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Una bambina di suppergiù 9 mesi viene abbandonata in un giorno d’estate del 1965 nel parco di Villa Borghese. Qualche giorno più tardi, il Tevere restituirà i corpi dell’uomo e della donna che l’hanno lasciata lì, “alla compassione di tutti”, come si leggerà nella lettera di commiato – che molto somiglia in realtà a una dichiarazione d’intenti o alla denuncia di un torto sistemico – recapitata per posta al quotidiano L’Unità. Quella bambina era – ed è ancora – Maria Grazia Calandrone. E Dove non mi hai portata – in libreria per Einaudi – è la storia dei suoi genitori, così come le è stato possibile ricostruirla, immaginarla e ripercorrerla grazie a “dati”, testimonianze, ritorni sulle scene del distacco da lei e dal mondo, dalla vita.

Chi era Lucia, la madre? Che vita può essere stata quella di una donna (ancora giovanissima) che sceglie di morire dopo aver creduto profondamente in un amore giudicato inammissibile? Chi si è lasciata alle spalle in Molise, a Palata? E chi era Giuseppe, l’uomo che le ha donato una parentesi di felicità?
Calandrone parte alla riscoperta di quelle radici che non le è stato permesso di conoscere per contatto ed esperienza diretta, ma che eredita per sangue e per caparbia volontà di restituire voce a due persone che avrebbe forse ogni diritto di dimenticare, allontanare e lasciare sepolte. In un libro che a tratti somiglia a un’indagine poliziesca e per tantissimi altri versi a un romanzo di formazione ingiustissimo, Calandrone mescola i piani temporali, le case infestate dagli spiriti della famiglia che non ha mai conosciuto e il cuore della donna adulta che è diventata per tessere un ritratto toccante e “corretto” di Lucia, per “vendicarla”, in un certo senso.

La lingua di Calandrone è tanto varia quante sono le anime di questo libro. Dal lirico al clinico, dal diaristico al debunking meticoloso (o poco ci manca) della cronaca scandalistica di quei giorni cruciali, la scrittura fa da tramite tra i vivi e la scelta drastica di due morti che nel giudicare conclusa la loro parabola si sono rifiutati di abbandonare completamente la speranza. Lucia e Giuseppe hanno sì abbandonato la loro bambina, ma quel che Maria Grazia “grande” ha deciso di vederci – dopo aver riattraversato il suo e il loro dolore – è qualcosa di lontanissimo dalla resa ma, anzi, un passaggio di testimone, l’idea istintiva che l’amore non vada mai sprecato e meriti protezione. A chi dovesse passare, questo testimone, è dipeso da passaggi meno casuali di quanto si sarebbe potuto sospettare lì per lì. Ed è a questo paradossale ultimo atto di cura che Calandrone cerca di ridare espressione.
È un libro incredibile perché già la vicenda biografica di base si colloca in quell’ordine di improbabilità – e squarcia un velo su un nostro fin troppo recente passato di iniquità, vergognose tirannie e quadri socio-economici desolanti. Ma è soprattutto una prova di forza gigantesca, una sorta di risarcimento, un messaggio che mai arriverà a destinazione ma che merita di stare insieme a noi nel mondo.

Non so se si tratti di una stortura generazionale o probabilmente solo di una difficoltà molto privata e circoscritta ma, arrivata a un’età in cui non ho più motivo di scandalizzarmi se qualcuno mi si rivolge con signora, mi rendo conto di essermi trasformata in una lettrice disabituata alla poesia. Quando la poesia mi “trova” ne rimango affascinata e nutrita, ma si tratta quasi sempre di collisioni fortuite. Recupero con interesse vivissimo il lavoro poetico di autori e autrici che sono solita leggere in prosa o in un universo romanzesco, ma ho quasi sempre il timore di non essere abbastanza *sveglia* per squarciare il velo. Forse mi preoccupo ancora di dover essere interrogata alla seconda ora o di dover elencare a memoria tutte le figure retoriche che riesco a individuare in una strofa. Forse patisco un imprinting scolastico che ben poco ha fatto leva sulla meraviglia e sul potere della parola. O forse mi ritrovo a sgambettare in una bolla in cui ancora resiste il mito della poesia “difficile”, di quest’arte oscura e rarefatta che parla solo a spiriti eletti, alatissimi e immuni dai crucci del quotidiano.
Quante cretinate, possiamo dirlo?
Già. Il perché lo riassume alla perfezione il titolo della nuova collana che dal 21 marzo troveremo in allegato al Corriere della Sera: La poesia è di tutti. E lo scopo dell’impresa – a cui contribuisce anche  l’Università Cattolica – è aiutarci a rammentarlo senza indugi e ipotetici complessi. È un invito gentile che scaccia le sovrastrutture polverose che potremmo aver accumulato strada facendo e che, semplicemente, ci esorta a leggere e a ritrovarci capaci di quella connessione istintiva e consapevole tra pagina e pensiero.

Le voci che man mano incontreremo sono numerose, illustri ed emblematiche, oltre che felicemente discontinue dal punto di vista cronologico e geografico. Insomma, avremo la possibilità di ripassare i “fondamentali” della disciplina poetica di questi ultimi 150 anni, ma il contatto con il presente e i tanti ponti che ci collegano ai nostri ieri saranno presidiati e lasciati risuonare forte e chiaro. Kavafis e Auden si accomoderanno vicino a Ocean Vuong e Anna Achmatova, mentre la curatela resterà saldamente affidata a Daniele Piccini, che ha anche il grande merito d’aver firmato le introduzioni ai volumi – come sono? Accessibili, curiose, “veloci” ma ricche, accoglienti. E le copertine (BELLISSIME, posso dire?) sono state progettate e illustrate dallo studio XxY, che in ambito editoriale ci ha abituati bene e che qua non si smentisce.

Informazioni pratiche? Volentieri.
La poesia è di tutti debutta in edicola il 21/3 con Pablo Neruda. Ogni martedì vi aspetterà un nuovo volume in allegato al Corriere della Sera a 3,90€.

Per un trailer che ci illumini il futuro, ecco qua il piano dell’opera:

1 | Pablo Neruda | 21/03/2023
2 | Wisława Szymborska | 28/03/2023
3 | Costantino Kavafis | 04/04/2023
4 | Alda Merini | 11/04/2023
5 | Eugenio Montale |18/04/2023
6 | Charles Baudelaire | 25/04/2023
7 | Jericho Brown | 02/05/2023
8 | Dino Campana | 09/05/2023
9 | Emily Dickinson | 16/05/2023
10 | Ocean Vuong | 23/05/2023
11 | Federico García Lorca | 30/05/2023
12 | Wystan Hugh Auden | 06/06/2023
13 | Pedro Salinas | 13/06/2023
14 | Anna Andreevna Achmatova | 20/06/2023
15 | Jean-Nicolas-Arthur Rimbaud | 27/06/2023
16 | Fernando Pessoa | 04/07/2023
17 | Umberto Saba | 11/07/2023
18 | Boris Pasternak | 18/07/2023
19 | Vittorio Sereni | 25/07/2023
20 | Novalis | 01/08/2023
21 | Ghiannis Ritsos | 08/08/2023
22 | Rainer Maria Rilke | 15/08/2023
23 | Giorgio Caproni | 22/08/2023
24 | Shelley, Keats, Byron | 29/08/2023
25 | Mario Luzi | 05/09/2023

Serve un sito? Recatevi qua.
E felice costruzione di una bibliotechina poetica a noi, in santa pace e con i migliori slanci del nostro cuore. È sempre stato il momento giusto, ma forse ci preoccupavamo troppo per accorgercene. La poesia è di tutti… come dovrebbe esserlo la libertà – di leggere, di immaginare, di esplorare e di spostare il nostro orizzonte un po’ più in là, quando ne sentiamo il bisogno.

Allora, io non so niente di meditazione. Non lo dichiaro per vantarmi di una lacuna – perché tendo a vergognarmi sempre molto delle mie lacune -, ma per palesare con franchezza un punto di partenza individuale. Non ho mai seguito un percorso di meditazione – né a livello di “corsi” né avvalendomi della nutrita galassia di app fai-da-te che ti spiegano come sgombrare la mente e trasformarti in un’entità superiore che affronta la vita levitando -, ma sto al mondo cercando di assecondare la curiosità, anche perché sarebbe assai noioso soffermarmi solo su quello che mi pare di conoscere già, senza trovare spiragli per scoprire mondi nuovi.
Eccoci dunque qui con Chandra Livia Candiani e Il silenzio è cosa viva – che è uscito nelle Vele Einaudi e che ho ascoltato su Storytel, potendo avvalerci solo dei tormenti narrati più o meno tangenzialmente da Carrére e di una solida ammirazione per la ricerca poetica dell’autrice, che è una delle voci ormai consolidate della Bianca.

È un testo snello e relativamente breve, che un po’ ci introduce alla pratica della meditazione e un po’ serve a Candiani per spiegarci che cosa significa e ha significato per lei. È una cronaca metodologica che parte da un approccio personale per costruire un percorso “filosofico” accessibile a tutti, perché il come affrontiamo gli urti e i doni della vita è di certo un tema trasversale.
Candiani medita e insegna a meditare, esplorando con un linguaggio di raro spessore e ricchezza quello spazio di silenzio ed estrema vigilanza che possiamo imparare ad occupare per “sentire” più distintamente.

Nell’immaginario profano si tende a pensare che meditare somigli allo sgombrare il terreno dallo sgradito e dal doloroso, creando un posto sicuro, vuoto e libero dal turbamento. Leggendo, però, si scopre che è piuttosto vero il contrario.
Credo di aver capito che si tratta, in realtà, di accedere a una consapevolezza più “pulita”, sfrondata del superfluo e coltivata come un giardino pronto a ospitarci. Ci si accede imparando ad abitare un silenzio che non è assenza di stimoli o di relazioni, ma ascolto dell’impatto delle cose su di noi. Non è contemplazione del vuoto, ma la capacità di lasciarsi attraversare da quello che succede, rimanendo presenti e vigili a noi stessi. Il disordine ci disarma ma, anche nel marasma peggiore, quel che salva è sapersi costruire una bussola.
Fra venti minuti mi iscriverò a un corso di meditazione o partirò per un ritiro fra gli eremiti della montagna? Non penso. Ma sono contenta di essermi donata questa parentesi di infarinatura – splendidamente narrata.

 

[Visto che di Storytel abbiamo parlato, ecco qua il solito link per beneficiare di un periodo di prova gratuito di 30 giorni].