi che è andata bene così. Abbiamo preso il mangiapannolini Chicco (dal rassicurante design anni ’80), che funziona con qualsiasi genere di sacchetto della spazzatura e rimane ermeticamente chiuso. Abbassi il maniglione, il pannolino si inabissa, tiri su il maniglione e non t’accorgi di niente. Ovvio, quando lo apri per cambiare il sacchetto è consigliata un’apnea di una decina di secondi, ma non mi pare un problema insormontabile. E il fetore, nell’ordinaria amministrazione, non fuoriesce. Vittoria!

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Cestone

cestone

L’area del fasciatoio va sistemata bene. Deve somigliare un po’ a un nastro trasportatore per lo smaltimento di scorie nucleari. Tutto dovrebbe essere raggiungibile allungando un braccio (mentre con l’altro fate il possibile per evitare che vostro figlio si sfracelli sul pavimento) e non richiedere movimenti inconsulti per funzionare. Il mio cestone per i vestitini sporchi è a circa 5 centimetri dal fasciatoio e non è particolarmente romantico. Ma fa il suo egregio dovere e siamo ormai un grande team. Là fuori esistono anche cestoni molto frufru e super carini, ma a me premeva poterlo chiudere (evitando i coperchi staccabili), poterlo lavare senza problemi e poterlo riempire senza l’ansia di farlo tracimare ogni venti minuti. Plastica, capienza, modestia, funzionalità.

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Telini per il fasciatoio

Pampers Change Mats

Che un bambino spisciazzi o dissemini il fasciatoio di palatine di cacca – e anche con una certa soddisfazione – è inevitabile. Ma mica puoi passare la vita a lavare degli asciugamani. E ti senti una brutta persona ad appoggiarlo sul cuscino imbottito (per quanto lavabile e comodo) senza metterci sotto niente. Dopo aver esaurito gli asciugamani a nostra disposizione, dunque, ci siamo lanciati sui provvidenziali tappetini pisciosini – con grande sollievo della nostra esausta lavatrice. Visto che al supermercato costano quanto la mia istruzione universitaria e che comprarne due in croce non ha senso, prendiamo il giga-paccone-mega-convenienza su Amazon. E zampilliamo in allegria. A casa e in giro, se necessario.

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Cuscino per l’allattamento

boppy

Sono piuttosto certa che il Boppy sia all’incirca l’unico modo per sopravvivere all’allattamento senza sviluppare deformazioni articolari permanenti. E poi ci sono mille foderine belline – che si possono levare e lavare.

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La sdraietta

Stokke Steps Bouncer-Newborn Insert Toy 130815-8I0455 Red_15588

Montarla sul seggiolone non mi è mai piaciuto (c’è proprio un po’ troppa pendenza, non so bene come spiegarlo… sembra all’incirca una crocifissione), ma la sdraietta ci ha aiutato tantissimo. Ci ho cacciato dentro Minicuore da praticamente subito e me lo sono portato in giro per casa – senza lasciarlo da qualche parte a pancia per aria come un salame. Ora – che non è ancora bravissimo a stare seduto ma ha cominciato a inghiottire frutta – la uso per dargli da mangiare, dopo averlo infagottato in quattordici bavaglini. Anche questa è Stokke, perché siamo ragazzi facilmente fidelizzabili.

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Straccini

straccini

Per far fronte a sputacchi, rigurgiti, sbavoni, guerre nucelari e invasioni aliene ho ordinato una batteria di straccini di mussola tempestati di gioiose decorazioni… e sono ormai diventati più preziosi del tesoro di Smaug. Disseminati in punti strategici della nostra dimora – e in ogni mia borsetta -, quadrati, lavabilissimi e indistruttibili, accorrono in nostro soccorso ad ogni eruzione di latte semidigerito. Vi sono debitrice, straccini.

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Tiralatte

tiralatte avent

Ci sono tiralatte elettrici di rara esosità e prestazioni da industria casearia, ma le mie intenzioni non sono mai state così ambiziose. A me bastava stare fuori di casa per un paio d’ore senza esporre il bambino all’inedia, tutto lì. E un tiralatte manuale – con mille vasetti incorporati e pezzi facili da smontare e sterilizzare – mi è sempre sembrato più che sufficiente al raggiungimento dei miei umili scopi.

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Scaldabiberon

scaldabiberon

Avete deciso di andarvene a spasso (MADRI DEGENERATE!) lasciando in eredità del latte? Il latte va scaldato, in qualche modo. E scaldarlo a bagnomaria con un aggeggio elettrico che sa già qual è la temperatura più consona al delicato palatino del vostro infante è un bel passo avanti. Questo si può usare a casa e in viaggio (c’è lo spinotto per accenderlo anche in macchina) e, teoricamente, funziona anche per la pappa.

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Thermos

thermos

Che sia roba vostra o latte artificiale, un biberon caldo – soprattutto quando si esce e si affronta l’ignoto – può servire parecchio. Questo gioioso thermos promette di preservare la temperatura del benedetto latte per cinque ore (il che è rassicurante, anche se siamo decisamente oltre la soglia temporale accettabile per la giacenza di un biberon SECONDO ME VOI POI FATE COME VOLETE CI MANCHEREBBE), è perfettamente ermetico e ci sono dentro degli aggeggi fatti apposta per non far sbatacchiare la bottiglia.

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Biberon

biberon avent

Visto che Minicuore non è un tipo schizzinoso e mangia indistintamente da qualsiasi attrezzo io gli cacci in bocca, me la sbrigherò da sola. Che lui sarà versatile, ma io mi trovo meglio con i biberon Avent. Non sono troppo larghi, non sono troppo alti, quel che avviti rimane avvitato e la forma della tettarella è comoda. Oserei dire “normale”. Per lavarli bene sul fondo e sulle pareti ci vuole lo scopettino, ma non mi pare un grande ostacolo.

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Sterilizzatore

sterilizzatore

Mi hanno regalato anche il modello più PRO, ma è ancora nella scatola… perché ce la caviamo benone con lo SterilNatural 2 in 1. Ci entrano sei biberon (più relative tettarelle e coperchietti), è relativamente rapido e si può allegramente scomporre e utilizzare a pezzi. Noi lo facciamo marciare ad acqua minerale perché l’acqua che esce dai rubinetti di Milano è GESSO, ma di tanto in tanto va comunque fatta un po’ di comprensibilissima manutenzione con l’aceto. Ma se ci riesco io (e senza lamentarmene), direi che può farcela anche un bradipo zoppo.

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Occhiaie, non vi temo

aloe contorno occhi

Per voi, non per il bambino. Perché la vostra faccia lo sa, che vi svegliate due volte a notte. E le vostre occhiaie ci tengono tantissimo a farlo sapere al mondo intero. Uno stick all’aloe non può fare miracoli contro l’insonnia perenne, ma la frescurina vi restituirà almeno un po’ di speranza.

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Il ciuccio scaltro

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Il ciuccio non ci affascina e, in generale, l’abbiamo discretamente ignorato. Ma non perché in casa nostra esista una qualche avversione ontologica nei confronti del ciuccio, è proprio che a Minicuore non interessa molto. Nei primi mesi, però, l’unico ciuccio che siamo riusciti a usare – usare = garantire una sontuosa permanenza del ciuccio nella cavità orale del mio erede di più di 5 MIRACOLOSI minuti consecutivi – è questa specie di ibrido tra un succhietto e un dinosauro. Ne esitono di mille tipi – a seconda della bestia che più vi piace -, ma il principio è sempre lo stesso: un pupazzino con un ciuccio cucito in faccia. Sembra un’idiozia (e lavarlo ogni volta è un po’ una menata), ma ha il suo perché. Io, per dire, bloccavo il dinosauro con le bretelline della sdraietta (o lo incastravo strategicamente utilizzando ogni superficie e stratagemma disponibile), aumentando di circa il 2000% la stabilità dell’intera operazione. Al crescere dell’infante (e della sua vacillante coordinazione), il pupazzino diventa anche un giocattolo da stritolare. MA VERAMENTE, TEGAMINI? E NOI CHE PENSAVAMO DIVENTASSE UN DIRIGIBILE.

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Bavaglini magnetici

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E le bandanine. E i bavaglini a punto croce coi laccini da annodare. E i bavaglini col velcro. E i bavaglini coi bottoni. Ci sono bavaglini di ogni genere, E NOI LI ABBIAMO TUTTI. Ma sono tutti comodi? No. Il mio preferito (E ACCIDENTI AI CANI NE HO SOLO UNO) è quello con la chiusura magnetica. Perché sì. Il velcro scartavetra i teneri colli, i nodi non devono essere troppo stretti ma neanche troppo larghi – e fatelo voi un nodo dietro la nuca a un bambino che si dimena -, e i bottoni sono minuscoli e ti scappano. Calamita. Ciao. Addio. Il nostro bavaglino magnetico viene da qui… e non ci sono solo le fantasie con i dinosauri. Anche se, ovviamente, i dinosauri sono la cosa migliore del mondo.

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Sacco termico

sacco termico

Minicuore ha cominciato ad andare a spasso con il sopraggiungere del gelo, e ci siamo dovuti attrezzare per evitare l’ibernazione subitanea. Abbiamo due saccotti termici: uno più piccolo – che ora usiamo per l’ovetto – e uno più grande (e pure impermeabile) – per il passeggino. Il saccotto è comodo (rispetto alle tutine da omino Michelin) perché è più semplice da gestire quando si passa dal freddone dell’ambiente esterno a un luogo chiuso e auspicabilmente più temperato. Il saccotto genera del teporino, non disperde il calore e ti permette di vestire normalmente il bambino, senza imbottirlo tantissimo e semplificando le complesse operazioni di svestizione/vestizione. Col saccotto non c’è praticamente una mazza da fare: apri la cerniera e lo tiri fuori.
Del saccotto più piccolo ho parlato qui, mentre qui c’è il saccotto più simile al nostro – che in più ha la coulisse in cima, cose astutissima per evitare che il bambino vada in giro col collo scoperto.

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Il marsupio

Marsupio Babybjorn

Ho pensato di cimentarmi con la fascia per circa 37 secondi, poi mi sono resa conto che se per capire come usare una cosa ho bisogno di guardare numerosi tutorial su Youtube o di frequentare un corso, probabilmente non è una soluzione che fa per me. Se vi trovate bene con la fascia sono molto felice per voi, ma io sono fatta male e mi ci sarei impiccata, penso. Quindi ho preso un marsupio Babybjorn, dopo averlo provato da un’amica che ci ha già portato a spasso due bambini. Sono marsupi pensati per essere messi e tolti agevolmente, senza l’intervento di partner, buoni samaritani o passanti. Si regolano facilmente (adattandosi anche alla schienona di Amore del Cuore) e distribuiscono bene il peso, senza spezzarvi necessariamente la schiena. Grazie, marsupio – senza di te non sarei mai più andata a vedere una mostra. E non avrei mai raggiunto luoghi della città collegati con tram altissimi e impervi.
(Nota: volete usare il marsupio ma c’è meno venti? Ficcate la vostra creatura in una tutona imbottita – ce ne sono di mille tipi, piuminate e non – e vagate con fiducia. Minicuore ha una tuta “da neve” a forma di orsacchiotto e ne andiamo giustamente fierissimi… oltre a destare l’infinita tenerezza delle vecchiette che aspettano il verde al semaforo).

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Fazzoletti IN SCATOLA

kleenex

Credevo che i fazzoletti in scatola servissero soltanto nei film.
Studio dell’analista. Paziente in lacrime sul divano. Il dottore si avvicina, premuroso, e allunga al malcapitato una scatola di provvidenziali fazzoletti. Coraggio, Mary Jane, non faccia così. Grazie, dottore.
In barba alle difficoltà di Mary Jane, però, I FAZZOLETTI IN SCATOLA SERVONO ANCHE ALLE PERSONE VERE. E ora, sentendomi un premio Nobel, li tengo infallibilmente nel primo cassetto del fasciatoio – da dove vengono estratti per direttissima (tipo prestigiatore coi foulard) in caso di alluvioni, smoccolate, rigurgiti di latte e altre amene deiezioni improvvise.
Lo so, gente, sono scoperte. E forza, Mary Jane. Ripigliati.

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L’orso per la nanna

orso paziente

Abbiamo un carillon con lucina rilassante stellinosa che si aggancia alla culla e un orso con la pancia splendente e la capacità di generare serafiche musichine per una mezz’ora buona. Per la sua espressione pacifica e l’incrollabile fiducia nella sua capacità di far addormentare i bambini, l’abbiamo chiamato l’Orso Paziente. E lo amiamo. Lo accendiamo quando Minicuore comincia a dare in escandescenze per la stanchezza e lo teniamo vicino alla culla fino all’effettivo sopraggiungere di una nanna ben strutturata. Ci gioca anche di giorno, ma l’Orso Paziente ci soccorre soprattutto quando è necessario creare un po’ di atmosfera in vista della buonanotte. E non sarà solo merito dell’Orso Paziente, ma il bambino DORME.

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Una lampada da notte

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La culla e il fasciatoio di Minicuore sono nella nostra stanza. Un po’ perché non ho una castello – Ah, Reginald, vuoi seguirmi nell’ala ovest? È giunta l’ora della nostra visita quotidiana al piccolo Conrad… – e un po’ perché mi sembrava più funzionale minimizzare gli spostamenti notturni con un bambino potenzialmente agitato in braccio. E il bagno di Minicuore è il bagnetto della camera – nell’altro bagno è già un miracolo se ci stanno due accappatoi. COMUNQUE. Dopo tre giorni di accensioni confusionarie di luci e disturbo totale al genitore off-duty (un pannolino a testa, latte sempre io… inevitabilmente), ho riesumato l’unica lampada da terra che abbiamo. Lampada che, tra le altre cose, è anche quella che produce la luce più piacevole, calda e avvolgente. L’ho piazzata vicino al fasciatoio e, non si sa come, ho fatto bene. Minicuore l’ha sempre osservata con un’adorazione che non ha mai riservato nemmeno a suo padre (accolto come Gesù Cristo a Gerusalemme ogni volta che torna dal lavoro) e, in generale, ha contribuito a rendere i risvegli meno traumatici e l’ambiente più piacevole. Anche alle tre del mattino. Nel mezzo di una tempesta di sterco molle.

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Set bagnetto

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La corroborante semplicità di questo set di prodottini da bagno ci accompagna più o meno dal ritorno a casa con Minicuore. La bustina si può srotolare e appendere, ogni oggettino ha la sua taschina ed è tutto perfettamente indispensabile. Ci sono la spugnetta, la spazzolina morbida, un pettinino per capelli più seri, la forbicina per le unghie e un pesce molto servizievole che misura la temperatura dell’acqua e vi segnala il range consigliato per una serena immersione.

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Vaschetta

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All’inizio l’abbiamo usata con il gioioso cucchiaione per piccolini (che purtroppo va comprato separatamente), e ora facciamo il bagno sollevando tsunami d’acqua saponata… perché ormai la vaschetta è diventata un po’ piccola. Spero di poterla sfoderare ancora per un po’, magari quando Minicuore riuscirà a stare seduto da solissimo, ma ce la caviamo ancora. È di plastica presumibilmente indistruttibile ed è super comoda perché si più ripiegare (lungo quei gommotti blu) e mettere via senza occuparti mezza casa.

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Librini stropicciosini

libro chicco

Ebbene, il primo libro di Minicuore non è stato Delitto e castigo, ma un prezioso tomo stropicciabile di ben tre pagine. È uno degli oggetti a cui si è affezionato di più ed è anche la prima cosa al mondo che l’ha fatto ridere col sonoro – e io là che piangevo come una vitella. AMORE DEL CUORE HAI SENTITO HA RISO! RIDE! Singhiozzi. Comunque, la cosa divertente penso sia il rumore plasticoso-scrocchiettante delle pagine di stoffa, che dentro credo abbiano i sacchetti di plastica dell’Esselunga, quelli che usano per le focaccine. I sacchettini delle focacce dell’Esselunga sono la cosa più rumorosa di sempre. Il libro è popolato da una serie di animalini che tentano di contare fino a sei avvalendosi di magici PROPS rimediati nella giungla o capitati casualmente nel loro habitat. Bonus, la foglia masticabile.
Noi abbiamo cominciato con questo, ma i libri di stoffa rumorosi, afferrabili e pieni di materiali diversi da toccare sono – in generale – una buonissima idea.

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Palestrina

palestrina

Fonte di inesauribile fascino, la nostra palestrina somiglia un po’ a un carro del Gay Pride – cosa che non può che rallegrarci molto. Suona (e non vi libererete mai più della musichetta), si illumina e produce anche rilassanti rumori di foresta pluviale. È dotata di diversi giocattoli penzolanti che fanno cose diverse (sonagliano, roteano, frinfrillano, vorticano…), di una immancabile foglia scricchiolante e di parecchi ganci per appendere un po’ quello che vi pare. È grande abbastanza da ospitare i primi rotolamenti e il tappetino è facilmente lavabile – perché dove c’è entusiasmo c’è anche la bava. Se volete metterci bimbi di un paio di mesi vi consiglio di “limitare” gli stimoli. Magari tenete spente musichine e lucine – o accontentatevi dei rumori rilassanti. Man mano che gli infanti crescono, invece, sarà stupendo vederli prendere a calci in faccia il tucano e interagire quasi contemporaneamente CON OGNI SINGOLO ARNESE.

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Pupazzi-frittata… ehm, i DOUDOU

dragopotamo

I pupazzetti bidimensionali, con pezzettini afferrabili e magari anche un mix di stoffe diverse da toccare e/o morsicare ci hanno regalato gioie infinite. Il preferito di Minicuore è questa specie di drago col mascellone da ippopotamo (prontamente ribattezzato DRAGOPOTAMO) che si trasforma anche in marionetta e, oltre ad essere uscito più volte vittorioso da diversi lavaggi spietatissimi in lavatrice, ha anche un gancino per il ciuccio e numerose propaggini aggeggiabili.

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Pupazzi… multisensoriali?

giraffa

Con il passare del tempo, la vostra preziosa creatura imparerà anche a gestire pupazzi in tre dimensioni. Ma devono essere estremamente avvincenti. E fornire stimoli eterogenei. Noi, per dire, abbiamo una giraffa dalle sconvolgenti potenzialità. Non solo è dotata di codine, nastrini e orecchiette da tirare, ma ha anche un anellino morsicabile per la dentizione, una zampa imbottita di plastichine fragorose, una zampa con le palline, il culo che suona se lo schiacci e il collo allungabile. E QUANDO LE ALLUNGHI IL COLLO VIBRA – VIBRA! Il poti-poti del deretano va ancora scatenato da un volenteroso genitore, ma contiamo che Minicuore impari a suonare le chiappe di questa giraffa al più presto. Per ora la maltratta con infinita fascinazione.

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Grattugia per la frutta

grattugia

MADRE ha riesumato la grattugia che usava per me ormai trent’anni fa, un aggeggio di vetro pesantissimo e piuttosto angusto. Per ovviare alle difficoltà – e in barba al romanticismo – ci siamo presi una banalissima grattugia di plastica con un po’ più di spazietto laterale, perché la mela deve pur accumularsi da qualche parte senza il rischio di straripare. E deve anche essere comodamente raccattabile con un maledetto cucchiaino, senza dover tutte le volte fare movimenti di polso da giocatore di biliardo. La mela, comunque, la dovete grattare con un armonioso movimento circolare. E su questo MADRE ha perfettamente ragione.

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Pappe for dummies

cucchiaino d'argento

La mia propensione all’arte culinaria rasenta il ridicolo, ma per Minicuore sto cercando di migliorare. E mi sto applicando un casino. Il cucchiaino d’argento – fratello piccolo del celebre Cucchiaio d’argento – è un ricettario estremamente semplice e chiaro sulla gestione delle pappe e dei primi cibi “veri” per bambini fino ai 5 anni. È diviso per età, è assai orientato alla praticità ed è stato assemblato con rigorose supervisioni pediatriche e anche parecchio buonsenso, mi pare di capire. Ora devo comprarmi un colino per filtrare il brodo vegetale (che non ce l’ho, il colino per filtrare i brodi, scusate tanto) e poi si comincia… veleggiando verso l’ignoto.

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Altalena

altalena

In parole povere, l’altalena è una sdraietta che si dondola da sola – proponendo anche un ricco e stimolante sottofondo musical-sonoro e ben quattro velocità di oscillazione. Minicuore, da sveglio, esige la costante attenzione di un essere umano che interagisca con lui, ma sull’altalena riesce a trascorrere piacevolmente anche dei sontuosi quarti d’ora di autonomia. Il sedilino è regolabile (un po’ come quando in aereo vi viene sonno) e il tutto funziona a pile. E c’è anche il telecomando.
L’altalena mi ha liberato dall’obbligo perenne di far fare su e giù a una sdraietta? Abbastanza. E i miei arti ringraziano.
È un oggetto umile e poco ingombrante? Direi di no. Insomma, se avete già una casa che sembra un Toys’r’Us assaltato da uno squadrone di clown imbottiti di anfetamine, vi sconsiglio di complicare ulteriormente la situazione. Se avete un botto di posto, invece, altalenatevi e buonanotte.

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Non ho consigli su prodotti e/o rimedi anti-colica, perché Minicuore non ne ha sofferto (e perché non sono una pediatra).

Non ho consigli sulla cura della pelle, perché Minicuore non ha il culo rosso o particolari problemi che richiedano un intervento più massiccio di quello che ho già descritto qui.

Non ho consigli su saponini, bagnoschiumini e compagnia spumeggiante, perché abbiamo utilizzato indifferentemente quello che ci hanno donato (Chicco e Mustela) senza reazioni scomposte o HIGHLIGHTS degni di nota.

Non ho consigli su termometri, aerosol, pompette anti-muco o strumentazioni varie per la cura dei malanni, perché non ne abbiamo ancora avuto bisogno. Ogni tanto a Minicuore si tappa il naso e la risolviamo con un lavaggio di acqua fisiologica. La fisiologica serve sempre. Dotatevene.

Non ho consigli nemmeno su una marca particolare di asciugamani o mini-accappatoi. Tutto quello che posso dire è che vi conviene prendere quelli di spugnetta con il cappuccio-angolino, perché mettere subito al riparo e all’asciutto i cranietti è importante, dopo il bagno.

Per i pannolini, abbiamo votato per continuità: Pampers Progressi Newborn (e successivi), esattamente quelli che si usavano al nido dell’ospedale.

L’abbigliamento è una landa sterminata piena di possibilità infinite. Non posso addentrarmici, o riemergerei per la maturità di Minicuore. Vi basti sapere che vi serviranno svariati multi-pack di bodini di cotone (la lunghezza della manica dipende un po’ da quando nascerà la vostra creatura) e una collezione discretamente estesa di tutine coi piedi (per l’ordinaria amministrazione vi conviene semplificarvi la vita). Se poi dovete essere ricevuti a corte o volete fare un giro dandovi delle arie, tutti da Petit Bateau.

Vorrei potervi consigliare un ottimo e solidissimo bavaglino impermeabile, ma lo sto ancora cercando.

Vorrei parlare di scarpine. Ma ogni volta che ho cercato di comprare delle pantofoline adorabili a forma di animale ho sbagliato completamente la misura.

Ma dovrei avercela fatta a finire questo enciclopedico post. Almeno quello.
Spero tanto di essere stata d’aiuto e vi auguro meraviglie di ogni genere.
In bocca al lupo!

Tra le cose molto difficili che devi provare a fare quando metti al mondo un neonato c’è, secondo me, anche il rimanere vagamente normali. “Ma come mi trovi. Cioè, non sono impazzita, vero?” è l’ultima domanda che faccio a chiunque ci venga a trovare. Ma proprio sul pianerottolo. Magari mentre la gente aspetta l’ascensore. Bisogna chiederlo lì, sullo zerbino, perché se ti dicono che hai perso la brocca è molto più facile gestire la situazione. Sbatti la porta e ciao, torni in casa a rimuginare mentre ascolti per la trentesima volta in un’ora il loop ipnotico delle musichette della palestrina. Il fatto di aver ricevuto solo risposte incoraggianti è per me fonte di immensa soddisfazione. Il fenomeno è spiegabile in due modi. A) Ho amici, parenti e visitatori incredibilmente diplomatici. B) Sto riuscendo, in qualche modo, a mantenere una certa dignità.
Comunque sia, il merito è in gran parte di Minicuore.
Non so come, ma abbiamo fatto un bambino ragionevole. Minicuore dorme la notte (non nel nostro letto), ci riconosce, fa i sorrisi, non è soggetto a devastanti piaghe da pannolino, produce gorgheggi molto teneri, non si offende quando lo immergi in una vaschetta d’acqua calda, è gentile con gli sconosciuti e ricorre al pianto solo in casi di disagio ben decifrabili. Non ho idea del perché abbia deciso di comportarsi così bene, ma sto zitta prima di tirarmi addosso una sfiga apocalittica. Anzi, passo immediatamente al racconto di una difficoltà, tanto per non ridere in faccia al karma.
Minicuore mangia con la foga e la disperata passione di un nobile debosciato della Russia zarista.
Ora, l’allattamento è una faccenda complicata e molto personale. E per me, in tutta onestà, voi potete fare un po’ come vi pare. Minicuore ha beneficiato per due mesi pieni di quanto sono riuscita a produrre ricorrendo unicamente alla prorompenza delle mie strabilianti mammelle, ma ora sembra aver deciso di raggiungere le dimensioni di un cucciolo di brontosauro – o almeno di ritornare a crescere al ritmo baldanzoso di qualche settimana fa – e in qualche modo dobbiamo pur aiutarlo. La pediatra ci ha dunque autorizzati – con mio grande sollievo – a biberonarlo in pace e serenità.
Grazie, signora pediatra.
E come funziona?
Continuo a vestire la maglia da titolare nell’FC Milk e, se serve, chiedo il cambio al quaratesimo del secondo tempo e il biberon finisce vittoriosamente la partita. Ma anche – e purtroppo devo abbandonare questa EFFICACISSIMA metafora -, posso uscire di casa di tanto in tanto senza l’angoscia di non aver lasciato in eredità abbastanza latte.
DEVO STARE FUORI DUE ORE, MORIRÀ DI STENTI NELLA TUNDRA.
Ecco, no. Gli si prepara un biberon adeguato al suo famelico stomachino e cento punti al Progetto Normalità.

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Ora, la faccenda del biberon è piuttosto intricata.
CI FOSSE UNA ROBA FACILE OGNI TANTO INVECE ZERO DEVI SEMPRE FARTI OTTANTADUE DOMANDE SANTO IL CIELO PERCHÉ.
Abbiamo cominciato con un biberon che ha prodotto grandi sbrodolamenti, sputacchiamenti vari e rutti un po’ troppo perentori e frequenti – che si sa, rutti = grandi celebrazioni in tutto il regno, ma se ogni quattro minuti è necessario ruttare c’è evidentemente qualcosa di sghembo. Con piglio e spirito d’avventura abbiamo quindi cambiato strategia e ci siamo cimentati con i biberon Philips Avent, i Natural da 260ml che vanno bene per i bambini che hanno tagliato brillantemente il traguardo del mese d’esistenza. Minicuore 260ml se li scofanerà tra un po’ di tempo, ma veleggiamo già oltre i 150ml dei biberon per i piccoli-piccoli e il formato ci va più che bene. Anche perché sono comodi da tenere in mano, non è mica come ritrovarsi a dar da mangiare al bambino con un tubo di palle da tennis.

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Comunque, la Avent mi sta simpatica da tempo. Ho usato con felicità il loro tiralatte manuale e diversi aggeggi per la manutenzione della tetta, ma sui biberon ero ancora ignorante e bisognosa di collaudi seri.
E com’è andata?
Dunque, a parte la carineria dell’involucro (ALLEGRE SCIMMIETTE!), la facilità di riempimento, la forma gradevole da impugnare e gli avvitamenti agevoli (a prova di madri mancine), Minicuore mangia con molta più civiltà. È di certo un bambino assai perspicace (PER FORZA È FIGLIO MIO DI CHE COSA STIAMO PARLANDO), ma la tettarella evidentemente lo aiuta. E fa il possibile per frenare i suoi entusiasmi. Mi pare sia un biberon più realistico, insomma. Non genera sgargarozzamenti, c’è un sistema intelligente di circolazione dell’aria – che finisce nel biberon invece di finire all’interno del vostro erede, dove provocherebbe potenziali disagi, deflagrazioni ed estemporanee disperazioni – e, soprattutto, non si ingozza. MA POI SE LO ABITUI COSÌ NON È PIÙ CAPACE DI ATTACCARSI VERGOGNATI AI MIEI TEMPI QUESTE COSE NON SI FACEVANO. Che vi devo dire, Minicuore gestisce brillantemente entrambe le opzioni. Sarà che stiamo usando un biberon sensato e ben studiato per l’allattamento misto. O forse è un premio Nobel. Non saprei… ma la spiegazione più semplice tende spesso ad essere quella esatta – e i biglietti per Stoccolma magari li prenotiamo un’altra volta.
🙂

DISCLAIMER
Questo post non contiene nemmeno l’1% di quello che ci è accaduto. E non ambisce a far meglio di così. Perché, in tutta franchezza, non si può.
Questo post, in sintesi, è un trailer. Ma di quelli fatti bene. Mica un trailer con già dentro tutta la trama, che cavolo.

***

BENE. PROCEDIAMO.

Pur continuando a non capacitarmi di come una persona – per quanto piccola – sia riuscita a raggiungere il mondo esterno transitando per la mia coraggiosa vagina, l’operazione “Riproduciamoci, orsù” si è conclusa con successo e, dal 24 settembre, abbiamo un Minicuore. 
Anzi, un Cesare.
E siamo felici come degli imbecilli.

Ora, potrei mettermi qua a dirvi cose poetiche e piene di sentimento. Potrei scrivere due cartelle sul potere salvifico della vita che sboccia. Potrei provare a farvi piangere con una minuziosa descrizione del primo battito di ciglia di mio figlio. Potrei intrattenervi con una moltitudine di sconfinate tenerezze… ma non è questo che ci serve.
Perché è tutto bellissimo, ma è anche un gran casino. E quello che ti preme all’inizio – oltre a non uccidere accidentalmente tuo figlio – è riprendere un vago controllo della realtà.
Nell’ambizioso tentativo di arginare l’entropia neonatale, ho dunque deciso di affrontare la faccenda con razionalità, mappando i fenomeni principali che si sono scatenati nelle prime settimane di vita di Minicuore. Perché sì, la gente non vi dirà mai che un bambino ha un mese e mezzo. I bambini hanno sei settimane. E nessuno capirà mai di che cazzo state parlando.

Misurazione del tempo in settimane

Comunque.
Partorire è un problema.
Sono entrata in ospedale alle 18 di un venerdì sera e ho trascorso i tre giorni successivi a vagare seminuda e dolorante in mezzo a sconosciuti di ogni tipo, sfoggiando una batteria di surreali camicioni da notte ereditati da mia nonna Lelia che, prevedendo un olocausto atomico circoscritto al solo abbigliamento da letto, ne aveva immagazzinati due container (senza mai mettersene neanche uno, visto che credeva nell’onnipotenza della sottoveste di seta nera – indipendentemente dalla stagione).
La mia stanza, poi, era sprovvista di bagno. Mi è dunque toccato trascinare la mia carcassa gonfia al cessetto dietro l’angolo per una quantità interminabile di volte, brandendo giganteschi assorbenti a forma di Toblerone e maledicendo a gran voce il mio utero tumefatto.
Insomma, passi una vita a riprenderti dalle umiliazioni dell’adolescenza, ma poi partorisci e ti rituffi nell’abisso.

Livello di dignità personale

Il vostro parto è stato soave, edificante e sereno?
Brave voi e bravi tutti.
Io ho patito così tanto che non ho neanche fatto in tempo a spaventarmi. Però avevo un’ostetrica argentina super rassicurante e abilissima che ha serenamente discusso di Harry Potter con Amore del Cuore mentre un’infermiera gigantesca mi spezzava le vertebre cervicali nel tentativo di immobilizzarmi e permettere a un’anestesista con dei capelli fantastici di piantarmi un tubo nella schiena.
Il risultato finale è che, in un istante di particolare ottimismo prodotto dall’epidurale, mi sono convinta di poter far uscire Minicuore in sette secondi netti urlando EXPECTO PATRONUM.
Non provateci, non funziona.
Ma l’epidurale ve la consiglio anche a scopi ricreativi.

Cose belle della vita per livello di piacevolezza sprigionato

All’epidurale, comunque, non ci si arriva agevolmente. Te la devi sudare. Devi meritartela, come il regno dei cieli. A me è toccato rantolare per una mattina intera (e vomitare parecchia roba fosforescente in un secchio) prima che il Dottor Futomaki mi elargisse la sua benedizione.
Io col Dottor Futomaki ce l’ho su davvero.
Un po’ perché non è carino irrompere in una stanza e infilare all’improvviso un braccio intero nella patata di una persona – ma così, senza nemmeno presentarti – e un po’ perché non puoi piantarti in mezzo al corridoio alle otto del mattino per raccogliere le ordinazioni del pranzo. Sushi, poi. In un reparto pieno di donne gravide che soffrono come dei maiali e che il sushi non lo mangiano da nove mesi.
Graziella, te cosa vuoi? Gli uramaki Spicy Salmon o i Rainbow Roll? Chiedi anche alla Diletta, che di solito prende quelli con le uova di pesce volante, ma lo sai com’è fatta. Cosa dite, aggiungo un po’ di tartare, che ce la mangiamo prima?
CHE TU SIA MALEDETTO, DOTTOR FUTOMAKI. UN GIORNO AVRÒ LA MIA VENDETTA!
Ma poco importa. Perché, dopo tanto patire, ti ritrovi con un neonato di tre chili e trecento grammi in braccio. E ti sembra di una bellezza prodigiosa.

Maternità e distorsioni percettive

Potrei raccontarvi com’è che si campa in un ospedale pieno di donne sconvolte che spingono carrettini-lettino con dentro dei bambini minuscoli e variamente terrorizzati, ma mi sembra di essermi già dilungata in particolari già abbastanza cruenti. Vi basti sapere che, se voi avete avuto dei problemi, le altre ne hanno immancabilmente avuti di più. E non vedono l’ora di farvi pesare anche l’ultimo effetto collaterale del loro cesareo.
Quindi niente, io passerei ai regali. I regali sono sempre fonte di grande stupore.
La nascita di un figlio è un evento giustamente festeggiato dalle genti di ogni cultura con un’esplosione di doni strabilianti. In prevalenza ricamati a punto croce.

Frequenza di utilizzo del ricamo a punto croce

Fare regali a un neonato è difficile. La nascita di un infante è un avvenimento di una certa rilevanza – quindi non vuoi arrivare con una cazzata -, ma non vuoi neanche passare per quello che bada troppo al sentimento e troppo poco al lato pratico. Pragmatismo e lungimiranza, dunque, ma anche affetto e coccolosità.
Il risultato?
Al grido di “tanto il bambino cresce e la roba per i primi tempi non gli va più bene dopo un secondo e comunque ho pensato che ne avrai già a pacchi e che era importante regalarvi qualcosa che potete usare anche fra un po’, no?”, vi ritroverete con mille tutine ADORABILI taglia 6-9 mesi e nulla di utilizzabile nell’immediato – che poi è più o meno il momento in cui il bambino si caga anche sulle scapole… e te hai in lavatrice tutto il vestiario che possiede perché le scapole se le riempie di sterco ogni tre ore.
Che il cielo benedica lo shop online di H&M. E quelle due persone che vivono nell’eterno presente.

Composizione del parco-doni

Comunque, visto che la cacca ha già fatto la sua inevitabile comparsa, direi di occuparcene. In ospedale siamo stati istruiti su come cambiare efficacemente un pannolino, detergendo con rapidità e perizia il deretano del nostro bambino. Ogni volta che andavi al Nido – è così che si chiama lo stanzone pieno di neonati dove si espletano le principali funzioni di accudimento mentre sei ancora ricoverata – e cambiavi tuo figlio, un’infermiera/dottoressa/puericultrice correva da te e t’interrogava sul contenuto del pannolino. La pipì veniva accolta con un benevolo cenno del capo, ma senza particolari entusiasmi. La cacca, invece, era festeggiata con salve di cannone e il passaggio in corridoio della fanfara dei Bersaglieri.
Io, nella mia angoscia neogenitoriale, interpretavo il tutto più o meno così.
Il bambino caga? Sei una buona madre.
Il bambino non caga? Sei un mostro e Studio Aperto verrà presto a stanarti.

La cacca è importantissima. Ti sorprendi a parlare così tanto di cacca – con tuo marito, con i nonni, con gli amici, con i semplici passanti – che, quando effettivamente ti tocca pulirla, non ti fa più nemmeno schifo. Certo, non ci verniceresti le pareti, ma non ti fa particolarmente impressione. Anzi, la cacca è una buona notizia, è un evento positivo. Come la piena del Nilo. Come l’arrivo della stagione delle piogge nella savana riarsa. La cacca è oggetto di dibattiti, tavole rotonde e bollettini dal fronte. La cacca, nuova grande protagonista. E pensare che, due mesi fa, potevi sederti a tavola a discorrere di viaggi, progetti, carriera e amicizie, come una persona normale. Ora no, parli solo di merda.

Frequenza e composizione degli argomenti di conversazione

La cacca, insieme al naso tappato, ha per noi rappresentato una grande incognita. Minicuore, pur non incappando mai in raffreddori conclamati, ha passato le prime due settimane a respirare come un piccolo mantice otturato, gettandomi spesso nel panico. ODDIO, SE DIVENTA TUTTO BLU E MUORE? ODDIO, MA AVRÀ QUALCOSA DI DEVASTANTE AI POLMONI? Dopo aver scoperto il potere salvifico dei lavaggini nasali con la soluzione fisiologica – manovra cruentissima da eseguire con una siringhina spuntata, da utilizzare tipo Super Liquidator per sparare acqua nelle minuscole narici tappate di vostro figlio -, sono felicemente passata a preoccupazioni di altro tipo. ODDIO, HA UN OCCHIO UN PO’ GONFIO, È SICURAMENTE GUERCIO! Ma anche IL BAMBINO NON CAGA DA QUATTRO GIORNI, ESPLODERÀ?
Ad ogni micro-allarme, ovviamente, rompevamo i coglioni a qualcuno. Ho telefonato al Nido dell’ospedale, alla guardia medica, alla pediatra, al collega pediatra della nostra pediatra, al pronto soccorso pediatrico e pure al neonatologo dell’ospedale – disponibile solo in risicatissime fasce orarie praticamente inaccessibili (che ci sia lo zampino del malefico Dottor Futomaki?). E che cosa ho scoperto, alla fine? Ho scoperto che devo stare molto calma. E che non esiste una via di mezzo. 

Tipologie di risposta a condizione di malessere

Al ventesimo È NORMALE che ti rifilano, un po’ ti senti scemo. Perché di fronte a un “è normale” non c’è soluzione. Devi aspettare che la situazione migliori da sola (come ti promettono immancabilmente) o ti viene concesso di intervenire in maniera blandissima e quasi certamente inefficace (“lavi l’occhietto con una garzina”, “massaggi il pancino o stimoli con delicatezza l’orifizio”). Non so voi, ma io funziono così: ho mal di testa > prendo un Moment > mi passa il mal di testa > FAVOLA! Ecco, se uno mi venisse a dire che il mal di testa “è normale” (perché agli esseri umani nella vita un mal di testa può anche venire), mi incazzerei come una bestia e reclamerei a gran voce un rimedio un po’ più significativo, possibilmente a base di sostanze stupefacenti. CERTEZZE, CI SERVONO CERTEZZE.
A volte, dunque, di fronte alla scarsissima propensione all’allarmismo degli operatori sanitari a vostra disposizione, vi sorprenderete a consultare con un certo interesse l’orripilante chat del corso pre-parto – chat alla quale avete messo SILENZIOSO 1 ANNO praticamente subito dopo la nascita dei primi bambini.
Ma perché sì, maledizione.
E per due macro-ordini di motivi.
Uno. Il continuo bombardamento fotografico perpetrato dalle madri degli infanti più raccapriccianti.

Curva dell'ingiustificata fierezza materna

Due. I nomignoli imbecilli.

Termini prevalentemente utilizzati dalle neo madri per indicare i propri figli

PUFFI?
NANI?
CUCCIOLI?
…ma io vi sfondo le costole a colpi di mestolo.
Non ho trascorso nove mesi nel disagio e nella scomodità per mettere al mondo uno GNOMO, accidenti a voi. Non ho patito le pene dell’inferno per una giornata intera per poi sentirmi dire “ma che belle zampine che ha!”. ZAMPINE UN CAZZO. SONO MANI, CRETINA. MANI!
Io non capisco, è come se a chiamarli col loro nome (BAMBINI) si facesse la figura degli insensibili. E lo dice una che è sposata con Amore del Cuore e che ha messo al mondo Minicuore. Ma quelli sono fattacci miei, che diamine – è come ho deciso di chiamare due persone specifiche, mica un’intera categoria di esseri umani. Non pretendo di andare in giro a dire “Oh, ma guarda quanti bei Minicuore ci sono in questa nursery! Sei una donna fortunata, il tuo Amore del Cuore sarà un papà fantastico!”. Dai, cos’è. Anzi, come direbbe mia suocera, MA CE LA FATE?
Comunque.
Il confronto con gli altri è sempre una grande incognita. Ma più per voi che per vostro figlio. Anzi, vi renderete presto conto che vostro figlio, incredibilmente, non è per nulla misantropo. 

Curva della finta serenità neonatale

Quei due o tre giorni che passi in ospedale con il bambino sono una specie di allenamento, ma poco realistico. Nonostante le ostetriche ti chiamino ripetutamente MAMMA – credo più per farti rendere conto di che cosa ti è appena capitato che per l’effettiva impossibilità di ricordarsi nome e cognome di ogni singola puerpera ricoverata –, cominci a capire veramente quello che ti è successo quando rimetti piede in casa. Noi siamo entrati, abbiamo appoggiato per terra sacchetti, valigini, mazzi di fiori, pacchetti e pacchettini e, dopo sette minuti di euforia da “Oddio, che bello, il mio bidet!”, abbiamo sistemato Minicuore sul divano, nella navicella del passeggino, e ci siamo domandati E ADESSO?.
E adesso niente, sono fattacci tuoi.
Non credo ci sia niente che può davvero prepararti a gestire la faccenda, a parte il buonsenso.
Perché prendersi cura di un neonatone è un po’ come conoscere una persona nuova, solo che questa persona si piscia addosso a ripetizione e non è perfettamente in grado di farti sapere che cosa le sta succedendo. O di soffiarsi il naso in autonomia, se è per quello. O di capire che ha le mani. O di distinguere il giorno dalla notte. O te da un materasso.

Mappatura dei luoghi del sonno per frequenza di assopimento

All’inizio, inevitabilmente, le questioni pratiche ti fagocitano. E cambiare la garzina al cordone ombelicale. E farlo mangiare regolarmente. E non lessargli il sedere sotto al rubinetto. E il freddo. E il caldo. E la copertina in faccia. E le calzine. E l’appuntamento dalla pediatra. E come si fissa l’ovetto al sedile della macchina. E la cuffietta. E mettilo a pancia in su. E giralo sul fianco. E starà crescendo. E se non cresce come facciamo. Ogni cinque minuti ne hai una. E ogni due ore e mezza il sistema operativo si azzera, BAMBINO.EXE si riavvia (girano con Windows, all’inizio) e la gioiosa tarantella ricomincia da capo: pannolino > tetta > rutti & secrezioni assortite > nanna (auspicabilmente). Nel caso ci sia da cambiare una tutina, poi, i tempi si dilatano notevolmente…

Legge di moltiplicazione falangea del neonato

Con il passare dei giorni, comunque, si diventa più bravi. Anche accudire un neonato, infatti, segue determinati schemi motorio/cognitivi. E l’allenamento, come insegna MADRE, aiuta sempre. Non avrei mai pensato, ad esempio, di riuscire a tollerare la cronica mancanza di sonno con la disinvoltura che sto dimostrando. Non avrei mai pensato di potermi rallegrare, alle quattro del mattino, per il sorrisotto storto che ti fa un bambino minuscolo quando lo prendi in braccio dopo un piantino. E non avrei mai pensato di potermi commuovere davanti a uno stendino, ma è capitato anche quello. Se lì con una vaschetta piena di tutine tempestate di pinguini e orsacchiotti e ti viene un po’ da piangere, tra una molletta e l’altra.
Insomma, ce la caviamo. Oserei dire che ce la caviamo bene. L’impegno, di sicuro, ce lo mettiamo. E Amore del Cuore è, come prevedibile, molto bravo. Se potesse, credo che mi solleverebbe anche dai doveri dell’allattamento. E io glielo lascerei fare volentierissimo. Tutti ti raccontano quanto è utile allattare e quanto fa bene al bambino, ma sorvolano un po’ sulle difficoltà iniziali. Io sono uscita dall’ospedale con i capezzoli ridotti peggio di una trincea di Verdun ma, a quanto pare, pure quello fa parte del pacchetto. Dopo essermi cosparsa di creme alla lanolina e aver protetto i miei preziosi rubinetti con paracapezzoli in argento 925 – roba uscita per direttissima da un film di Austin Powers -, le mie piastrine hanno finalmente deciso di mettersi all’opera e, dopo settimane di discreti patimenti, ho conquistato la libertà di annoiarmi di tanto in tanto. Perché i bambini piccolissimi mangiano dalle sei alle otto volte al giorno. E ogni volta ci mettono una mezz’oretta buona. Trovarsi un hobby è assolutamente fondamentale.

Allattamento - composizione delle attività svolte in parallelo

E niente.
Siamo qui.
Siamo in tre (più Ottone).
Stiamo ancora tutti quanti bene e ci amiamo fortissimo.
Ciò è sufficiente a fare di me una MADRE? Non credo proprio… ma da qualche parte bisogna pur iniziare.
Ben arrivato, Minicuore. Ti adoriamo. E ce la faremo, promesso.
🙂

***

Visto che mappare in maniera esaustiva i fenomeni principali dell’esistenza di un neonato e cacciarli tutti in un solo post è vagamente impensabile, l’ambizioso progetto procederà su Facebook – senza alcuna periodicità o criterio. Voi fateci un giro, però. Sarà bellissimo.

L’universo, quando ti riproduci, cerca sistematicamente di metterti addosso un’ansia intollerabile. Alcune sono paranoie indotte dalla comprensibilissima sensazione di non sapere bene che cosa stai facendo – “Sono a casa con un neonato… riuscirò a non ucciderlo?” – mentre altre, invece, sono frutto di anni di sedimentazione e, col tempo, si sono praticamente trasformate in temibili archetipi.
Tipo.
Ho vissuto fino ai vent’anni con una donna che credeva fermamente nell’onnipotenza della canottiera. Ma in qualsiasi stagione. Ci sono 36 gradi? Fa niente. Francesca, ti sei messa la canottiera? Mettitela, che se no t’ammali. Sei in Groenlandia è c’è -20? PERFETTO. Francesca, ce l’hai la canottiera pesante? Fammi vedere. Con questo freddo ti prendi un accidente! La canottiera: il campo di forza in grado di proteggerti da ogni avversità, germe, spiffero o morbo.
Sotto la giurisdizione di MADRE, dunque, ho docilmente indossato canottiere di ogni genere – ma mi sono ammalata comunque, come s’ammalano tutte le persone di questa terra. Il risultato finale della faccenda, però, è interessante. Perché la canottiera è solo la punta dell’iceberg, l’ambasciatrice di una vasta serie di preoccupazioni devastanti – che sono riuscita ad ereditare perfettamente. Possiamo riassumere tutto in un comodo quesito che mi perseguita sin dalla dimissione dall’ospedale: IL BAMBINO AVRÀ FREDDO?
Minicuore mi sembra un neonato sveglio, ma ha un mese e mezzo. E non posso pretendere che mi risponda. E non posso neanche tenerlo perennemente in casa sotto a due tonnellate di copertine. Equipaggiarsi. Quello che conta è essere equipaggiati, come le forze speciali, come Tony Stark. Il problema, all’inizio, è che non sai bene quello che ti serve. Anzi, non sai neanche che certe cose esistono e che sono fatte apposta per risolverti parecchie menate. Guardi fuori dalla finestra, t’accorgi che c’è la nebbiolina e che viene buio presto. E capisci che WINTER IS COMING e che ti devi ingegnare. Perché puoi anche non avere alcuna fiducia nei poteri delle canottiere, ma sui sacchi termici per minuscoli esseri umani si può tendenzialmente contare.

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Con il prezioso aiuto di Minicuore (nonostante russasse come un cinghiale) e il patrocinio di Picci, ho collaudato un adorabile sacco termico Mucki, un aggeggio morbidoso a prova di intemperie, glaciazioni, tempeste di stalattiti, titubanze da neomadre e broncio da lunedì di novembre. Nulla è peggio di un lunedì di novembre, fidatevi. #HateMonday per sempre (pure se c’è il sole).

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Che cosa c’è di bello e che cosa c’è da sapere.
I Mucki sono prodotti in Italia e sono molto poffosi. Sono fatti con materiali anallergici e godono di un alto indice di avventurosità – dovete andare in macchina? Mucki nell’ovetto (ci sono dei bucozzi trasformabili dove far passare le cinture di sicurezza. E se l’ho capito io, potete farcela pure voi). Dovete vagare a piedi? Mucki nella navicella o nel passeggino. La cosa intelligente – soprattutto per chi ha messo al mondo un bambino che si agita come un’anguilla elettrica – è la cerniera sul davanti. Aprite il sacco e ci ficcate dentro il vostro luminoso erede senza dover impazzire con maniche, muffole, piedini e soluzioni labirintiche di scarsa praticità. Vi rifugiate al chiuso a mangiare una fetta di torta? Aprite il sacco e lasciate sgambettare Minicuore senza che sudi come un maratoneta etiope. Vi rimettete in marcia? Chiudete il sacco e ciao. Le cerniere non vi piacciono perché temete che vostro figlio possa sfigurarsi e passare il resto della vita a terrorizzare gli abitanti di Gotham City? Le cerniere del Mucki sono foderate e perfettamente in grado di arginare l’effetto-Joker.
Ma veniamo alla cosa più importante: i Mucki sono pieni di giganteschi orsacchiotti sorridenti.
Ecco.
Potevo dirlo subito e risparmiarmi tutta questa fatica.

Per chi volesse documentarsi ulteriormente, qui trovate il sito di Picci e qui la pagina dedicata ai sacchi termici Mucki. L’esperimento, per noi, è riuscito. Non so se il Mucki basterà a farmi passare l’onnipresente angoscia da MIO FIGLIO POTREBBE SURGELARE, ma Minicuore ha apprezzato. Perché un bambino che ronfa mentre lo porti a spasso è un bambino felice. Pure di lunedì.
Potere agli orsetti coccolosi!