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Jurassic World

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Il titolo di questa rubrica mi fa molta tenerezza. È quel “weekly”, proprio. Ma magari fosse una rubrica WEEKLY, signora mia. Magari, accidenti! Nonostante la scarsa periodicità dell’impresa, però, le mie brame e i miei desideri sono solidi e duraturi. E qui ci sono le ultime cose che ho scovato e amato. E che vorrei ardentemente nell’armadio, nella scarpiera o, più in generale, nella mia vita.
Come di consueto, può capitare che ci siano aggeggi che ho scoperto, apprezzato e scelto grazie alla solerte sollecitazione di un ufficio stampa o di un brand. Li trovate segnalati con un agile *.
Procediamo?
Procediamo, orsù!

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Una delle missioni di quest’estate sarà il rinnovo del parco-costumi. Perché non ho praticamente più materiale per riempire il pezzo sopra e tutti i bikini che possiedo sono ormai impraticabili. Per consolarmi della dipartita penso irreversibile della mia terza abbondante, ho deciso di dedicarmi con attenzione anche ai parei, ai caftani scenografici da nobildonna della Versilia e alle ciabattine. L’ambizione massima sarebbe l’abbinamento costume-pareo-ciabatta da declinarsi sull’intero guardaroba spiaggiaiolo. Non so se ce la farò, ma voglio crederci. Anche perché, facendo amicizia con Scholl*come forse avrete già avuto modo di vedere – ho scoperto lo sterminato universo delle Bahia. Ci sono centomila colori diversi (molto allegri e saltellanti), sono comode, sono leggerissime, hanno la magica suola Bioprint (come molte altre scarpine della collezione) e pure i laccetti regolabili. Inizierei da quelle rosse. Poi vediamo come si mette.

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Altra missione estiva di importanza quasi intergalattica: la sporta di paglia. Perché tutte le sporte di paglia che piacciono a me costano minimo cento euro? Non mi pare normale. Sono belle, va bene, ma è pur sempre paglia. Capisco il valore dell’handmade, ci mancherebbe, ma cento bombe per della paglia mi pare comunque un po’ eccessivo. Mi sto dunque dedicando a puntigliose ricerche, nel tentativo di individuare commercianti di accessori non vergognosamente esosi ma comunque in grado di sfornare borse piacevoli, solide e pratiche. Le meravigliose ragazze di Vita su Marte hanno già fatto un pezzo del lavoro, rivelando al mondo l’esistenza di La Petite Sardine, ma non voglio accontentarmi. Ed eccoci qua con Gioseppo. C’è un po’ di tutto, da Gioseppo – e i prezzi sono un po’ più alti, ma senza diventare inaccettabili. La rafia viene spesso combinata con nappine, intrecci e tessuti variamente annodati, ma anche rifinita con manici, bordi e chiusure in pelle (almeno all’apparenza). Insomma, ci sono borse di paglia-paglia e accessori di paglia che potrebbero funzionare bene anche per chi le ferie le ha ad agosto e deve comunque sciropparsi due mesi di caldo in città e brama una borsa non troppo spiaggiaiola o contadinesca, ma comunque estiva.

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Vecchi amici che continuano a fare cose belle: Le Palle. Mi è bastato un giretto allo stand al Salone del Libro per ricordarmi la genialità del progetto – e il suo inesauribile potenziale. Perché le menzogne che possiamo raccontare agli altri per renderci la vita meno insopportabile sono praticamente infinite. Sto pianificando l’acquisto della valente maglietta NON HO MAI NIENTE DA METTERMI, ma anche della gamma completa dei quaderni con le panzane lavorative (spesso dolorosamente web-related).

E visto che siamo in tema, vi segnalo con gioia anche l’apertura di un piccolo shop di cancelleria – anzi, di cose di carta, cose per scrivere e cose utili. Si chiama Pencil Panda e auguro loro ogni successo. Se il tema vi appassiona, date anche un occhio a questa listona.

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L’ESA, tra le altre cose, fa anche delle magliette adorabili (e molto minimal) con su i pianeti.

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Dunque, su Literary Emporium spenderei volentieri tutto quello che ho, ma sto cercando di razionalizzare. E iniziare da una spilla dell’Ancella mi sembra una buona idea (anche perché dovrò pur abbinare qualcosa di altrettanto incisivo alla mia felpa). Se vi sentite particolarmente refrattari all’autorità, poi, potete anche orientarvi sulla micro-collezione delle spillette distopiche.

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Che a Milano esista un negozio dedicato ai prodotti BIUTI coreani ormai lo sanno anche le lucertole dell’isola di Pasqua. Si chiama Miin ed è in Corso Magenta, più o meno. Sono andata a farci un giro per l’evento di apertura e ho cercato di assimilare più nozioni possibili, nella speranza – che mai morirà – di trovare il modo di migliorare la mia faccia. Non ho avuto il tempo, purtroppo, di farmi costruire una BIUTI RUTIN coreana personalizzata, ma ho esaminato con perizia gli scaffali e mi sono fatta spiegare lo spiegabile. Partendo dal presupposto che avrei bisogno di tutto, ho però deciso di concentrare i miei desideri – per il momento – sulla famigerata e pluripremiata Beauty Water di Son & Park. Perché? Perché riempirebbe, in effetti, una lacuna. Io la faccia me la lavo, la mattina, ma una specie di tonico da passare per preparare la pelle al trucco e alle altre creme e cremine non mi pare una cattiva idea, soprattutto se promette anche di esfoliare e uniformare un po’. Quanto costa? Un botto. Ecco perché è qua in wishlist e non nell’armadietto del bagno.

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Sono andata a vedere Jurassic World – Il regno distrutto. Il film è un po’ un pastrocchio, secondo me, ma in questo momento abbiamo altre priorità. Perché là fuori esiste un pacco formato famiglia di Lego Brick Headz con Owen e Blue. E per constatarne la magnificenza non ci serve essere spettatori pensanti e/o critici. Basta aver visto i video di Owen che si aggira per la nursery dei velociraptor. LEGATEMI ALL’ALBERO MAESTRO E TURATEMI OCCHI E ORECCHIE. HO BISOGNO DI QUESTI COSINI.

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Avrò desiderato a sufficienza? Giammai, lo ben sappiamo. Ma per questa settimana direi che possiamo concludere. Felice sfondamento di salvadanai a tutti quanti!

Il parco apre la mattina, nemmeno troppo presto. L’orario è variabile, ma ragionevole. L’infante ha ormai nove mesi… e si desta tra le sette e le otto e mezza, solitamente di ottimo umore. Ti vede e ti sorride serafico, anche se hai ancora la faccia sfigurata dalle pieghe del cuscino. Sei felice, perché è tenero. E la giornata comincia.

gate

…a dirla tutta, però, l’infante si sveglia tra le sette e le otto e mezza solo durante la settimana. Nel weekend è operativo alle sei spaccate. Non abbiamo idea di come faccia a distinguere i sabati e le domeniche dai feriali, ma ci riesce. Che bello, è sabato! Possiamo dormire un po’ di più! E INVECE.

nedry hahaha

In casa nostra non vige una ferrea divisione dei compiti. Valutiamo il chi fa cosa in base a come siamo conciati in un determinato istante. In linea generale, ci pensa il genitore meno catatonico – con il tacito accordo di riequilibrare gli sforzi nel corso delle ostilità quotidiane. Ma la faccenda è irrilevante, in fondo. L’unica garanzia è quel che si trova nel primo pannolino.

shit

La cacca non mi stupisce più. Non dico che mi piaccia, chiaramente, ma ormai la considero inoffensiva. Le smorfie le faccio ancora, come riflesso condizionato, ma resto stoicamente indifferente. Va bene, è cacca. Non può nuocermi. Leviamocela dai piedi e tanti saluti. Ne valuto colore, composizione e consistenza – per assicurarmi che la creatura non produca nulla di eccessivamente fantasmagorico o ignoto alla scienza pediatrica – e procedo baldanzosa ai lavaggi di culino.

ellie shit

Sono una grande estimatrice dell’acqua corrente. Alle salviettine si ricorre in situazioni estreme, quando proprio non c’è un lavandino nei paraggi. Che ne so, in un deserto. In una masseria remota solitamente utilizzata per i sequestri di persona. Se c’è un rubinetto, il culo del bambino va sotto al rubinetto. Peccato che il culo del bambino sia ormai diventato voluminoso – proporzionalmente al resto del bambino, per fortuna – e che l’infante, preso dall’entusiasmo, detesti la staticità. Se prima, dunque, potevo contare su un bambino maneggevole e facilmente rubinettabile, ora detergergli il deretano in un lavandino è una specie di avventura oceanografia, un naufragio su un vascello pirata, una passeggiata su una spiaggia devastata da uno tsunami.

splash

Il cassetto dei pannolini è vuoto. Dove diamine sono i pannolini. Ma soprattutto, come PERDIANA è possibile che siano già finiti. LI ABBIAMO COMPRATI SEI MINUTI FA.

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I pannolini non si volatilizzano, amici. I pannolini vanno smaltiti come le scorie radioattive. C’è chi si ingegna in modo diverso, ma noi abbiamo un onesto e funzionale mangiapannolini che troneggia fiero nel bagno perennemente allagato in cui svogliamo le pregevoli attività di pulitura della creatura. Visto che nessuno freme dalla voglia di cambiare il sacchetto ogni 13 minuti, il mangiapannolini si riempie. E si riempie. E si riempie. E, ad un certo punto, il maniglione si incastra. E tu, con un bambino di quasi dieci chili in braccio – avvolto in un asciugamano e divertitissimo dalle tue difficoltà – ti ritrovi a scuotere un mangiapannolini con la mano libera, bestemmiando i santi di ogni confessione e insultandoti per la scarsa lungimiranza dimostrata ANCHE QUESTA VOLTA. Perché il mangiapannolini ha ragione (ed è anche piuttosto capiente), sei tu che sei imbecille.

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Un tempo, mi ricordo, cambiare il pannolino era un’esperienza rilassante. Disponendo di un neonato pacifico e allegro, l’attività a bordo del fasciatoio non richiedeva un particolare sforzo muscolare e non suscitava pianti e strepiti acutissimi. Minicuore accettava di buon grado abluzioni, pernacchie sulla pancia e, soprattutto, la sostituzione dell’indispensabile arnese. Oggi, invece, sperare che stia coricato sul fasciatoio a farsi cambiare un pannolino è pura fantascienza. Se va molto bene, si alza in piedi contro al muro. Se va male, scaglia in terra quello che trova nel comodo e funzionalissimo vano portaoggetti-indispensabili-all’igiene e cerca di tuffarsi nel cesto dei bodini sporchi – doppio carpiato con avvitamento, coefficiente di difficoltà 9.7. Metterlo sul letto è l’unica soluzione praticabile, ma appena lo appoggi sul materasso si rivolta come una cotoletta mannara, schizza verso l’altiera e si avventa sui cavi penzolanti dei caricabatterie, sradicandoli dalle prese con immensa soddisfazione. E tu là, col pannolino in mano e l’acutissimo desiderio di assumere una tata-wrestler. O un gladiatore, di quelli col forcone e la rete. Fermati, miseria ladrissima. Lasciati mettere questo DIAMINE di pannolino.

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Sono le 9.07. E hai già un polpaccio dolorante e tre stiramenti alla schiena.

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Prepari il latte, collochi il bambino nella sdraietta – le due attività si svolgono spesso in parallelo, con l’ausilio di un secondo paio di braccia che di tanto in tanto spuntano miracolosamente all’altezza delle costole -, metti Mozart a palla – perché la musica fa diventare intelligentissimi, si sa – e consegni il biberon al bambino. Il bambino, che il cielo lo benedica, è capace di sgarganellarselo da solo, quindi tu ne approfitti scaltrissimamente per 1) Fare la pipì, 2) Levarti il pigiama – per indossare roba casuale che somiglia tantissimo a un pigiama, 3) Inghiottire un caffè e un biscotto – senza sederti, il che ti fa sentire molto al bar, 4) Metterti in faccia una crema a caso, 5) Tirarti su i capelli in modo da non farti scalpare nel corso della mattinata.

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Sono stati dodici minuti bellissimi, ma non possiamo aspettarci che durino in eterno. Il bambino accetta di soggiornare nella sdraietta solo mentre beve il suo latte. Il latte finisce, il bambino odia la sdraietta. E, di riflesso, l’intero universo.

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Porre tempestivamente fine al disappunto – e ripristinare la felicità – è uno dei doveri principali di una madre, mi pare di aver capito. Senza indugio, dunque, libero la creatura e la sguinzaglio sul tappeto, terra di vaste opportunità ludico-motorie.

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Trascorro l’ora successiva a domandarmi perché il bambino disprezzi ogni singolo e COSTOSISSIMO giocattolo scandinavo dalle proprietà multisensoriali, sonore e tattili che gli abbiamo comprato per prediligere invece i controller della Wii – debitamente privati delle pile -, un pacchetto di fazzoletti del Carrefour, un sacchetto di carta, l’estremità della mia treccia, il pendaglio delle tende, i telecomandi.

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Nella speranza di distoglierlo dall’insana passione che nutre per il mio telefono, poi, ho cercato di ingannarlo acquistando uno stupendo telefono per bebè alla Chicco – con una musichetta diversa per ogni tasto, tre potenziali contatti da chiamare (la scimmietta, la giraffina e l’ippopotamino) e pure la vibrazione. Si illumina, suona, ronza ed è bellissimo. Ma lui se ne sbatte vigorosamente i coglioni.

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Mi ricordo improvvisamente di avere il lavandino pieno di piatti, ventidue chili di bucato da lavare e qualcosa di indefinibile che soggiorna nella lavatrice in attesa che qualcuno decida di stendere. Potrei cacciare il bambino nel seggiolone e intrattenerlo con le mie gloriose e necessarie attività domestiche, ma mi sembra troppo contento per sradicarlo dal tappeto. Regola fondamentale: se il bambino è contento NON LO SPOSTARE NON LO INTERROMPERE VA BENE COSÌ.

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Contro ogni logica e previsione, l’infante decide di devastare ogni tua aspettativa abbandonando il tappeto di sua spontanea volontà e gattonando come un pazzo in direzione della cucina. Nell’illusione di poterlo contenere, superi il pouf con un balzo e fai del tuo meglio per rincorrerlo.

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Nonostante la velocità del bambino non smetta di atterrirti, i suoi progressi sul fronte pre-deambulatorio un po’ ti commuovono. Fai quattordici video e li spedisci a tutti i tuoi congiunti. E pure agli amici. Alla chat del corso pre-parto no, invece, perché hai paura a scriverci qualsiasi cosa. Sono piene di bambini afflitti da continui problemi insormontabili. Il tuo dorme, mangia, se la ride ed esegue un impeccabile Cassina 2 alla sbarra. Non hai il diritto di lamentarti.

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Visto che in cucina ci siamo in qualche modo arrivati, decido di lanciarmi in un repentino progetto-lavastoviglie. Inserisco l’erede nel seggiolone – legandolo come un criminale di guerra, visto che ha già manifestato l’intenzione di gettarsi fortissimo al suolo – e sfodero il diversivo definitivo: l’onnipotente galletta di riso.

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Le merendine sgranocchiette che elargisco parsimoniosamente a Minicuore costano all’incirca come un Cayenne. Da quando ha la facoltà di nutrirsi di pappe, frutta, carnine e roba appartenente al regno pseudosolido sono diventata una di quelle signore molto a modo che frequentano i NaturaSì. Non ho ancora fatto la tessera – perché spero mi passi, prima o poi -, ma mi sto appassionando. La gente mangia cose incredibili. Ho scoperto cereali mai sentiti, intolleranze alimentari di nicchia, bacche del Mar Caspio. Per Minicuore compro le farine per le varie pappe, le verdurette, le adorabili fettine biscottatine MIGNON di farro, i biscottini a forma di stella senza zucchero senza burro senza lieviti SENZA UN CAZZO alla mela e alla carota… non prendo neanche il cestino, perché se prendo il cestino finisce come da Sephora. E già così è una tragedia, perché gli mollo comunque trentamila euro a botta. Mi ripiglierò? Me lo auguro. Per ora, invece, fingo di essere una ricca milanese eco-bio.

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Il bambino azzanna la galletta di kamut/riso/farro/CEREALE POCO MAINSTREAM A SCELTA, mastica per quindici secondi e la scaglia sul pavimento, cercando di colpire il gatto.

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Mangi la galletta che è caduta per terra – ma proprio per non avere la sensazione di aver scaraventato cinque euro nel cesso -, rinunci a dargliene un’altra e fai partire la lavastoviglie, valutando la possibilità di convertire l’intera famiglia all’utilizzo di piatti, posate e pentolame di plastica. Armata dell’entusiasmo che solo il completamento di un compito semplice e lineare (per quanto fastidioso) può donarti, fai ritorno sul tappeto con il bambino abbarbicato addosso e, mentre lo osservi ogni suo movimento come un condor di montagna, produci cinque minuti di monologhi sconnessi su Snapchat – tanto per perdere ancora di più il contatto con la realtà.

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Nascondi il telefono (PERCHÉ SE LO VEDE È FINITA) e torni a rincoglionirlo con storie di ogni genere. Attacchi con “La sirenetta impanata”, una filastrocca di tua invenzione dalla rara potenza immaginifica. Perché le sirene che siamo abituati a vedere nei cartoni animati, nell’arte e nella cinematografia sono tutte magre, flessuose, belle e figherrime? Semplice: quelle in carne vengono catturate e cucinate dai marinai di passaggio. È tutto spiegato nella canzoncina, tranquilli. INSOMMA, mentre ti sgoli con “La sirenetta impanata” il bambino pesta una costruzione gommosa, perde l’equilibrio e precipita. MA TU LO PRENDI AL VOLO, salvandolo dal trauma cranico.

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Visto che tuo figlio ha l’indole dello stuntman e l’istinto di conservazione del cast di Jackass dopo una piomba a base di tequila, il salvataggio non lo scalfisce più di tanto. E CHE SARÀ MAI, DONNA. NON FACCIAMOLA TANTO LUNGA. Per esprimerti tutta la sua gratitudine, anzi, ti assesta ridacchiando un poderoso sberlone sul naso, impiegando i cinque minuti successivi per artigliarti la faccia – perché se gridi MA AMORE PICCOLISSIMO DEL CUORE MI FI MALE PIANO PIANO AHIA lui si diverte ancora di più.

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Mentre valuti la possibilità di acquistare una tenuta antisommossa da utilizzare sul tappeto, il bambino ti guarda negli occhi e dice distintamente MAM-MA MAM-MA.

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Mentre cerchi di stabilire se si sia trattato semplicemente di un evento fortuito o se, in realtà, la creatura che hai portato in grembo per nove mesi e che sei riuscita ad accudire in questo mondo per un tempo altrettanto lungo abbia effettivamente detto MAM-MA capendo che la mamma sei tu, INSOMMA, mentre piangi di gioia e lo baci moltissimo perché ha messo in fila (più o meno casualmente) alcune sillabe che ti definiscono, il bambino si caga addosso.

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Sono nove mesi che sbottoni e riabbottoni bodini e minuscoli indumenti. Ma ancora non padroneggi gli automatici. E sbagli a chiuderli almeno due volte al giorno. Carissimo inventore degli automatici, devi sapere che non sono automatici per un cazzo.

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Espletati i doveri di lavaggio/cambio/vestizione, t’accorgi magicamente che è mezzogiorno e mezza. Il tempo si srotola in maniera bizzarra, quando si sta a casa con un bambino. Non ti sembra che passi mai e, ad un certo punto, ti sembra che passi tutto insieme.

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È ora di mangiare. SEGGIOLONE!

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Preparare la pappa è fonte di continui enigmi e perplessità – di cui probabilmente ti libererai soltanto fra numerosissimi anni, quando tuo figlio ti chiederà dei soldi per andarsi a mangiare un cheeseburger coi suoi amici, per esempio. In attesa che quel rinfrancante momento arrivi, però, ti arrangi schiacciando verdure bollite, miscelando granaglie polverose, sminuzzando finemente petti di pollo e producendo ettolitri di brodo vegetale. E il bambino MANGIA TUTTO, VIVA LA MADONNA.

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Il fatto che Minicuore ingurgiti di buon grado quello che gli propino non è però garanzia di pasti pacifici. Perché può accadere che, preso da un’incontenibile emozione, il bambino decida di vaporizzarti negli occhi una cucchiaiata di frutta frullata, spernacchiandola senza pietà in ogni direzione e deturpando irrimediabilmente ogni essere vivente o arredo nelle vicinanze del seggiolone.

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Ma può anche succedere che, gesticolando come uno sbandieratore fiorentino, il bambino decida di assestare un poderoso manrovescio al cucchiaino colmo di cibo che stai tentando di avvicinargli alla bocca, costringendoti ad effettuare un’attenta esegesi della sua postura e del suo stato d’animo prima di arrischiarti a proporgli una nuova cucchiaiata.

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La famiglia dispone di una vasta selezione di bavaglini. Bavaglini grandi, bavaglini piccoli. Bavaglini di tessuto – con fodera sottostante di plastica, bavaglini-poncho in pura plastica, bavaglini di plastica con vano raccoglitore per la pappa che precipita. Nonostante quest’abbondanza di bavaglini – fornitura che a me, all’inizio, pareva addirittura eccessiva -, il bambino troverà comunque il modo di gettarsi almeno una palata di pappa sulle ginocchia e di insozzare a più riprese il pavimento della cucina.

pappa finita

Ma la mossa che ogni volta mi stronca definitivamente è lo stropicciamento di faccia (già parzialmente ricoperta di pappa) per mezzo di pugnetto che stringe una manciata di – METTIAMO – carotine spappolate.

parasaurolofo

Ma affrontare una situazione di profondo caos nella sua interezza non ha mai fatto bene a nessuno: il disagio va scomposto, frazionato e gestito un po’ alla volta. Non è un bambino ricoperto di pappa che mi osserva con una certa belligeranza dalla sommità di un seggiolone non lindissimo, posizionato nel bel mezzo di una cucina da ripiastrellare – GIAMMAI! È un bambino sazio e soddisfatto, un bambino BRAVISSIMO che ha mangiato quel che doveva mangiare e che ripulirò senza farmi prendere dal panico, un ditino alla volta.

flare

Con un immane dispendio di acqua corrente, carta da cucina, spugnette a forma di pesciolino e teneri asciugamani tempestati di orsacchiotti, riesco a debellare lo strato di cibo semidigerito che ricopre il mio primogenito. E lo abbraccio teneramente, anche se non può fare a meno di starnutire ogni volta che gli bagno il naso.

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Dopo un’intensa mattinata di ginnastica da tappeto, giochi vorticosi, gattonamenti e lauti pranzi, l’infante sembra stanchino. Me lo isso su una spalla, abbasso la tapparella e attacco con la procedura standard di disinnesco a base di passeggiatina per la cameretta e rassicuranti massaggini circolari sulla schiena, coadiuvati dalla mia personalissima interpretazione mugugnata della devastante ninna nanna di Brahms. NEMMENO UNO SCOIATTOLO IMBOTTITO DI ANFETAMINE PUÒ RESISTERE A BRAHMS. Nonostante alcune flebili proteste, il bambino si assopisce.

hammond elicottero

Ma non lasciamoci ingannare. Un conto è tenere in braccio un bambino addormentato… e ben altra faccenda è adagiare un bambino addormentato sul suo materasso. Un bambino che ti russa sulla clavicola potrebbe destarsi strepitando alla minima variazione posturale – e i movimenti necessari a depositarlo nel suo lettino sono numerosi, complessi e variamente destabilizzanti. Mentre fingi di poterlo mettere giù senza correre alcun rischio, lo riempi di minuscoli bacini nell’incavo del collo (area tra le più morbidine, teporosine e profumatine del creato) e cerchi di raccogliere il coraggio per effettuare la manovra.

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Le menate, come minimo, sono due.
UNO – Sostenerlo correttamente mentre vi piegate sul lettino, tentando di raggiungere un materasso che vi arriva all’incirca alle caviglie.
DUE – Riuscire a riprendervi i vostri avambracci una volta depositato l’infante nel lettino – sfilandoglieli di soppiatto da sotto la testolina e dal retro-coscini.
Al mondo ci sono sicuramente robe più complicate, ma quando riesco a preservare il sonno del bambino nel passaggio spalla-lettino mi sento sempre un po’ miracolata. Nonché un genio assoluto del pilates.

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Giuro, è come se tutti i giorni dopo pranzo prendessi di nuovo 110 e lode alla specialistica. La soddisfazione è quella. Fiera del traguardo conseguito, contemplo Minicuore per quindici minuti. Perché non c’è niente di più bello di un bambino che ronfa a pancia per aria.

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MA IL BAMBINO DORME IL BAMBINO DORME È IL MOMENTO DI COMPRIMERE LA MIA INTERA ESISTENZA NON MATERNITÀ-RELATED NELL’ESIGUO SPAZIO DEL SUO PISOLINO! Apro il computer e cerco di capire di che cosa dovrei occuparmi con urgenza. Della roba che rimando da un mese? Del blog? Dei 13 libri che dovrei tradurre fingendo di avere effettivamente a disposizione una giornata lavorativa normale? Della situazione disperata delle mie cespugliose sopracciglia? Dei pacchetti arrivati la settimana scorsa? Delle fatture da preparare? Dei romanzi che vorrei leggere? Delle domande della gente su Snapchat? Delle mie amiche che mi invitano a pranzo e non ricevono risposta?

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Nel vano tentativo di riordinare le idee, vado a fare la pipì – spostandomi per casa come un ninja. Il minimo rumore scomposto potrebbe destare l’infante… ed è decisamente troppo presto, non ho ancora combinato una mazza di niente. Anche fare la pipì comporta dei rischi. Per evitare che lo scroscio risulti troppo perentorio, butto una palla di carta igienica nel water per attutire i decibel e penso alla regina Elisabetta. La regina Elisabetta fa una pipì impercettibile, ne sono sicura.

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Torno al computer, ma mi dimentico dov’è e lo cerco per dieci minuti. Il mio “ufficio”, in teoria, è nella cameretta del bambino e, non potendo disporne durante il suo sonnellino – né mai, a dire il vero – vago per casa con documenti, fogli, chiavette, caricabatterie, scanner, astucci, post-it e agende sotto al braccio, contribuendo grandemente all’accrescimento della confusione che già provo.

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Colta da un raptus igienista, resetto il salotto – riponendo tutti i giocattoli al loro posto – e pulisco la cucina.

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Apro Facebook – ERRORE!!111!!! – e mi imbatto in un post antivaccinista. Sapendo perfettamente che discutere è inutile (e quasi controproducente) blocco e mi incazzo come una bestia per i fattacci miei.

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I muratori, impegnatissimi ad infierire sulla facciata del palazzo di fronte ormai da due mesi, attaccano col martello pneumatico.

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Muratori, lo so che anche voi dovete campare, ma perché vi ostinate a trapanare SEMPRE E SOLTANTO durante la siesta di Minicuore? State su quel ponteggio tutto il santo il giorno e non producete il minimo rumore. Lo metto a dormire e vi parte all’improvviso l’acutissima necessità di demolire il balcone della signora Fumagalli? Perché, dico io. Spiegatemelo. Mettiamoci d’accordo, a questo punto. Se appendo un drappo rosso alla finestra vuol dire che il bambino dorme e che dovete ficcarvi quei martelli là dove nessun martello è mai giunto prima (o almeno così mi piace pensare), se invece appendo un drappo verde vuol dire che potete martellarvi felicemente anche le corna, se vi va, perché il bambino è attivo. VA BENE, PERDIANA? VE LI FONDO, QUEI MARTELLI.

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Il bambino, non si sa come, riesce a non svegliarsi. Venti minuti dopo, però, faccio l’errore di tossire, provocando istantaneamente uno di quei piantini interlocutori che preannunciano un repentino ritorno dal mondo dei sogni. Mi stramaledico più e più volte, mi levo le ciabatte e mi avvicino come una spia russa alla camera del bambino. Potrebbe continuare a dormire. O potrebbe svegliarsi. O potrei svegliarlo io nel tentativo di capire se vuole svegliarsi. La terza ipotesi, ovviamente, è quella che si verifica più spesso. MA CIAO AMORE ECCOTI QUI LA MAMMA È CRETINA PERCHÉ È VENUTA IN CAMERA PERCHÉ SE ME NE STAVO FUORI TU CONTINUAVI A SONNECCHIARE MA NO IO DEVO ENTRARE A VEDERE COME STAI E POI FINISCE CHE TI SVEGLIO IO COME UNA DEMENTE BUON POMERIGGIO AMORE PICCOLO DELLA TENEREZZA BEN TORNATO.

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Il pomeriggio comincia ufficialmente – anche se sono tipo le 13.49 e il bambino ha fatto il pisolino più corto del mondo.

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Sollevi la tapparella e ti accorgi che la creatura ha qualcosa in faccia.

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DUE PUNTURE DI ZANZARA DUE! Una in mezzo alla fronte e una – oltraggio massimo – sul guancino tondeggiante. ROSSE GIGANTESCHE PUNTURE DI ZANZARA DETURPANO IL VISO DEL MIO BAMBINO!

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Le zanzare che – di giorno, poi – morsicano gli infanti sui teneri faccini sono la prova lampante della non-esistenza di Dio.

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Mentre giuro vendetta all’intero reame entomologico, il gatto transita incautamente per il corridoio. Il bambino lo scorge e lancia un fragoroso strillo di apprezzamento. Cesare ADORA il gatto. La mera presenza di Ottone riesce a rallegrarlo più di quanto io sarò mai in grado di fare. Cesare brama la compagnia di Ottone che, ovviamente, lo evita come la peste perché teme di vedersi strappare il pelo a ciuffi. E ha ragione da vendere. Ma c’è ben poco che io possa fare per contenere l’entusiasmo di mio figlio… e decido di liberarlo in corridoio alle calcagna del gatto.

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Ottone ha stabilito una soglia-limite. Se Cesare gli arriva a mezzo metro, Ottone si allontana. Se Cesare lo osserva rispettosamente a più di mezzo metro, allora lo tollera. Cesare non ha idea di quanto sia mezzo metro e, in ogni caso, punta a prendere il gatto per le orecchie e a salirgli in groppa, ambizione che rende irrilevante ogni tentativo di misurare le distanze. Ottone, comunque, non è un artista della fuga e finisce regolarmente per cacciarsi in qualche vicolo cieco, esponendosi senza possibilità di riscatto alle potenziali sevizie del bambino.

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Salvo il gatto – perché, insomma, voglio bene anche a lui e, soprattutto, voglio evitare che cavi gli occhi a Minicuore durante una manovra difensiva -, abbevero il bambino con un po’ d’acquetta, trascino il seggiolone in bagno e mi appresto a rendermi presentabile per l’uscita pomeridiana.

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Posizioni il bambino in modo che, dal seggiolone, non possa allungarsi fino al ripiano del lavabo – su cui troneggiano i tuoi investimenti BIUTI più riusciti e una miriade di utensili che potrebbero rivelarsi letali per un essere non ancora completamente padrone dei suoi arti superiori. L’infante la prende BENISSIMO.

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Lo plachi con una confezione ancora sigillata di Lines Intervallo dal rassicurante packaging rosa e procedi con le operazioni. Non si sa come mai, ma il bambino trova spassose le persone che si fanno la doccia. Il che è molto positivo, perché puoi utilizzare i preziosi momenti dedicati all’igiene personale come una specie di intermezzo cabarettistico. Mentre fai le pernacchie sul vetro e ti esibisci in buffi gargarismi gorgoglianti, ti ricordi all’improvviso di non aver pranzato.

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Ti asciughi, ti spalmi addosso della crema rassodante a casaccio – va rassodato TUTTO, è inutile star lì a selezionare una zona specifica -, ti lavi le mani e, nuda come una salamandra di fiume, ti rechi in cucina alla ricerca di banana, bavaglino (di quelli con vano raccoglischifo) e coltello. Distribuisci rondelle di banana sul tavolino del seggiolone (precedentemente sterilizzato con l’Amuchina) e fai del tuo meglio per truccarti un po’ mentre l’infante fa merenda ghermendo la banana con le ditine.

catch

Non sarai diventata bellissima, va bene, e hai guardato più il bambino che lo specchio, ma almeno sei pulita, pettinata, vestita e truccata al minimo sindacale. Poi guardi i piedi per capire se ti sei già messa le scarpe o se sei ancora in ciabatte di gomma e ti accorgi che il pavimento del bagno è pieno di bananine masticate.

damn

Prendi il telefono per scoprire che ore sono e ti casca l’occhio sulle notifichine di WhatsApp. La chat del corso pre-parto sembra essersi rianimata! Quali incredibili quesiti ci riserverà oggi il destino? Trovi 378 nuovi messaggi che trattano dei seguenti argomenti: lenticchie sì o lenticche no? Dentizione e ano infiammato: reale correlazione o semplice sfiga sistemica? Il mio nano continua a svegliarsi quattro volte a notte: è normale, ragazze? Ma voi quante volte siete uscite a cena da quando sono nati? E, dulcis in fundo: ho visto che ci sono i guinzagli per i nostri puffi, voi li avete provati?!?!111!!
Scelgo di contribuire alla discussione utilizzando Cesare come un meme. Di foto ne ho in abbondanza e mandare il mio KUCCIOLO che ride mi sembra molto più garbato rispetto all’opzione scrivo-quello-che-penso-davvero. Che è più o meno una roba di questo genere:

hand raptor

Sciacqui la creatura e un rapido esame olfattivo ti porta a constatare, con una certa soddisfazione, che il bambino ha cagato (di nuovo, già) con un tempismo favoloso, risparmiandoti l’incombenza di doverlo cambiare in mezzo a un prato. O sul sagrato del Duomo. O nell’angusto bagno, sprovvisto di un piano vagamente adatto, di un qualche locale.

smell

Solita manfrina del pannolino, più cambio DI OUTFIT. Si esce carini, perbacco. Dopo innumerevoli contorsioni e aver sventato svariati tentativi di cruentissimo suicidio, riesci a infilare al piccolo umano un paio di braghette adorabili tempestate di palmette e una maglietta con un bradipo appeso a una liana tropicale. COME SEI TENERO TATONE PICCOLO.

smile

Inserisci la creatura nel passeggino e, mentre infierisce sul ripiano della libreria a cui l’hai incautamente accostato, ispezioni il contenuto della borsa del cambio. Non ci capisci niente, quindi ci butti dentro un biberon d’acqua, un pacco di gallette al kamut ECO BIO CHILOMETRO ZERO FATTE A MANO INTEGRALI SENZA SALE AGGIUNTO SENZA GLUTINE, una manciata di pannolini, un ombrello e un pupazzo che suona, sfrigola e scrocchietta. E decidi che va bene così. C’è un limite al caos che puoi controllare.

work station

Usciamo, finalmente. E trascorriamo il resto del pomeriggio a vagare paciosamente per zone casuali – ma ombreggiate e piacevoli – della città. Ormai conosco a memoria la conformazione dei marciapiedi, l’assortimento merceologico di ogni vetrina, la collocazione di negozi impensabili e le scorciatoie più esotiche per tirarla in lungo (nel caso il bambino sia tranquillo) o correre rapidamente al campo base (nel caso si sia rotto l’anima di farsi scarrozzare).

gyrosphere

Se l’infante è particolarmente ben disposto, posso arrischiarmi ad entrare nei negozi meno affollati e labirintici – escludendo a priori quelli dotati di numerosi piani o porte troppo complicate. Se va di lusso (e se trovo qualche commessa dal cuore di cioccolato che si fa commuovere dalla coccolosità di Cesare, bambino che sorride immancabilmente a TUTTI, ma pure a gente che somiglia a Pacciani, Himmler e Sauron), posso anche provarmi due vestiti in croce, che spesso finisco per comprare più per la soddisfazione di essere riuscita a provarmeli come una persona normale che per la loro effettiva resa addosso a me.

not a good idea

UNA PIADINERIA! PRESTO, DATEMI QUALCOSA RIPIENO DI QUALCOS’ALTRO!

megalo

In un tratto particolarmente agevole (marciapiede ampio, pianeggiante, senza pendenze laterali che ti costringono a spingere il passeggino come farebbe un grosso granchio), mi arrischio a controllare la mail. Che bello, la prossima settimana ci sarebbero cento cose stupende da fare! Scarto a priori il 98% di quello che mi propongono, guardo il CALENDAR mentre aspetto che il semaforo diventi verde e chiamo i miei per sapere se mercoledì – PER CASO SE SIETE LIBERI SE VI VA SE AVETE VOGLIA SE VI MANCA CESARE – sono disposti a venire a Milano a stropicciare il bambino mentre io vado a svolgere delle attività piacevoli ma comunque configurabili come lavorative.

behind

MADRE il mercoledì gioca a tennis…

cry

…ma per amore di suo nipote troverà una sostituta.

smile cast

Mi dirigo baldanzosa verso casa, fiera di aver quasi sfangato il pomeriggio e sperando fortissimo che Amore del Cuore abbia deciso di sua sponte di recarsi al supermercato per ovviare alla vastità del nulla che alberga nel nostro frigorifero. Mentre immagino cenette meravigliose – cucinate senza il minimo sforzo da parte mia, ma nemmeno di pianificazione – Amore del Cuore mi telefona per sapere che cosa deve comprare.

right

Io non lo so, va bene? Non lo so. Mangio tutto quello che ti pare, non mi interessa.

mangiare

Perché devo dirtelo io che cosa comprare per cena. Chi sono, Sonia Peronaci? Ingegnati! Non ci abiti anche tu insieme a noi? Non lo sai che cosa manca? DAI FACCIAMOCELA SU.

woman

Dopo aver attaccato senza troppe cerimonie, cinque minuti dopo gli mando un messaggio in stampatello per ricordargli che non abbiamo niente da bere PER CARITÀ RISOLVIAMO IL PROBLEMA.

margarita

Cesare saluta con la manina i passanti che gli piacciono e rivolge grida agghiaccianti a quelli che intralciano il suo cammino, costringendomi a superarli per salvare l’intero quartiere dalla sordità.

gallimimus

Il portinaio mi consegna i quattro scatoloni arrivati durante la giornata. Ringrazio sentitamente e cerco di capire come portarli di sopra senza sfondare il passeggino. O senza sfondarmi io.

trice

Il bambino apprezza i giretti, ma dopo un po’ vuole spostarsi da solo. Non è mai stato un soprammobile o un particolare fan di sdraiette, palestrine e forme d’intrattenimento basate sulla compostezza della posizione supina. Disprezza legacci e cinturine e si sta allenando con caparbietà per divincolarsi definitivamente dalle ridicole costrizioni che gli impongono di stare seduto nel passeggino. Ogni volta che lo libero la gioia è grande e vibrantissima.

spinosauro gate

Ottone, lì per lì contento di vederci rincasare, corre al riparo.

run run

Mi levo le scarpe e crollo, così come sono, sul tappeto. Il bambino riabbraccia i suoi giocattoli (più i materiali non concepiti per il gioco che siamo stati costretti a considerare comunque giocattoli) come se l’avessi appena riportato a casa dopo cent’anni di guerra di trincea. Bordeggia, mi calpesta, lancia cubi di gomma, morsica i fenicotteri, scaraventa al suolo tre telecomandi e, in generale, sembra dilettarsi.

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Sta provando ad alzarsi in piedi. Appoggia le manine per terra e cerca di stendere le gambine. Ce la farà? Forse fra qualche settimana. Ma sono comunque fierissima e gli consegno mentalmente un Nobel motorio.

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Una zanzara sorvola la zona di gioco. La POLVERIZZO a mezz’aria, abbandonandomi a grida di trionfo piuttosto inconsulte.

gnam

E la mia felicità non è destinata ad esaurirsi. Perché, all’improvviso, avverto il suono celestiale delle chiavi che girano nella toppa. AMORE DEL CUORE È TORNATO AMORE DEL CUORE È ARRIVATO A CASA SONO SALVA C’È AMORE DEL CUORE GRAZIE DIVINITÀ DI OGNI LATITUDINE FORMA E COLORE CE L’HO FATTA!

bike raptor

AMORE DEL CUORE SEI QUI SEI QUI COME SEI BELLO NON TI RICORDAVO COSÌ BELLO NON ANDARE VIA MAI PIÙ!

kiss

PRENDITI TUO FIGLIO! TIENILO OCCUPATO! LASCIAMI QUI A CONTEMPLARE PACIFICAMENTE IL NIENTE PER ALCUNI MINUTI!

trex over here

A seguire, scene di ragionevolezza familiare. Io che mescolo la pappa mentre Amore del Cuore prepara la cena – senza consultarmi, per fortuna -, birrette e fette di salame fanno la loro comparsa, Cesare – opportunamente seggiolonato – monitora la situazione mangiandosi cucchiaiate e cucchiaiate di pastina col formaggetto e le verdurine, cercando di coricarsi nel piatto e di cacciarmi contemporaneamente le dita negli occhi. Ma va bene lo stesso, perché ci siamo tutti.

ellie grant

Amore del Cuore è incaricato delle procedure serali di avvicinamento al sonno, incombenza che ha assunto con mio grande sollievo per potersi coccolare un po’ il bambino e sfogare, al contempo, le sue ambizioni canore. Perché io ho le mie tecniche, ma lui va di karaoke, prediligendo i cantautori italiani delle epoche più disparate (e disperate) o le ballate romantiche della tradizione folk americana. Ho rinunciato a capire e non c’è niente che io possa fare per migliorare la playlist. Finché funziona, per me va benissimo. E mi limito a ridere, nascosta dietro alla porta. Come spesso accade quando si cerca di cavarsela con un infante simpatico e ben disposto ma parecchio energico, il procedimento rasenta il surreale… ma il risultato è assolutamente portentoso.

life finds a way

E chi l’avrebbe mai detto.
Il parco è chiuso, per oggi.
Buonanotte a tutti!

bone

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Insomma, tutti quanti amiamo insensatamente qualcosa. C’è chi adora la Juventus – anche se proprio non capisco come sia possibile – e chi impazzisce per i francobolli. Ci sono fanatici dei bonsai, di Wagner o della barca a vela. Qualcuno, là fuori, adora la fisica quantistica e si diverte a far parlare i pappagalli. Io ho i dinosauri. Sono cresciuta con le enciclopedie illustrate della preistoria, in quarta elementare ho letto Jurassic Park e, l’anno scorso, ho spedito centoventi partecipazioni di matrimonio con sopra un maestoso triceratopo corazzato. Steven Spielberg, un bel giorno, ha deciso che anche a lui piacevano un casino i dinosauri. Ed è stato così carino da buttare in piedi un film che permettesse a tutti quanti di capire com’è che funziona davvero un t-rex. Per i fortunati che, da piccoli, hanno potuto ammirare la perfetta cattiveria di un dilofosauro vendicatore, il mondo si è trasformato all’improvviso in un posto dove la giustizia era possibile. Perché, se c’è un dinosauro, tutto è più bello. Jurassic Park fa parte del mio immaginario. Ed è anche un po’ la prima cosa a cui penso quando devo cercare di descrivere la bellezza dell’universo. In sintesi, sono Alan Grant… quando vede per la prima volta un brachiosauro che va a spasso per una pacifica pianura erbosa.

alan grant

Quando ho scoperto che, dopo Il mondo perduto e quella disgrazia di Jurassic Park III, la nobile industria del cinema avrebbe sfornato Jurassic World, il terrore si è impadronito del mio animo.
E se fa schifo?
E se poi è una mastodontica stronzata tonante?
E se è una di quelle orribili minestre riscaldate che s’inventano di tanto in tanto – anzi, anche troppo spesso –  perché non riescono a farsi più venire in mente niente di nuovo?
E se poi è così brutto e improbabile da farmi dimenticare quanto ho amato il romanzo e il primo film?
Insomma, non è che ci fosse tutto questo ottimismo. Ho fatto del mio meglio per ridurre al minimo le aspettative e, in memoria dei vecchi tempi, ho ordinato ad Andres Diamond – il mio DJ di fiducia è meglio del vostro – di sparare il tema di Jurassic Park ad intervalli regolari durante la nostra cena di nozze. Vagare per i tavoli con John Williams a bomba e un vestito con lo strascico è un’esperienza che auguro a tutti, uomini compresi.
Nonostante i miei sforzi, però, Jurassic World sembrava promettere bene. Chiaro, dopo aver visto il primo trailer mi sono istintivamente ribellata all’idea che un velociraptor potesse essere addestrato come un pastore tedesco dell’arma dei Carabinieri. E anche tutta la faccenda degli ibridi geneticamente modificati mi sembrava una solenne minchiata. E lo scriteriatissimo romanticismo di John Hammond? E che fine ha fatto Ian Malcolm imbottito di mofina? Per farla breve, ero preoccupata come un suricato a un raduno delle Frecce Tricolori, ma cercavo di non farmi travolgere dal nichilismo. Perché, da qualche parte, splendeva un fioco barlume di senso. Il fatto, poi, che anche Chris Pratt la pensasse come me – I DINOSAURI SONO GIÀ WOW, stronza di una Bryce Dallas-Howard -, mi ha dato modo di riflettere. Quando ho scoperto che la colonna sonora sarebbe stata curata da Michael Giacchino e che il mesosauro si nutre di squali bianchi, ho cominciato a perdere il controllo del sistema limbico e mi sono sentita in dovere di aggiornare la cover di Facebook, sfoggiando un becero screenshot del trailer.

Colin Trevorrow, riuscirai a non profanare i ricordi più belli della mia gioventù?

La grande domanda ha finalmente trovato risposta l’altro giorno. Perché non mi avrete invitata all’anteprima di Age of Ultron, ma la preistoria sa apprezzarmi e mi accetta così come sono.

https://instagram.com/p/3ui8NcldIz

Jurassic World funziona.
Jurassic World fa felici.
Jurassic World, in sintesi, è un omaggio a tutto quello che di bello ci ricordavamo
.
Mi spiace per i bimbi di oggi – che sicuramente si divertiranno per un casino di altri motivi – ma Jurassic World è per noi. E scansatevi tutti.
Questo film, per costruzione, è fondamentalmente Jurassic Park. E fin qui, niente di nuovo. Quello che fa in grande, però, è realizzare – almeno per un po’ – il super sogno di John Hammond: mettere la gente di fronte alla meraviglia. La roba interessante è quello che succede dopo, quando il sogno – che stavolta sembra funzionare senza intoppi – deve misurarsi con il mondo vero… che non si accontenta mai e che, soprattutto, ha assunto un ambizioso ufficio marketing. Il parco è assolutamente affascinante. È come vedere gli Universal Studios, coi dinosauri al posto del rollercoaster della Mummia. O come fare un giro a Seaworldsolo che la tribuna sprofonda sott’acqua e le orche sono lunghe venticinque metri. C’è la gente che fa la coda e che s’incazza quando chiudono un’attrazione. Ci sono souvenir da tutte le parti, bibite che costano quanto un collier di Bulgari, fastidiose pubblicità e pass-VIP che ti fanno saltare la fila. C’È UN DIAMINE DI RECINTO DOVE SI POSSONO CAVALCARE I TRICERATOPI NEONATI E I BAMBINI ABBRACCIANO I BRONTOSAURINI, COI GALLIMIMUS CHE SFRECCIANO FELICI DI QUA E DI LÀ. Quella scena lì è un dono del Signore. Quando ho visto il baby-triceratopo con la sella volevo cavarmi gli occhi e darli da mangiare alle aquile.
Ma diamoci un contegno.
Come in Jurassic Park, anche Jurassic World si interroga su che cosa sia giusto fare. La vita trova sempre una strada… e non si può controllare quello che ci rifiutiamo di capire e rispettare. Siamo responsabili di quello che creiamo, soprattutto se decidiamo di inventarci un dinosauro grossissimo, cattivissimo e spaventosissimo per far felici gli investitori. L’Indominius Rex – non preoccupatevi, Chris Pratt si unirà ai vostri sbeffeggi – è il primo dinosauro sociopatico della storia. E avrà il nobile compito di mandare tutto in vacca, come da tradizione. Noterete con piacere che, in questo film, le tradizioni sono importanti. Vedrete milioni e milioni di strizzate d’occhio a Jurassic Park, roba che vi farà sentire meno soli nell’universo e vi farà agitare i pugnetti per aria come ragazzini delle medie.

Bene.
Adesso attacco con gli spoiler, quindi regolatevi.
SPOILER!
Ho detto SPOILER!
Qua sotto ci sarà roba che potrebbe divertirvi, ma vi conviene tornare dopo aver visto il film.
SPOILER!
…e poi non lamentatevi.

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Finalmente.
Io le recensioni non le scrivo per fare la persona che finge di capire qualcosa di cinema, io le scrivo perché non posso accettare che Bryce Dallas-Howard faccia i cento metri sui tacchi, e devo assolutamente lamentarmene con qualcuno. Trovo molto più plausibile che l’ingegneria genetica abbia capito come riportare in vita i dinosauri, piuttosto che Bryce Dallas-Howard che corre sul ghiaietto con le DECOLTÉ per due ore e mezza, scansando pterodattili e sfuggendo alla morte.
Ma passiamo a faccende più rilevanti.
I velociraptor sono sempre stati i miei preferiti, anche quando erano “cattivi”. Jurassic World ha provato a realizzare il prodigio dei prodigi: farci andare a spasso per la città con un velociraptor da compagnia. Darei un braccio – letteralmente, forse – per avere un velociraptor da compagnia. A questo punto, non possiamo che parlare di Chris Pratt. Chris Pratt è una specie di miracolo ambulante. Le mie colleghe, quando sono tristi, fanno un giro sull’account Instagram di Claudio Marchisio, ma io – pur apprezzando Claudio Marchisio, nonostante la squadra per cui milita – sono assolutamente sconvolta da Chris Pratt. Chris Pratt, solo il cielo sa come, è stato capace di addestrare quattro velociraptor. Ci sono i velociraptor che rincorrono un maiale e lo vogliono mangiare tantissimo, ma spunta Chris Pratt e si fermano di botto. NO, CHRIS. NON DIVOREREMO QUESTO MAIALE. NOI TI APPREZZIAMO. NOI TI STIMIAMO. NOI VOGLIAMO FARTI FELICE. IL MAIALE PUÒ VIVERE, SE TI FA PIACERE. SIAMO DEGLI INTELLIGENTISSIMI VELOCIRAPTOR ASSOLUTAMENTE LETALI, MA LA TUA FELICITÀ CONTA PIÙ DELLA NOSTRA. AMACI, CHRIS. AMACI, SIAMO DINOSAURI SENSIBILI.
I velociraptor di Chris Pratt sono tre femmine e un maschio.
Le tre femmine vogliono fidanzarsi con Chris Pratt.
Il quarto vuole essere Chris Pratt – ma in fondo sappiamo che la pensa come le femmine.

raptor

Nonostante il finale sia assolutamente telefonato – perbacco, chi mai potrà mangiare l’Indominus Rex? Forse l’unico dinosauro più grande di lui, anche se sguazza felice nel mare? CORRECTAMUNDO! Avete vinto un giretto in groppa al triceratopino! -, sono impazzita per il ritorno in scena del tirannosauro. È stato un glorioso momento-Pacific-Rim. In mezzo a tutti quei recinti super tecnologici, ai dilofosauri olografici, ai dottor Wu – identici a com’erano vent’anni fa -, al vecchio centro visitatori che riemerge dalla giungla e agli anchilosauri che giocano a cricket con i nipoti di Bryce Dallas-Howard, Trevorrow è riuscito a farci dimenticare il t-rex. Ci ha regalato un’impareggiabile apparizione della capretta, ma – nel felice rincoglionimento generale – ci siamo scordati del t-rex. Quando l’adorabile nerd nostalgico della sala controllo – SEI COME UN FRATELLO PER ME! ANZI, SEI TUTTI NOI! – ha aperto il recinto, mi è venuta voglia di piangere. Continuo a non spiegarmi come Bryce Dallas-Howard sui tacchi possa correre più veloce di un tirannosauro, ma ho deciso di credere ciecamente anche alla più assurda delle puttanate. Ho gridato forte nel secchiello vuoto dei pop-corn e mi sono schierata con i carnivori ragionevoli. Certo, il fatto che un velociraptor dia retta a Chris Pratt è già piuttosto strambo… e forse è per quello che non ho battuto ciglio di fronte a un t-rex che decide amabilmente di collaborare con un velociraptor per annientare un incubo della genetica. Che vi devo dire, prenotatemi una vacanza in Costa Rica.
Per concludere, vorrei: ringraziare Giacchino per aver preservato la magia della colonna sonora originale, assumere un elicotterista a tempo pieno per il signor Masrani – altro grande esempio di rispetto delle tradizioni: tutti i propietari del parco devono essere un po’ suonati -, complimentarmi col parrucchiere di Bryce Dallas-Howard – lo so, vi sta sull’anima… ma è un bel personaggio e ha un caschetto superbo -, piangere un po’ perché nessun velociraptor dimostra di saper aprire le porte, singhiozzare un altro po’ per il maiasauro che spira tra le forti braccia di Chris Pratt – Alan Grant e la dottoressa Sattler sarebbero riusciti a salvarlo, anche senza frugare in una pila di cacca alta due metri – e, più di ogni altra cosa, ricordarvi una grande verità. Invitare i nipotini a visitare il vostro parco dei dinosauri porta una sfiga nera e irreparabile.

Nel prossimo post, visto che vado ancora alle medie, vi racconterò che cosa succede quando una persona di trent’anni incontra un album di figurine con i dinosauri. 

The park is open!
Andate a divertirvi… finché i dimorfodonti non vi strappano il fegato!
<3

ian gallimimus

Dinosaur-Flares

Amore del Cuore.
Eh.
C’è una roba che non ho mai capito.
..ma in che ambito?
Jurassic Park.
Ah, ok. Tipo?
Tipo la faccenda del tirannosauro guercio. Ogni volta che c’è in giro un tirannosauro, il professor Grant tappa la bocca di un nipotino di Hammond a caso e grida – sottovoce, però – STATE FERMI! SE NON CI MUOVIAMO NON CI VEDE! Ma come non vi vede. È un tirannosauro alto sei metri, come fa a non vedervi. È un predatore, vederti è il suo lavoro. Capisco che uno possa anche annusarti tantissimo, ma mi rifiuto di credere che il tirannosauro abbia dominato la terra per milioni di anni senza vedere un cazzo di niente. Da dove viene questa teoria del tirannosauro che non ti può vedere? Chi l’ha deciso? Com’è possibile?
Stai forse mettendo in dubbio l’autorevolezza del professor Grant? Anni di ricerche. Di scavi. Di devozione alla paleontologia. Di amore per i velociraptor. Quello che dice il professor Grant è DOGMA!
Ma come fanno ad esserne sicuri! Come l’hanno scoperto? Cioè, che cos’hanno trovato del tirannosauro? Il teschio. Un po’ di ossa. Un nido, magari. Dei dentoni. Delle orme. Com’è che, da un testone fossile, si arriva alla certezza dogmatica del tirannosauro che non ti vede se stai fermo? Non ci sono più neanche gli occhi, in quei teschi lì! Che ne sanno. Non capiamo neanche come funzionano le balene, che cosa vogliamo saperne di come ci vedeva il tirannosauro? E le balene sono ancora vive! Nuotano! Fanno quei versi lì a trombone, si spiaggiano. Ecco! Manco capiamo perché le balene si spiaggiano, e siamo qui a fare i fenomeni con i tirannosauri!
Avranno studiato gli scheletri, com’erano messi. I branchi. Le prede. Il territorio. La composizione delle ossa. Si capirà dalle dimensioni del cervello, dalla conformazione delle orbite, dalla struttura cranica…
Ma chi se ne frega! Non può essere vero! Con tutto il rispetto per la struttura cranica, ma proviamo un attimo a generalizzare… il tirannosauro vede solo la roba che si muove. Cos’è, se c’è un albero non se ne accorge? Come fa con il paesaggio? Mica si sposta. Tirannosauri che sbattono contro le montagne, che inciampano nei massi, che si sfracellano contro le piante. Tirannosauri che non capiscono dove si trovano, che vagano ciechi in una pianura desolata agitando forsennatamente le braccine! Ma è una solenne stronzata! È questo che vogliono farci credere? Io mi rifiuto categoricamente di ritenere anche solo accettabile questa-
Stai tranquilla, va tutto bene. Non preoccuparti. Vado a fare una camomilla…