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All’avventura!

Infarinatura introduttiva.

  • Siamo stati a Marrakech a metà febbraio. Che clima abbiamo beccato? Caldo fondamentalmente estivo di giorno e un bel freschino di sera o la mattina presto. Una gioia per la valigia, insomma. Se tendete a patire il gelo come me, a parità di periodo vi consiglio di partire con una giacca da mezza stagione – vi tornerà utile al calar del sole e per cenare all’aperto senza patemi.
  • Sì, serve il passaporto e le operazioni di arrivo/partenza in aeroporto non sono molto rapide. Noi siamo arrivati di giovedì sera – un momento che ci pareva piuttosto “neutro” e lontano da grandi flussi di traffico turistico – ma ci abbiamo messo un’ora abbondante a superare i controlli. Il ritorno un po’ più snello ma piuttosto laborioso lo stesso.
  • Procuratevi dei contanti in valuta locale perché tanti posti non accettano le carte. Con “posti” intendo ristoranti alla buona, bancarelle per strada, esercizi commerciali dei suk, attrazioni assimilabili ai musei e taxi. Potete cambiare i soldi o ritirare al bancomat senza rogne.
  • I taxi sono TANTISSIMI e fermabili per strada senza dover usare app, chiamare centralini o chissà cosa. Dall’aeroporto alla medina abbiamo pagato 200 dirham – che son 20€, arrotondando per eccesso – mentre la tratta dalla medina al quartiere “nuovo” (Gueliz) viaggia sui 100. Spiegate bene prima dove volete arrivare e chiedete se il prezzo è ok. Quasi sempre i riad della medina prevedono un trasferimento privato per gli ospiti – domandate, perché certi riad incagnati più all’interno sono poi complicati da scovare a piedi coi bagagli.
  • Se volete avere sempre il telefono funzionante dovete prendere una SIM locale. Noi abbiamo deciso di approfittare del wi-fi dei posti in cui ci siamo fermati a mangiare o dell’albergo perché passiamo già tutta la vita a spippiolare al telefono e ci giova di tanto in tanto astenerci.
  • Il terremoto di quest’autunno ha purtroppo colpito Marrakech e ci sono ancora danni visibili nella medina, dove ci sono gli edifici storici o, banalmente, le costruzioni più datate. Troverete qua e là puntelli di legno, ponteggi e volenterosi cantieri. I ragazzi del riad ci hanno raccontato spaventi e momenti decisamente non rosei, ma le ricostruzioni procedono con buona lena e intralcio zero per i visitatori. Si tifa.
  • Prenotazioni? Dipende. Noi abbiamo prenotato dall’Italia l’hammam, una cena e un biglietto d’ingresso – dopo troverete i dettaglini precisetti. Le altre due cene le abbiamo prenotate il pomeriggio del giorno stesso, dopo esserci orientati un po’ meglio con le distanze e i tempi. È estremamente possibile che, in periodi di turismo più HARDCORE, sia saggio bloccare tutto con un certo anticipo per non restare a piedi.

Benissimo. Procedo per aree tematiche.


ALLOGGIO

Il mio consorte ha saggiamente pescato il Riad Dar Saad nella medina – la parte “vecchia” della città. Nella medina le auto non possono circolare, ma se vi fate mollare dal taxi nel più vicino punto ancora raggiungibile in macchina – il museo Dar El Bacha o il palazzo reale sono punti di riferimento validi – al riad ci arrivate a piedi in tre minuti d’orologio. La posizione è comoda perché per esplorare la medina e veleggiare verso la piazza centrale siete già “dentro” ma se volete riprendere un taxi e andare altrove arrivate con semplicità all’area esterna. Noi abbiamo sempre trovato taxi pronti a partire.
Altro sul riad? I ragazzi dello staff sono simpaticissimi e gentili. L’atmosfera è matta e variopinta e c’è anche una sorta di caotico giardino pensile sul tetto, molto piacevole. I prezzi mi son sembrati ragionevoli, anche se opterei per una stanza diversa perché la nostra – proprio questa, per l’esattezza – era davvero minuscola e pure un po’ umida.


“ATTRAZIONI”

Dunque, la medina è nella sua interezza un’attrazione, mi verrebbe da dire. La locuzione iper trita “perdetevi fra le viuzze” mi fa venire l’orticaria ma in questo caso è un buon consiglio. Il mio senso dell’orientamento è pessimo e non ho speranze di indicarvi un punto preciso fra i millemila suk tentacolari percorribili a piedi, ma vagate con fiducia e meravigliatevi delle imprevedibili mercanzie esposte. In caso di bisogno, mia zia Pinuccia è disponibile a fornirvi una consulenza su come contrattare con i venditori, ma confido nel vostro spirito d’iniziativa.

L’unica “via dello shopping” che mi sento di segnalarvi con sicurezza – e che brilla per eclettismo delle proposte – è il tratto che separa il Riad Dar Saad dal Dar El Bacha. Il resto è una scoperta perenne e davvero affascinante, gatti compresi.

E la piazza “grande”? Forse è l’agglomerato meno interessante di tutti. Indubbio folklore – incantatori di serpenti, scimmie che passeggiano, pavoni, bancarelle… – ma anche l’unico posto dove mi son sentita a disagio. Volete farvi fare un disegno tradizionale all’henné sulle mani? Ne avete facoltà. Meno piacevole è essere afferrata per un braccio da un’energica tatuatrice che comincia a colorarti le estremità senza dar retta ai tuoi fin troppo urbani “no grazie” e pretende a gran voce dei soldi per un lavoro che non le hai chiesto tu. Insomma, occhio. Non fate la fine della turista polla come me.

Occhio ulteriore? I motorini. I carretti con gli asini. I motocarrettini. Le strade della medina sono strette e certi suk son proprio dei vicoli – o delle gallerie coperte -, ma il traffico “leggero” persiste, anche a velocità sostenuta. Lì per lì la cosa è piuttosto spiazzante, ma ci si abitua. Voi, nel dubbio, fatevi in là e ricordatevi quello che vi diceva la mamma quando c’era da attraversare la strada.

Il Jardin Majorelle è uno dei posti più instagrammati del globo? Sì. Isola felice di Yves Saint-Laurent e Pierre Bergé, i giardini e gli squillanti complessi architettonici sono una sorta di luogo ideale che sintetizza arte e verde, vitalità e meditazione – calca permettendo. Mentre zelanti addetti alla manutenzione girano con pennello e secchi di blu Majorelle per mantenere la giusta tonalità cromatica delle costruzioni, piante di ogni genere prosperano in un poetico caos controllato. Gli abbondanti flussi di visitatori sono gestiti con rigore marziale ed è obbligatorio fare il biglietto online.
Non siamo stati al museo YSL – chiuso temporaneamente per riallestimento – ma nel padiglione centrale del giardino c’è il Museo Bergé dedicato all’artigianato berbero… dimensioni contenute ma da vedere, intanto che ci siete. Se dovete dare una rinfrescata ai muri di casa, poi, segnalo che al gift-shop si possono comprare dei bei barattoli di pittura – un souvenir eccelso? Totale.

La Medersa Ben Youssef è stata costruita nel quattordicesimo secolo come scuola islamica ed è stata a lungo la più grande del Nordafrica. Dopo fortune alterne, abbandoni e ritorno all’attività originaria, è ora un sito UNESCO più che visitabile e restaurato con grande attenzione al rispetto dei materiali originari. C’è un magnifico cortile centrale e si può salire al piano superiore per esplorare le “cellette” degli studenti.
Il biglietto si fa all’ingresso e accettano solo i contanti.

Le Jardin Secret è una gradevole bombonierina ripescata dall’oblio. La base è quella di un riad – uno dei più antichi della medina – poi disgregatosi per frazionamenti di proprietà e vari gradi di incuria. L’opera di ripristino è relativamente recente e nella struttura odierna troviamo una torre e dei padiglioni che delimitano un giardino esotico e un giardino islamico. Piacevolissimo e indubbiamente d’impatto, ma il baretto posizionato strategicamente sulla terrazza e il gift shop pretenzioso mi han lasciato un po’ una sensazione di posticcio.


L’HAMMAM

Vuoi non cimentarti? Non sia mai! Per Les Bains de Marrakech devo ringraziare molto una collega di Cuore – Viola, ciao! Ti siamo debitori!
Qua è indispensabile prenotare con anticipo sul sito, perché per certi percorsi serve del tempo e loro sono ORGANIZZATISSIMI. Si possono selezionare diversi trattamenti e combinarli insieme, scegliendo anche se procedere individualmente o in coppia. Noi ci siamo donati tre ore: hammam, fanghi, massaggio. In pratica vi prendono e da bruchi vi trasformano in farfalle.

L’hammam parte con una lenta cottura a vapore, seguita da innumerevoli abluzioni. A un certo punto arriva una signora con un guanto grattosino che vi friziona energicamente fino a staccarvi di dosso circa tre etti di pelle morta. Lisci come delfini e rincoglioniti dal tepore verrete poi scortati in un ambiente “asciutto”, cazzuolati di fanghi profumati e avvolti come salami nel cellophane e in tre strati di coperte soffici. Vi farete una dormitina? Sì. Una volta estratti dal bozzolo e lavati come bambini vi frolleranno per un’altra ora, massaggiandovi dall’alluce ai lobi delle orecchie. Raramente in questi ultimi due anni posso dire d’essermi sentita meglio.
Ambiente bellissimo, non si incrocia mai altra gente, bicchierini di tè alla menta che si materializzano dal nulla e staff impeccabile. Credo non sia fra le strutture più economiche della città ma quanto volentieri li ho spesi, porca miseria.

Bonus: la zona attorno all’hammam è molto vispa e interessante da girellare a piedi. Salutateci le numerose cicogne che nidificano nei paraggi.


MANGIARE

Le opzioni streetfoodesche sono innumerevoli. A ogni angolo della medina c’è qualcuno che spadella uova, cuoce a fuoco lento qualcosa, smercia pane – PANE BUONISSIMO -, ammucchia dolcetti, sbadila datteri, spreme melagrane, allinea fragole ENORMI. Insomma, se vi gira c’è di certo materiale. Qua trovate qualche posto dove piazzarvi con le gambe sotto al tavolo per un pasto meno estemporaneo – devo confessare la mia parzialità per questo tipo di soluzione, principalmente perché non son capace di mangiare in piedi e dopo aver scarpinato per ore ho bisogno di mettermi a tavola in pace per ripigliarmi. Ho un’età.

La prima sera abbiamo cenato alla Terrasse des Épices, pescato in maniera piuttosto estemporanea perché non mi ricordo dove ne avevo letto bene e perché era vicinissimo al nostro riad. Si mangia all’aperto su questo tetto a ferro di cavallo, servono alcolici – bar “serio” compreso – e la cucina è marocchina con qualche incursione internazionale per non far prendere paura ai turisti americani. Servizio di rara premura, abbondanza di porzioni e atmosfera molto gradevole. Il nostro felicissimo battesimo a base di tajine e couscous.

Il Petanque Social Club, nel quartiere nuovo di Marrakech, è dotato di campo da bocce – altrimenti non l’avrebbero battezzato così, mi vien da dire – giardino rigoglioso e un eclettico ambiente interno con diverse sale decisamente d’impatto. Anche qua servono alcolici e il menu è decisamente più virato alla clientela “estera” – l’ho trovato infatti da un suggerimento del New York Times Travel… e mi vien da alzare più di un sopracciglio. Non abbiamo cenato particolarmente bene, ma i cocktail sono apprezzabili e il posto è oggettivamente bello. Se bazzicate da quelle parti e vi va di bere qualcosa fateci un pensiero.

Cena finale? Grand Café de la Poste, locale storico aperto negli anni Venti e frequentato da monsieur Majorelle e sodali del bel mondo. Cucina francese, servizio attento e piacevolezza generale dei luoghi.

Pranzo assai ben riuscito nei pressi della piazzona grande: Amasia. Rooftop estremamente ameno – penso che al tramonto renda benissimo, ma noi siamo andati a fare le lucertole diurne – e cucina marocchina davvero apprezzabile. Servizio non fulmineo, ma eravamo così contenti di starcene in maniche di camicia a febbraio su una terrazza che non ci è proprio venuto in mente di sindacare sui ritmi.


Spero di aver prodotto qualche spunto utile. In ogni caso, buon giro! C’è favolosità. 🙂

Ebbene, quanto tempo è passato dal viaggio a Palermo? Sei mesi? Sei anni? Un’era geologica? Più o meno. Per nostra fortuna, però, non mi attende un compito difficile. Palermo non è una città che si dimentica facilmente e la memoria, quando sfrigola di bellezze raccolte lungo la strada, tende ad assisterci.
Ecco qua, dunque, un piccolo riassunto di quel che abbiamo visto, mangiato, visitato, bevuto.

Grande premessa. La nostra visita ha avuto il pregio di combaciare con il weekend delle Vie dei Tesori, un’iniziativa che ogni anno rende accessibili palazzi, dimore, musei e strutture che normalmente non sono aperti al pubblico – o lo sono con modalità diverse e/o più ridotte. Tanti luoghi di interesse ospitavano anche le installazioni artistiche di Manifesta, la biennale d’arte Europea che nel 2018 ha fatto tappa proprio a Palermo. Il consiglio generale, dunque, è di informarvi bene sulle aperture d’ordinaria amministrazione nel periodo dell’anno da voi prescelto. Si fa un po’ di fatica, lo so, ma si fa più fatica ad arrivare in un posto e trovare chiuso.
Altro consiglio: il ricco itinerario della Palermo arabo-normanna (e dei siti UNESCO) è un altro splendido gomitolo da seguire.

POSTI

Il rifugio antiaereo di Piazza Pretoria
Durante la Seconda Guerra Mondiale i bombardamenti non hanno risparmiato Palermo, anzi. Uno dei rifugi della città era in pieno centro, sotto alla splendida Piazza Pretoria, e si può ancora visitare. Si entra da una specie di anfratto minuscolo nella portineria del palazzo comunale – salutate gli addetti, mi raccomando – e si scende fino al nucleo di gallerie e corridoi, aperti per la prima volta al pubblico solo un paio di anni fa. La visita guidata è, in larga parte, un’operazione narrativa (di grande efficacia e suggestione). Per controllare la disponibilità delle visite, c’è il sito.
Capitan Ovvio vi sconsiglia di imbarcarvi nell’impresa se vi angosciano gli spazi sotterranei/angusti/sigillati.
Capitan Ovvio vi esorta anche a guardare il resto di Piazza Pretoria – anche detta Piazza della Vergogna – e la sua fontana di intricata beltà zoomorfa.

I Quattro Canti
Un incrocio che diventa piazza, tributo alle quattro sante protettrici della città e omaggio esuberante alle stagioni.

Chiesa di San Cataldo
Tre panettoncini rossi sul tetto e un interno dall’austero splendore.

Cattedrale
La magnificenza esterna surclassa il contenuto della Cattedrale (fenomeno che non si registra praticamente mai nel resto dei luoghi di culto palermitani), ma c’è di che consolarsi. Si possono visitare le cripte, l’area delle tombe (compreso il sarcofago di granito rosso di Federico II, STUPOR MUNDI), il tesoro e anche i tetti. Sui tetti andateci anche per noi, perché siamo capitati durante una specie di nubifragio e quel pezzo lì era  stato momentaneamente interdetto alla frequentazione del pubblico. Siamo fortunatissimi, sempre.

Palazzo dei Normanni
La Cappella Palatina è di una bellezza abbagliante. Ma non in senso metaforico, sul serio. Sembra proprio in grado di creare la luce dal niente del cosmo. È uno tripudio di mosaici meticolosissimi – che rivestono anche l’ultimo dei battiscopa – e una specie di forziere miracoloso che può contenerci.
La Cappella fa parte del complesso monumentale del Palazzo dei Normanni, che ospita anche mostre temporanee e un percorso permanente di visita – giardini compresi. Potete saggiamente munirvi di biglietto qua, senza aspettare per anni alla biglietteria di Piazza Parlamento.

Santa Maria dello Spasimo
Una delle tappe più fascinose del quartiere della Kalsa. In parole poverissime, è una chiesa scoperchiata. Il complesso – dalle ambizioni gotiche – doveva comprendere un convento e il santuario, rimasto però incompiuto. Oggi si può passeggiare lungo una navata titanica (con tanto di albero che cresce rigoglioso accanto a una delle pareti perimetrali) e osservare lo scheletro della chiesa, senza soffitto.

Palazzo Butera
Ci siamo aggregati a una visita guidata di Manifesta e abbiamo esplorato la parte già “riqualificata” del palazzo. Il complesso è mastodontico ed è stato acquistato un paio di anni fa da facoltosi privati (collezionisti d’arte, tra le altre cose) che hanno deciso di restaurarlo e di riaprirlo alla cittadinanza. I saloni e gli ambienti verranno rimessi in sesto e integrati con opere contemporanee, creando un avvincente incontro tra antica nobiltà isolana e modernità. Il maestoso terrazzo che affaccia sul mare – e sulla Passeggiata delle Cattive – è stupendo. Bonus track: valente sbirciatina dal piccolo belvedere sul tetto.

Palazzo Forcella De Seta
Il materiale d’ispirazione primigenia per Palazzo Forcella De Seta è l’Alhambra andalusa. E la cosa non può che farci piacere. Mosaici moreschi e pavimenti ipnotici, finestre complicate e belve esotiche che si rincorrono sui soffitti. Natura e geometria. E pure qualche ponteggio, nostro malgrado.

Chiesa del Gesù (AKA Casa Professa)
BAROCCO OVER 9000.
LA MORTE DEFINITIVA DEL MINIMALISMO.
UN TRIONFO ASSOLUTO.
PUTTI CHE ESCONO DALLE (BENEDETTE) PARETI.

Chiesa di Santa Caterina
IDEM COME SOPRA MA QUI CREDO DI AVER ANCHE PIANTO.
[Nota aggiuntiva: accanto alla chiesa c’è una porticina che vi condurrà sapientemente al chiostro del monastero. E alla leggendaria pasticceria].

Mercato di Ballarò
Pur alloggiando a venti metri dal mercato della Vucciria, siamo sempre capitati nel momento sbagliato. Niente. Zero. Deserto. Ci siamo però consolati con un’escursione al mercato di Ballarò… che non finisce mai. Vasto, incasinato, tentacolare e traboccante, pieno di ortaggi di dimensioni quasi preoccupanti, cartelli pazzi, secchiate di pesce, olive, ROBA, è un’esperienza sensoriale decisamente intensa e avventurosa. È tutto traballante, disordinato e vorticoso, c’è la gente che passa in motorino agitando dei pesce spada decapitati, ci sono BOSCHI di origano, merce che penzola da ogni escrescenza possibile, muri scassati, fili elettrici che sembrano delle liane. È una bellezza.

***

MANGIARE

Pasticceria Costa
Una pasticceria storica – che trovate opportunamente ubicata ai Quattro Canti – con dolci artigianali e cannoli degni di una parata celebrativa. Il locale è una bomboniera. Ah, il fascino retrò delle vetrinette!

Buatta
Un ristorante siciliano “moderno”. Ingredienti del territorio e piatti della tradizione, rielaborati in maniera vispa ma senza asfaltarne le origini. “Cucina popolana”, c’è scritto da tutte le parti. Ecco, me l’aspettavo un po’ più “popolano”, forse. Meno trattoria di Moscova. Abbiamo mangiato bene? Direi di sì. Sperticati applausi per l’antipasto misto. SFINCIONE, TI VOGLIO BENE.

Focacceria Testagrossa
Ci siamo passati dopo la visita a Palazzo dei Normanni – è a una decina di minuti a piedi da lì. CHE BENESSERE. È uno dei posti più ronci di sempre, credo, ma ci siamo appollaiati su uno sgabello in strada e ci siamo mangiati i nostri panini con panelle e crocché. Due panini grandi come il mio cranio più una bibita a testa: 5€ e rotti. Commozione vastissima.

Pasticceria Cappello
Torta Setteveli. Fatto!

Al Vecchio Club Rosanero
Le mie esperienze culinarie preferite sono anche le più surreali. Il Vecchio Club Rosanero è una trattoria assai alla buona, sobriamente decorata da ogni genere di cimelio del Palermo. Sciarpe, foto, magliette, palloni, GONFALONI, gagliardetti, tutto. La cucina è tipica e casereccia, si mangia un casino (pure bene), si spende pochissimo.

Friggitoria Chiluzzo
Anche in Piazza della Kalsa ci si può rifocillare a colpi di panini, frittazzi, panelle e altre prelibatezze. Ci sono un po’ di tavolini, l’atmosfera è piacevolmente scacciona e vi verrà anche voglia di rimanere lì solo per guardare la fervente attività che si scatena dietro al banco. Pure qua si mangia come tirannosauri con 6€ in due, tipo.

Bisso
Una libreria storica ai Quattro Canti che si è trasformata in ristorante/bar/bistrot, conservando vetrine e parte degli arredi originali. Dunque, ci siamo andati in una serata particolarmente infausta – quella del temporale più violento dell’anno, si è poi scoperto – e l’affollamento era quasi claustrofobico. Volevamo fermarci a cena, ma nonostante fossimo seduti non c’era lo spazio fisico per maneggiare una forchetta. Ci siamo limitati a un bicchiere di vino e abbiamo sfidato le intemperie per tentare la fortuna altrove. Bello assai a vedersi, ma da riprovare in circostanze meno iellate.

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BERE

St’orto
Ci siamo fermati a fare l’aperitivo la sera dell’approdo in Sicilia, seguendo il buon consiglio di un amico autoctono di Amore del Cuore (grazie, Max!). È un bar/pub/vineria piccolino, con tavoli fuori più o meno condivisibili con gli altri avventori e un’atmosfera ibrida. Perché il posto è curato, ma anche alla buona. Si beve bene – i cocktail costano 5€ e i taglieri di ciccionate d’accompagnamento sono valentissimi – ma con poche pretese e grande pace.

Via Paternostro
Immaginateci come api sui fiori, ma coi locali al posto dei fiori. È una via vispissima e brulicante, con bar dalla struttura incomprensibile che hanno “il fuori” ma pure dei “dentro” paralleli, che somigliano a dei garage ma sono pieni di poltroncine gattopardesche. Vagate, confusi e felici.
Menzione d’onore al Bar Garibaldi, che vanta anche un calendario di incontri letterario/culturali assai nutrito. Ci siamo tornati due sere di fila.

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NEGOZI (E UN SIGNORE)

Edizioni Precarie
Cartoleria creativa e quaderni stupefacenti. Viene tutto rilegato a mano usando la carta alimentare dei mercati di Palermo. Ne ho comprati due, con buona pace della cappelliera dell’aereo.

Magazzini Anita
Una boutique vintage in pieno centro. Selezione super creativa e prezzi (anche) molto accessibili.

La biblioteca di Pietro Tramonte
Non so bene come sia possibile, ma a Palermo c’è un signore che ha una biblioteca per strada e che regala i libri a chi lo va a trovare. Ci siamo passati tutti i santi giorni – perché il “suo” vicolo era vicino a casa nostra – ma la pioggia devastante deve aver persuaso il signor Tramonte e tenere chiuso e a coprire la nutrita esposizione con solidi teli di plastica. Insomma, ve ne segnalo la presenza. Andate a salutarlo calorosamente anche per me, se il sole splende – come di solito accade.

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ALLOGGIO
Ci siamo felicemente stabiliti da Indigo Rooms, a due passi dalla Vucciria. La formula è interessante. Indigo è uno studio di registrazione con foresteria, utilizzabile dagli artisti o dai turisti di passaggio. L’insonorizzazione è ottima e nessun gruppo heavy metal funesterà il vostro sonno, ci tengo a precisarlo. Il tutto è ospitato nella storica dimora del Principe di Lampedusa – Giuseppe Tomasi di, proprio lui. I ragazzi che gestiscono l’impresa sono ospitali, simpaticissimi e cuoroni veri.

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Il clima scalognato ha rallentato parecchio la visita e tante mete ci sono rimaste sul gozzo. Torneremo per completare l’opera? Spero tanto di sì. Per il momento, spero che queste poche indicazioni possano tornarvi utili per organizzare un degno giretto.
E che Santa Rosalia vi preservi.
😀

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CREDITS & RINGRAZIAMENTI TURISTICI
Se volete integrare, vi consiglio di fare quello che ho fatto anch’io prima della partenza: date un occhio alla guida palermitana di Elena. È ormai una veterana e mi sono affidata a lei con immensa fiducia.
Ringrazio anche tutte le volenterose e i volenterosi che mi hanno tempestato di messaggi su Instagram per suggerirmi posti e cose belle da fare. Citarvi è impensabile, ma il vostro contributo non è andato sprecato. Vi sono debitrice.