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Appunti da un’Apocalisse

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Dev’essere confortante avere la capacità di analizzare in un libro – e di razionalizzare, in un certo senso – un terrore personale reso onnipresente dal contesto informativo in cui siamo inseriti. Ecco, Mark O’Connell – già transitato per questi lidi con Essere una macchina – per un certo periodo si è ritrovato a gestire un’ossessione soverchiante per la fine del mondo… intesa come multiforme apocalisse che mescola molti aspetti diversi, dalla degenerazione climatico-ambientale al collasso della civiltà.

Associamo tradizionalmente l’idea di Apocalisse a un grande e plateale evento traumatico di portata definitiva e irrevocabile, ma O’Connell ce la presenta come una condizione di graduale disgregazione e deterioramento di quello che ci circonda, sia dal punto di vista del nostro “habitat” che della nostra cultura, dei nostri legami e delle nostre speranze per il futuro.
È come se avessimo spesso di immaginare il domani con l’ottimismo con lui le grandi “ere del progresso” ci hanno abituato a concepire la nostra sorte. Il domani è gradualmente diventato sempre più fosco, insomma. E ci viviamo dentro, già ora, con limitate capacità (o volontà) di arginare l’arginabile.

Per cercare di inquadrare meglio quest’ansia da fine dei tempi, in Appunti da un’Apocalisse O’Connell ha fatto i bagagli e ha visitato una serie di luoghi emblematici che trasportano nel mondo tangibile la nostra paura della catastrofe. Alcuni sono posti “preparatori”, altri sono posti in cui la catastrofe è già accaduta. È un viaggio personale, ma anche un itinerario che attraversa un ventaglio di subculture e fenomeni socio-economici collettivi.

Dai bunker di lusso in South Dakota ai miliardari della Silicon Valley che si comprano pezzi interi di Nuova Zelanda (o di Terra di Mezzo?) fino ai tour guidati nella Zona di Alienazione di Pripjat’ – passando per una conferenza sulla colonizzazione marziana – O’Connell vaga riflettendo sul tempo che ci resta e su una grande scelta finale: a sopravvivere sarà l’individuo con i mezzi per isolarsi e tenere fuori il resto del mondo o sarà l’essere umano come membro di una comunità da ricostruire – insieme?