
Qui siamo nelle profondità di un WTF di notevoli proporzioni, ma a Li Kotomi bisogna riconoscere l’impegno: con Se vuoi nascere o no – in libreria per Mondadori con la traduzione di Anna Specchio – fa più burocrazia che filosofia, ma forse ci va anche bene così.
Dove siamo? In un Giappone coi taxi volanti a guida autonoma e i camerieri robot, in un futuro che ha superato discriminazioni di genere e/o orientamento e ha introdotto una regolamentazione piuttosto peculiare della gravidanza: ogni feto, nell’ultimo trimestre di gestazione, deve far sapere alla famiglia se intende o meno venire al mondo e la decisione deve per legge essere assecondata.
Tutta questa faccenda del consenso del feto alla nascita si basa sulla fantomatica scoperta di un linguaggio primordial-basilare che rende possibile la comunicazione e viene anche influenzata da un Indice di Difficoltà di Sopravvivenza che tiene conto della condizione specifica della famiglia ma anche delle asperità planetarie contingenti. Vuoi costringere a nascere un feto che ha deciso di evitarlo? Ti mettiamo in galera. Non pensi che il feto abbia gli strumenti per immaginare la sua vita futura e per decidere in maniera informata? Forse hai ragione, ma comunque devi obbedire – o camperai con uno stigma eterno.
Per aiutarci a sviscerare la situazione e a vederla da diverse angolazioni, Kotomi popola la storia di “casi” emblematici e il nostro punto di vista centrale è quello di una coppia di donne che aspettano una bambina, desideratissima e ci si augura anche propensa a nascere. C’è chi si oppone (anche con violenza) al sistema delle Nascite Consensuali, ma la società in blocco pare trovarlo civilissimo: è un diritto, da contrapporre a un passato governato dall’egoismo e dall’arbitrio genitoriale. Con che coraggio si potrebbe condannare alla vita un feto che dice NO? Sarebbe un’esistenza ritenuta automaticamente grama e ingiusta e quale famiglia vorrebbe macchiarsi di una prepotenza così crudele? Non è meglio rinunciare a nascere, se ci si rende conto che campare potrebbe rivelarsi semplicemente TROPPO difficile?
Il dilemma è affascinante e Kotomi produce abbondanti puntelli “pratici” e spiegotti procedurali per convincerci a riflettere insieme a lei, ma quel che succede è più che altro un giocone delle parti: c’è un impianto argomentativo per i pro e uno per i contro e ogni conversazione o dilemma interiore ruota sempre attorno ai medesimi punti. E parlano, in sintesi, solo di quello. Non c’è altro nel mondo, pare. Certo, da una coppia in attesa ci si aspetta una forte focalizzazione su quel tema lì, ma è un po’ bizzarro lo stesso. Sono personaggi o sono funzioni? Sono funzioni che esemplificano una posizione. Se vi va di pensarci su con loro è comunque un esercizio speculativo matto abbastanza da lasciarsi esplorare con interesse.
