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Amore del Cuore è arrabbiatissimo con me perché, in casa nostra, il primo utilizzatore assiduo e devoto di Satispay è stato lui e, come ogni early adopter che si rispetti, pretende che gli venga riconosciuto il merito di aver capito in anticipo che una cosa è comoda, utile e valente. Diciamolo chiaro e tondo, allora: grazie per avermi convertita, Amore del Cuore. Senza di te brancolerei ancora nell’ignoranza.
Bene, ora che ci siamo levati dai piedi i doverosi credits, direi di procedere. Perché siamo qui? Perché Satispay, qualche tempo fa, ha individuato la mia propensione a raccontare i posti dove amo spendere dei soldi e mi ha anche identificata come utente felice del servizio.
Perché non facciamo collidere queste due fondamentali placche tettoniche, dunque, compilando una piccola guida ai locali, negozi e/o entità milanesi che accettano i pagamenti con Satispay – sfornando pure dei cashback, magari – e che apprezzo in modo particolare? Ed eccoci qua.

Due parole sul servizio, prima di passare all’accozzaglia di indirizzi che ho messo insieme.
Cos’è Satispay? È un’applicazione che permette di pagare cose col telefono. Si collega al vostro IBAN e crea un salvadanaio virtuale – l’importo settimanale ve lo scegliete per conto vostro, in base a quello che combinate di solito – che vi servirà per i pagamenti e per immagazzinare i cashback ricevuti. Che roba sono i cashback? Moltissimi negozi del circuito Satispay vi restituiscono una percentuale sull’acquisto, che va a finire direttamente nel vostro credito disponibile, rimpinguandolo di volta in volta.
Satispay permette anche di creare salvadanai da destinare alle vostre ambizioni di risparmio e di pagare con il telefono un vasto ventaglio di rotture di scatole (i bollettini, il bollo auto, le ricariche del telefono, le multe…). Se uscite in compagnia e vi spaccate abitualmente la testa su come dividere i conti, poi, l’app permette anche di spedire/ricevere soldi da altri utenti – riducendo, auspicabilmente, la frequenza dei “guarda, ti devo 25€ ma non ho contanti adesso… te li rendo la prossima volta che ci vediamo”. E poi vi evitano per mesi e, quando ricapita di trovarvi, par brutto esordire con “Ciao, quanto tempo! Ma ti ricordi quei 25€ che mi devi da febbraio?” e alla fine state zitti e i vostri 25€ non si palesano mai più. Ecco.
È sicuro? Per forza. Satispay non si aggancia a carte di credito e compagnia danzante, ma il suo punto di riferimento è l’IBAN, perché l’unica cosa che può fare qualcuno se conosce il vostro IBAN è farvi un versamento – e solo le istituzioni autorizzate, come nel caso di Satispay all’attivazione del servizio, possono effettuare prelievi.
È la solita roba che c’è solo a Milano mentre il resto d’Italia si attacca al tram? Fortunatamente no. Qua c’è un’eloquente mappa della nostra splendida penisola, piena di puntini che indicano la diffusione degli esercizi che accettano Satispay. In generale, l’app vi propone una lista di esercizi aderenti al circuito, in base alla posizione in cui vi trovate. Ma si può anche cercare per categorie, oltre che per “distanza”.

Avrò detto tutto? Speriamo.
Ecco qua qualche indirizzo Satispay-friendly a Milano, pescato dalla mia lista dei posti del cuore.
Legenda? Eccoci. Gli * indicano i cashback.

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ABBIGLIAMENTO & ACCESSORI

Le It * – Corso Genova 7
Ho conosciuto le ragazze su Instagram e vado a trovarle spesso. La formula del negozio è quella che apprezzo con più trasporto: una selezione curata ed estrosa di vestiti e accessori – gioiellini fatti a mano compresi – che coprono una forbice di prezzo saggia. L’effetto finale è un bel mix di abbigliamento che non vi ammorberà con la sensazione di “l’ho già visto 80 volte” e che non vi farà arrabbiare perché non potete mai permettervi le cose belle. Organizzano anche dei pop-up temporanei – ospitando piccoli marchi indipendenti o sarte che vi prendono la misura in negozio e poi vi confezionano un capo unico – e hanno cominciato ad allestire un angolino beauty. Insomma, ho passato l’estate vestendomi solo con quello che ho scovato da loro, in pratica. E punto a replicare quest’inverno.

Wait and See * – via Santa Marta 14
Fondato dalla mitologica Uberta Zambelletti – se non la seguite su Instagram rimediate subito -, Wait and See è un magnifico antro delle meraviglie nel distretto delle Cinque Vie. A parte l’oggettiva gioia che può suscitare un negozio dove in ogni angolino c’è qualche aggeggio che raramente vi potrà capitare di vedere al mondo, la selezione degli abiti è straordinaria. Le sezioni sono suddivise cromaticamente – Rossella Migliaccio would be proud – e troverete anche spille, borse, scarpe, monili, oggetti curiosi e piacevoli stramberie. Budget medio-altino, ma sacrosanto.

Dixie * – via San Maurilio (angolo via Torino)
Qua a Milano ci sono diversi Dixie e, prestando un po’ di attenzione alle composizioni dei tessuti, si possono scovare belle cose. Maglieria giocosa, abiti stampati e moda “da tutti i giorni” a prezzi ragionevoli. Storicamente, ci ho comprato diversi abiti lunghi che sono ben sopravvissuti alle lavatrici e che, addosso, fanno la loro figura, anche se non escono dalla sartoria della Scala.

Ottica San Maurilio * – via San Maurilio 14
I negozi di ottica dallo stampo retro’ hanno un posto speciale nel mio cuore di ragazza miope (e anche astigmatica). A parte la bellezza della bottega – che può fregiarsi anche di una cassettiera spettacolare da tipografia -, l’assortimento di montature è vasto e avvincente. Ci sono modelli vintage, marchi internazionali d’occhialeria d’eccellenza e pezzi di qualità che si allontanano dalle strade più battute. Volendo, vengono anche realizzati occhiali su misura in diversi materiali – legno compreso.

Rubinia * – via Vincenzo Monti 16
Un valente brand di gioielli che ormai adoro. Se cercate qualcosa ad alto valore simbolico, Rubinia è un’ottima meta. Ogni gioiello viene realizzato a mano e c’è una grande attitudine alla personalizzazione – se sono riusciti a punzonarmi “Ignoriamo il senso del drago come ignoriamo il senso dell’universo” su un bracciale potete ormai ritenerli pronti a tutto.

Ma i brand “grossi”? Sono arrivati anche loro. Qua a Milano, Satispay si può usare – tra gli altri – da TwinSet*, Benetton*, Falconeri (Corso Vercelli 33)* e Intimissimi (Corso Vercelli 14)* – con cashback potenzialmente succulenti.

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BERE E MANGIARE

La Forgia degli Eroi * – via Ampère 15
Visto che siamo in tema “posti alla buona”, la Forgia è una via di mezzo tra una ludoteca e un locale dove si beve e si mangia. Quando ero piccola, a Piacenza, finivamo spesso in questi pub scalcinati a bere birre e a giocare a Trivial Pursuit o a qualsiasi roba in scatola ci fosse a disposizione. E, vi dirò, il FORMAT continua a piacermi. La Forgia ha un menù di paninazzi, hamburger gozzissimi, bruschette e birre artigianali di tutto rispetto. Cocktail “rudimentali”, direi, ma son certa di aver bevuto ben di peggio. I piatti e le bevande prendono il nome da personaggi ed episodi del pantheon fantasy, fomentando ulteriormente la vena nerd che pervade molti di noi. A disposizione dei clienti c’è anche una gamma sterminata di giochi di società (in buono stato manutentivo) e, volendo, postazioni per i videogame. Se l’idea di mettere piede a Lucca Comics vi terrorizza, ecco, forse la Forgia non è il posto perfetto per voi. In alternativa, amerete. Cimentatevi assolutamente con Cards Against Humanity.

Soulgreen * – Piazzale Principessa Clotilde
Un ristorante in prevalenza vegetariano che riesce a conciliare due estremi non scontati: un posto bellissimo dove si mangia anche bene. Ci sono stata diverse volte per i fatti miei (immergendo la faccia in una vasta gamma di bowl) e anche con l’infante, che s’è scofanato una zuppiera di gnocchi alla norma ed è stato accolto con grande solerzia. Gli ingredienti scelti sono stagionali e arrivano da produttori selezionati con attenzione. Il locale, in più, devolve parte dei suoi proventi a favore della nutrizione dei bambini in difficoltà con il programma “Proud to Give Back”.

Hygge * – via Giuseppe Sapeto 3
Mi sembra che la mania collettiva per il lifestyle danese si stia un po’ attenuando, ma non tutte le fissazioni vengono per nuocere. Hygge è un piccolo locale accogliente e pacioso che propone colazioni, brunch, pranzi e caffetteria. I piatti richiamano la tradizione nordica sia per scelta delle ricette che delle materie prime e, in generale, la sensazione è quella di trovarsi in una bolla di tranquillità e ragionevolezza. Da collaudare a colpi di fette di torta e infusi roventi nei mesi invernali.

LùBar * – via Palestro 16
Vorrei potervi dire come si mangia da LùBar, ma non ho mai avuto il privilegio. Sono sempre capitata in orari avversi all’apertura della cucina. Quel che posso dire – e che appare palese già a distanza siderale – è che il locale è splendido. Nell’accezione di splendore che potremmo attribuire al giardino d’inverno di una nobildonna. Verde salvia e vetrate ovunque.

Testone * – via Vigevano 3
Meta prediletta del mio consorte e dei suoi amici – dopo la partita di basket settimanale dell’Olimpia -, Testone mi costringe nuovamente a dar ragione ad Amore del Cuore, dopo molteplici collaudi. Il locale di via Vigevano è la succursale milanese di un’istituzione umbra… e la cucina è quella. Dalla celebre torta al testo (riempibile con penso qualsiasi cosa), alla carne alla brace, il menù è casereccio e le porzioni abbondanti. Prezzi onestissimi e, tanto per dirlo come lo direbbe una Lonely Planet, “atmosfera rilassata”.

Enoteca/Naturale * – via Santa Croce 19
Un posto tranquillo nel cortile/giardino del nuovo complesso di Emergency in Sant’Eustorgio. Piacevolissimo il fuori – ci siamo donati svariati aperitivi ristoratori mentre Cesare razzolava in giro (è tutto cintato, quindi i figli non vi scappano) – ma anche il dentro ben vi difenderà dai rigori dell’inverno. Ottimi vini da degustare insieme a olive e taralli e c’è anche la possibilità di ordinare dei piattini, un po’ in modalità tapas bar.

Frizzi & Lazzi * – via Evangelista Torricelli 5
Sarebbe stato meglio parlarne all’arrivo dei primi caldi – invece che del gelo incipiente – ma segnatevelo per i tepori futuri. Il bello del Frizzi, infatti, è il cortile, in mezzo alle case di ringhiera della zona Navigli. Il servizio è assai spartano – non attendetevi il signor Carson che vi porta un tovagliolo inamidato, insomma -, i prezzi contenuti e le patatine ragionevolmente croccanti. Roncio ma sincero… e grande meta per le serate estive più lunghe e battagliere.

Sempre in zona Navigli, grande amore per Ugo* e il Banco*. Ugo è un po’ più MONDANITÉ, visto che il grosso dell’attività del locale finisce per riversarsi per strada, mentre al Banco troverete ottimi cocktail – pure estrosi – e una più alta probabilità di accomodarvi a un tavolino come delle principesse. Sono due ottimi luoghi dove assaggiare qualcosa di nuovo, secondo me. Abbiamo tutti il nostro cocktail d’elezione, ci mancherebbe, ma nel caso vogliate ampliare i vostri orizzonti, meglio provarci mettendosi nelle mani di un super mixologist.

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VARIE ED EVENTUALI

Donchisciotte* è uno dei nostri negozioni di giocattoli preferiti. Si è recentemente spostato da via Col di Lana per approdare in via Vetere. Ci abbiamo comprato monopattini, dinosauri di plastica di ogni forma e dimensione, sabbie cinetiche e palloncini ENORMI per i compleanni. Zero Barbie e Gormiti, ma tanti giochi adorabili e saggi. Offre anche l’opportunità di ammirare dal vivo le mitologiche Sylvanian Families.

Sul fronte libresco, invece, possiamo cimentarci con Open More Than Books (Viale Monte Nero 6)* – che ha anche un comodissimo spazio di coworking con caffetteria -, Gogol & Company (via Savona 101)* – sto valutando di trasferirmi in quel quartiere e un grande fattore che consideriamo ogni volta che vediamo una casa è la distanza dalla Gogol -, la Centofiori (Piazzale Dateo 5)* e la Libreria del Convegno (via Lomellina 35)*.

Qua a Milano, Satispay si può usare anche in tanti supermercati (Pam, Esselunga e Naturasì in primis, ma anche da Tigotà, se vogliamo restringere il raggio d’azione merceologico) e, RULLO DI TAMBURI, pure in farmacia. Molte farmacie vi sfornano anche il cashback… il che non credo vi farà ammalare più volentieri, ma fornisce almeno un minimo di consolazione.

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Bene, dovrei aver concluso. Vi lascio qui il link d’iscrizione per fare un collaudo, se vi va – come spero accada. Buoni giretti e buona caccia ai cashback-Pokémon. 🙂

TEGAMINI – Amore del Cuore, finalmente andiamo in qualche capitale europea col bel tempo! A Berlino era dicembre. Ad Amsterdam era dicembre. A Oslo era dicembre. Adesso è giugno, capisci? Il caldino!
AMORE DEL CUORE – A Praga c’è l’alluvione.
TEGAMINI – Ah. Ma io ho già fatto i cerchietti sulla guida a tutte queste birrerie all’aperto in riva alla Moldava…
AMORE DEL CUORE – Facciamo così. Se esistono ancora ci andiamo.

Glu-glu. Ma non il glu-glu dei gargarozzi che inghiottono birra. Un glu-glu più di natura che sommerge.

Ma sto già facendo del disordine. Diamo una parvenza di senso a questa Praga-cronaca, informiamo e intratteniamo come si deve, diamine.

Il taxi dall’aeroporto all’albergo non lo volevamo prendere perché non ci sentivamo abbastanza autorevoli. Noi siamo giovani turisti, non abbiamo un soldo, il taxi è una cosa che non si considera e basta. Il taxi diventerà un’opzione quando guadagneremo il nostro primo milione. Ma poi, però, ti accorgi che a Praga i taxi costano quanto un giro sul Malpensa Express e allora ciao. Il nostro guida-guida ha insistito nel farsi chiamare Francesco e nel venirci a prendere sotto casa al ritorno, facendoci pure 15 euro di sconto. Quindi insomma, pigliate il taxi, uno degli AAA. E, in generale, mettetevi d’accordo prima su quello che vi faranno pagare, che il tassametro non esiste. Un po’ come la metropolitana. Ma dov’era, la metropolitana?
Comunque.
Come ogni volta che prenota qualcosa Amore del Cuore, siamo finiti in una camera d’albergo a forma di appartamento – ben più grande di casa nostra. E, a parte gli spettrali corridoi a mattonelle grigiobianche, la totale assenza di altri esseri umani e l’acqua che non diventava mai calda, noi ai Pushkin Aparments ci siamo stati anche bene – pagando (a testa) tre patate, una cipolla e due cavoli verza. Se volete emozionarvi tantissimo, ecco l’alcova dell’appartamento 12, dove io e Amore del Cuore abbiamo russato, asciugamani a forma di Mothman compresi.

Poi ci si svegliava e c’erano tutti dei tetti.


Che mangiare, se si arriva in città alle undici e passa di sera? Ma che sarà mai, ci siamo detti, andiamo a Praga, mica a Santiago de Compostela, che a quell’ora lì son già tutti a casa a dire dei rosari! E invece no, si mangia presto e pure i bar e i pub del centro ti cacciano verso mezzanotte. Grande Giove, l’inedia ci stroncherà! Ma poi, dietro casa, c’era un albergone – u Zlateho Stromu – coi tavolotti fuori e la cucina volenterosamente aperta 24 ore su 24. E ci siamo arenati lì, sbloccando il birra-counter della vacanza e dando delle sbirciatone al Ponte Carlo. In un momento di particolare euforia, temo anche di aver gridato un BELLA CARLO.


E finirei di parlare della serata fingendomi una guida Lonely Planet: “Concludete la giornata su una panchina priva di schienale a domandarvi come facciano tutti quanti a sopportare la Becherovka”.

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Ciao, siamo le pastarellone del buongiorno.

Allora. Le previsioni del tempo davano pioggia torrenziale e 15 gradi di massima. E invece no, giungiamo in cima al castello scansando cinesi col parasole che si accasciano in preda alla calura. Io, bardata con pantalonazzo autunnale, stivale e golfino, simulo noncuranza… bestemmiando però gli dei del sudore nel profondo dell’anima.


Alle spalle di Tegamini, notiamo un gruppo di turisti sicuramente non soggetti alle restrizioni bagaglifere imposte da EasyJet. E magari anche dotati di una miglior fonte di informazioni in quanto a previsioni del tempo.


Monumento commemorativo. Quello accasciato con le stelle in testa è il turista che fa i gradini. Da qualche parte c’era una specie di skilift, ma siamo naturalmente votati al masochismo e ce ne siamo disinteressati.


Santi che trucidano draghi di fronte a splendide cattedralone dedicate ad altri santi che però di draghi non ne hanno mai visti. Propongo un “celebrity deathmatch” tra san Vito e san Giorgio. Il drago fa il mostro finale.


Se volete far finta di saper fare le foto, cercate dei gargoyle.

Il castello di Praga è una specie di città. C’è la cattedrale di san Vito, l’antico palazzo reale, la Torre delle Polveri, il Vicolo d’Oro, la basilica di san Giorgio. E tutto è bene e tutto è bello ed istruttivo, soprattutto se decidete di affrontare la grandiosità della storia e della cultura dopo un’immeritata pausa di riflessione sulla terrazza del Lobkowicz Palace Cafe. Non vi meritate di mangiare e bere ancora, ma infischiatevene. E se volete preservare l’integrità della vostra calotta cranica, sedetevi di fuori, ma ben appiccicati al muro. Noi si voleva splendideggiare nei pressi della balaustra ma dopo otto minuti eravamo squagliati. Più che altro, se proprio non vi preme star bene voi, fatelo almeno per la vostra birra.


Date retta alle scrittine FAVORITE. Sono FAVORITE perché se lo meritano.

Orbene. Dopo esservi opportunamente ristorati, visitate tutto il visitabile. Soffittoni! Vetrate! Papere nelle fontane! Imponenti baldacchini pieni di polvere! Santi! Martiri! Stemmazzi nobiliari! Armature stipate in ambienti claustrofobici! Armature con gagliardi parapalle! Mattonelle calpestate da Kafka! Cripte! Altari! Troni! Camere di tortura!

Gli intriganti e petaluti soffitti del salone principale del vecchio palazzo reale. Un salone di rara immensità dove, con tutta evidenza, si tenevano anche i campionati mondiali di pallacorda praghese, con tanto di tribune per il pubblico.

Un papero praghese, residente nel castello, con la papera sua moglie. Fermatevi almeno dieci minuti a osservare i due ciuffetti arricciati sulla coda del signor papero.


Ritrova anche tu la fede in mezzo alla cattedrale di San Vito. È l’effetto “Pilastri della terra”, poche storie.


Cuori per GESOO. E cacca a Satana.

Ciao, Alphonse Mucha. Non è che hai tempo di venirmi a disegnare una vetrata, sai, per la cattedrale. Ti assicuro, è un compito degnissimo e patriottico. E poi ci sono delle sante che sono anche meglio di Sarah Bernhardt, altroché Parigi. Ti ringrazio anticipatamente. Tuo, San Vito.

RRRROOOOOOOOOH! La formella del secolo.

Fingendosi devotissimo, Amore del Cuore si prostra al cospetto di un santo luccicante e sbadiglia a ripetizione per una dozzina di minuti.


San Vito è diventato San Vito perché è riuscito a far crescere le fette di pizza sugli alberi.


Ciao, cattedrale. Adesso andiamo a vagare nel Vicolo d’Oro.


Il magico artista-vetraio-intagliatore del Golden Vicolo. L’uomo che ci vede meglio da vicino di tutta la Repubblica Ceca.


Ve lo dirò. Non provando un particolare impulso feticistico nei confronti delle dimore di Franz Kafka, il Vicolo d’Oro mi ha messo una discreta ansia. È una via di mezzo tra Gardaland e la casa di Polly Pocket, ma con più bambini che corrono da tutte le parti e scale molto molto più strette. All’armeria, incagliati in un passaggio segreto insieme a una scolaresca tutta spintoni e cappellini rossi, pensavamo di darci la morte gettandoci su un’alabarda. Per fortuna, però, c’erano anche ovetti e pulcini.

Tanto per fuffare, vorrei anche raccontarvi che il castello di Praga è un must assoluto per farsi le foto dopo il matrimonio. Abbiamo incontrato ben tre coppie di assurdi sposoni novelli.
COPPIA UNO – sposo issa sposa sul parapetto dei giardini del castello (senza ringhiera né niente, così, freestyle) e la osserva mentre un corpulento fotografo le ordina di fare avanti e indietro sul benedetto muretto. Poi l’han fatta fermare, intimandole di dominare il panorama. All’inizio mi spiaceva per lei, ma poi le ho visto le scarpe. Aveva su quelle infami Mary Jane di GOMMA che van di moda tra la gente che vuole sudare tra un dito del piede e l’altro. Viola. Di plastica. AL TUO MATRIMONIO. Volevo caricare a testa bassa e gettarla giù dal muretto, ma Amore del Cuore mi ha fermata. In compenso, c’è questa foto che documenta tutto il mio funesto sdegno.


Zia, io avrò anche il bracciotto cicciardo da tennista-manovale, ma te ti sei sposata con delle scarpe di gomma viola. Chi sei, la cognata di Walter White? La gomma viola non è un’adorabile stravaganza, è un crimine contro l’umanità tutta. Che Anubi ti ghermisca!

COPPIA DUE – sposo e sposa danzano in mezzo a un altro giardino. C’è il fotografo che filma e delle buffe damigelle che si nascondono in mezzo ai cespugli. E sono pure bravi. L’unica roba inquietantissima è che gli sposi danzano serenamente senza musica.
COPPIA TRE – sposo e sposa, tutti bardati e senza manco un capello in disordine, si stravaccano su una gradinata a fare picci picci. Intorno a loro, il deserto. Niente paparazzi, niente invitati, un cavolo di nessuno. Fotografo invisibile? Momento di anarchia? Fuga romantica e tanti saluti ad amici e congiunti? Non lo sapremo mai, ma non c’era un’anima che se li filava.

Bene.
Esauriti i doveri culturali, siamo ruzzolati giù per la collina. Strada facendo, abbiamo visitato una farmacia e ci siamo aggiudicati una tonnellata di pastiglie per il mal di testa a due euro e dieci. Da grande importerò analgesici dalla Repubblica Ceca, si sappia. Stanchi come asini grigi e in piena crisi d’identità – numi, sono quattro ore che non ci sediamo al bar! – ci siamo accasciati in una piazzetta vicino alla nostra augusta dimora per riposare le stanche e dolentissime membra. Poi niente, dopo dieci minuti che eravamo lì è arrivato un giovane e paffuto tedescone vestito da coniglio rosa e mi ha chiesto se gli potevo smaltare le unghie.

Epic win, pingue tedescone. Mi ha detto che stava bevendo dalle 5 e mezza del mattino, ma l’ho comunque cazziato perché quello smalto lì non si stendeva bene per niente.
Per dovere di cronaca, devo anche dire che il primo addio al celibato degno di nota in cui ci siamo imbattuti poeva quasi quasi competere con quello del corpulento roditore germanico. A Malpensa c’era uno con l’aderentissimo costume (casco incluso) di Kimberly, la Power Ranger rosa… quella che tira con l’arco e grida PTERODATTILO! ogni cinque minuti. Kimberly e Coniglione Germanico, sposatevi tra di voi, il mondo già vi acclama.

E mentre noi ce la ridevamo, Noè continuava a lavorare all’arca.

Ma è ora di cena, è ora di cena!
In realtà volevamo andare in un altro posto, ma poi ci siamo arrivati davanti ed era un po’ lugubre. Un tragico sotterraneo con le sbarre alle finestre e l’intonaco vecchio di secoli. Ansia e sconforto. Che non so voi, ma quando vado in giro e sbaglio posto per mangiare mi indispettisco come mai al mondo. Per fortuna a sette metri c’era Lal Qila, un ristorante indiano che l’autorevole Trip Advisor riempie di complimenti. E basta, ci siamo fidati… facendo un gran bene. Ma buono. Buonissimo. E super didattico – e menomale, il menu era praticamente un Meridiano. Mi hanno pure fatto un pesce nel magico forno tandoori che non c’era scritto da nessuna parte, tanto per farmi sentire importante. E avevano un pianoforte disegnato sul soffitto, con le gambe e lo sgabellino che uscivano di sotto. Altroché Viktor&Rölf.


Vedi? Vedi? C’è un pianoforte incastrato nel soffitto!

Amore del Cuore, colmo di naan al formaggio e altre amenità, ha poi richiesto specificamente di visitare il Bukowski’s, meraviglioso baraccio nel quartiere più palloso di Praga. O noi non abbiamo capito la guida, o la guida dice delle tonanti corbellerie. “Il quartiere con la più alta densità di pub al mondo, accorrete!” Ma dove sono i pub? Non c’era un’anima in giro, tutti palazzoni belli e distinti. Uno aveva addirittura parcheggiato la Ferrari in strada, così, come se fosse una biciclettina. Il Bukowski ci ha salvato. Gente incastrata anche nei davanzali, fumo da tutte le parti, oscurità. Una meraviglia. Il barista – inquietante incrocio tra Sean Penn, uno scheletro di plastica da laboratorio e Braccio di Ferro (ma solo per il mento) – ha scodellato un OLDFESCION per Amore del Cuore senza battere ciglio. Purtroppo, eravamo seduti al bancone e non si poteva fare draping.

Amore del Cuore, quando è costretto a produrre un autoscatto, non riesce a generare anche un’espressione.  Insomma, è il Nicolas Cage degli autoscatti, ma amiamolo fortissimo lo stesso.

***

Cielo.
Questo post non finirà mai, ma qualcuno deve pur parlare dell’orologio astronomico! A un certo punto, mentre stramaledicevo MADRE al telefono non mi ricordo più neanche per cosa, ci siamo trovati in piazza sotto al venerabile segnatempo. E niente, mancava poco allo scoccare dell’ora successiva e ci siamo messi lì sotto insieme alle genti del mondo per vedere che diamine sarebbe accaduto in tutte quelle finestrelle.

Ecco. Per una volta vorrei mettere da parte il cinismo, perché con l’orologio astronomico di Praga sarebbe troppo facile. È un prodigio e basta. Si aprono le porticine e passano dei piccoli santi, lo scheletrino lì attaccato a destra muove la mascella e agita gli ossicini, i guerrierini si dimenano con le loro mini-spade e ci sono una miriade di acuti rintocchi. Poi c’è un tizio in cima alla torre che suona la trombetta, la folla lo applaude, lui saluta come una vera star e tante care cose, si va via contenti che neanche a Eurodisney dopo il mondo in miniatura. Fingiamo di essere onesti cittadini dell’antichità, immaginiamo per un attimo di essere dei bei campagnoli col un mulo al guinzaglio… ecco, l’orologio, lo scheletrino e il trombettiere ci scalderanno il cuore. Agita quegli ossicini, vispo scheletrino!

Rinfrancati dalla splendida esperienza – e sicurissimi di che ora fosse – ci siamo poi infilati nel negozio più bello del mondo, l’Art Decoratif. Riproduzioni di gioielli art-nouveau a destra e a sinistra. Ma strabilianti. Volute, foglie, ghirigori, pietre, LIANE, libellule, mosconi e lucertole. Facendo fare una fatica invereconda all’anzianerrima proprietaria, mi sono regalata l’Orchidea di Lalique. Insomma, pigliamoci una roba sola ma bella bella, invece di seimila baggianate e bottiglioni di assenzio farlocco.

Poi volevamo andare al museo ebraico, ma ci siamo spaventati quando abbiamo visto come si chiamava l’audioguida in tedesco.


Le magliette del golem però meritavano un casino.

In compenso, Amore del Cuore si è regalato un orologio russo degli anni Cinquanta. C’era questo mini-negozio – Old Clocks, Maiselova 16 – pieno di ciarpame e ticchettii e cucù a sorpresa. L’orologio di Amore del Cuore, in realtà, non abbiamo ancora capito molto bene se funziona o se siamo noi che continuiamo a fraintendere i meccanismi che ne governano il movimento. Nel dubbio, chiederemo l’aiuto dello scheletrino dell’orologio astronomico. Agita quegli ossicini, agitali!

Poi abbiamo visto passare un brezel gigante e non siamo più riusciti ad avanzare. Tavoloni di legno su un bel marciapiede di ciottolini e viva il Kolkolvna, che sarà pure una catena – il che ti fa subito sentire meno sofisticato -, ma ha tutto il mio ruspante rispetto. Cotolettazza, goulash, birrotti e pingue felicità.


Postura da gioioso insaccato e visibile sollievo da vecchia signora che finalmente trova un posto dove sedersi.

Nel tentativo di darci un contegno, abbiamo poi deciso di visitare il museo dell’eccelso Alphonse Mucha, strabiliante maestro dell’art-nouveau e disegnatore dei poster più memorabili di inizio Novecento. A vedere come la disegnava lui, la Sarah Bernhardt mi è sembrata divina sul serio. Il museo è piccolino ma fascinoso. Ci sono le riproduzioni dei lavori più famosi di Mucha – dai cartelloni per gli spettacoli teatrali di Parigi ai dipinti a olio -, le prove di stampa dei manifesti e i bozzetti a carboncino, mille studi per oggetti e arredamento LIBERTI e un tripudio di decorazioni. Ci sono i libri di favole che ha illustrato, allegorie delle stagioni e donne con capelli bellissimi da tutte le parti. E c’è pure un cinemino che proietta un documentario molto istruttivo sulla vita di Mucha – le seggiole scricchiolano, state immobili. E insomma, uscirete gridando VAFFANCULO MINIMALISMO e sarete molto contenti.

TEGAMINI – Amore del Cuore, ci manca Piazza Venceslao. Vorrai mica lasciar perdere piazza Venceslao.
AMORE DEL CUORE – Eccola, tò. È lassù, alla fine del vialone. Lungo lungo. In salita. Vuoi che andiamo?
TEGAMINI – Ah, è fin là. Allora no, anzi, col cazzo!
AMORE DEL CUORE – …fiume?
TEGAMINI – Fiume. E poi?
AMORE DEL CUORE – Eh. Vaghiamo.

E poi si è sparsa la voce che avevo portato stivali e collant grevi e si è messo a piovere tantissimo. Ma l’ultima sera è stata lo stesso molto frufru. E credo proprio che il Bar and Books, rifugio dal legno asciuttissimo, possa finire di diritto nella top-qualcosa dei miei posti preferiti al mondo. Se vi garba l’idea di andarvi a bere delle robe perfette in una biblioteca, piazzatevi lì e stateci. Ero così contenta che mi sono persino seduta con la schiena dritta. Non avevamo il monocolo, ma se lo chiedevamo alla super cameriera in inestimabile tubino rosso secondo me ce lo portava. Anzi, un monocolo ad Amore del Cuore e una tiara a me. Olivette, cosini croccanti, cristallo e gioia.


***

Ecco.
Avrei anche finito.
Resta il grande rammarico di non aver potuto mettere piede sul benedetto Ponte Carlo, presidiato giorno e notte da arcigni poliziotti che volevano salvarci dalla piena, e di non aver comprato il GAGGET definitivo: la felpona con su scritto PRAGUE DRINKING TEAM, accessorio che invidio da decenni a chiunque sia stato portato in gita a Praga al liceo, mentre io scarpinavo per l’ottava volta per Parigi e osservavo con costernazione il mio professore di scienze in lacrime di fronte alla ricostruzione del laboratorio di Lavoisier. Facciamo che il prossimo che va a Praga me la piglia, la sacra felpa. Ho la M. E mi va bene anche il colore più pacchiano. Tranne il giallo, dai. Il giallo no.

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Per chi volesse andare in giro dentro a un Tegamini, adesso c’è anche la pregiata sezione Posti.

Dunque, a casa abbiamo questa vecchia lavatrice che usiamo come libreria. Dovevamo portarla in cantina, ma poi era greve e l’abbiamo lasciata in salotto, autoconvincendoci che faceva arredamento. Prima ci abbiamo messo sopra i pesci, ma poi i pesci sono schiattati e abbiamo cominciato ad ammucchiarci su i libri da leggere. C’è di tutto… e la cosa bella è che ogni tanto passi e trovi qualcosa di splendido che ti eri pure dimenticato di avere. L’altro giorno ero lì che cercavo di capire che costume da bagno portarmi al mare – non ho deciso, li ho cacciati tutti nella borsa e ciao – e intanto che c’ero ho preso su Drown di Junot Díaz (che è uno Strade Blu della nave-madre Mondadori, tradotto da Roberto Agostini e Patrizia Rossi). E perbacco, La breve favolosa vita di Oscar Wao mi era molto garbato, ma avevo completamente rimosso questa raccolta di racconti, che poi è anche la prima cosa che ha scritto, tra i meritatissimi OOOH e AAAH del vasto mondo. Sono dieci storie, tutte incastrate fra loro e ancora più incastrate negli sconvolgimenti di una famiglia dominicana molto complicata. C’è sempre un pezzo che manca. Può essere il papà che li pianta lì senza un soldo e va negli Stati Uniti dopo aver tradito la moglie con una cicciona del barrio. Può essere la tranquillità, che non c’è mai anche quando tutti quanti approdano nel New Jersey. Possono essere i soldi, che Yunior raccatta spacciando negli Stati Uniti mentre prova ad amare una ragazza troppo devastata per stare in piedi da sola. Può essere anche una buona parte della faccia di un ragazzino del villaggio vicino, che porta una maschera perché, quand’era piccolo, un maiale gli ha sbranato una guancia. Non sono delle storie allegre, ma sono meravigliose. E continui a portartele a spasso anche quando hai chiuso il libro.

A leggere ero su questo scoglio.

E dopo lo scoglio ci siamo messi nella pancia queste cose qua, alla Cantina del Polpo di Sestri Levante, che ormai sta diventando uno dei miei posti-allegri del mondo.

Insomma, una giornata di luminose soddisfazioni. Anzi, oltre ad ordinare un altro piatto di ravioli al baccalà, credo proprio che mi leggerò anche È così che la perdi. E quando arriverà sulla lavatrice, prometto solennemente di non lasciarcelo troppo a lungo.