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All’avventura!

Infarinatura introduttiva.

  • Siamo stati a Marrakech a metà febbraio. Che clima abbiamo beccato? Caldo fondamentalmente estivo di giorno e un bel freschino di sera o la mattina presto. Una gioia per la valigia, insomma. Se tendete a patire il gelo come me, a parità di periodo vi consiglio di partire con una giacca da mezza stagione – vi tornerà utile al calar del sole e per cenare all’aperto senza patemi.
  • Sì, serve il passaporto e le operazioni di arrivo/partenza in aeroporto non sono molto rapide. Noi siamo arrivati di giovedì sera – un momento che ci pareva piuttosto “neutro” e lontano da grandi flussi di traffico turistico – ma ci abbiamo messo un’ora abbondante a superare i controlli. Il ritorno un po’ più snello ma piuttosto laborioso lo stesso.
  • Procuratevi dei contanti in valuta locale perché tanti posti non accettano le carte. Con “posti” intendo ristoranti alla buona, bancarelle per strada, esercizi commerciali dei suk, attrazioni assimilabili ai musei e taxi. Potete cambiare i soldi o ritirare al bancomat senza rogne.
  • I taxi sono TANTISSIMI e fermabili per strada senza dover usare app, chiamare centralini o chissà cosa. Dall’aeroporto alla medina abbiamo pagato 200 dirham – che son 20€, arrotondando per eccesso – mentre la tratta dalla medina al quartiere “nuovo” (Gueliz) viaggia sui 100. Spiegate bene prima dove volete arrivare e chiedete se il prezzo è ok. Quasi sempre i riad della medina prevedono un trasferimento privato per gli ospiti – domandate, perché certi riad incagnati più all’interno sono poi complicati da scovare a piedi coi bagagli.
  • Se volete avere sempre il telefono funzionante dovete prendere una SIM locale. Noi abbiamo deciso di approfittare del wi-fi dei posti in cui ci siamo fermati a mangiare o dell’albergo perché passiamo già tutta la vita a spippiolare al telefono e ci giova di tanto in tanto astenerci.
  • Il terremoto di quest’autunno ha purtroppo colpito Marrakech e ci sono ancora danni visibili nella medina, dove ci sono gli edifici storici o, banalmente, le costruzioni più datate. Troverete qua e là puntelli di legno, ponteggi e volenterosi cantieri. I ragazzi del riad ci hanno raccontato spaventi e momenti decisamente non rosei, ma le ricostruzioni procedono con buona lena e intralcio zero per i visitatori. Si tifa.
  • Prenotazioni? Dipende. Noi abbiamo prenotato dall’Italia l’hammam, una cena e un biglietto d’ingresso – dopo troverete i dettaglini precisetti. Le altre due cene le abbiamo prenotate il pomeriggio del giorno stesso, dopo esserci orientati un po’ meglio con le distanze e i tempi. È estremamente possibile che, in periodi di turismo più HARDCORE, sia saggio bloccare tutto con un certo anticipo per non restare a piedi.

Benissimo. Procedo per aree tematiche.


ALLOGGIO

Il mio consorte ha saggiamente pescato il Riad Dar Saad nella medina – la parte “vecchia” della città. Nella medina le auto non possono circolare, ma se vi fate mollare dal taxi nel più vicino punto ancora raggiungibile in macchina – il museo Dar El Bacha o il palazzo reale sono punti di riferimento validi – al riad ci arrivate a piedi in tre minuti d’orologio. La posizione è comoda perché per esplorare la medina e veleggiare verso la piazza centrale siete già “dentro” ma se volete riprendere un taxi e andare altrove arrivate con semplicità all’area esterna. Noi abbiamo sempre trovato taxi pronti a partire.
Altro sul riad? I ragazzi dello staff sono simpaticissimi e gentili. L’atmosfera è matta e variopinta e c’è anche una sorta di caotico giardino pensile sul tetto, molto piacevole. I prezzi mi son sembrati ragionevoli, anche se opterei per una stanza diversa perché la nostra – proprio questa, per l’esattezza – era davvero minuscola e pure un po’ umida.


“ATTRAZIONI”

Dunque, la medina è nella sua interezza un’attrazione, mi verrebbe da dire. La locuzione iper trita “perdetevi fra le viuzze” mi fa venire l’orticaria ma in questo caso è un buon consiglio. Il mio senso dell’orientamento è pessimo e non ho speranze di indicarvi un punto preciso fra i millemila suk tentacolari percorribili a piedi, ma vagate con fiducia e meravigliatevi delle imprevedibili mercanzie esposte. In caso di bisogno, mia zia Pinuccia è disponibile a fornirvi una consulenza su come contrattare con i venditori, ma confido nel vostro spirito d’iniziativa.

L’unica “via dello shopping” che mi sento di segnalarvi con sicurezza – e che brilla per eclettismo delle proposte – è il tratto che separa il Riad Dar Saad dal Dar El Bacha. Il resto è una scoperta perenne e davvero affascinante, gatti compresi.

E la piazza “grande”? Forse è l’agglomerato meno interessante di tutti. Indubbio folklore – incantatori di serpenti, scimmie che passeggiano, pavoni, bancarelle… – ma anche l’unico posto dove mi son sentita a disagio. Volete farvi fare un disegno tradizionale all’henné sulle mani? Ne avete facoltà. Meno piacevole è essere afferrata per un braccio da un’energica tatuatrice che comincia a colorarti le estremità senza dar retta ai tuoi fin troppo urbani “no grazie” e pretende a gran voce dei soldi per un lavoro che non le hai chiesto tu. Insomma, occhio. Non fate la fine della turista polla come me.

Occhio ulteriore? I motorini. I carretti con gli asini. I motocarrettini. Le strade della medina sono strette e certi suk son proprio dei vicoli – o delle gallerie coperte -, ma il traffico “leggero” persiste, anche a velocità sostenuta. Lì per lì la cosa è piuttosto spiazzante, ma ci si abitua. Voi, nel dubbio, fatevi in là e ricordatevi quello che vi diceva la mamma quando c’era da attraversare la strada.

Il Jardin Majorelle è uno dei posti più instagrammati del globo? Sì. Isola felice di Yves Saint-Laurent e Pierre Bergé, i giardini e gli squillanti complessi architettonici sono una sorta di luogo ideale che sintetizza arte e verde, vitalità e meditazione – calca permettendo. Mentre zelanti addetti alla manutenzione girano con pennello e secchi di blu Majorelle per mantenere la giusta tonalità cromatica delle costruzioni, piante di ogni genere prosperano in un poetico caos controllato. Gli abbondanti flussi di visitatori sono gestiti con rigore marziale ed è obbligatorio fare il biglietto online.
Non siamo stati al museo YSL – chiuso temporaneamente per riallestimento – ma nel padiglione centrale del giardino c’è il Museo Bergé dedicato all’artigianato berbero… dimensioni contenute ma da vedere, intanto che ci siete. Se dovete dare una rinfrescata ai muri di casa, poi, segnalo che al gift-shop si possono comprare dei bei barattoli di pittura – un souvenir eccelso? Totale.

La Medersa Ben Youssef è stata costruita nel quattordicesimo secolo come scuola islamica ed è stata a lungo la più grande del Nordafrica. Dopo fortune alterne, abbandoni e ritorno all’attività originaria, è ora un sito UNESCO più che visitabile e restaurato con grande attenzione al rispetto dei materiali originari. C’è un magnifico cortile centrale e si può salire al piano superiore per esplorare le “cellette” degli studenti.
Il biglietto si fa all’ingresso e accettano solo i contanti.

Le Jardin Secret è una gradevole bombonierina ripescata dall’oblio. La base è quella di un riad – uno dei più antichi della medina – poi disgregatosi per frazionamenti di proprietà e vari gradi di incuria. L’opera di ripristino è relativamente recente e nella struttura odierna troviamo una torre e dei padiglioni che delimitano un giardino esotico e un giardino islamico. Piacevolissimo e indubbiamente d’impatto, ma il baretto posizionato strategicamente sulla terrazza e il gift shop pretenzioso mi han lasciato un po’ una sensazione di posticcio.


L’HAMMAM

Vuoi non cimentarti? Non sia mai! Per Les Bains de Marrakech devo ringraziare molto una collega di Cuore – Viola, ciao! Ti siamo debitori!
Qua è indispensabile prenotare con anticipo sul sito, perché per certi percorsi serve del tempo e loro sono ORGANIZZATISSIMI. Si possono selezionare diversi trattamenti e combinarli insieme, scegliendo anche se procedere individualmente o in coppia. Noi ci siamo donati tre ore: hammam, fanghi, massaggio. In pratica vi prendono e da bruchi vi trasformano in farfalle.

L’hammam parte con una lenta cottura a vapore, seguita da innumerevoli abluzioni. A un certo punto arriva una signora con un guanto grattosino che vi friziona energicamente fino a staccarvi di dosso circa tre etti di pelle morta. Lisci come delfini e rincoglioniti dal tepore verrete poi scortati in un ambiente “asciutto”, cazzuolati di fanghi profumati e avvolti come salami nel cellophane e in tre strati di coperte soffici. Vi farete una dormitina? Sì. Una volta estratti dal bozzolo e lavati come bambini vi frolleranno per un’altra ora, massaggiandovi dall’alluce ai lobi delle orecchie. Raramente in questi ultimi due anni posso dire d’essermi sentita meglio.
Ambiente bellissimo, non si incrocia mai altra gente, bicchierini di tè alla menta che si materializzano dal nulla e staff impeccabile. Credo non sia fra le strutture più economiche della città ma quanto volentieri li ho spesi, porca miseria.

Bonus: la zona attorno all’hammam è molto vispa e interessante da girellare a piedi. Salutateci le numerose cicogne che nidificano nei paraggi.


MANGIARE

Le opzioni streetfoodesche sono innumerevoli. A ogni angolo della medina c’è qualcuno che spadella uova, cuoce a fuoco lento qualcosa, smercia pane – PANE BUONISSIMO -, ammucchia dolcetti, sbadila datteri, spreme melagrane, allinea fragole ENORMI. Insomma, se vi gira c’è di certo materiale. Qua trovate qualche posto dove piazzarvi con le gambe sotto al tavolo per un pasto meno estemporaneo – devo confessare la mia parzialità per questo tipo di soluzione, principalmente perché non son capace di mangiare in piedi e dopo aver scarpinato per ore ho bisogno di mettermi a tavola in pace per ripigliarmi. Ho un’età.

La prima sera abbiamo cenato alla Terrasse des Épices, pescato in maniera piuttosto estemporanea perché non mi ricordo dove ne avevo letto bene e perché era vicinissimo al nostro riad. Si mangia all’aperto su questo tetto a ferro di cavallo, servono alcolici – bar “serio” compreso – e la cucina è marocchina con qualche incursione internazionale per non far prendere paura ai turisti americani. Servizio di rara premura, abbondanza di porzioni e atmosfera molto gradevole. Il nostro felicissimo battesimo a base di tajine e couscous.

Il Petanque Social Club, nel quartiere nuovo di Marrakech, è dotato di campo da bocce – altrimenti non l’avrebbero battezzato così, mi vien da dire – giardino rigoglioso e un eclettico ambiente interno con diverse sale decisamente d’impatto. Anche qua servono alcolici e il menu è decisamente più virato alla clientela “estera” – l’ho trovato infatti da un suggerimento del New York Times Travel… e mi vien da alzare più di un sopracciglio. Non abbiamo cenato particolarmente bene, ma i cocktail sono apprezzabili e il posto è oggettivamente bello. Se bazzicate da quelle parti e vi va di bere qualcosa fateci un pensiero.

Cena finale? Grand Café de la Poste, locale storico aperto negli anni Venti e frequentato da monsieur Majorelle e sodali del bel mondo. Cucina francese, servizio attento e piacevolezza generale dei luoghi.

Pranzo assai ben riuscito nei pressi della piazzona grande: Amasia. Rooftop estremamente ameno – penso che al tramonto renda benissimo, ma noi siamo andati a fare le lucertole diurne – e cucina marocchina davvero apprezzabile. Servizio non fulmineo, ma eravamo così contenti di starcene in maniche di camicia a febbraio su una terrazza che non ci è proprio venuto in mente di sindacare sui ritmi.


Spero di aver prodotto qualche spunto utile. In ogni caso, buon giro! C’è favolosità. 🙂

Ciao Trentino, che bello tornare a girovagarti. La nostra precedente esperienza estiva era già stata particolarmente felice. Siamo stati due settimane a Moena con l’infante, che al tempo viaggiava verso i due anni e saettava in giro come una capretta impazzita. Ci siamo arrampicati ovunque spingendo con coraggio un passeggino da trekking e sonnecchiando nell’erba quando anche lui si addormentava. Ora che va per i quattro – e che cammina come un piccolo bersagliere – ci siamo cimentati in una serie di percorsi diversi, approfittando dell’ospitalità della Val di Fiemme e dell’attenzione sempre assai spiccata che ogni meta riserva anche ai visitatori più piccoli.
Vista la felicità che abbiamo sprigionato, ecco qua una guidina che riassume un po’ quello che abbiamo visto, fatto e mangiato nei nostri 3 giorni e rotti di permanenza.
Procedo!

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CAMPO BASE

Panchià – Hotel Rio Bianco

Comodo per gli spostamenti ed estremamente cuoroso – a cominciare da Lara, la proprietaria. C’è un bel giardino con piscina esterna e sdraio qua e là, più vasca riscaldata e sauna (in una botte gigante da villaggio Hobbit). Parco giochi in un giardino B, piscina interna e parcheggio dedicato. La nostra stanza affacciava direttamente sul prato e in camera avevamo una spa mignon, con cabinetta per la sauna e vasca idromassaggio gigante – entrambi gli elementi si sono rivelati assai piacevoli e propizi e SIGNORA MIA CHE BENE CHE SI STA.

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PARCO DI PANEVEGGIO

Che si può fare? Parecchio. Noi abbiamo esordito con un saluto ai cervi che pascolano e galoppano. Un sentierino costeggia il loro territorio e lo si può percorrere fino al Centro Visitatori, da cui parte un circuito di diverse passeggiate.

Il sentiero che abbiamo collaudato – sia due anni fa che a questa nuova visita – è il Marciò. È un anello pianeggiante che vi permetterà di addentrarvi nella foresta e di superare diversi ponti arrogantissimi. A tal proposito, il ponte sospeso sulla Forra del Travignolo è senza dubbio il più spettacolare. Se volete spararvi tutto il Marciò, ci vogliono un paio d’ore (a passo di bambino curioso che si ferma ogni dieci secondi a guardare pure i licheni), ma se volete anche solo cimentarvi col ponte sospeso, basta imboccare l’anello al contrario – la Forra è alla fine.

Passeggini? Partendo dal presupposto che col passeggino da trekking andate sempre sul sicuro, il Marciò si può fare anche con un passeggino “normale”, nella foresta c’è più terriccio compatto che ghiaia. Il ghiaietto è più problematico vicino al sentiero dei cervi e lì un po’ potreste smadonnare.

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ALPE LUSIA – BELLAMONTE

Cesare in visibilio dal minuto uno. La cabinovia si prende dalla Località Castelir e tutto quello che si trova in cima è una specie di gioia generalizzata naturalistico-ludica. Se vi va di rendere più interessante la salita, aspettate l’ovetto numero 73: ha il fondo trasparente e risponde all’adorabile nome di NIDOPLANO. Creerà aspettative devastanti nei vostri figli, che a ogni impianto vorranno vedere cosa succede sotto, ma penso riuscirete a gestire la faccenda.

Scendendo alla stazione intermedia, potrete liberare la prole al Giro d’Ali, un parco giochi acquatico che, oltre a fornire intrattenimento, è pure circondato da un percorsino formato da diverse stazioni che puntano a insegnarci qualcosa sulla fauna svolazzante delle Dolomiti.
Il Giro d’Ali, in pratica, è un corroborante ruscelletto intervallato da diverse pozze e attività. Termina con un laghetto che ospita una zattera semovente e, in generale, è popolato da bestioline osservabili da vicino – girini che si trasformano gradualmente in rane? ECCO QUA.
C’è anche una pista sonora per biglie in legno che vi farà ben comprendere perché per fare i violini usano gli alberi del Trentino.

Consigli pratici: asciugamano e cambio. Il Giro d’Ali è divertente se i bambini possono sguazzare. Cesare è partito semi-vestito e ha concluso le operazioni in mutande, reclamando il permesso di adottare una rana adolescente. Se anche voi volete rilassarvi nei dintorni dell’area-gioco, il pendio è fornitissimo di piattaforme di legno e sdraione ondulatone di rara piacevolezza.

Vi è venuta fame? Non c’è problema. Riprendete la cabina, arrivate fino in cima e seguite le indicazioni per la Baita Ciamp de le Strie. In una mezz’oretta – considerando sempre la velocità di crociera di un bambino che si ferma a conversare con ogni sasso che incontra – arriverete a un rifugio a dir poco fiabesco, corredato di terrazzona panoramica. Il sentiero è super ameno, molto scenografico e anche facile, l’unico pezzetto di salita “vera” è quello conclusivo, brevissimo.
Al Ciamp si mangiano ottime specialità. Consiglio con veemenza gli spatzle allo speck e i canederli.

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LATEMAR – MONTAGNANIMATA

Qua in cima ci si può passare anche una settimana intera, credo. Le attività sono numerosissime. Si prende la cabinovia da Predazzo (l’impianto Predazzo-Gardoné) e si arriva al campo base della Montagnanimata. Cosa si può fare? Di tutto. Ci sono sentieri tematico-didattici per diverse fasce d’età. Noi, con una creatura di tre anni, ci siamo specializzati in fiabe e draghi. Volevamo imbarcarci anche nel percorso del Pastore Distratto o del Dahù, ma temevamo di stancare troppo l’infante. Per i bambini più grandi c’è anche il Geotrail, che pur non risultando pesante a livello cognitivo, ha un’impronta più didattica a tema geologico.

Comunque. Funziona così: la Foresta dei Draghi è bella e percorribile anche senza supporti aggiuntivi, ma di sicuro diventa più divertente e “ricca” se vi fate aiutare da uno dei librini. Tutti i sentieri della Montagnanimata sono corredati da storie illustrate che utilizzano quello che oggettivamente c’è sul sentiero per costruire una sorta di caccia al tesoro narrativa. Il libro racconta una storia e voi ci camminate dentro, seguendo gli indizi e intortando sapientemente il vostro bambino. Cosa si vede, oltre al panorama? Ci sono uova di drago, falene mitologiche, ali, denti, ossa. Noi abbiamo letto la storia di Rogos, ma i draghi disponibili a farvi da guida sono una vasta schiera. Nota rilevante: Cesare si è invasato. Già di suo è un virgulto propenso a farsi leggere cose, ma in tutta onestà siamo rimasti sorpresi dalla sua accorata partecipazione. Una volta arrivati al termine del sentiero – e se avrete seguito tutte le istruzioni del libro prescelto – ripassate al chiosco delle informazioni per ritirare un piccolo premio e riscuotere un doveroso timbrino.

Sempre all’arrivo della cabinovia, troverete anche il portentoso Alpine Coaster. In pratica sono montagne russe. In montagna. INCEPTION. È bellissimo. Vi caricano su un carrellino, vi issano su un cucuzzolo e via, potete fiondarvi giù. La possibilità di poter governare autonomamente il vostro carrellino biposto è salvifica: AVETE I FRENI. Dato il mio proverbiale coraggio, li ho azionati con grande generosità. Potete scegliere se andare a cannone (evitando di tamponare chi se la sta prendendo più comoda) o se procedere con grande calma per godervi il panorama.
Nota pratica: se i vostri figli sono più bassi di 105 cm non possono salire. Non fate l’errore che abbiamo fatto noi. DAI CESARE SALIAMO SU QUEST’AFFARE STUPENDO! Ah, no. Sei troppo basso. Lacrime.

Per godere di un superbo panorama, prendete la seggiovia per Passo Feudo. In cima c’è un rifugio per mangiare qualcosa beandovi della vista. Per i camminatori più carrozzati, da lì partono anche sentieri assai appaganti. Noi, disponendo di un bambino piccolo e non di Paolo Cognetti, ci siamo limitati a bere un grappino.
La seggiovia è praticabile anche da chi è stato ripudiato dall’Alpine Coaster.

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CENE

Di mio, preferisco non cenare in albergo perché mi piace avere occasioni aggiuntive esplorazione. E i dintorni di Panchià – per quanto costellati di autovelox – si sono prestati parecchio.

Tito – Il maso dello speck

A Daiano, a pochi minuti da Cavalese. Istituzione culinaria locale, dotata anche di portentoso spaccio dove acquistare prodotti tipici di varia prelibatezza. Si mangia all’interno, ci si nutre e si bevono distillati e birrone nei tavoli fuori, ci si può aggirare nei dintorni e i bambini hanno a disposizione un parco giochi di rara estrosità architettonica, tutto di legno. Senza ombra di dubbio la serata più piacevolona della vacanza.

Ristorante Miola

Strada che si arrampica nel bosco con bonus-track tramonto dalla terrazza. Il maso appartiene dagli anni ’50 alla stessa famiglia, che continua a gestirlo e a preservarne le tradizioni. Anche qui, deliziosi piatti tipici preparati con ingredienti locali e un’ottima selezione di vini altoatesini.

E se piove?
Non siamo riusciti a goderci a pieno l’itinerario che avevamo previsto per il Cermis, ma abbiamo salvato la giornata con un pranzo “lungo” al Maso Corradini, altro punto di riferimento solidissimo. Gestito dalla famiglia Corradini dagli anni ’70, è stato uno dei primi agriturismi aperti in Trentino. Oltre al ristorante e ai terreni limitrofi – il giardino è bellissimo -, si può scorrazzare per il celeberrimo lamponeto e si può visitare l’azienda agricola. Bambini che guardano caprette, mucche, galline, coniglietti: a posto. Se non basta, c’è pure il parco giochi – Cesare ha deciso di andare a convivere nella casetta con una bambina di nome Maria Vittoria. Non lo biasimo, Maria Vittoria era molto simpatica.

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Un suggerimento pratico: chiedete al vostro albergo di attivarvi la Fiemme Guest Card. Ci sono un sacco di agevolazioni e sconti sul fronte dei trasporti, degli ingressi e – aspetto fondamentale – dei biglietti degli impianti di risalita.

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Se capiterete da quelle parti, fatemelo sapere. E alla sera portatevi una felpetta, che grazie al cielo FA FRESCO.
Spero di aver sprigionato dell’utilità per le vostre meritatissime ferie. :3

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Tegamini, vorremmo portarti in Slovenia. Abbiamo organizzato questo viaggio a base di posti belli, roba seria da mangiare e coccole alla spa. Cosa dici, ci sei? In circostanze del genere, mica puoi fare l’antipatica. Chiedi due giorni di permesso, ti depili sommariamente i cosciotti, butti cose a caso in lavatrice e prepari la valigia. E, per magia, ti ritrovi su un treno alle 8 e mezza del mattino, in un giovedì che – normalmente – sarebbe stato un interminabile trionfo di rotture di coglioni.
Da un BLOGTOUR non sapevo bene che cosa aspettarmi. Voglio dire, io sono una che prova a raccontare delle cose, ma non ambisco certo a trasformarmi all’improvviso in una Lonely Planet glitterata o in un’integerrima fonte d’informazioni pratiche e utilissime. Le mie foto su Instagram sono una stramba accozzaglia di gatti che dormono a pancia per aria, tortelli con la coda e libri buttati sul tappeto che mi ha regalato mia suocera. Non ho neanche ben presente dov’è Pescara, figuriamoci se so com’è fatta la Slovenia. Insomma, ansia. Chissà che sanno fare, questi travel-blogger. Quale sarà il loro equipaggiamento. Come si vestiranno. Di che si parlerà. Sarà gente in grado di spiegare al mondo come si sale su un elefante e come ci si destreggia in una foresta di mangrovie. E io là, col foglio delle ferie in mano, un paio di calzettoni di spugna sottratti ad Amore del Cuore e un caricabatteria portatile che somiglia a un Tampax gigante. Che cosa volete che ne sappia di come si fa. I travel-blogger, si è poi scoperto, sono persone molto tenere e affabili… infinitamente più organizzate di me, ma per nulla minacciose.
Ma chi c’era, alla fine?
Sono partita con Rossana di Vitasumarte – che amavo tantissimo già da prima e che ringrazio molto per aver reso l’intera impresa decisamente più rassicurante, spingendosi addirittura a conferirmi il titolo di elfo – e la dolce Anna di Travelfashiontips – più la sua grossissima valigia rosa dal peso specifico dell’isotopo 249 del berkelio. Alla stazione di Mestre abbiamo raccolto anche Teresa di Cosebelle – a Teresa, secondo me, bisognerebbe al più presto dedicare un qualche tipo di culto -, Georgette di Girlinflorence – il sorriso più smagliante del Texas e un superocchio per i dettagli cuorosi – ed Elisa e Luca di Tiprendoetiportovia – organizzazione militare, preparazione massima, Reflex gigante e un’autentica vocazione per la cronaca in presa diretta.
Bene. Ora che ci siamo tutti, direi che si può partire.

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Il nostro viaggio è cominciato da Vipava, cittadina verdeggiante poco lontana dal confine italiano e nota per l’esuberanza del suo fiume (che, in pratica, è tutto una sorgente) e delle sue produzioni vinicole. La Slovenia, a quanto pare, è un tripudio di microclimi e terreni avvincenti. Ed è proprio questa grande varietà dei suoli e delle condizioni atmosferiche a consentire la crescita di vitigni differenti che, a loro volta, vengono utilizzati per la produzione di vino buono e interessante. Oltre alla solita roba che abbiamo noi, in Slovenia si possono bere due rispettabilissimi bianchi autoctoni, la pinela e lo zelèn. Perché ne sono al corrente? Perché ci siamo fermati alla Vinoteka di Vipava a tirarcene giù svariate bicchierate.

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Oltre a coltivare un alcolismo di qualità, la Slovenia vi incoraggia ad intraprendere passeggiate romantiche lungo il corso di fiumi, torrenti e specchi d’acqua immancabilmente costeggiati da argini pieni di piacevoli punti di ristoro. Per gli amanti dell’aneddotica, poi, i fiumi sloveni sono ricchi di leggende. A Vipava, per dire, c’è la storia di una specie di Robin Hood che s’era andato a nascondere in una delle grotte-sorgente del fiume, facendosi beffe degli sbirri locali finché poi qualcosa non andò terribilmente storto. In tutta sincerità, ad un certo punto mi sono persa. Spiovigginava e stavo cercando di aumentare a bomba la saturazione di queste foto, ma mi ricordo che nella storia c’erano anche delle fragole. Caverne, sorgenti, fragole e banditi. Io a Vipava ci andrei solo per questa leggenda sconclusionata, poi vedete voi.

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Visto che il muschio è carino, ma mangiare è meglio, ci siamo volenterosamente diretti al Kamp Vrhpolje. In Slovenia, per la cronaca, può capitare che una famiglia decida di prendere la fattoria che abita da generazioni e di trasformarla in un campeggio. Basta un giardino verde, un solido senso dell’ospitalità, un po’ di spirito d’avventura e la capacità di sconfiggere la coriacea e labirintica burocrazia slovena. Per raccontarci tutto, la radiosa e adorabile Karolina ci ha chiusi in cantina e ci ha offerto un pranzo super tradizionale a base di zuppa (quanto vorrei rammentarmi come si chiama, ma so solo che era ottima e che c’erano dentro delle verdure fermentate tipo crauti, dei fagioli e dei salsiccioni), vino (ognuno si è scelto la sua botte e se l’è spillato) e tortina formaggiosina con zucchero e uvette.

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Svariati chilometri più tardi – trascorsi russando pacificamente, in barba alle numerose buche che popolano le autostrade locali -, ci siamo ritrovati a Ptuj, la più antica città del paese. Fondata dai romani chissà più quando, Ptuj, ai tempi, si chiamava PETOVIONA ed era un fiorente polo commerciale e militare dell’impero. Oggi è una pacifica destinazione termale, con un centro storico elegante e curioso, molto incline ad ospitare botteghe artigiane – vi consiglio caldamente le adorabili pantofole fotoniche di Sabina Hameršak -, boutique del vino – come quella di Bojan Kobal, che ci ha ospitati per una specie di dotta e graditissima conferenza alcolica di benvenuto – e festival estivi dedicati alla poesia.

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Il nostro campo-base a Ptuj è stato il Grand Hotel Primus, destinazione obbligata per ogni generale che si rispetti – e pure per le numerose ancelle del suo seguito. L’albergo, oltre ad essere vicino a un parco acquatico termale di dimensioni ragguardevoli, ha anche una spa molto favola a tema romano. Colonnati e piscine, mosaici da tutte le parti, candele, saune di centodue tipi diversi e allegri mostri marini.

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Ho passato una mattina intera a mangiare fragole in una vasca idromassaggio… e mi sono spostata solo perché era arrivato il mio turno per fare i massaggi. Sono stata ricoperta d’olio profumato da un signore altissimo coi baffi che ha passato mezz’ora a impastarmi come una Pagnottella del Mulino Bianco. Ha anche coraggiosamente tentato di massaggiarmi la pianta del piede sinistro, ma sono scoppiata a ridere e gli ho quasi mollato un calcione in faccia. Col destro, visti i risultati, ha lasciato perdere. Non so bene come, ma ad un certo punto ci siamo anche ritrovati a cenare su un vasto cuscinone morbido con addosso toghe di varia foggia, con gente che continuava a versarci da bere e spandere petali al nostro passaggio. Sono quelli i momenti in cui ti domandi perché, invece del piffero e della pianola, a scuola non s’insegni a suonare la cetra.
Anche se sarebbe assai meglio evitare, qua ci sono io – soave e luminosa (grazie al filtro SOGNO) – con la toga. Poi uno si chiede perché non m’invitano alla Fashion Week.

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Convinti di non averci nutriti e coccolati a sufficienza, i nostri premurosi anfitrioni hanno anche deciso di farci provare l’ottimo menu Be Fit, studiato appositamente per la gente che – dopo aver trascorso una benefica giornata termale – non trova corretto ordinare un tacchino ripieno… ma neanche crepare di fame.

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Nutriti e massaggiati, ci siamo nuovamente issati sul pulmino per proseguire nelle nostre esplorazioni. Dopo un nuovo episodio di comatosa e impenetrabile narcolessia, mi sono ritrovata ai piedi del gelido ma glorioso castello di Celje, una riproduzione a grandezza più che naturale di Grande Inverno – ma senza metalupi e con un panorama più incoraggiante, nonostante il sole non si sia mai degnato di palesarsi nei quattro-giorni-quattro che abbiamo trascorso in Slovenia. Per sconfiggere il clima infausto, ho deciso di consolarmi usurpando un trono.

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La città di Celje è un posticino davvero degno di un’esplorazione approfondita. Oltre a gigantesche biblioteche che brillano nella notte, cattedrali, resti medioevali, strade romane perfettamente conservate e un centro storico vispo e allegro, Celje è il rifugio privilegiato per artisti e fotografi, che vivono e lavorano gioiosamente in un imprevedibile mini-quartiere con annessa galleria per le mostre collettive – più una balena di cartapesta (dal manto zebrato) che riposa serena in mezzo al cortile. In pratica, se dipingi e cerchi uno studio, puoi insediarti a Celje pagando un affitto simbolico e offrendo la tua arte alla comunità. Se non v’ho ancora convinti, poi, lì nel quartiere degli artisti c’è pure un bar fantastico. Noi non ci siamo fermati a bere, ma siamo andati a rompere i coglioni a due distinti pittori, rovinando irrimediabilmente il più alto momento d’ispirazione della loro esistenza.

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E, per il primo pezzo del weekend, direi che ci siamo. Nel prossimo post ci trasferiremo a Bled, esploreremo le miniere di Moria, visiteremo altri due castelli – più o meno scavati nella roccia -, malediremo i cigni e ci abbandoneremo a momenti di folle e fulgidissimo FOODPORN.
Nel frattempo, se vi va di vincere un weekend in Slovenia tipo quello che sto raccontando – o magari pure meglio del mio – potete correre a votarmi qui: http://bit.ly/1VBM6PJ. I Sava Hotels si premureranno di ospitarvi (insieme alla vostra persona preferita) in una delle loro strutture termali, amandovi quanto hanno amato noi. C’è tempo fino al 20 marzo. Vi auguro di vincere, ma con tutto il cuore. Son bei posti.