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La vita intima

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[Un doveroso commento all’immagine di copertina: “o almeno ci provo”].

I libri che ho letto più volentieri nel 2023 non sono necessariamente i libri più belli del 2023. O i libri più meritevoli dal punto di vista letterario o contenutistico. O i libri più “importanti”, quelli che cambieranno le sorti del mondo e ci renderanno collettivamente esseri umani meno schifosi. Magari non sono nemmeno tutti usciti nel 2023, ma per fortuna i libri non scadono e possiamo leggerli quando ci pare.
Insomma, questo agglomerato di letture è un esercizio riepilogativo che non ha mai avuto l’ambizione di configurarsi come classifica d’assoluta nobiltà all’interno dell’impervio cammino della civiltà umana. Sono i libri che ho letto più volentieri quest’anno e che, per un motivo o per l’altro, mi hanno sorpresa per inventiva, son riusciti a intrattenermi quando ho sentito la necessità di essere intrattenuta – mi hanno “fatto bene”, in parole povere – o hanno risvegliato in me dell’ammirazione per chi ha saputo congegnarli.
Se son libri che ho amato vuol dire che sono libri di cui ho già parlato a tempo debito, quindi qua li mettiamo in fila e per approfondire vi rimando ai pezzi originali. 

Vado. E no, non sono in ordine di preferenza o roba simile.


A. K. Blakemore
Le streghe di Manningtree
Fazi
Traduzione (splendida) di Velia Februari


Sam Kean
La brigata dei bastardi
Adelphi
Traduzione di Luigi Civalleri


Coco Mellors
Cleopatra e Frankenstein
Einaudi
Traduzione di Carla Palmieri


R. F. Kuang
Babel
Mondadori
Traduzione di Giovanna Scocchera


Kate Beaton
Ducks
BAO Publishing

Traduzione di Michele Foschini


Eleonora C. Caruso
Doveva essere il nostro momento
Mondadori


Niccolò Ammaniti
La vita intima
Einaudi


Gabrielle Zevin
Tomorrow and tomorrow and tomorrow
Nord

Traduzione di Elisa Banfi


Maria Grazia Calandrone
Dove non mi hai portata
Einaudi


Michael McDowell
La saga di Blackwater
Neri Pozza

Traduzione di Elena Cantoni

Dato che il nuovo romanzo di Niccolò Ammaniti è bellissimo, ho deciso che la butterò in caciara.
È trascorso un discreto numero di anni dalla pubblicazione della sua ultima creatura e, nonostante i numerosi “non voglio più scrivere narrativa” qua e là pronunziati, Ammaniti è tornato. Ho letto Anna e ho visto la serie – ricavandone parziale consolazione – ma in fondo al cuore mi sono sempre rifiutata di credere alle dichiarazioni di auto-pensionamento dal mestiere di romanziere. Preferivo immaginarmi Ammaniti alle prese con la sindrome di George R.R. Martin, una situazione che visualizzo così, avvalendomi della pubblicità del digestivo Brioschi.

Fai la televisione, Niccolò. Segui i tuoi interessi. Mettici il tempo che ci vuole. Anzi, falli aspettare. Maledetti, sempre lì a chiedere dei libri nuovi. Un assillo. Escono trendordicimila romanzi l’anno, ma loro no, non possono leggere uno di quelli, il nostro vogliono leggere. E INVECE NO, TIÈ, DOVETE ATTENDERE. Quanto? Non si sa. Non dare spiegazioni, allontanali con un bastone nerboruto.

Maria Cristina Palma, la protagonista di La vita intima – inevitabilmente in libreria per Einaudi Stile Libero -, divide con noi solo la stupidità assoluta che ci assale quando andiamo dal parrucchiere a chiedere “qualcosa di nuovo”. Stavamo così bene prima. Ci riconoscevamo. E invece no, dobbiamo farci del male e uscire azzoppate da un nuovo cruccio. La gente che ti ama, per pietà, ti dirà che stai bene e che il nuovo taglio è molto francese ma, grazie al cielo, i nostri scempi non avranno il potere di far vacillare il governo. I capelli di Maria Cristina Palma sì.

Perché? Perché Maria Cristina è la moglie del presidente del consiglio, è dotata di una bellezza fuori scala rispetto alle altre femmine della nostra specie – certificata, per altro, dallo studio di una remota università americana che dopo calcoli estenuanti l’ha ufficialmente individuata come DONNA PIÙ BELLA DEL MONDO, facendo la gioia di ogni testata giornalistica che sfrutta spudoratamente il clickbaiting  e non può muovere un passo senza che i suoi comportamenti vengano analizzati, sezionati e aggiunti al mosaico infinito di un’immagine pubblica che ha conquistato vita propria, allontanandosi a grandi falcate dalla Maria Cristina originaria. Che poi è questa – l’impietoso ritratto è curato dalla sua mamma, comparsa memorabile e dalla lucidità tombale:

Ricorda che questa bellezza non te la sei conquistata. È un dono che ti abbiamo fatto io e tuo padre e devi saperla portare, proprio come il vestito da reginetta. Oggi, se fossi stata spiritosa, te ne saresti fregata degli altri e avresti fatto vedere a tutti chi era la regina della festa. La bellezza, senza coraggio, è un guaio. Proprio perché sei bella non verrai presa sul serio e ti dovrai impegnare cento volte di più delle altre per dimostrare che sei intelligente, profonda, per non essere usata e trattata come una scema dagli uomini. Tuo nonno è il primo che ha portato dall’America il latte detergente in Italia e la nonna sa prendere al lazo i buoi. Tuo fratello sa tuffarsi di testa dallo Zingaro. E tu che sai fare? Sai piangere e scappare come Gina Mangano, la figlia del panettiere? Noi che abbiamo il sangue dei Sangermano, dobbiamo fottercene del giudizio della gente. Persino tuo padre, che è uno stronzo, ha scalato l’Everest. Tu, gioia, non emergi per carattere, ma almeno impara a portare la bellezza come una regina. Capito, amore mio?

Son solo le sfighe a schiacciarci o possono pensarci anche le fortune? Maria Cristina è un magnifico vaso di coccio in mezzo a tantissimi recipienti molto meno gradevoli alla vista ma più coriacei – e forse pure pieni di qualcosa, più capaci di orientarsi nel mondo, più duttili e scafati. Accusata spessissimo e volentieri di sapere di poco, percepita quasi universalmente come appendice muta e gradevole a vedersi di uomini importanti – dal primo marito scrittore al premier in carica – e cronicamente in cerca di un punto di riferimento che non la abbandoni in circostanze tragiche, Maria Cristina cerca di limitare i danni e di tenere in piedi le apparenze, ma avrà mai la possibilità di raccontare davvero una storia che sia sua? Il domandone si fa ineludibile quando, per un fortuito incrocio di antiche traiettorie, Maria Cristina si imbatte in una fiamma di gioventù che le gira un video “d’archivio” potenzialmente in grado di devastarle la vita. Barcollando – anche grazie a un alluce tumefatto – sul filo sottile dell’accettabilità, Maria Cristina andrà di fatto alla ricerca del suo nucleo reale, spogliandosi come una favolosa cipolla di tutte le stratificazioni, le preoccupazioni e le sovrastrutture che la spingono automaticamente a mettersi in posa per una schiera di fotografi ipotetici anche quando è da sola in mezzo a un bosco. Chi diventiamo, quando smettiamo di volercelo far dire dal riflesso che produciamo sugli altri? Che cosa serve davvero per sentirci in pace?   

Come da tradizione, Ammaniti ci accompagna a passo di carica e con un’allegria tragica e incontenibile verso un orizzonte minaccioso. Maria Cristina è un gorgo di paradossi che affondano le radici nel presente delle nostre piccolezze, mentre attorno a lei si affollano schiere di comprimari miseri, strambi e stupendi. Ho riso come non mi capitava da Ti prendo e ti porto via e, tra lampi grotteschi e sprazzi illuminanti, ne sono uscita pure più speranzosa. Dal Bruco – evanescente spin-doctor e guru eccentrico della comunicazione – ai custodi astiosi delle decadute terre di famiglia, dai fantasmi dell’adolescenza ai santoni della creatività perduta, dai personal trainer agli hair-sculptor delle ricche signore, dai cani zoppi alle molte comparse della politica nostrana, dal giornalismo ruffiano alla mondanità opportunistica c’è poco da stare allegri… ma forse dipende solo da come la si prende. “Portare la bellezza come una regina”? Forse vale anche per il resto… soprattutto per le miserie troppo vere, troppo cattive e dolorose per essere confezionate, mascherate e riconvertite in intrattenimento per una platea famelica e incontentabile. A chi dobbiamo la verità? Al nostro cuore, prima di tutto. 
Grazie, signor Ammaniti. Che gioia rivederla in giro.