Lo squash è il vostro sport preferito? Ottimo.
Mai v’è interessato? Nessun problema. Lo squash, in questo romanzo d’esordio, è una sorta di laboratorio emotivo e il campo – con le righe che tracciano la grande “T” del titolo – è il posto in cui si va quando le parole non bastano più. È buffo che per guarire dal vuoto lasciato da un lutto i personaggi superstiti di questa storia – un padre e le sue tre figlie – scelgano di gettarsi a capofitto in uno sport intrisecamente solitario, come parecchi di quelli che si fanno con una racchetta in mano, ma ci si arrangia con quel che c’è e con quello che si conosce. E si provano a rievocare atmosfere felici (o a stancarsi molto) mentre si aspetta che i fantasmi che amiamo ci mandino un segno.
Gopi e le sue sorelle hanno perso la mamma e si ritrovano per allenarsi, un giorno dopo l’altro, sotto l’occhio spento del padre su un campetto alla periferia di Londra. Farle giocare è l’unica cosa che sembra aiutarlo a tenersi a galla e loro lo assecondano, insieme e solissime, colpendo palle a ripetizione nella speranza di ritrovare il ritmo della normalità… o di lasciarsi ipnotizzare. C’è molto di meccanico, negli sport che si fanno con la racchetta, ma esiste uno specifico stato di felice straniamento che si innesca quando ti abbandoni all’automatismo. Si diventa fluidi, si diventa leggeri, ci si dimentica di sé, si fa tutto il giro e forse ci si ritrova.
La voce narrante di T di Chetna Maroo – splendidamente tradotto da Gioia Guerzoni per Adelphi – è proprio quella di Gopi, la più piccola e anche la più brava e promettente in campo. È una voce bizzarra, per una bambina di undici anni. Seria, profondissima, lapidaria. Gopi è una di quelle persone con cui è facile condividere un silenzio, perché chi ha pochi punti di riferimento tende ad ascoltare molto e a cercare indizi. Non che suo padre le offra molti appigli, a parte il salvagente – e l’ossessione – per lo sport. A squash, lì a Londra, sembra giocarci solo chi arriva dal Pakistan o dall’India, come loro. A tener vive le radici c’era la mamma – anche se le tre sorelle non parlavano bene il suo gujarati – e vuole riprovarci la zia, che le vede selvatiche e sperse, lontane dalla comunità e anche da lei, che vive a Edimburgo. Quanto allenamento occorre per crescere quando ti manca un pezzo? Quanta stanchezza serve accumulare per dimenticare? Chi ci aspetterà, quando resteremo indietro?
Bonus track: una chiacchiera di approfondimento – e di rara piacevolezza – con Nadeesha Uyangoda.
Dunque, quando ho finito il libro sono andata subito a cercare Grantland, la rivista che Brian Phillips – da quanto ci risulta dalla bandella – ha contribuito a fondaree animare con i suoi scritti.Voi risparmiatevlo perché possogià dirvi io che Grantland ha chiuso bottega e online restano solo gli archivi – vi metto il link, in nome della speleologia. Mi sono rattristata istantaneamente, perché immaginavo già di poter leggerea cadenza regolare una sorta di versione in tempo reale di questa raccolta di reportage, ma poi ho deciso che m’andava già benoneaver incontrato Phillips nelle Civette impossibili– in libreria per Adelphi nella traduzione di Francesco Pacifico.Chissà, credo di essere diventata una che vede il bicchiere mezzo pieno, probabilmente perché visualizzo un bicchiere di rossoe non un bicchiere d’acqua.
Ma di che parla questo libro? Di varie ed eventualissime imprese umane, dalla corsa storica dei cani da slitta in Alaska (BALTO NON TI ABBIAMO DIMENTICATO) a quel che passa per la testa della famiglia reale britannica, dalle gerarchie del sumo a Locutus dei Borg. Ci sono tigri da avvistare nel folto di una foresta indiana e blockbuster caciaroni, le macerie di una famiglia di petrolieri e una gita all’Area 51 – spoiler: non si vede niente, c’è solo un cartello minaccioso in mezzo al deserto.
Sono reportage che non deragliano a causa di un’eccessiva invadenza del narratore ma che ne rispecchiano la curiosità sorniona e un po’ malinconica, il gusto per l’insolito misto a un buon occhio per il surreale. Quel che c’è qui, anzi, è una grande collezione di episodi che paiono manifestarsi in universi lontani, popolati però da protagonisti che ne hanno fatto il loro orizzonte di normalità.
Ho un debole per la capacità d’osservazione altrui. E anche per le avventure. Non so cosa si provi a prendere un aereo per andare a sincerarmi di come si comportino i miti nel posto in cui si rendono accessibili agli esseri umani, ma mi sono goduta ogni incursione con l’interesse vispo che si produce solo all’intersezione tra narratore azzeccato e storia che vale la pena di raccontare – perché non ne sappiamo ancora abbastanza o perché c’è un modo “migliore” per avvicinarla, un’angolazione più propizia del nostro sguardo.
[Bonus track: un capitolo è dedicato a Norstein e al suo lavoro geniale, che si sviluppa in una sorta di mondo parallelo immune dalle scadenze ma tristemente soggetto alle necessità materiali.
Non so se mai vedremo l’adattamento animato del Cappotto di Gogol che cerca di portare a termine ormai da qualche decennio, ma Il riccio nella nebbia vive e lotta con coi. Lo trovate su Youtube e anche in questa versione libresca.]
Nota strutturale
Esordirò facendo del mio meglio per spiegare come funziona un’accademia di spada laser, deliziandovi nel mentre con svariate testimonianze fotografiche e pure un video FAVOLA. In coda troverete tutti i riferimenti utili per contattare Ludosport, più i link a due lezioni di prova che abbiamo organizzato per fare cose insieme.
Basta, ho finito.
Leggete felici.
*
I festeggiamenti per il mio ultimo compleanno – ormai risalenti al mese di marzo – verranno ricordati nei secoli come i più propizi di sempre. Non perché ci siano state feste mirabolanti o particolari occasioni mondane d’aggregazione, ma perché Amore del Cuore ha tirato fuori dal cilindro il regalo perfetto. Anzi, ha prontamente risposto a un’imbeccata che non credevo avrebbe mai raccolto. Un po’ perché è spesso disorientato dalla massa informe e mobilissima dei miei interessi e un po’ perché di cose ne dico tante, ma poi è raro che mi applichi. Ebbene, a questo giro no. A questo giro sono diventata una baldanzosa guerriera armata di spada laser.
Perché sì, l’umanità avrà pure inventato il crossfit, ma là fuori ci sono anche delle accademie che ti insegnano a combattere con la spada laser. E pure bene.
Ma procediamo con ordine. Combattere con la spada laser, IN CHE SENSO. E dove, di grazia?
Fondata a Milano nel lontano ma vispo 2006, l’accademia Ludosport si è prefissata il compito di creare un solido ponte tra immaginazione e concretissime pratiche sportive. La domanda degli esordi è un po’ stata la seguente: è possibile trasportare nel mondo “reale” un’arma inesistente, che risponde a precise leggi fisiche che ancora non governiamo (nostro malgrado)? Sembrerebbe di sì. Con le dovute accortezze.
Partendo da presupposto che una spada laser VERA non solo non ha peso (perché è fatta di energia), ma non ha nemmeno il filo (perché è in grado di “tagliare” in qualsiasi modo), i valenti fondatori dell’accademia hanno escogitato nove stili di combattimento fatti di attacchi, difese e movimenti capaci di rispondere in maniera efficace alla natura immaginaria dell’attrezzo. E, cosa ancor più importante, sono riusciti a strutturare un insieme di regole e di valori che permettono a tutti quanti di imparare e di competere col maggior spasso possibile (tenendosi anche abbondantemente alla larga dal Pronto Soccorso).
E qui penso sia utile una parentesi autobiografica.
Sono sempre stata una sportiva. Dalla più tenera età agli anni (zoppicanti) del lavoro, ho giocato a tennis e ho sciato a vari livelli di intensità e agonismo. Mi sono sempre cimentata in sport individuali, dove non solo non c’erano vere e proprie squadre a cui appartenere, ma c’era anche un’interazione piuttosto scarsa con gli altri partecipanti. E, per anni e anni, non sono nemmeno stata in grado di concepire la possibilità di fare qualcosa di diverso. Gioco a tennis da tutta la vita, ma ti pare che mi metto qua a fare una roba nuova a trent’anni? Ma per carità, troppo sbattimento. Ecco. Ora la situazione è questa:
La gratitudine che nutro nei confronti di Amore del Cuore per il donone che mi ha fatto è vastissima anche per questo. Io, da sola, forse non mi sarei iscritta davvero a un’accademia di spada laser. Forse avrei lasciato prevalere la componente culo-pesante della mia personalità. O, di certo, non mi sarei orientata su un’attività che prevede un contatto così spiccato con gli altri. Perché è con gli altri che ci si confronta. Ed è solo con l’aiuto degli altri che si impara.
Al di là di quanto ci si sente FAVOLA a maneggiare con cognizione di causa una spada laser appositamente progettata per assisterti in combattimento – spada laser che si illumina, fa un gran rumore (GIUSTAMENTE!) e ha anche un corroborante peso specifico –, la scoperta più grande credo proprio sia stata quella: lo spirito di squadra. E la distinta percezione di quanto sia significativo intraprendere un’attività del tutto nuova con il supporto di altri esseri umani.
In Ludosport non si usano particolari protezioni – a parte i guanti. Non c’è un corso per le femmine e un corso per i maschi. Così come non ci sono competizioni riservate agli uomini separate da quelle per le donne. Non è una faccenda di forza, perché una spada laser non è un’ascia di 14 kg concepita per spaccare calotte craniche, ma si maneggia comunque un tubo di policarbonato dall’indubbia solidità materica… e se t’arriva sui denti lo senti.
Ecco, il punto è proprio quello: nessuno tenterà di proposito di sbattertelo sui denti, anzi.
Perché non è previsto.
E perché non sei strutturalmente portato a ritenere chi combatte con te un Nino Sarratore da trucidare.
I valori a cui accennavo prima non sono una versione condensata degli insegnamenti di maestro Yoda – anzi, Ludosport è un posto assolutamente “laico” rispetto a Star Wars, nonostante ci siano le spade laser -, ma una versione più articolata del più sano buonsenso: servizio, cura, rispetto. Vuol dire che tutti devono mettersi a disposizione degli altri per farli imparare meglio e vuole anche dire che non ci sono “nemici”, ma solo altre persone con cui fare pratica. E fare amicizia. Te ne accorgi subito, dal minuto uno. Nessuno si diverte a metterti in difficoltà, anzi. E tutti sono incoraggiati con veemenza a dichiarare forte e chiaro, in combattimento, quando un colpo va a segno. Ecco perché a fine lezione siamo tutti interi. E siamo anche molto inclini ad andare a bere una birra insieme.
Sembra una cretinata da dire, ma l’impresa mi sta giovando. Non sono facile da gestire, sul fronte sportivo. Sono una che passa le partite di tennis a parlare da sola, a prendere a pallate le reti e a buttare in terra la racchetta. Subisco molto l’errore – ma proprio come concetto – e la possibilità di fallire. Non sono paziente. Passare del tempo con persone che non conosco da almeno tre secoli mi genera una certa ansia e faccio parecchia fatica, ma proprio a livello mentale. Piazzarmi volontariamente di fronte a svariati sconosciuti che cercano di colpirmi con una spada laser è stato un po’ un atto di coraggio. Al mondo esistono forme di eroismo ben più rilevanti, me ne rendo ben conto, ma tutti quanti siamo spesso azzoppati da piccoli limiti e paure che, a lungo andare, ci convincono a star fermi. Perché è troppo tardi per provare. Perché non è il caso di provare, anche. O perché FIGURIAMOCI SE SEI CAPACE. Sono ben lontana dalla suprema destrezza di Darth Maul (sì, da quest’anno c’è anche un corso per combattere col bastone. O con la doppia spada. CREPO), ma spero di essere riuscita a trasmettere almeno una frazione della fierezza e dello spasso che mi animano quando inforco guanti e divisa e cerco di capire come trasformarmi in una temibile spadaccina laser.
Supercuori, Clan del Caos.
Siamo assurdi, ma anche molto speciali.
*
Informazioni pratiche
La sede principale di Ludosport è a Milano, ma le accademie sono frequentabili anche in tantissime altre città italiane – oltre che all’estero. Sì, una roba inventata a Milano è stata esportata pure in America, per una volta.
Per scoprire l’ubicazione delle varie sedi e tempestare i rettori di domande pratiche anche puntigliosissime, ecco dove andare.
Informazioni pratiche ancora più importanti
Per chi è già a Milano (o vuole passare a fare un giro per la lieta occasione), abbiamo buttato in piedi due lezioni di prova BELLISSIME. Ci sarò anch’io, non c’è da pagare niente e basta iscriversi su Eventbrite.
Ecco le date.
– 4 gennaio dalle 19 alle 22
– 10 gennaio dalle 18 alle 21
Accorrete numerosi, così non faccio brutta figura con il mio istruttore – che è pure approdato tra i finalisti ai mondiali di spada laser e si aspetta sempre grandi cose da me. Spesso a torto.
Fabbricanti di spade
Per donare o donarvi una spada laser STRABILIANTE, ecco qua le Lamadiluce. Ludosport le ha inventate e progettate appositamente per l’utilizzo in combattimento. E si possono pure personalizzare.
Fumetti!
Se vi va, poi, di approfondire ulteriormente la vostra conoscenza del progetto Ludosport, c’è pure un fumetto – basato su atleti che esistono veramente ma che purtroppo non padroneggiano ancora il viaggio metadimensionale, anche se a loro piace sicuramente crederlo.
Credits
Come Miss Universo, poi, vorrei concludere ringraziando di cuore i miei compagni e gli istruttori del Clan del Caos e di Ludosport Alpha per aver partecipato allo SCIUTING dei contenuti foto-video e anche Silvia Galliani e Tito Capovilla che hanno effettivamente fatto le foto e i video. EROICI, tutti.
E venite a spadaccinare con me, mi raccomando. Niente vestaglie, ma molta gioia.
MADRE è una donna all’avanguardia. Quando le altre insegnanti di educazione fisica si sentivano super avanti a invitare a scuola gli istruttori di rugby, MADRE aveva il corso pomeridiano di yoga. Negli anni Novanta. Negli anni Novanta a fare yoga c’erano solo le alunne di MADRE, Wes Anderson e Linda Evangelista. Nemmeno quella scopa platinata di Gwyneth Paltrow c’era già arrivata, altroché Goop e vaporizzatori vaginali agli ioni d’argilla salata.
Comunque.
Ho fatto la mia prima lezione di yoga nella gloriosa palestra del liceo Colombini, da infiltrata. Facevo le medie, ma MADRE amava utilizzarmi come piccola cavia. Fare yoga in compagnia di venticinque adolescenti ridacchianti non fu semplice e, in tutta franchezza, dell’esperienza non ho quasi memoria. Mi ricordo che c’era dell’imbarazzo e che le tizie badavano di più a come si mettevano le vicine che a quello che dovevano fare loro. Vedendo, poi, che ero una bambina troppo irruenta per salutare il sole e stiracchiarmi su un tappetino, la famiglia decise che conveniva farmi continuare a ricorrere pallette e spedirmi in montagna a sciare tutti i weekend. Che almeno mi stancavo e la sera dormivo. Qualche tempo fa, però, le ragazze dell’ufficio hanno deciso di buttare in piedi un corso di yoga. C’è l’insegnante che viene al mattino, ci mettiamo giù in sala CONFERENCE e facciamo quello che dobbiamo fare. Più comodo di così. Travolta da un’ondata di sconsiderato entusiasmo, ho aderito all’esperimento.
La mia amica Flavia – dopo aver specificato che lavoro in un posto bellissimo e che, da lei, nessuno si sognerebbe mai di organizzare delle lezioni di yoga – mi ha subito chiesto come intendevo risolvere il problema della doccia a fine lezione.
La doccia?
Ma che è.
Si suda a fare yoga?
Si suda a giocare due ore a tennis, mica a fare yoga.
Flavia, di che stai parlando.
Fottendomene allegramente della doccia, ho srotolato un discutibile tappetino rosa acquistato al Decathlon a due euro e settantanove dalla Manuela in un momento di generosità e mi sono apprestata ad obbedire ciecamente alle istruzioni dell’insegnante.
Ho scoperto che lo yoga è assai piacevole.
Ho imparato a rilassare pezzi di me che manco sapevo di avere.
Ho salutato il sole.
Ho fatto il mini-cobra.
Ho amato molto la posizione del bambino, che la maestra ci ha esortato ad utilizzare in caso di bisogno in qualsiasi momento della giornata. E ho immaginato quanto sarebbe bello distendere le braccia e appoggiare la fronte sul pavimento ogni volta che suona il telefono. Ma così, in tranquillità. In mezzo alla vita che scorre.
Ho capito che conviene vestirsi un po’ pesanti, che quando passi un quarto d’ora in terra a trasformarti gradualmente in un sacco di patate del tutto inerte ma completamente pacifico ti viene un freddo boia.
Mi sono resa conto che due euro e settantanove sono troppo pochi per un tappetino come si deve. Devi puntare le mani e tirare su il sedere, puntellandoti coi piedi? Il tappetino sguiscerà via in ogni direzione. I tuoi arti perderanno aderenza. E tu, se non t’impegni un casino, perderai i denti davanti.
E niente. La mia incapacità di abbracciare con sufficiente spontaneità filosofie di qualunque genere non mi ha impedito di difendermi dignitosamente. C’è chi combatte per un sano equilibrio tra corpo e mente ma, per due lezioni, si può anche viaggiare su uno 0% di spiritualità e su un 100% di articolazioni, arrivando addirittura a sperimentare la breve ma corroborante illusione di essere più tonica e saggia. Poi, però, mi sono resa conto che nulla di veramente benefico può accaderti prima delle 10 della mattina.
Lo yoga dovrebbe restituirti la pace, insegnarti ad ascoltare il tuo corpo e il tuo respiro e a controllare la tua mente con la serafica tranquillità di un albero santo di ginkgo biloba.
Il problema è che la mia mente e il mio corpo si sono già fatti sentire. Il mio corpo e la mia mente, alle otto del mattino, non vogliono salutare proprio nessuno, figuriamoci il sole. Il mio corpo e la mia mente, alle otto del mattino, sono già pienamente in contatto con la serenità dell’universo. E riescono a farlo grazie a un antichissimo metodo di rilassamento: il sonno.
Le cose dovrebbero funzionare così.
BENESSERE CORPO/MENTE ALLE ORE 8.00 = 5/10
*LEZIONE DI YOGA (GINKGO BILOBA, VIENI A ME!)*
BENESSERE MATTUTINO ALLE ORE 9.30 = 10/10
Peccato che, a me, il suono della sveglia prima delle 8.30 generi un trauma pari ad almeno -100 Punti Benessere. E, con -100 Punti Benessere, precipito immancabilmente in una fossa di Agonia da cui difficilmente sarà possibile riemergere grazie al volenteroso +5 che una lezione di yoga potrà ragionevolmente sprigionare.
Ma non solo.
Il crepaccio dell’Agonia ha effetti estesissimi. Nel mio caso, il crepaccio dell’Agonia riesce addirittura a danneggiare la florida muscolatura e la travolgente elasticità dei legamenti di cui normalmente dispongo, trasformandomi a tutti gli effetti in una specie di GOLEM narcolettico che traballa su un tappetino rosa con un ciuffo a forma di ananas in testa. E tra un GOLEM e il sacro ginkgo biloba c’è una differenza a dir poco poderosa. La distanza golem-gingko, per quanto mi sia sforzata di raccontarmi delle confortanti menzogne, non potrà mai essere colmata nelle fascia oraria 8.00-9.30 antimeridiane. A me piace fare yoga. Lo trovo meraviglioso. Ma di sera, magari. Al tramonto. Al crepuscolo. All’imbrunire. Dopo aver finalmente smaltito le difficoltà della giornata e aver ritrovato fiducia nell’avvenire. Ho fatto solo due lezioni mattutine, ma credo di aver cominciato ad ascoltare il mio corpo e la mia mente in maniera assai proficua.
E sapete che cosa mi hanno detto? MA ANCHE NO.
Durante i miei cinque anni di onorato pendolarismo universitario, io e Sky ci siamo fatti della compagnia, come un anziano signore col suo cantiere preferito. Perché, arrivando da Piacenza e studiando in Porta Romana, la cosa più razionale da fare è scendere dal treno a Rogoredo e pigliare la metro gialla. Rogoredo è un posto che in pratica non esiste, e prima del palazzo di Sky non aveva nemmeno l’orizzonte, c’era soltanto una steppa grigia piena di erbaccia. Poi si sono messi a costruire il palazzo di Sky e, finalmente, ho trovato qualcosa da guardare. E niente, aspettavo il treno e ogni tanto mi giravo per vedere a che punto erano con il mega quartier-generale di Sky. Chissà quanta gente ci sarà dentro. Ma saranno contenti? Boban avrà un ufficio tutto suo? Ci sarà una stanza solo per i tubini neri di Ilaria D’Amico? Come è possibile che tutti quanti abbiano almeno un amico (o un amico di un amico) che lavora da Sky? Tegamini, ma vuoi venire da noi a Sky Sport a commentare la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi invernali? Ci saranno anche delle altre personcine, e poi vi facciamo fare un giro in regia e negli anfratti più nascosti e vi spieghiamo delle cose. C’è pure da mangiare.
Perbacco. Certo che ci voglio venire, a vedere una cerimonia d’apertura a casa vostra.
Dopo essermi sincerata una volta per tutte della posizione di Sochi – è al mare… e immagino che il mare ci sia anche nel logone olimpico ufficiale perché non volevano farsi prendere in giro senza combattere: “Va bene, gente, lo sappiamo anche noi che c’è il mare… c’è il mare, ed è un mare di vodka liscia. Avete ancora da dire?” – e aver salvato sull’iPad di Amore del Cuore una serie di irriverenti creature dei mille colori dell’arcobaleno – da twittare obbligatoriamente ad ogni apparizione di Putin -, ho riempito la borsa di spinotti e aggeggi per tener carico il telefono (finirà, prima o poi, questa lenta agonia?) e sono tornata a Rogoredo. Ma con entusiamo, questa volta. Anzi, superato il magnifico sottopassaggio, sono finita sotto le mura del poderoso palazzo e ho gridato ENTRA IN SKY! …OK, MA DA DOVE?
È stato tutto estremamente coccoloso e divertente. Eravamo in questa saletta piena di divani morbidini, con le tv e le focaccette. Sono venuti a trovarci il direttore di Sky Sport – messer Giovanni Bruno -, il prode Giorgio Rocca – che mi ha pure fatto il caffè – e la leggiadra Claudia Morandini, che dobbiamo applaudire – oltre che per l’affabilità e l’imperioso stacco di coscia – anche per un’esauriente panoramica della felice situazione.
Nadia di Gazduna, poi, ha anche avuto l’onore di veder sfrecciare Tomba in corridoio, ma da noi non è venuto perché probabilmente doveva mettersi tantissimo gel nei riccioloni e non faceva in tempo. Messer Rocca, in compenso (E PAPPAPPERO), ci ha fatto anche vedere i tatuaggi a fiocco di neve. Che pazienza infinita.
Comunque.
Prima che potessi cominciare ad ammorbare illustri ex-olimpionici con le mie storiacce da Sci Club – “Una volta a Borno sono arrivata seconda nello slalom speciale perché tutte le altre sono cadute. Pure io. Ho inforcato alla penultima porta, ma in qualche modo devo essermi girata e me l’hanno tenuta buona. Il mio amico Vittorio, invece, è uscito dal cancelletto con le punte incrociate ed è atterrato di faccia. E a quel punto ha lasciato perdere. Poi, quell’estate lì, ho trovato Michele con le tibie rotte. Eravamo in Marmolada che facevamo i pali di pomeriggio, con la neve sciolta. Anzi, erano i funghetti, mica i pali. C’era il solco, si è incastrato con gli sci sotto al funghetto, ha fatto leva e CRAC, tibie. Gridava da far paura… però, dai, ci si divertiva anche” -, dicevo, prima di far paura a tutti con le mie gloriose imprese allo Sci Club Libertas Bettola – “Oh, una volta mi è cascato uno sci dalla seggiovia” -, ci hanno presi per mano e siamo andati a fare un tour delle regie e di un mucchio di posti pieni di bottoni e schermini a mosaico. C’è anche una selfie collettiva in ascensore. E indovinate un po’ chi è l’unica che non aveva capito dove guardare.
FAAAAAAAAIL.
Qua, però, ci sono un po’ di fotine fantascientifiche. Perché noialtri lavoriamo a una scrivania normale, ma c’è gente che sta in plancia sull’Enterprise.
Sul quinto cerchio che s’incaglia e rimane lì come un carciofino sott’olio, direi che ha già fatto tutto Buzzfeed. Stesso discorso per la tragicomica accoglienza riservata ad atleti e giornalisti: se volete approfondire, ridervela moltissimo e vedere della gente che cerca con tutte le sue forze di prenderla con sportività, c’è il fantastico @SochiProblems. Quando c’è stato il super-segmento Guerra e pace, vi dirò senza vergogna che stavo mangiando delle robe con dentro gli spinaci e non sono stata attenta. Idem per il momento dei monumenti gonfiabili fosforescenti, con la bambina terrorizzata che c’era all’inizio e che, stavolta, è stata costretta a camminare sulle mani di una folla di pagliacci. Ma sulle sognanti mascotte zoomorfe alte dodici piani, però, posso fornire uno struggente documento originale a base di occhi dolci:
Sciatori e conigline di dodici piani. C’è del feeling.
Oltre a tutte queste faccende belle e divertenti, al giro #SkyOlimpiadi è successa un’altra cosa che, ne sono certa, avrà ripercussioni geopolitiche di una certa rilevanza. Ho incontrato tre quarti dei Chiamarsi Bomber Tra Amici Senza Apparenti Meriti Sportivi. E mi hanno regalato una maglietta. C’è scritto sopra 100X100 BOMBERINA e ne andrò fiera finché vivo. Me la metterò quando vado a vedere Amore del Cuore che gioca a tennis, in un profluvio di Bomber di qua e Bomber di là. Che han tutti una gamba di legno e la voglia di correre di un paguro guercio, ma Bombereggiano con orgoglio.
E niente. Mi sono divertita come un fringuello. Sono tornata a casa con qualche tweet buffo, una maglietta da Bomberina e un kit da piccola spettatrice delle Olimpiadi. Ho conosciuto dei personaggi bizzarri, ho applaudito la coerenza degli atleti delle Bermuda in bermuda, ho osato dire che le divise dell’Italia – disegnate da Re Giorgio Armani in persona – sembrano delle tute da benzinaio e ho partecipato a un’operazione collettiva di disturbo della pubblica quiete lavorativa di un numero spropositato di indefessi dipendenti di Sky. Che bello. Ma la facciamo, una gita sugli sci tutti quanti insieme? Messer Rocca, portaci tu. Da piccola prendevo al volo l’ancora sul ghiacciaio del Presena! Sono sopravvissuta a una lastra di ghiaccio di 450 metri, in mezzo a una pineta! Ho fatto La Longia senza mai fermarmi… col telefonino in mano! SONO STATA AZZURRA DI SCI! Portaci, Messer Rocca! Saremo il tuo orgoglio! Intanto che ci pensi, però, vorrei ringraziare Sky per l’ospitalità, per i donini e per tutte le cose nuove che ho scoperto. Avessi incontrato pure ZVONIMIR Boban – anche se gli sport invernali non sono il suo campo – piantavo la tenda nel pratino in mezzo ai palazzoni di vetro, con vista su Rogoredo e una bandiera piena di minipony arcobaleno che nitriscono in cirillico. Grazie. E infrastrutture olimpiche – funzionanti – a tutti!
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