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Cos’è, questo Rifiuto di Tony Tulathimutte – uscito qui da noi per e/o con la traduzione di Vincenzo Latronico?
È un romanzo di racconti, più una meta-appendice finale in cui l’autore si fa rifiutare il libro da una casa editrice. Le storie stanno in piedi pure da sole, ma contengono personaggi e rimandi che appaiono anche nelle altre.

Mondo?
È sia il nostro che quello incistatissimo e ultra-tribale delle comunità digitali. Ci trovate il dating (più o meno) online, il porno, i videogiochi, gli incel con le spalle strette, i tech-bro startuppari fanatici, i collettivi universitari che decostruiscono e problematizzano anche un toast al formaggio, i maschi che si considerano più femministi delle femministe, i segaioli stravolti, la gente che decide di non avere un’identità e se ne crea così tante sui social da trasformarsi in un mito o in una cospirazione, le ragazze sole che si aggrappano a uomini che se le fiondano una volta e poi dicono “cavolo, hai frainteso, ci tengo troppo alla nostra amicizia”.
Sono tutte persone incastrate e storte che si sentono troppo bizzarre per trovare una nicchia di vera appartenenza e che, allo stesso tempo, non desiderano quella solitudine e non l’hanno chiesta. Sono certe di essere impossibili da amare o da capire, di essere troppo o troppo poco e si rifugiano in un vittimismo paradossale che è talmente egoriferito e “chiuso” da smentire il loro desiderio di base – trovare qualcuno che le veda, che le capisca, che se le pigli e le faccia sentire normali, una buona volta. Al “povera/o me” s’attacca tutto il discorso dell’identità, che Tulathimutte spezzetta in un gran sistema solare di auto-marginalizzazioni e di traumi specifici, sbandierati per accumulare ancora più punti-compassione e non per combattere le iniquità – reali e zeppe di implicazioni – con la forza di un collettivo. Che altro avrebbero, altrimenti?

Che c’entrano gli spazi digitali? Parecchio, perché se nel mondo “reale” e in mezzo alla gente si appare all’istante alieni e inadeguati, invasati con roba che non conosce nessuno o cronicamente sfigati e soli, online si può fare a meno del corpo, si possono mediare le interazioni per farle diventare gestibili, si può ripartire da zero – mascherandosi da altro – e spremere dopamina dai cuori che arrivano. Ci si rappresenta e ci si racconta, si separano gli ambienti per fare in modo che almeno uno diventi vivibile, ma ci si può ingannare fino a un certo punto – perché il corpo, volenti o nolenti, c’è. 
Sono anche posti in cui la rabbia trova una destinazione e viene nobilitata dalla ricostruzione di una rete di punti di riferimento – questo contesto ha rigettato anche te? Perfetto, vieni qua che siamo già parecchi e, a ben pensarci, forse abbiamo ragione noi. Nessuno è felice della sua condizione, ma non è un patimento passivo e arrendevole: contiene sempre la convinzione – più o meno ben riposta – di aver subito un’imperdonabile ingiustizia.
Qua dentro c’è molto sesso, ci sono kink considerati irricevibili dagli stessi personaggi che quelle pulsioni le provano, ci sono fantasie che si dilatano fino all’assurdo più totale e c’è roba obiettivamente schifosa che, per accumulazione estremamente fantasiosa, trasforma il libro in una succursale di Rotten che, oltre al corpo, comprende anche le relazioni umane.

Il linguaggio?
Ha tradotto Latronico e, anche senza aver visto il materiale di partenza, quel che ha dovuto gestire non è solo l’inglese, ma anche un’abbondanza di gerghi specialistici da subculture del web, il miscuglio di slang e brevità delle chat “chiuse”, l’aziendalese, il motivazionalese e lo spogliatoiese. Non sono certissima che qua dentro si batta il record mondiale dell’utilizzo del termine “sborra”, ma qualche soldo ce lo metterei. Dev’essere stato un lavoraccio e molte decisioni gestionali si sono visibilmente rese necessarie, ma fila via in una maniera che in italiano suona plausibile.

Non so quanto senso abbia – dato il tema e il passo del libro – star qua a proporre dei trigger-warning ma, se siete di costituzione delicata e cercate storie confortevoli ed edificanti, non credo che vi convenga molto tentare. 
Per tutti gli altri, Rifiuto è doomscrolling a forma di romanzo. Fa ridere, fa vomitare, fa impressione (sia per inventiva che per schifo e arguzia), fa satira, esaspera profondamente, ipnotizza come un incidente stradale e non somiglia a niente. Non vuoi neanche immaginartela della gente del genere, ma vuoi andare avanti a leggere. È un libro strutturato in modo da farvi sentire, sviscerare e trovare problematiche, disoneste e strumentali tutte le campane. Quel che le accomuna è che suonano irrimediabilmente a morto e il funerale potrebbe diventare il nostro – sempre che non lo sia già.

 

Si potrebbe dire che rendere “shitstorm” con “merdone” sottragga al fenomeno la sua natura incontenibile e scatenata, propria della tempesta. Ma è anche vero che ci mettiamo quell’-one finale che trasporta bene sia il senso dell’umorismo dell’immagine di partenza che la portata dimensionale dell’episodio nefasto. Non c’è bisogno di spiegare, ormai, cosa sia un merdone. Soprattutto su Instagram – o su un blog, dove poi finiscono tutte le mie chiacchiere sui libri. Chiara Galeazzi – che trovate in libreria anche con Poverina, sempre per Blackie Edizioni – comincia il suo esperimento con una ricognizione dei merdoni pestati durante la sua permanenza pluriennale online e con una di quelle domande semplici ma abissali: perché commentiamo quello che ci passa davanti sui social? A che serve? Chi ce lo fa fare? A quale spinta irresistibile ci troviamo a obbedire?

I merdoni autodenunciati non sono devastanti, devo dire. Si è visto di peggio, ma incomparabilmente. Non sono devastanti – e non peggiorano nel tempo e/o reiterano merdoni precedenti – perché Galeazzi, come ogni organismo che fa del suo meglio per sopravvivere in un ambiente, si regola. Si contiene, anche. O facciamo così: sceglie le sue battaglie, decide dove è il caso di incaponirsi o di allocare energie. Lo fa anche armandosi di una certa condiscendenza, qua e là, ma non mi sento di biasimarla. Là fuori si sviluppano conversazioni costruttive e arricchenti, ma si discute per secoli e con virulenza anche di cose troppo stupide per essere vere. Volerle scansare è autoconservazione pura. Ma se questo istinto venisse meno – per una parentesi definita e secondo precise regole d’ingaggio? Ecco qua l’esperimento. E questo libro buffo e insieme deprimentissimo – come di solito è la comicità della gente della generazione a cui appartengo – è la cronaca di quel che è capitato in un mese vissuto con sprezzo del pericolo su X, interagendo là dove mai avremmo voluto interagire.

L’imprudentissima autrice non va a cercarsi rogne o a rissare tanto per, ma diciamo che se vede passare in timeline una roba che le sembra irricevibile lo dice, invece di osservare mestamente mentre passa oltre. Sono andata a cercarlo, il profilo fittizio che ha creato per l’esperimento. È ancora tutto lì – e magari ha parlato pure con voi, in un’altalena emotiva che oscilla fra il senso di liberazione e la cruda presa di coscienza della propria irrimediabile irrilevanza.
Come può finire? Con l’accrescimento dello sconforto, penso. E con il sospetto sempre più consolidato che non è su piattaforme ingegnerizzate per farci salire il sangue agli occhi (e per far emergere precisamente la roba che ci fa incazzare di più) che si potranno intavolare conversazioni aperte, chiare, sincere e utili alla nostra specie.
Ma Merdoni fa anche molto ridere, giuro.

Che l’unico vero strumento a nostra disposizione sia la predisposizione a dubitare delle circostanze che strutturano il nostro mondo? In questa raccolta di auto-fiction tra realtà, media e incastri relazionali, Jia Tolentino convoglia verso i nostri cervelli sovraccarichi più domande che risposte… il che, credo, fa parte del gioco e contribuisce anche a definirlo.

Dal perché Internet sia diventato un posto (anche) mostruoso all’isteria collettiva per i matrimoni, dalle truffe a misura di millennial alla mania per l’ottimizzazione (che si riflette anche su quello che scegliamo di indossare o sull’insalata che ordiniamo per pranzo), Trick Mirror – uscito in italiano per NR Edizioni nella traduzione di Simona Siri – è una riflessione che parte dal personale per illuminare i nodi più problematici delle nostre illusioni collettive.
Che panzane ci raccontiamo per autoassolverci dalle mancanze che conosciamo fin troppo bene ma scegliamo di sorvolare per comodità, convenienza, appartenenza e ipotetica virtù? L’autoinganno – in cui anche l’autrice si riconosce come parte del “problema” – diventa una specie di strategia di sopravvivenza in un contesto di ingarbuglio estremo, in un’epoca fluida, spinosa e densissima in cui soldi, immagine e identità sono leve preziose ma anche tagliole affilate. Sceglieremo, in ultima istanza, di dare retta allo specchio che ci restituisce il riflesso più lusinghiero?

Gatto triste compleanno

Cioè, magari non è una cosa così riprovevole. Magari lo fanno tutti e mi sto flagellando per niente. Probabilmente è un’orrore perpetrato ogni giorno da milioni di persone, che continuano comunque a condurre una vita normale, onesta e felice.
A me, però, un po’ dispiace.
Perché non è una roba carina. E io, di base, faccio del mio meglio per comportarmi con urbanità, cortesia e gentilezza.
Non si fa. E lo capisco benissimo. Solo che è incredibilmente comodo, come metodo.

Niente. Vediamo che cosa ne pensate voi, che siete degli esseri umani come si deve.

Nella vita si accumulano moltissimi amici e conoscenti. Il 97% di questi personaggi, prima o poi, TI AMICA su Facebook. E amicamento dopo amicamento, ti ritrovi con una nutritissima legione di CONNECTIONS. Non tutte queste CONNECTIONS, purtroppo, hanno la stessa rilevanza nel contorto panorama della tua esistenza. Specialmente di fronte al tempo che passa, molte amicizie si sgretolano e molte persone vengono dimenticate o rimosse, lasciando il posto a pezzi nuovi della tua vita. Facebook, però, non ha modo di saperlo. E tu, giorno dopo giorno, continui a portarti a spasso questa varia umanità che, in punti imprecisati del tempo che hai passato su questo pianeta, ha rappresentato qualcosa per te. Amichetti delle elementari che, per un motivo o per l’altro, non vedi da vent’anni. Personaggi che frequentavano la tua spiaggia quand’eri alle medie. Tizie che giocavano a tennis con te. Compagni di università che, dopo un corso frequentato insieme, sono stati inghiottiti dall’impenetrabile vortice dell’universo e si sono volatilizzati. Cugini dei tuoi ex-fidanzati. Amici del calcetto dei tuoi ex-fidanzati. Professoresse dei tuoi ex-fidanzati. Gente con cui uscivi e che, appena hai cambiato città per lavoro, ha smesso di chiamarti – e che tu, comunque, non ti sei particolarmente sforzata di cercare. Uomini che ti hanno incontrata a una festa e ti hanno subito chiesto l’amicizia, nella speranza di insinuarsi nei tuoi anfratti più reconditi. Pazzi incrociati in vacanza. Gondolieri. Trombamici. Fidanzate dei trombamici. Ex-morose dei tuoi amici. Coinquilini che non lavavano mai i piatti. Colleghe dell’ufficio di New York che già sapevi di non poter mai più frequentare. Portinaie. Gente che pensavi potesse trovarti un lavoro. La suora che ti sgridava all’asilo. I figli della tua insegnante di pianoforte.
Riuscire a percepire la superflua vastità di questo carico di esseri umani che costituisce i tuoi amici di Facebook non è assolutamente facile. Alla fine – e com’è giusto – ti interesserai soltanto alle vicissitudini quotidiane di chi ti è realmente più vicino, lasciando che gli altri vadano un po’ a farsi benedire. Ma loro, più o meno vistosamente, rimarranno lì. Certi si prenderanno quotidianamente la briga di partecipare alle tue avventure e di interagire con te – mettendo ancora più in risalto l’asimmetria che contraddistingue il vostro “rapporto” -, mentre altri non faranno che confermare la vostra fondamentale e reciproca estraneità.
Di questa roba, si diceva, non ci accorgiamo con sufficiente incisività. Ci trasciniamo in giro il nostro brodazzo primordiale di conoscenze alla lontana e, alla fin fine, non ne percepiamo neanche troppo il peso. È quando siamo chiamati a celebrare un evento importante per ogni essere vivente, però, che questa tragica indifferenza non può che venire violentemente a galla.
Perché Facebook, all’improvviso, ti dice che Giannone Pescalonza compie gli anni.

Solo che tu, purtroppo, non hai idea di chi diamine sia, questo Giannone Pescalonza.

Nel tentativo di comprendere se valga o meno la pena di fare gli auguri a Giannone, sprechi ben trenta secondi del tuo tempo a fissare come una triglia cotta la sua foto profilo. La sua faccia, malauguratamente, non ti dice niente. Sprechi altri quindici secondi a verificare le amicizie in comune. E non ti capaciti di chi siano questi individui. Cerchi ci capire da dove venga Giannone, ma è un posto che non ti sei mai e poi mai sognata di visitare. Pure la timeline di Giannone sembra la superficie di un pianeta alieno. Ci sono un sacco di quelle foto con le giraffe glitterate che gridano BUONGIORNO con un mazzo di rose in mano. Dei putti che recitano frasi di Osho. Centodue appelli per l’adozione di una nidiata di cocorite sorde, storpie e orbe. Una foto sbilenca del sagrato del tempio di San Giovanni Rotondo. L’oroscopo settimanale di Paolo Fox per il segno dello scorpione. Il risultato dell’accuratissimo quiz CHI ERI IN UNA VITA PRECEDENTE. Una mastodontica scritta in WordArt che recita CHI SI FA I CAZZI SUOI CAMPA CENT’ANNI, seguita da un SOS sulla pericolosità delle scie chimiche e da un volantino delle offerte settimanali del Famila.
Insomma, Giannone è un mistero. Non sai chi è, a prima vista ti sembra un conclamato pirla e non hai idea di come sia finito tra i tuoi amici.
Dopo aver escluso la possibilità che qualcuno ti abbia messo una polverina nel drink – proprio la sera che hai conosciuto il Pescalonza -, ti decidi finalmente ad ammettere che tu non te lo ricordi proprio, il povero Giannone. E, di fronte alla prova inconfutabile della tua assoluta estraneità a questa persona, cominci anche a domandarti che senso abbia tenersi tra gli amici di Facebook un emerito sconosciuto. La sua presenza, all’improvviso, ti risulta intollerabile. Lo percepisci proprio come un fardello. Cinque minuti fa manco ti ricordavi che c’era e ora, pur continuando ad ignorarne la storia, il vissuto e anche la fisionomia, te lo vuoi levare dai piedi.
E che fai, dunque?
Vai sulla pagina di Giannone Pescalonza e, invece di fargli gli auguri di compleanno come stanno facendo tutti gli altri esseri umani che lo conscono per davvero e che magari gli vogliono pure un gran bene, lo elimini dai tuoi amici di Facebook.
Ma così.
Senza fare una piega.
Nel giorno del suo compleanno.
Con l’efficienza di Vasilij Grigor’evic Zajcev, il cecchino più letale della battaglia di Stalingrado.
Con la freddezza di una dilofosauro vendicatore.
Con la suprema indifferenza di un monarca assoluto.
Ciao, Giannone. Stammi bene. Ma un po’ più lontano da qui.
Lì per lì, ti senti in pace. Hai fatto un passo avanti verso l’affermazione di una simmetria più realistica tra la tua vita “reale” e la tua esistenza “virtuale”. Eliminando una variabile inspiegabile, hai contribuito ad aumentare il livello medio di ordine del tuo microcosmo. Arrivi a convincerti che neanche Giannone Pescalonza si ricorda chi sei e che, quindi, questa brutale separazione non avrà alcun genere di ripercussione sulla sua autostima e sulle sue condizioni psicofisiche. E ti sentirai pure scaltra come Napoleone Bonaparte. Eliminare qualcuno dagli amici proprio nel giorno del compleanno, infatti, è una mossa tatticamente astutissima. Con tutti gli auguri che gli saranno arrivati, il Giannone non avrà mai e poi mai modo di capacitarsi della tua repentina e vigliacchissima scomparsa.
Se ben ci pensate, è un ragionamento di terrificante ed egoistica modestia.
Purtroppo – e nostante gli sforzi che dedicherete alla costruzione di un solidissimo impianto logico in grado di giustificare le vostre riprovevoli azioni – il risultato è che, dopo aver eliminato Giannone Pescalonza dai vostri amici di Facebook nel giorno del suo compleanno, vi sentirete comunque delle merde terrificanti. Perché è una roba da brutte persone. È palesemente sbagliato. Anche il peggior sociopatico omicida mai vissuto riuscirebbe a capire che non si fa. È qualcosa da condannare, come condanniamo i bracconieri che bastonano in testa le foche monache o i vicini di casa che fanno baccano alle 9 della domenica mattina. Di punto in bianco, vi renderete conto dell’enormità delle vostre azioni e vi sentirete i più stronzi dell’universo. Vi domanderete anche, in preda ad atroci rimorsi, se ne sia valsa la pena. Avete un profilo Facebook più ordinato. Ma la vostra anima è diventata nera come un cormorano che sguazza in una macchia di nafta putrefatta. Avete sbagliato, ma non potete tornare indietro. Se aggiungerete di nuovo Giannone agli amici, infatti, lui se ne accorgerà… e la vostra arguta copertura andrà ufficialmente a farsi fottere. Non c’è rimedio, non ci sarà consolazione e nessuna religione sarà pronta a gestire il vostro caso e ad offrirvi un po’ di consolazione – non in tempi ragionevoli, almeno. Non vi resterà, dunque, che vagare per le strade della Terra, con la sola compagnia della vostra riprovevole malvagità e con l’assillo di un’unico, immenso quesito: ma… alla fin fine, chi stracazzo era Giannone Pescalonza?

Ben sapendo che non sarò mai in grado di accettare la storia del Giardino dell’Eden, del diluvio universale e della gente che risorge dopo il terzo giorno e poi vola in cielo con tutte le scarpe, sono comunque costretta ad ammettere che, di tanto in tanto, ci sono cose che riescono a convincermi dell’esistenza di un’entità superiore e onnipotente. Cose che alimentano e incoraggiano la mia spiritualità e il mio atavico bisogno di credere nell’invisibile.
Ecco, tra queste magiche manifestazioni del divino c’è di sicuro The Useless Web. Che voi magari lo conoscete già, ma io che vivo in una palude infestata dalle banshee non l’avevo mai visto.

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Niente. Voi andate lì e tutte le volte che schiacciate sul PLEASE rosarosa vi si apre un’assurdità meravigliosa e sommamente insensata. Siti idioti. Siti scemi. Siti che non servono a niente ma sono bellissimi. Miracoli dell’ingegno umano all’apice dell’estro e del più totale scollamento da un qualsiasi principio di funzionalità e utilità. Tanto per farvi capire, ecco cosa mi si è aperto in dieci schiacciate del PLEASE rosarosa:

http://www.wutdafuk.com/ > una distesa lampeggiante di grassi WTF a pois.

http://www.leekspin.com.au/ > una cartoncina animata giapponese che fa roteare un cipollotto.

http://www.pleaselike.com/ > potete solo fare LIKE, c’è solo quello. Un LIKE al nulla cosmico. Credo si tratti di una riflessione metafisica sulla deriva del gusto e sulla contrazione della nostra capacità di esprimere costruttivamente un’opinione. O anche solo di discernere un contenuto meritevole da una fumante pila di sterco vaccino. Ma forse sono io che penso troppo.

http://www.leduchamp.com/ > uno dei beneamati ready-made di Duchamp (la ruota di bicletta) da aggeggiare e far girare a vostro piacimento.

http://sometimesredsometimesblue.com/ > a me è uscito blu.

http://www.oppositeofpoop.com/ > una gigantesca e incontrovertibile verità.

http://ihasabucket.com/ > un tricheco con un secchio. Anzi, un tricheco felice con un secchio. Poi glielo portano via. È bellissimo.

http://chickenonaraft.com/ > un pollo su una zattera. Che vi basti.

http://r33b.net/ > L’IPNOROSPO!

http://www.toggletoggle.com/ > niente, c’è un interruttore gigante e voi potete accendere o spegnere la luce.

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E chissà quanta altra roba aspetta solo di essere scoperta! Là fuori c’è un mondo d’insensatezza che può intrattenerci. E basta, volevo solo farvi sapere che avevo trovato questa cosa. Ora potete andare a cliccare e moltiplicarvi. Ma magari fatemi sapere che cosa trovate, che la faccenda è divertente… come tutto quello che non ha un perché.

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P.S. grazie e cuoricioni a Leda per la magnifica segnalazione spappola-sinapsi.

Come forse sapete (una crostatina per voi) o come forse non sapete affatto (una crosta puzzolente di pane ammuffito per voi), gli splendidissimi di Gazduna, con coraggio e grande pazienza, hanno cominciato ad ospitare i miei sconclusionati sproloqui. Il mio primo pezzo, di gennaio, era tutto un bel polpettone sulla storia delle tute spaziali della missione Apollo. E finisce con Neil Armstrong che mette piede sulla Luna con su una roba che gli ha confezionato la Playtex, tra un reggipetto e l’altro.  Per il secondo pezzo, invece, mi hanno detto che potevo inventarmi quello che mi pareva.
MADORNALE ERRORE.
In preda al più confuso degli entusiasmi, dunque, ho avanzato alla giocosa redazione le seguenti proposte:

proposta UNO)
Una roba sulle uova di Fabergé. Che cavolo sono. Da dove vengono. Fabergé: è un posto, un tizio, un’entità vaga e astratta? A che servivano. Che significato racchiudevano nelle loro preziose profondità. Insomma, capiamoci qualcosa, delle benedette uova.

proposta DUE)
L’esegesi delle categorie di YouPorn. Da una che YouPorn non l’ha mai manco aperto. Mai, ve lo giuro, che l’alopecia possa devastare tutti i miei Minipony se non è vero.

Ecco.
Indovinate un po’ quale hanno scelto.

Tegamini pieni di lussuria.
YouPorn for dummies: tutte le zozzissime categorie raccontate da una ragazza curiosa
Parte #1
Parte #2


Parte #1, eh. Che ad un certo punto mi sono fatta trascinare dall’entusiasmo. La seconda puntata (dove incontreremo anche insospettabili femmine umane capaci di trasformarsi in prorompenti GAISERs), la potrete leggere la prossima settimana. Intanto beccatevi un mirabile preambolo e una prima – timida e garbata – sintesi di quel che ci ho capito io. Santo il cielo.

L’AGGIUNTINA DELL’11 APRILE

Ebbene, c’è anche il secondo pezzo. E proprio nel giorno in cui Sasha Grey è arrivata in Italia! Ma non è gonfissima? Che diavolo le è capitato?