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Witte de Withstraat

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Visto che i 25 gradi e passa dell’Italia a cavallo tra aprile e maggio ci facevano un po’ schifo (MA FIGURIAMOCI), abbiamo deciso di fare i bagagli per trascorrere il ponte in Olanda. Memori di un piacevole viaggio primaverile di Amore del Cuore, abbiamo prenotato con una fiducia climatica senza precedenti, convincendoci di poter finire allegramente a bere birrette in una qualche chiatta ormeggiata in mezzo a un canale, accarezzati da un placido tepore.
Ecco, non è andata precisamente così.
Ma il viaggio è stato comunque un successo.

In questo post ho cercato di catalogare un po’ di cose belle che abbiamo visto e visitato, senza dimenticare i posti in cui abbiamo speso dei soldi o mangiato e bevuto molto bene. Penso che la “guida” più utile e meno lacunosa sarà quella di Rotterdam, perché il nostro è stato un ritorno ad Amsterdam e non una prima visita completa di mete e tappe previste dal canone del visitatore-modello. Per farvi capire lo spirito, non troverete il museo di Van Gogh. Ma negozi minuscoli che vendono timbri artigianali di ogni foggia, forma e dimensione sì.
Ciò detto, possiamo procedere con la serenità di un diciottenne appena uscito da un coffee-shop.

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ROTTERDAM

A Rotterdam ci siamo finiti perché nel 2017 sono andata a vedere la notte degli Oscar all’nHow di Milano, un super hotel di design in via Tortona. Il progetto comprendeva un gioco-aperitivo a squadre in cui bisognava disegnare su una lavagna il titolo di numerosi film difficilissimi, sperando di riuscire a farli indovinare al proprio compagno d’avventura. Niente, io e la Francesca abbiamo vinto. E ci hanno regalato un soggiorno di due notti in un altro nHow europeo. La Francesca ha scelto Berlino – visto che non ci era mai stata – e io ho optato per Rotterdam – un po’ per la medesima ragione, ma sapendone molto meno.
Un gran culo, insomma. Anche perché, in tutta sincerità, non è che Rotterdam sia proprio una meta battutissima. Non so voi, ma io non conosco nessuno che sogna da una vita di andare a Rotterdam. È una di quelle destinazioni che gli amici e i conoscenti – se non fanno gli architetti, i grafici o i designer – commentano con scarsissimo entusiasmo.
“Bene, il 28 partiamo per Tokyo”.
ODDIO BELLISSIMO COME TI INVIDIO.
“Il 28 andiamo a Rotterdam”.
…ah. Bè, dai. Buon viaggio.
Così.
Ebbene, non sapevamo cosa aspettarci, ma siamo rimasti piacevolmente sorpresi. Rotterdam è un posto bizzarro, una specie di esperimento urbanistico-creativo fondamentalmente partito da zero, visto che la città è stata completamente distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Non c’è nulla di “vecchio” sul serio… ed è un aspetto piuttosto scioccante, sulle prime. Mentre ci si sposta per la città si percepisce chiaramente che tantissime soluzioni viabilistiche sono state pensate per massimizzare la funzionalità e la vivibilità generale. Dalle costruzioni, invece, si capisce bene che nella seconda metà del Novecento – in momenti più o meno recenti – qualcuno ha preso un architetto (spesso celeberrimo) e gli ha detto “carissimo, qua ci serve un mercato coperto. E qua un ponte, magari. Fai un po’ quello che ti pare”. Il risultato è un ibrido tra un parco giochi progettuale e la ferrea razionalità nordica, attenta alla valenza “pubblica” dello spazio. Di tanto in tanto ti sembra di passeggiare in una scena di Gattaca – film meraviglioso, vedetevelo se vi manca – o su e giù per Capitol City, ma poi giri l’angolo e c’è uno gnomo alto quattro metri che regge fieramente un butt-plug (anche se in origine si voleva rappresentare un albero). Insomma, strano è strano. Ma il fascino dell’insieme è innegabile.

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Eccomi intenta a magnificare la skyline con la grazia di una lavoratrice portuale.

Comunque, procediamo con ordine.

Albergo

Abbiamo dimorato all’nHow sulla penisolotta di Wilhelmina, con vista sul fiume e sull’Erasmus Bridge (una struttura mastodontica che ricorda vagamente la forma di un cigno). L’albergo è all’interno del De Rotterdam, un complesso di grattacieli progettato da Rem Koolhaas per regalare, di fatto, un consistente pezzo di skyline alla città. Che vi devo dire, l’hotel è innegabilmente bellissimo. La nostra stanza era al quindicesimo piano, sul lato fluvial-pontesco, lo stesso del bar e del ristorante – qualche piano più sotto. Nell’unica serata non falciata dalle intemperie siamo andati a berci un gin tonic della buonanotte sulla terrazza, godendo come ippopotami. A parte il panorama e l’oggettiva gloria delle stanze, un altro fattore di indubbia utilità è la metropolitana a venti metri (soprattutto perché l’albergo è in una zona di uffici, scenograficissima ma non particolarmente viva).

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Un illustre esempio di “Amore del Cuore, fammi una foto”. Magari con una visuale decente sull’Erasmus Bridge, visto che abbiamo questa assurda camera panoramica. E il risultato è questo. Si scorge distintamente il cestino della spazzatura (molto di design, per carità), ma il ponte è una roba nebulosa ed evanescente.
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Questa sarà la mia reference per tutti quegli agenti immobiliari che vogliono venderti una casa perché è LUMINOSISSIMA. Ecco, questa è luminosità, cari agenti immobiliari.
Menzione d’onore per i copy dell’NHow. Ogni accessorio cartaceo della stanza era super arguto.

Cose da vedere

Rotterdam si gira molto bene. Abbiamo camminato parecchio – perché sì, se devi esplorare un’area è meglio fare così – ma la metro è super efficiente. Dovete prendervi la tessera (il principio è un po’ quello della Oyster Card di Londra) e ricaricarla man mano o farvi il giornaliero e ciao. Grazie a un’imprevedibile iniziativa di Amore del Cuore, poi, abbiamo anche scoperto di poter usufruire del Mobike e, quando non diluviava, ci siamo spostati pedalando. Le ciclabili sono OVUNQUE. I ciclisti di Rotterdam saranno tutti più rapidi di voi (anche perché riuscire a far muovere una Mobike è uno sforzo titanico), ma state belli sulla destra e sbattetevene. Cioè, non fate come me, che ad ogni sorpasso gridavo roba tipo BRAVO BRAVO VAI COMPLIMENTONI CHI SEI BUGNO VIENI TE A SPINGERE QUESTA SPECIE DI INCUDINE A FORMA DI BICICLETTA SE TI CREDI TANTO FAUSTO COPPI. Mi sono arresa quando sono stata superata in salita da un quindicenne che trasportava la fidanzatina sulla canna, limonando.

Ma lasciamo stare.

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Le Case Cubiche

Progettate da Piet Blom all’inizio degli anni Ottanta, le Case Cubiche sono una sorta di folle complesso geometrico che ricorda un po’ – almeno nelle intenzioni dell’architetto olandese – un boschetto. Ci siamo arrivati passando per il vecchio porto (l’Oudehaven) e per il Museo Marittimo e, purtroppo, non abbiamo fatto in tempo a vedere un cubo dall’interno. Le case sono tutte abitate da veri esseri umani (non chiedetemi come) e una è un micro-museo aperto al pubblico.
In generale, ricordate SEMPRE di controllare gli orari, se volete fare qualcosa e avete poco tempo. I negozi chiudono molto presto (tra le 17 e le 18, in prevalenza), così come le cucine di molti ristoranti e luoghi d’interesse. E le domeniche sono spesso santificate con le serrande abbassate.
Ma torniamo ai cubi e ai loro dintorni.
Sempre affacciata sull’ameno porticciolo c’è anche la Witte Huis. Il palazzo, costruito nel 1898, è uno dei pochissimi edifici “storici” rimasti in piedi a Rotterdam dopo la guerra e anche il primo “grattacielo” d’Europa. Va bene, son dieci piani, ma ai tempi erano da considerarsi assai ragguardevoli.

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Markthal

Ci ritorneremo nel pezzettino dedicato al nutrimento, ma il mercato coperto è da vedere anche se non avete fame. Markthal è una specie di gigantesca food-court protetta da una cupola panettonesca interamente ricoperta di titaniche decorazioni mangerecce. Immensi lamponi. Pesci grossi come macchine. Mastodontiche pannocchie. Non sono riuscita a contare i banchi e le proposte gastronomiche, ma c’è di tutto – dal pesce fresco alle caffetterie, dalle pasticcerie specializzate in ciambelle ai venditori di spezie orientaleggianti. Praticamente ogni banco può darvi moltissime cibarie da consumare gironzolando e alcuni hanno anche dei tavoli con camerieri e servizio “da ristorante”. Noi, ovviamente, abbiamo optato per l’alternativa ristorante perché io ho il culo pesantissimo e non so mangiare in piedi. Volevamo pranzare da Jamie Oliver, ma quando ci siamo accorti che era il locale a tema pasta siamo scappati a gambe levate. Non ci fidiamo della tua pasta, Jamie!

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Witte de Withstraat

Dunque, se voglio andare da Zara e da H&M sto in Corso Vittorio Emanuele, non mi spingo fino a Rotterdam. Ma vagando un po’ per Linjbaan (se scendete a Beurs in pratica finirete in un gigantesco mall a cielo aperto, tutto pedonale) si possono trovare anche negozi di brand “locali” e cose belle che da noi non ci sono. La strada della gioia vera, però, è Witte de Withstraat. A parte la concentrazione favolosa di ristoranti e bar (perlopiù stupendi), troverete anche murales bellissimi, un canale di rara poesia e diversi valenti negozietti. Tra libagioni e shopping ci abbiamo lasciato un capitale – ma ci torneremo dopo.

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L’artista mi ha poi confermato su Instagram che la proposta matrimoniale è andata a buon fine.

Gitine: Delft

Avevamo in programma spedizioni di ogni tipo, ma il clima avverso ci ha un po’ azzoppati. La prospettiva di visitare dei gioiosi mulini campestri con la tramontana a 240 all’ora non ci è sembrata allettantissima, ma a Delft ci siamo andati. Il bello delle ferrovie olandesi è che somigliano di più alla metropolitana che a delle ferrovie. Siamo sempre andati in stazione a caso, trovando immancabilmente un treno che poteva tornarci utile nei dieci minuti successivi. Fate attenzione a dove vi sedete, perché ci sono i vagoni SILENCE dove non potete manco starnutire senza che un signore olandese vi rimproveri con pacata inflessibilità. Per il resto, efficienza e comodità.
Delft – a una ventina di minuti di treno da Rotterdam – è la ridente cittadina che ha dato i natali al sommo Vermeer e che, tanto per non farsi mancare nulla, ha pure rifornito il mondo di piastrelle blu. I ceramisti olandesi si ispiravano, inizialmente, alle maioliche italiane e spagnole, ma hanno poi finito per adottare uno stile decorativo più simile a quello cinese – colmando una lacuna lasciata da  una sorta di tracollo delle esportazioni orientali -, anche se i temi paesaggistici erano olandesissimi e il colore base (il blu di Delft, proprio) le rendeva immediatamente riconoscibili.
Il centro di Delft si può raggiungere comodamente a piedi dalla stazione. Gironzolate nei dintorni della piazza principale (assai piacevole a vedersi) per non soccombere ai negozi di souvenir più paccottigliosi e godetevi bene l’adorabile canale su cui si affaccia il Vermeer Centrum (non l’abbiamo visitato perché non ci sembrava sensatissimo passare del tempo in una galleria piena di riproduzioni e basta, anche se l’approfondimento sull’esistenza dell’artista pareva intrigante). Vermeer a parte, in quel canale lì c’erano mille papere nere come la pece che costruivano il nido con rametti, ninfee e altre robe umide… e mi sono commossa molto. Che vi devo dire, le papere che nidificano mi fanno tenerezza. Coi paperotti piccoli perdo direttamente il senno.
Se volete regalarvi un paio di pattini olandesi di legno – che magari vi ghiaccia il canale davanti a casa, non si sa mai – o una piastrella del Seicento, fate un giro da Koos Rozenburg (Markt 2).

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Nutrirsi e abbeverarsi

Noi abbiamo mangiato in questi luoghini qui. E ci è andata bene.

Supermercado

Consiglio generale: fate su e giù per Witte de Withstraat e sicuramente troverete di che alimentarvi. E posti molto belli dove trascorrere il dopocena. La prima sera siamo andati a mangiare in questo ristorante messicano assai animato – scovato grazie alle meravigliose Vitasumarte – e, nonostante l’assenza del benamato burrito nel menu, abbiamo trovato di che consolarci. I cocktail sono ottimi e vi consiglio spassionatamente TUTTI i tacos.

Bazar

Eravamo usciti con l’idea di provare i decantatissimi hamburger di Ter Marsch & Co. ma, complice il diluvio universale e l’orario lievemente tardo per gli standard olandesi, la cucina era già chiusa. Ormai rassegnati al digiuno e all’inedia, siamo tornati sui nostri passi, nella speranza di imbatterci in qualcosa di aperto (e di operativo). E siamo finiti da Bazar, un hotel turcheggiante con annesso ristorante che sembrava decisamente troppo zarro per essere così buono, nonostante fosse in cima alla lista di consigli di un’antichissima amica dell’internet che vive a Rotterdam ormai da un po’. Ebbene, LA GIOIA. Ho ordinato il couscous di pesce e mi è arrivato uno spiedino formato famiglia di tonno e gamberi in uno scodellone pieno di frutta secca e verdure arrosto. Tredici euro. Prendete anche l’antipasto – noi abbiamo fatto un misto, ma col senno di poi ordinerei anche solo un vagone di sigara böregi, i rotoloni grissinosi di sfoglia (tipo) con la feta e la menta. Cibo a parte, il posto è molto colorato e scenografico, pieno di lanterne meravigliose che penzolano da tutte la parti.

Markthal – Bab Tuma

Per godere a pieno dell’esperienza-Markthal dovreste mangiare qualcosa a ogni banco. Noi, dubitando della capienza dei nostri stomaci, abbiamo optato per un approccio più modesto e siamo andati a sederci al Bab Tuma, chiosco-ristorante di cucina mediorientale. C’è un po’ di tutto, ma la specialità sono le “pizze” manakish, preparate al momento. Io ho ordinato quella classica con la carne trita speziata e ho gradito molto. Pecca non indifferente, il servizio è di una lentezza esasperante e Amore del Cuore ha dovuto aspettare cent’anni per un wrap coi gamberoni, che è giunto quando ormai io avevo finito di mangiare. Insomma, se ci andate vi conviene perseguitare il cameriere con una certa risolutezza.

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Accogliere l’arrivo della birra con evidente sollievo e soddisfazione.

Ballroom

Tra gli undicimila bar di Witte de Withstraat c’è anche il Ballroom, che ha conquistato i nostri favori grazie alla spiccata specializzazione in gin tonic. Il posto è super piacevole a vedersi e le varietà di gin “in catalogo” sono più di 160. È uno di quei bar che ti consentono di assemblare il tuo cocktail con una specie di articolatissimo processo consulenziale, perché non esiste solo il Gordon del supermercato da mescolare con la SCIUEPPS – là fuori c’è tutto un mondo di gin e di toniche che non vedono l’ora di finire insieme in un bicchiere.

Per una cena e/o un dopocena panoramico mi avevano anche consigliato l’Hotel New York, poco distante dal nostro albergo. Disponendo però di un albergo già molto panoramico, non ci siamo andati. E abbiamo sempre concluso la serata bevendo qualcosa lì al bar dell’NHow. Se il cielo è limpido e il clima terso e mite, vi consiglio caldamente di andarci. Il bar è aperto al pubblico nel weekend, quindi date un occhio agli orari sul sito e godetevi la vista sull’Erasmus Bridge e gli ottimi cocktail.

Spendere dei soldi

Il mio approccio allo shopping in viaggio si può riassumere così: se proprio devo sfidare la policy-bagagli di una compagnia low-cost, voglio che ne valga la pena. Voglio tornare a casa con qualcosa che mi ricorderò per secoli e che non avrei trovato altrove. Il che si traduce più o meno in VISITIAMO TUTTI I NEGOZIETTI POSSIBILI E FREGHIAMOCENE DEL RESTO. STRAMBERIA! ROBA AUTOCTONA!
Ecco.
Ciò detto, ecco qualche posticino interessante per peggiorare l’estratto conto – dopo aver rigorosamente verificato gli orari di apertura, non mi stancherò mai di dirlo.

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Wolff Blitz

Un brand di Rotterdam specializzato in camicie, t-shirt e polo dalle stampe pazze. Più indumenti da uomo che da donna, ma fa niente. Amore del Cuore – l’uomo più basic del mondo in fatto di abbigliamento – si è inspiegabilmente comprato una camicia surreale piena di piume di pavone e una maglietta tempestata di tigri e tucani che sono certa gli frutterebbe un posto da cubista in un qualunque locale della riviera romagnola. Shopping coniugale a parte, le fantasie sono veramente molto scenografiche.

Collectiv by Swan

Un concept-store – mi fido della loro definizione perché non ho ancora ben capito che cosa sia un concept-store – che raduna una miriade di piccoli e grandi marchi artigianali, con incursioni nel design, nel vintage e nell’arredamento per la casa. C’è di tutto: gioielli minimalisti, turbanti, tappeti fucsia di pecora, coprispalle tribali pieni di piume, tutine per neonati, borsettine con le nappe, tappeti, roba a forma di lama. Siamo stati nel negozio e siamo passati anche al loro mercatino-fiera in un parco assai verdeggiante e ameno. Se vi capita, dunque, date un occhiata anche agli eventi in programma, che finire al mercatino è bene.

Episode

Una catena più o meno nordeuropea di negozi dell’usato a dir poco eclettici. Si possono trovare uniformi scolastiche da studentessa giapponese, magliette da ciclismo degli anni Novanta, abiti da sera, tute da lavoro, cappelli a cilindro, maglioni da spaccalegna e montagne di Converse. C’è ovviamente anche una vasta selezione di vestiti “portabili”, che mi sono però premurata di ignorare acquistando due kimono di seta purissima a 35€ e un kilt made in Scozia assolutamente PERFETTO a 25€.
C’è un Episode anche ad Amsterdam, ma è infernale. Questo di Rotterdam è grande e carico di roba, ma molto più vivibile e ordinato.

Library of Spirits

Comprarvi una rara boccia di tequila da dover poi buttare nel cassone dei liquidi prima dei controlli di sicurezza non è saggio, ma la Library of Spirits è comunque una meraviglia visiva dal raro potere inebriante. Ci sono pure le scalette per raggiungere gli scaffali più alti.

Unc.

Vellutini rosa, vellutini rosa e felci che escono dalle fottute pareti. Un negozio che riscatta l’area “Corso Vittorio Emanuele” con una bella selezione di indumenti frufru, tantissimi gioiellini di design, aggraziata paccottiglia per la casa e piccoli brand emergenti.

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Qui anche un breve elenco di negozietti handmade che mi sono garbati durante il giretto per Witte e allo Swan Market – hanno tutti uno store online, quindi penso valga la pena segnalarli: Yourfashionfinds, Yourfashionsecret, Dearhunter, Jessica Halmshaw, Blash, Handmadeinterior, Froezel.

Grande quesito che resterà forse per sempre senza risposta: ma dove diamine sono le librerie, in questa città?

***

AMSTERDAM

Come accennavo, il giro delle attrazioni “obbligatorie” di Amsterdam ce lo siamo già fatto in un gelido ponte dell’Immacolata di qualche anno fa. Ci siamo dunque concessi il lusso di prendercela con calma, passeggiando come gioiosi pecoroni e cercando di scovare quello che ci mancava o che, in un primo viaggio, verrebbe di solito tralasciato. Il clima infausto, purtroppo, non ci ha permesso di noleggiare una bici e velocizzare gli spostamenti, ma ci siamo comunque ben difesi. Non farò in questo caso menzione dell’albergo, perché la nostra stanza sembrava il vagone di un Intercity e il getto della doccia puntava praticamente sulla tazza del cesso – che era pure altissimo. Sono almeno due decadi che non mi capita di sedermi sul water e di non toccare terra coi piedi. Per riassumere, diciamo che passare da una stanza dell’NHow a quella spelonca progettata dall’inventore del Tetris non è stato precisamente indolore, ma ho cercato di ritrovare dentro di me la capacità di adattamento dei ventidue anni e sono sopravvissuta, arrivando alla conclusione che devo buttarmi pesantemente sul travel blogging perché sono una signora e non voglio ritrovarmi mai più in un luogo del genere.
Ma veniamo a noi.

Giretti

Ci siamo concentrati prevalentemente sulla zona delle Nove Stradine (De Negen Straatjes) e sul quartiere di De Pijp, soffermandoci un po’ anche al mercato galleggiante perché mi sentivo in dovere di comprare una sporta di bulbi di tulipano per MADRE, che in campagna ha un sacco di posto per ospitare vegetali ornamentali di ogni genere. Siamo arrivati col treno da Rotterdam nel primo pomeriggio, ci siamo liberati della zavorra della valigia e GAMBE IN SPALLA. Ora, a Rotterdam ho percepito una civiltà ciclistica molto spiccata. Amsterdam è un po’ un’altra roba, soprattutto nelle aree che vengono percepite come pedonali anche se pedonali non sono. In estrema sintesi, abbiamo rischiato la vita in corrispondenza di ogni ponte. Due volte. Perché per ogni ponte ci sono due incroci. Ad un certo punto c’è quasi stato anche un maxi-tamponamento tra quattordici ciclisti che provenivano dalle direzioni più disparate, mentre i turisti scavalcavano le ringhiere per salvarsi la vita con un carpiato nel canale. Altro problema, i ciclisti sono supersonici e assai irascibili. Ma direi che tutti possiamo farcela rammentando quello che ci hanno insegnato da piccoli su come si fa ad attraversare la strada.
Ecco un piccolo elenco di luoghi valenti.

Le Nove Stradine

Un reticolo di viuzze e case tra il bello e il bellissimo, all’intersezione tra i tre principali canali della città e i loro baby-canali di competenza. Ci sono moltissimi negozietti di brand indipendenti, posti coccoso-hipster dove rifocillarsi e imperdibili occasioni-Instagram (i residenti dell’area sembrano fermamente intenzionati a farci vergognare delle nostre abitazioni, sventolandoci in faccia l’avvenenza delle loro dimore).

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Van Loon Museum

Nel 1602, Willem van Loon fondò – insieme ad altri assennati gentiluomini – la Compagnia delle Indie Orientali. Nel 1884, un erede del buon Willem acquistò la casa per il figlio, come regalo di matrimonio. Ora è un museo aperto al pubblico, compresi il giardino, le stalle e i locali di servizio. Ogni stanza è una specie di parco giochi decorativo, con temi precisi e motivi ornamentali super coordinati. La scala che porta al piano superiore vale la visita. E ci si può anche fermare a bere un caffè, per illudersi di essere molto ricchi.
Che cosa ne ricaviamo?
Fondare la Compagnia delle Indie Orientali – senza utilizzare nemmeno una volta il termine “start-up”: ottima idea.

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De Pijp

De Pijp, in teoria, è il “nuovo” quartiere interessante. Quando siamo passati noi c’era un gigantesco mercato dove si poteva trovare un po’ di tutto – dalle stoffe più o meno esotiche alla verdura – e, a parte lo shopping da bancarella, c’è un’area pedonale assai piacente con tanti locali e negozi da esplorare. Non ci sono canali scenografici e le costruzioni sono decisamente più moderne (quindi niente casine serratissime con le facciate inclinate in avanti di 23° e la carrucola sotto lo spiovente del tetto per tirare su i carichi che non passerebbero dalle scale), ma ne vale la pena.
Se è il vostro genere, nelle vicinanze c’è anche la fabbrica dell’Heineken. Noi non ci siamo andati, ma a giudicare dalla fila vi conviene prenotare la visita. O almeno comprarvi il biglietto preventivamente.

Cibarie e beveraggi

Un posto dove vi conviene andare muniti di un po’ di soldi, due posti caratteristici, un posto da giovani YEAH che mangiano gli hamburger sofisticati – fingendo però di essere super alla mano.

Lucius

Siamo tornati a cenare nel ristorante un po’ serio che avevamo scoperto durante il nostro primo giro ad Amsterdam. Si mangia pesce, in tutte le sue accezioni – tranne la pasta. Perché la pasta è roba nostra, loro lo sanno e manco ci provano. Se siete particolarmente ricchi, buttatevi sul piattone dei crudi e dei crostacei, che è abbastanza la vita. Se il vostro potere d’acquisto è meno poderoso, ci sono dei valenti menu che vi permetteranno di assaggiare antipasti e secondi – riempiendovi ragionevolmente la pancia. Caro è caro, bisogna dirlo. Non fate come noi, andateci quando vi sentite poco braccini e godetevelo a pieno.
Bonus track piuttosto surreale: avvistamento di Pierferdinando Casini con la sua fidanzata, una gnocca siderale.
Bonus track solida per davvero: il cameriere più alto d’Olanda. Ha le mani grandi come dei neonati e, in generale, ci siamo convinti che in realtà sia Superman.

Olofspoort

Nel bel mezzo della viuzza della fattanza – nei pressi della Stazione -, tra un negozio di vibratori e l’altro, là dove penseremmo di trovare solo rivendite di funghetti allucinogeni e bong, si erge un’isola felice: l’Olofspoort. Un bar all’antica – in un edificio bellissimo che spunta all’improvviso in mezzo alla strada, in pratica – dove bersi una birretta in santa pace o degustare uno dei centordicimila liquori della casa, custoditi in favolose vetrinette. Volendo ci si può anche far comporre una specie di tavoletta di legno in grado di ospitare una ragguardevole quantità di bicchierini, che verranno riempiti secondo le vostre preferenze dal gioviale proprietario, che gestisce la baracca senza l’ausilio di ulteriore manodopera. Che goduria.

Proeflokaal A. v. Wees

Congelati e scoraggiati dal maltempo, abbiamo deciso di confortarci con del cibo. E abbiamo avuto un discreto culo. Vagando lungo un canale falciato dal vento, ci siamo imbattuti in un locale vecchio stile, con tanto di gatto che sonnecchiava sulle panche. Abbiamo ordinato una selezione di – come lo posso chiamare – “pub food olandese”, con tanto di cestino di bitterballen multigusto. I nostri vicini di tavolo, un gruppetto di arzilli vegliardi americani, hanno commentato con “We should have ordered those”. Invece della zuppa di patate, aggiungerei io. Che per carità, col freddo che c’era di sicuro non stonava, ma le bitterballen vincono per definizione. L’ora non era consona, ma anche qui i liquorini da assaggiare erano numerosissimi (e di venerabile tradizione).

Geflipt

Di certo a De Pijp non mancano le occasioni culinarie. Al Geflipt siamo entrati un po’ a fiducia, visto che non ci eravamo granché documentati su dove pranzare. E abbiamo fatto bene. È un’hamburgeria piccolina ma curatissima, con un menu per niente palloso, birre artigianali e dei lunghi tavoloni di legno da condividere. Hipster? Da morire. Buono? Molto.

Sperperare denaro

La mia specialità, finalmente!
Dunque, dare delle indicazioni precise su quel che si può trovare nelle Nove Stradine è piuttosto impervio, quindi me la caverò con un BIGHELLONATE – e se vi piace il design non perdetevi The Frozen Fountain. Lo stesso vale un po’ anche per De Pijp. Qualche nome rapido? Noor, Luba, Elan & Vanderhelst.
I miei preferiti veri, però, sono questi.

Kramer

Un leggendario negozio di antiquariato dove potrete trovare innumerevoli porcellane di Delft, piastrelle di ogni foggia e dimensione – custodite in una specie di parete scorrevole multistrato e in pratiche cassettine divise per epoca e/o tematica iconografica -, gioielli, stampe, mappe e piccoli aggeggi decorativi.
Le piastrelle sono in ottime condizioni, ben confezionate nella loro plastichina e dotate di sigillo di autenticità che ne certifica la provenienza, l’epoca e la “corrente artistica” – che no, non è il piastrellismo. Lo so perché ne ho comprata una molto piccola ed economica (per alcune possono partirvi anche delle centinaia di Euro). Non è manco blu, ma lo Jugendstil si manifesta potente. Sì, me ne sono fregata del Secolo d’Oro, che vi devo dire. Le piastrelle favolose servivano in ogni epoca.
Se poi, come me, siete un po’ delle gazze ladre, passate una mezz’ora a farvi tirare fuori novantadue vassoi di anelli. Le fasce di prezzo sono numerose e, se spulciate bene, riuscirete sicuramente a trovare qualcosa di BELLISSIMO – senza dover pagare cavandovi una cornea. In questo caso lo so perché ne ho comprati ben due.

De Posthumuswinkel

Avevo questo posto nei segnalibri di Chrome da tipo sei mesi. È un negozio specializzato in timbri, sigilli, ceralacche, penne d’oca e inchiostri pazzi. Si possono ordinare timbri personalizzati – che verranno realizzati artigianalmente (in un pochino di tempo) – o farsi preparare sul momento un timbro con una combinazione di lettere. Noi abbiamo preso un CF (o FC) che può andare bene sia per me che per Cesare. In aggiunta, gli scaffali strabordano di timbri decorativi per i vostri deliziosi lavoretti, diari o fogli di carta. C’è anche un pezzettino di laboratorio aperto ai curiosoni.

The Book Exchange

Una sterminata libreria dell’usato specializzata in libri in lingua inglese, a larghissima prevalenza di paperback. Ci sono scalettine pazze che vi condurranno in sotterranei stracolmi di romanzi e stanzettine altrettanto piene di roba. La selezione non deluderà nemmeno i fan della letteratura di genere. Frugate, frugate, frugate.

Mendo

Mendo è una delle librerie più belle che io abbia mai visto. Basta. Troverete solo libri d’arte, libri fotografici, coffee-table, tomoni d’architettura e mostri vari di grande formato, in uno spazio curatissimo che somiglia a una specie di mini-museo. Non so quanto i libri di Mendo possano essere Ryanair-friendly, ma un giro va proprio fatto.

***

E penso di aver finito.
Cavolo, non posso crederci.
Spero che queste mini-guide possano esservi d’aiuto e di ispirazione.
E vi auguro di trovare un clima clemente, soleggiato e meraviglioso.
Felici giretti!
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