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Lo spazio fa schifo e ci vuole morti, ma è pur vero che l’umanità ha ormai da parecchio devastato l’unico ambiente compatibile al suo percorso evolutivo. Non siamo strutturati per vivere su altri pianeti, ma ci tocca andarci lo stesso, se speriamo di sopravvivere collettivamente come specie. Partendo da queste premesse – che iniziano a sembrare realistiche anche per un nostro non troppo remoto futuro – Edward Ashton spedisce in giro per la galassia una moltitudine di vascelli carichi di equipaggiamento agricolo scientificamente evolutissimo, propulsori antimaterici, specialisti qualificati e chilate di embrioni che attendono di poter vedere la luce e di trasformarsi nei cittadini del domani… sempre che i colonizzatori di “oggi” riescano a rendere abitabili – o almeno non troppo letali – i nuovi mondi così faticosamente individuati e raggiunti.

A bordo della Drakkar c’è anche Mickey Barnes. Non è un pilota, non è un ingegnere, non è un agronomo o un militare e nemmeno un ricercatore medico. Si è offerto volontario per l’unico posto da Expendable – “Sacrificabile”, nella traduzione italiana – nella missione di colonizzazione di Niflheim, una palla di ghiaccio che non promette di lasciarsi domare agevolmente.
Che fanno gli Expendable? Tutto quello che potrebbe uccidere un membro “normale” della spedizione.
Grazie a una specie di stampante biologica capace di replicare il corpo umano e a regolari upload di coscienza, i Sacrificabili hanno l’ingarbugliata facoltà di morire e di essere rigenerati a ripetizione. Per cinque secondi, la prospettiva della vita eterna potrebbe sembrarci fantastica… ma Mickey, arrivato alla sua settima emanazione, è sempre più convinto di aver commesso una cazzata madornale. E il fatto che sul pianeta gelato abitino orde di coleotteri corazzati apparentemente senzienti non migliora di certo le sue prospettive. Che ne sarà di lui? Che ne sarà della colonia, già mezza morta di fame?

Mi sono procurata Mickey7 quando ho scoperto che Bong Joon-ho – premio Oscar per Parasite, come tutti quanti nitidamente ricordiamo – si era inventato un adattamento cinematografico con un blasonatissimo cast. Non conosco l’autore e non avevo particolari aspettative sul romanzo, ma mi auguravo almeno che l’impianto complessivo riuscisse a sostenere il guizzo matto di fondo. L’idea degli Expendable è intrigante e fertile, ma di certo non cammina da sola. Ecco, Mickey7 non mi pare si afflosci e, pur mantenendo un tono fortemente ironico e da “commedia spaziale”, riesce anche a infilarci qualche buon tema di riflessione. Mickey parte, accollandosi un lavoro che non voleva nessuno, perché su Midgard – il pianeta colonia già “adulto” da cui proviene – era nei guai con una banda di strozzini sadici, ma finisce per interrogare ogni giorno la sua identità, un po’ come Teseo che ripara la sua nave e, un pezzo alla volta, la rinnova completamente. La nave che è partita è la stessa che fa ritorno? È identica e la chiamiamo sempre allo stesso modo, ma non conserva nulla dei suoi materiali originari. Che cos’è davvero quella nave, allora? Dove possiamo tracciare il confine tra scoperta rivoluzionaria e abominio conclamato? Che valore ha la vita, se diventiamo all’improvviso capaci di buttarla via?

Mickey7 è uscito da poco qua da noi per Fanucci – con la traduzione di Stefano Ternavasio – e anche Mickey17 di Bong Joon-ho sta per approdare in sala. A giudicare dal trailer, il fatto che il titolo moltiplichi le versioni (e quindi le dipartite) di Mickey non mi sorprende e Bong Joon-ho mi pare utilizzi in pieno il lato grottesco del romanzo per buttare tutto gustosamente in caciara. Troppo? Vedremo. Ashton, nel frattempo, mi ha donato molto divertimento.

Per la rubrica “un saggio che si legge come un romanzo” – ma anche un po’ “che scoperta, è narrative non-fiction!” -, eccoci qua con Essere una macchina di Mark O’Connell, in uscita il 18 settembre per Adelphi con la traduzione di Gianni Pannofino e l’ambizione del tutto accidentale di consolarci e/o terrorizzarci mentre attendiamo la nuova stagione di Black Mirror.
Perché sì.
Questo libro è come una versione giornalisticamente attendibile e ben documentata di Black Mirror e, nello spazio condensato di un racconto di viaggio alla scoperta del movimento transumanista, ci accompagna anche lontanissimo, alla volta di una frontiera filosofico-tecnologica che persegue un fine ultimo a dir poco ambizioso: sconfiggere la morte. Per sempre.

Qualche passo indietro. Il transumanesimo è, in estrema sintesi, un movimento che punta al prolungamento indefinito della vita umana. I transumanisti intervistati da O’Connell – che per il libro viaggia in lungo e in largo per gli Stati Uniti, partecipando a conferenze, incontrando i personaggi più disparati e salendo anche a bordo di un elegante camper a forma di bara – non approcciano il tema in maniera univoca, perché assai complicata è la natura del problema che intendono risolvere. Ci sono transumanisti che propendono per il congelamento criogenico del corpo e transumanisti che, impegnandosi a livello accademico nella ricerca neurologica, coltivano anche l’ambizioso progetto di riprodurre a livello digitale il funzionamento del cervello per poi poterlo caricare su un supporto indipendente dall’involucro di origine – o da un qualsiasi involucro, volendo. Ci sono transumanisti, poi, che disprezzano la natura imperfetta dell’organismo umano (colpevole di un fisiologico deterioramento che conduce in maniera per ora inevitabile alla nostra dipartita) e tentano di modificarlo e di potenziarlo, elevando a valore supremo il potere dell’intelletto sulla “carne”.
Avversione per la morte a parte, però, tutti i transumanisti sembrano essere accomunati da quella che somiglia molto a una professione di fede. I transumanisti vogliono esistere il più a lungo possibile perché è solo rimandando la morte che sono certi di poter accedere a un futuro in cui la morte verrà definitivamente debellata. In questo scenario, infatti, la tecnologia avrà raggiunto il suo orizzonte ultimo, una sorta di punto di fuga dal quale sarà libera di progredire a ritmi esponenziali – autogenerandosi, autogestendosi, autoreplicandosi. E risolvendo per noi tutto quello che non siamo ancora riusciti a controllare. La “Singolarità”, questo grande evento che cambierà per sempre le sorti del genere umano, è l’obiettivo da raggiungere per afferrare l’eternità. L’importante è arrivarci – vivi o congelati – per avere la certezza di essere rianimati o di poter usufruire efficacemente delle conquiste scientifico-informatiche.

Pazzi? Visionari? Squilibrati?
Chi lo sa.

Il garbatissimo scetticismo e la curiosità giornalistica di O’Connell ci accompagnano per tutto il libro. E la galleria di personaggi che l’autore incontra è a dir poco stupefacente. Molti operano, lavorano o raccolgono INGENTI fondi nella Silicon Valley – “bacino di utenza” particolarmente ricettivo nei confronti della causa transumanista forse per il suo già strettissimo rapporto con la tecnologia, per la tendenza a intraprendere imprese titaniche partendo dal garage di casa e per l’affinità già consolidata con l’inorganico, il virtuale e il meccanico.
Ci sono transumanisti a Google, come ci sono transumanisti che amministrano le ultime volontà dei guru dell’informatica (e dei più ricchi fra gli ottimisti) dalla periferia di Phoenix, dietro la scrivania del più grande impianto di criogenizzazione degli Stati Uniti. La Alcor può tenervi in sospensione fino al sopraggiungere della Singolarità per 200.000$ (se volete surgelarvi tutti interi) o per 80.000$ (se vi interessa surgelare solo la testa). Ci sono transumanisti nei centri di ricerca neurobiologica delle maggiori università americane che studiano l’architettura del nostro cervello con la speranza di riuscire a farlo “girare” su un supporto diverso dal nostro corpo, destinato a deperire.
Il futuro dei transumanisti, infatti, non è solo un mondo dove, ad esempio, le malattie letali non potranno più nuocerci, ma è un’epoca in cui la nostra mente sarà libera di assumere la forma che preferisce, grazie all’upload su corpi artificiali o alla possibilità di lasciarla fluttuale in uno spazio virtuale potenzialmente infinito.

Da fan della fantascienza e da profonda conoscitrice delle tre leggi della robotica di Asimov (con tutte le menate che ne conseguono) non potevo non lasciarmi risucchiare da questo viaggio, che somiglia – paradossalmente – molto più alle opere di finzione letteraria o filmica che in ogni tempo si sono interrogate sul futuro che a qualcosa di oggettivamente plausibile o “reale”.
Eppure i transumanisti ci sono. Si incontrano a conferenze. Ricevono finanziamenti milionari. E si candidano alla presidenza degli Stati Uniti con una campagna elettorale basata su un unico argomento: dire basta alla morte.
Essere una macchina è un lavoro di ricerca complessissimo e affascinante che, nonostante il tema non proprio immediato, risulta assolutamente comprensibile. E assai fascinoso. O’Connell riflette insieme a noi sul destino della coscienza, sul ruolo delle macchine e della tecnologia nel nostro presente (per intravederne le possibilità o i rischi futuri) e, in ultima istanza, sul valore che attribuiamo alla vita e al tempo, pilastri portanti della nostra permanenza sulla Terra.
Che cos’è una persona?
Un involucro per la mente?
Un sofisticato sistema per la raccolta di stimoli e per l’elaborazione di reazioni?
Una forma primitiva di superuomo immortale?
Le risposte del transumanesimo sono tante. Spesso poco plausibili, a volte terrificanti, sempre estreme. Ma immancabilmente fiduciose e tenaci. Due caratteristiche che, nonostante gli sforzi per revisionare e migliorare le nostre obsolete carcasse, sono quanto di più umano possa esistere.

Leggetevi Essere una macchina.
Che magari la Singolarità non arriva… ma se arriva conviene sapere che cosa sta succedendo. :3