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Sarebbe stupendo se James Gunn decidesse di trasformare 24/7 di Nova in un lungometraggio estremamente splatter. A beneficio vostro (e dei potenziali registi all’ascolto) posso riassumere la questione così: MUTANTI IN UN SUPERMERCATO ERMETICAMENTE CHIUSO!!!1!!1!111

Che cosa succede quando nelle propaggini desolate di un tessuto urbano fatto più di vuoti che di pieni il germe del mostruoso si intrufola in un luogo “normale”, neutro e nato per apparirci convincente e rassicurante? Il supermercato aperto 24/7 è l’emblema della comodità: la merce è sempre a nostra disposizione per soddisfare sia le nostre necessità fisiologiche che il nostro gusto per il superfluo – e i nostri bisogni di compensazione. È il punto di riferimento perennemente a portata di mano, in un paesaggio dove le rovine e l’abbandono rispecchiano l’incuria e il disordine che nascondiamo tirando a campare.

Dante, recentemente scaricato dalla fidanzata, inizia a lavorare al supermercato senza chissà quali aspirazioni. Anzi, il far parte di un grande ingranaggio – in qualità di anonima rotella – è quasi un fattore rassicurante, una garanzia di impegno relativo. Attorno a lui sciamano clienti più o meno rompicoglioni, da assecondare e tollerare per garantire al negozio un solido futuro di simulata affidabilità. La trasformazione mostruosa che subiranno successivamente – il veicolo del “contagio” è un carico di pomodori venuti a contatto con un misterioso liquame – sembra addirittura un miglioramento: da zombie mutanti sono senz’altro più vitali, per quanto guidati da un cieco istinto che poco asseconda le convenzioni del quieto vivere collettivo. È come se, nel mutare, il popolo del supermercato manifestasse la sua versione “potenziata”, la farfalla mannara che aspettava di uscire dal bozzolo.

Chi sopravviverà a questa mini-apocalisse, circoscritta dalle saracinesche rotte di un supermercato? Può esserci riscatto anche per l’ultimo degli ingranaggi? Con un tratto che si appuntisce e velocizza con il montare del terrore collettivo, Nova ci racconta che quello di cui forse dovremmo avere davvero paura è l’involucro rassicurante del visibile, della “corazza” di cose che usiamo per foderarci mentre diventiamo sempre meno capaci di spiegarci, avvicinarci, sentire. Il corpo diventa mostro ma, in quello spiraglio di caos che libera, riesce a defibrillare i cuori rassegnati a cristallizzarsi in un tran-tran quotidiano che è la vera terra dei mostri. E lì già ci abitiamo.

Un consiglio, ragazzo.
Impara dove si trova la roba.
Imparalo subito, te lo chiederanno in continuazione.
E poi, buon Dio, vedrai, non la troveranno. Gliela devi trovare tu.
Di base sanno che sei qui per servirli, quindi saranno ostili. Fondamentalmente maleducati, direi. È la natura.
Ma, come ben sai, hanno sempre – sempre – sempre ragione.

Nova riesce sempre a trascinarmi in un angolo buio che allo stesso tempo mi atterrisce e mi fa anche divertire moltissimo. I suoi sono eroi riluttanti, guazzabugli di dubbi, casini, inconcludenza e disastri generazionali (che ben so riconoscere, mio malgrado). Ha un occhio splendido per il dettaglio e per una catalogazione quasi da naturalista delle tribù umane più disparate – qua delineate anche a partire da quello che tiriamo fuori dal carrello e ammucchiamo sul nastro della cassa. Da Orietta Berti ai sacchi dell’umido che si decompongono in casa nostra, Nova usa il grottesco, l’esagerato e il margine del presente per descrivere tanto del vuoto che percepiamo e che non sappiamo nominare.

[24/7 è il secondo fumetto di Nova per Bao. Del suo esordio, Stelle o sparo, avevo già parlato nella listona delle mie letture preferite del 2020.]

The Making of Zombie Wars di Aleksandar Hemonda poco uscito per Einaudi nei Supercoralli (nella sicuramente fantastica traduzione di Maurizia Balmelli) – è un vero casino. Ma in senso buono.
Leggendo Hemon si ha spesso la sensazione di aver scovato uno scrittore capace di tutto. E, raggiunta la fine dell’ennesimo libro assolutamente spiazzante che ha deciso di farti leggere, ti accorgi che è proprio vero. Per dire, con Hemon ho iniziato dal Progetto Lazarus – la storia di un diciannovenne ebreo che fugge dai pogrom dell’Europa orientale, si rifugia in America e finisce ammazzato dalla polizia di Chicago nel 1908 – e sono arrivata qui, in mezzo alle sceneggiature sbocconcellate di Joshua Levin, trentenne disastrato che passa le giornate a trovare una buona scusa per non finire mai i centosei copioni cinematografici che ha cominciato. Tra queste storie all’apparenza disparatissime c’è all’incirca l’intero spettro del sentimento umano, al quale appartiene – di diritto – anche il gusto per il grottesco.
Questo libro, in pratica, è popolato da scherzi della natura.

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Joshua è la sfiga in persona, ma è solo il primo essere umano discutibile che Hemon ci presenta. Joshua abita in una specie di tana post-adolescenziale piena di mutande sporche e stratificazioni millenarie di piatti. Il suo padrone (e vicino) di casa, Stagger, è un ex-marine completamente rincoglionito e ricoperto di tatuaggi che se ne va in giro mezzo nudo con una katana e delle strane treccine. Non si sa come, ma Joshua ha una fidanzata così in gamba da destare qualche sospetto. Kimiko, una che fa la psicologa infantile e abita in un appartamento quasi asettico con un gatto bellissimo e molto ben accudito – ma ha i cassetti pieni di manette e anelli vibranti. Poi, all’improvviso, ci ritroviamo a una festa di bosniaci, in un appartamento pieno di uomini giganteschi che infieriscono sulla propria cena con una mannaia e giovani un po’ disperati che provano a tradurre in inglese storielle che, se estrapolate dal loro contesto, non hanno la minima speranza di far ridere.
Joshua prova a scrivere, si innamora ripetutamente – riuscendo pure a scopare -, rimane coinvolto in episodi violentissimi – con tanto di ossa rotte e maltrattamenti sugli animali -, ordina bicchieri di vino in posti dove non sarebbe saggio farlo, si fuma dei tromboni lunghi così, venera Spinoza, rischia ripetutamente di pisciarsi addosso e tenta di gestire i drammi che si abbattono a ripetizione sulla sua famiglia d’origine. Ogni episodio della vita di Joshua, anche il più insignificante, diventa lo spunto per un nuovo soggetto cinematografico – e per quattro righe di sinossi che vi faranno immancabilmente ridere molto. Mentre le assurdità lo perseguitano – quasi sempre giustamente -, Joshua comincia la stesura di Zombie Wars, un polpettone apocalittico che, col progredire della narrazione, diventa quasi più plausibile della quotidianità surreale e devastante del nostro deprecabile protagonista. Gli zombie, come nella migliore tradizione, non sono semplici zombie, ma l’unico specchio capace di riflettere con sincerità le deformità del mondo che abitiamo.
Insomma.

Volete godervi in santa pace il momento-comico di Hemon?
Leggete Zombie Wars così com’è.

Volete constatare, ancora una volta, che l’universo è indifferente ai nostri sforzi e che, anzi, la nostra presenza lo rende un posto leggermente peggiore?
Leggete Zombie Wars come se gli zombie fossero già arrivati. O come, magari, vi spiega lo stesso Hemon in questa bellissima intervista
.

Comunque andrà, sarà un disastro. Ma sempre in senso buono.