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Come parlare educatamente di soldi?
“1) Non parlarne.
2) Se ne parli, non essere specifico.
3) Minimizza quello che hai.
4) Enfatizza il fatto di averli guadagnati.
5) Non dimenticare mai che il lavoro è la storia che ci raccontiamo sui soldi.”
In questo memoir di economia “pratica” – tradotto da Chiara Veltri per Luiss -, Eula Biss sceglie di ignorare queste regole di buona creanza per parlare di soldi con insolita e corroborante franchezza, cercando di inquadrarci come agenti attivi che popolano un sistema collettivo fatto di scelte materiali, tempo e risorse scarse.
Cosa dicono di noi i nostri desideri? Quali parametri guidano le nostre decisioni di consumo? Dove possiamo tracciare il confine del privilegio? Qual è il nostro rapporto con le cose? Quanto costa decidere di essere “improduttivi”? Come si misura il valore dell’arte o del pensiero?

Partendo sempre da uno spunto di vita vissuta – che si tratti di bambini che commerciano carte dei Pokémon al parco giochi o di cosa accada all’economia domestica quando “vinci” il Genius Grant della fondazione Guggenheim -, Biss ripercorre in un susseguirsi di brevissimi capitoli le tappe della sua personale parabola di consumatrice pensante per interrogarsi sul potere dei soldi e sull’influenza che esercitano nello strutturare il nostro modo di concepire il lavoro, gli investimenti, le relazioni e la mobilità sociale. Possediamo casa nostra o di nostro c’è davvero solo il mutuo? È poi così disdicevole voler lavorare il meno possibile? Perché distinguiamo razionalmente il necessario dal superfluo ma non smettiamo mai di desiderare? Perché ogni nostro “progresso” pare verificarsi alle spese di qualcun altro? Da Virginia Woolf che maltratta la cuoca al potersi permettere un caminetto da 12.000$, Biss riflette sulla precarietà diffusa di un sistema che si nutre delle sue stesse estremità e che resiste vendendoci un sogno d’ascesa raramente corroborato dai fatti.

Va bene, ma è uno di quei libri paraculi che più che offrirci una riflessione su un problema trasversale, vero e pressante nasce come esercizio autoassolutorio fatto di grandi sensibilità esibite? A tratti l’ho pensato. Poi mi sono ricordata che scrivere un libro è un investimento molto precario. È ricerca costante di tempo, stanze tutte per sé e risorse che sostengano in anticipo la speranza futura che qualcuno paghi quel che stai facendo. Poche attività, forse, descrivono con esattezza quel che vuole raccontare questo libro come l’aver scritto questo libro. Perché, in un mondo dove sono i soldi a generare altri soldi, niente costa di più del tempo dedicato a qualcosa che forse non produrrà mai un beneficio monetizzabile.

Per la rubrica “un saggio che si legge come un romanzo” – ma anche un po’ “che scoperta, è narrative non-fiction!” -, eccoci qua con Essere una macchina di Mark O’Connell, in uscita il 18 settembre per Adelphi con la traduzione di Gianni Pannofino e l’ambizione del tutto accidentale di consolarci e/o terrorizzarci mentre attendiamo la nuova stagione di Black Mirror.
Perché sì.
Questo libro è come una versione giornalisticamente attendibile e ben documentata di Black Mirror e, nello spazio condensato di un racconto di viaggio alla scoperta del movimento transumanista, ci accompagna anche lontanissimo, alla volta di una frontiera filosofico-tecnologica che persegue un fine ultimo a dir poco ambizioso: sconfiggere la morte. Per sempre.

Qualche passo indietro. Il transumanesimo è, in estrema sintesi, un movimento che punta al prolungamento indefinito della vita umana. I transumanisti intervistati da O’Connell – che per il libro viaggia in lungo e in largo per gli Stati Uniti, partecipando a conferenze, incontrando i personaggi più disparati e salendo anche a bordo di un elegante camper a forma di bara – non approcciano il tema in maniera univoca, perché assai complicata è la natura del problema che intendono risolvere. Ci sono transumanisti che propendono per il congelamento criogenico del corpo e transumanisti che, impegnandosi a livello accademico nella ricerca neurologica, coltivano anche l’ambizioso progetto di riprodurre a livello digitale il funzionamento del cervello per poi poterlo caricare su un supporto indipendente dall’involucro di origine – o da un qualsiasi involucro, volendo. Ci sono transumanisti, poi, che disprezzano la natura imperfetta dell’organismo umano (colpevole di un fisiologico deterioramento che conduce in maniera per ora inevitabile alla nostra dipartita) e tentano di modificarlo e di potenziarlo, elevando a valore supremo il potere dell’intelletto sulla “carne”.
Avversione per la morte a parte, però, tutti i transumanisti sembrano essere accomunati da quella che somiglia molto a una professione di fede. I transumanisti vogliono esistere il più a lungo possibile perché è solo rimandando la morte che sono certi di poter accedere a un futuro in cui la morte verrà definitivamente debellata. In questo scenario, infatti, la tecnologia avrà raggiunto il suo orizzonte ultimo, una sorta di punto di fuga dal quale sarà libera di progredire a ritmi esponenziali – autogenerandosi, autogestendosi, autoreplicandosi. E risolvendo per noi tutto quello che non siamo ancora riusciti a controllare. La “Singolarità”, questo grande evento che cambierà per sempre le sorti del genere umano, è l’obiettivo da raggiungere per afferrare l’eternità. L’importante è arrivarci – vivi o congelati – per avere la certezza di essere rianimati o di poter usufruire efficacemente delle conquiste scientifico-informatiche.

Pazzi? Visionari? Squilibrati?
Chi lo sa.

Il garbatissimo scetticismo e la curiosità giornalistica di O’Connell ci accompagnano per tutto il libro. E la galleria di personaggi che l’autore incontra è a dir poco stupefacente. Molti operano, lavorano o raccolgono INGENTI fondi nella Silicon Valley – “bacino di utenza” particolarmente ricettivo nei confronti della causa transumanista forse per il suo già strettissimo rapporto con la tecnologia, per la tendenza a intraprendere imprese titaniche partendo dal garage di casa e per l’affinità già consolidata con l’inorganico, il virtuale e il meccanico.
Ci sono transumanisti a Google, come ci sono transumanisti che amministrano le ultime volontà dei guru dell’informatica (e dei più ricchi fra gli ottimisti) dalla periferia di Phoenix, dietro la scrivania del più grande impianto di criogenizzazione degli Stati Uniti. La Alcor può tenervi in sospensione fino al sopraggiungere della Singolarità per 200.000$ (se volete surgelarvi tutti interi) o per 80.000$ (se vi interessa surgelare solo la testa). Ci sono transumanisti nei centri di ricerca neurobiologica delle maggiori università americane che studiano l’architettura del nostro cervello con la speranza di riuscire a farlo “girare” su un supporto diverso dal nostro corpo, destinato a deperire.
Il futuro dei transumanisti, infatti, non è solo un mondo dove, ad esempio, le malattie letali non potranno più nuocerci, ma è un’epoca in cui la nostra mente sarà libera di assumere la forma che preferisce, grazie all’upload su corpi artificiali o alla possibilità di lasciarla fluttuale in uno spazio virtuale potenzialmente infinito.

Da fan della fantascienza e da profonda conoscitrice delle tre leggi della robotica di Asimov (con tutte le menate che ne conseguono) non potevo non lasciarmi risucchiare da questo viaggio, che somiglia – paradossalmente – molto più alle opere di finzione letteraria o filmica che in ogni tempo si sono interrogate sul futuro che a qualcosa di oggettivamente plausibile o “reale”.
Eppure i transumanisti ci sono. Si incontrano a conferenze. Ricevono finanziamenti milionari. E si candidano alla presidenza degli Stati Uniti con una campagna elettorale basata su un unico argomento: dire basta alla morte.
Essere una macchina è un lavoro di ricerca complessissimo e affascinante che, nonostante il tema non proprio immediato, risulta assolutamente comprensibile. E assai fascinoso. O’Connell riflette insieme a noi sul destino della coscienza, sul ruolo delle macchine e della tecnologia nel nostro presente (per intravederne le possibilità o i rischi futuri) e, in ultima istanza, sul valore che attribuiamo alla vita e al tempo, pilastri portanti della nostra permanenza sulla Terra.
Che cos’è una persona?
Un involucro per la mente?
Un sofisticato sistema per la raccolta di stimoli e per l’elaborazione di reazioni?
Una forma primitiva di superuomo immortale?
Le risposte del transumanesimo sono tante. Spesso poco plausibili, a volte terrificanti, sempre estreme. Ma immancabilmente fiduciose e tenaci. Due caratteristiche che, nonostante gli sforzi per revisionare e migliorare le nostre obsolete carcasse, sono quanto di più umano possa esistere.

Leggetevi Essere una macchina.
Che magari la Singolarità non arriva… ma se arriva conviene sapere che cosa sta succedendo. :3