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Arrivo con la consueta tempestività – così fulminea che è già uscito il seguito, La malacarne -, ma pigliatemi come sono. La malnata di Beatrice Salvioni (in libreria per Einaudi Stile Libero) è stato un esordio lavorato e comunicato assai bene e uscito in cento traduzioni praticamente all’istante.
È una storia lontana nel tempo – siamo a Monza negli anni del fascismo e dei primi slanci bellico/coloniali – ma raccontata principalmente attraverso un’amicizia sghemba
e un legame adolescenziale più forte di ogni circostanza avversa, pregiudizio provinciale e disparità socio-economiche. Francesca è figlia di una famiglia distinta – anche se meno ricca di un florido “prima” – e Maddalena, la Malnata del titolo, è figlia di una serie di disgrazie di cui viene per comodità ritenuta responsabile. Francesca è stata addestrata a diventare una signorina a modo che non produce chiacchiere e non fa fare brutta figura alla sua famiglia, mentre l’altra gira scalza in riva al Lambro e risponde a una bussola morale decisamente meno allineata ma solidissima. Diventano amiche per far esistere questo romanzo, che trotta al passo delle loro ginocchia sbucciate.

Non si sa chi addomestichi chi, ma vederle costruire un fronte di coraggio comune ne infonde anche un po’ a noi – e anche a me, che tollero poco e male le bambine magico-ribelli e le bambine timorate e obbedenti. È una dinamica che abbiamo già letto, ma il contesto circostante aiuta a renderla viva, con una manciata di personaggi che non saranno tredicimila ma riescono a ritagliarsi un senso e un po’ di cuore nell’economia generale della storia. A me non frega niente di acchiappare le lucertole o di rubare le oche, ma si tifa sempre per chi ci vede meglio di noi e la paura ce la fa dimenticare almeno per un po’ – anche se quella di crescere resta. 

Allora, Vetro ha la maiuscola perché – purtroppo – è un personaggio. Un po’ di altre questioni rilevanti sul nuovo romanzo di Nicoletta Verna le trovate nel magistrale diario di bordo messo insieme durante il giro a Castrocaro che ho avuto la gioia di fare con l’autrice a ridosso dell’uscita del libro. Perché lì? Perché a Castrocaro ci sono le radici di Nicoletta e perché è il posto dove succede (quasi) tutto. Dal Campanone alla Fortezza, ecco qua I giorni di Vetro. Se amate le storie di famiglia, di “paese” e le storie di Resistenza – ma vi va anche di immergervi in sprazzi di un romagnolo DEFINITIVO e splendido da leggere – lasciatevi ipnotizzare. Grazie ancora a Einaudi per l’invito e grazie a Nicoletta per aver trovato il modo di scrivere una storia così importante, capace di mostrarci cos’è stata – e cosa speriamo non sia mai più – la violenza del Ventennio, della guerra, delle comunità che si disgregano e delle tante vergogne che segnano la nostra storia.

 

 

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Un post condiviso da Francesca Crescentini (@tegamini)