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Proust

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Di primo acchito, Clara legge Proust di Stéphane Carlier – tradotto da Ilaria Gaspari per i Supercoralli Einaudi – potrebbe sembrare un romanzo dell’ormai consolidato filone “piccola bottega in cui si approda un po’ a caso finendo però per trovarci il senso della vita grazie alle gioie sincere delle cose semplici e della gente tanto carina e piuttosto eccentrica che fa avanti e indietro” ma non siamo in Giappone e Clara, la protagonista, si è quasi già rotta le palle della piccola bottega in cui lavora. Le francesi di 23 anni funzionano diversamente dalle coetanee giapponesi che tanto volentieri importiamo, forse. La piccola bottega di Clara è un saloncino da parrucchiera di una cittadina come tante e lei passa le giornate ad acconciare chiome con discreta maestria ma senza particolare emozione o slancio. Tutta la sua esistenza gira un po’ così: un sereno tran tran che potrebbe proseguire immutato fino alla tomba – e nulla di male ci sarebbe, a patto di soffocare qua e là gli sbadigli. Clara intuisce un vago baratro esistenziale, ma tutto sommato le pare di cavarsela bene e non trova concrete ragioni per lamentarsi o per ambire a chissà quali sterzate nell’avventuroso ignoto.

Serpeggia insomma un’insoddisfazione blanda ma caparbia e le giornate si srotolano sempre uguali, con le chiacchiere tra una permanente e l’altra e le storie minute delle clienti. Un bel giorno, però, uno sconosciuto entra per farsi tagliare i capelli e si dimentica al salone il primo volume della Recherche di Proust. Clara non è una gran lettrice, ma si mette il libro in borsa e lo lascia a stagionare su uno scaffale di casa per qualche mese, senza badarci. JB, il suo aitantissimo fidanzato – per giunta pompiere -, è lì lì per usarlo come fermaporte, ma pure quella pare una decisione troppo ardita nel sonnecchioso ménage domestico. Un bel giorno 2, però, Clara piglia il libro e comincia a leggere… e MAGIA DELLA LETTERATURA tutto cambierà per sempre.

Il “risveglio” di Clara passa attraverso la lettura di un tomo multiforme, vasto e di difficile descrizione. Alla ricerca del tempo perduto credo sia in cima alle classifiche delle opere che fingiamo d’aver letto per darci un tono e per posizionarci fra i colti e i sapienti, ma l’unico moto di vera sincerità di Carlier – in un romanzo altrimenti MOLTO volpino – è l’assenza assoluta di barriere all’ingresso all’opera di Proust. Clara non si domanda se sarà capace di leggerlo, non si preoccupa di confrontarsi col Mostro Sacro, non ha nessuno da impressionare o nessuna prova d’intelligenza che le preme superare. Si siede lì e comincia a leggere, saltando probabilmente anche le 54 prefazioni che di solito accompagnano ogni edizione della Ricerca. Legge di gusto e per il gusto di percepire i personaggi come esseri umani suoi pari, in una bolla che per lei si dimostrerà rivelatoria e lontanissima da sovrastrutture o ansie da proiezione.

Io non ho ancora letto Proust e non so quanto Clara abbia scatenato in me desideri di emulazione. Ma sono contenta per lei, perché il suo approccio – anche al libro “difficile” per definizione – è molto sano. Clara legge Proust è una storia breve e piacevole, che forse si contraddice anche un po’, nonostante Clara non sia affatto spocchiosa: c’è un intento edificante, c’è l’idea antica della lettura che nobilita… e quest’idea “migliorativa” della lettura sottintende una certa gerarchia. O magari sono io, che non ho letto Proust e continuo a sentirmi in difetto… senza essere nemmeno capace di farmi la piega con disinvoltura.

[Segnalazioni pratiche di fruizione: su Storytel – dove l’ho ascoltato io – la lettrice che legge a voi Clara che legge Proust è Ilaria Gaspari, che ha tradotto il romanzo].