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Visto che siamo riusciti a preservare il primogenito fino ai cinque anni d’età e un po’ d’esperienza sul campo l’abbiamo guadagnata, ecco qua una raccolta ragionata – e sostenuta dal preziosissimo senno di poi – di COSE che si sono dimostrate indispensabili e utili per affrontare l’arrivo di un piccolo umano in famiglia. Perché mi metto qua a compilare un listone per neonati e neonate? Perché fra qualche settimana accoglieremo una creatura nuova e sto cercando di capire pure io cosa si può riciclare, cosa si può migliorare e cosa ci manca. Insomma, mi rinfresco le idee io e, incidentalmente, magari fornisco pure a voi qualche informazione sensata. In questo post troverete quello che abbiamo usato noi al primo giro – e che s’è dimostrato durevole – per affrontare i primissimi e primi tempi.

Procediamo.


Preparazione del terreno

LA FAMIGERATA BORSA DELL’OSPEDALE

Sì, le implacabili esigenze d’equipaggiamento iniziano dal parto e si configureranno in una borsa per voi e una borsa per chi nasce. Gli ospedali sono soliti fornire una lista di elementi indispensabili e/o caldamente richiesti o consigliati per la fase di ricovero – questa, per esempio, è quella dell’ospedale dove ho partorito e partorirò io – e visto che la vita è difficile, vi incoraggio a dar retta a chi tenta di semplificarvela. Cercatela o chiedetela, perché ogni reparto ha le sue “regole” organizzative e se date una mano nel farvi dare una mano filerà tutto più liscio.
Sì, i pannoloni post-parto sono grotteschi, ma facciamoci pace.
Sì, portatevi delle ZAVATTE che si possano lavare.
Sì, impacchettate la roba della prole separatamente, in modo che sia consegnabile al personale del reparto. Non partite con l’idea del “quando sono là smisto tutto”.
No, non prendete su ciucci, giocattoli, pupazzi e cazzate perché un bambino di due giorni non necessita di intrattenimento.
Sì, armatevi di vestaglia.

UNA RISORSA UTILE PER AGGIORNARE IL PARENTADO

Farete molte foto. Tutti vorranno riceverle. Voi non avrete voglia di mandarle a 30927209 gruppi di messaggistica diversi ogni sei minuti.
Come risolverla? Con un’app molto comoda che vi permette di caricare foto e video rendendoli consultabili da parenti e amici senza che vi rompano l’anima. Invitate chi volete e solo quelle persone potranno accedere ai materiali e caricarne. Altre utilità: precisissima misurazione del tempo, comodità di consultazione e, man mano che passano i mesi, “tesori” da ripescare. Lo spazio d’archiviazione è gratuito fino a una certa capienza e poi si paga un abbonamento mensile – noi li stiamo spendendo molto volentieri ormai da un lustro. L’app si chiama Back Then.


Mobilio domestico

Pinterest potrebbe avervi irrimediabilmente infuso un senso preventivo di sconfitta, ma facciamoci forza. Avrete tempo per allestire una cameretta degna di Downton Abbey e vi auguro di poterci riuscire, se le vostre ambizioni sono quelle. Noi, non vivendo in una magione sconfinata, abbiamo badato alla praticità e alla possibilità di allungare il più possibile la vita a quello che stavamo comprando. Sì, non ci siamo orientati sulla soluzione più economica del mercato, ma sono cinque anni che usiamo questa roba e ora ricominceremo il giro riciclando tutto per la creatura nuova… quindi sì, mi sento di dire che è stato un buon investimento.

Che vi serve, in estrema sintesi?
UNA CULLA.
UN FASCIATOIO.

Noi avevamo preso in blocco il sistema Stokke Home.
Com’era fatto? C’era una culletta e un cassettiera – predisposta per incastrarci sopra un piano aggiuntivo che fungeva da fasciatoio. A tendere, con il telaio della culletta e il piano del fasciatoio si assemblava una scrivania. L’abbiamo assemblata? Totale. Stiamo ancora usando la cassettiera? Totale 2.

La culla era così:

Sono molto triste perché pare non la producano più ma sono anche molto contenta perché riutilizzeremo la nostra. Per qual motivo? PERCHÉ BASCULA. C’è un telaio “fisso” ma la parte del materasso si può far dondolare, conciliando magistralmente il sonno dell’occupante.
Ci sono mille tipi di culla, là fuori. Io non ho optato per una di quelle che si attaccano direttamente al letto perché non sono mai stata in grado di allattare da coricata – andava già bene se ci riuscivo da seduta – e quel che mi premeva principalmente era avere il bambino in camera con noi per ridurre i pellegrinaggi notturni. Credo che Stokke non faccia più la culla Home perché mi pare abbiano “perfezionato” e allungato il potenziale utilizzo degli altri modelli – quelle celeberrime culle tonde con le sbarrette di legno che poi si allungano e si modificano per crescere col bambino senza imporvi di comprare prima una culla e poi un lettino.

Per quanto riguarda la cassettiera-fasciatoio, noi ci siamo trovati bene perché ci cambi e ci vesti sopra il bambino senza doverlo mollare lì per andare a frugare in un armadio. Mettevamo i pannolini nel primo cassetto, gli indumentini negli altri e le varie lozioni nello scomparto laterale del fasciatoio. È capiente? Non sembra, ma molto. Cesare ha un armadio suo da circa un mese ma fino ai cinque anni abbiamo usato quella cassettiera per tutti i suoi vestiti.

Collaterali utilità da fasciatoio: il nostro aveva il materassino imbottito “suo”, ovviamente lavabile. Una volta assicurata la morbidezza necessaria del piano d’appoggio, potete anche valutare di metterci su una traversina o un telo di più rapida gestione: si sporca e lo sostituite. È una soluzione che torna anche comoda quando si è in giro e magari non c’è sempre la possibilità di avvalersi di una “stazione di cambio” regolamentare.


Arnesi

Non arredano, ma soccorrono.

LA SDRAIETTA

Cielo, non posso allontanarmi nemmeno per lavarmi i capelli! Ebbene, è una menzogna. Armatevi di sdraietta. Placa le ansie, è facilmente spostabile, rimbalza e intrattiene, previene i ruzzoloni perché c’è la cintura e, con un opportuno riduttore che di solito vi vendono insieme al resto, la potete usare praticamente da subito. Perché no, i neonati non son capaci di stare seduti ma sono felicissimi di guardarsi attorno da spaparanzati.
Ma la piglio “motorizzata”? In giro ce ne sono parecchie che si muovono da sole ma, a mio parere, sono un po’ dei baracconi. La maggior parte sono dondolabilissime a mano e, nel caso scegliate uno di quei modelli che sono anche incastrabili sui seggioloni della medesima famiglia, tendete a prolungarne l’uso e le occasioni di utilità, variando anche l’inclinazione.
Noi avevamo preso la Steps, piazzabile anche sul seggiolone gemello.

IL MANGIAPANNOLINI

Dove gettare le scorie radioattive?
Ci sono degli appositi bidoncini. Sì, il fatto che esistano non è un mero esercizio di speculazione commerciale ma una buona invenzione. Sì, sono fatti apposta per non puzzare come la morte e per essere tenuti a portata di braccio. Col tempo imparerete anche a fare canestro con grande disinvoltura.
Ce ne sono di diversi tipi. C’è la tipologia dispendiosa ma a prova di disastro nucleare – ogni pannolino viene sigillato in un sacchetto tutto suo e poi finisce nel bidoncino – e c’è la tipologia onesta e snella tipo questo qua della Chicco che abbiamo usato noi. Nel primo caso vi dovete comprare il bidoncino e anche i sacchetti – perché funziona coi suoi e solo coi suoi, quindi periodicamente dovrete rifornirvi di ricariche -, nel secondo caso potrete benissimo avvalervi di un sacchetto della monnezza qualsiasi e basterà comprare il bidoncino per i fatti suoi.

LA VASCHETTA PER IL BAGNO

No, i neonati non sono scaraventabili nella vasca da bagno che usate voi. Sono minuscoli e scivolosi come anguille. Mia madre vi esorterebbe a immergerli senza indugi il catino del bucato, ma la civiltà ci fornisce qualche alternativa. Là fuori ci sono vaschette piccoline di ogni tipo. Noi avevamo scelto questa perché è pieghevole (e volendo anche trasportabile senza troppe cerimonie) e dotata di riduttore – una sorta di “cucchiaione” che si assicura al bordo e vi aiuta a sostenere la creatura nei mesi che precedono lo sviluppo dell’impagabile abilità dello stare seduti.

 

Altra cosa che può aiutare nelle abluzioni? Un termometro da bagno. Perché vogliamo bambini puliti ma non cotti.

LO STERILIZZATORE

Non fate come me, non mettetevi a bollire roba in una pentola piena d’acqua per settimane. Gli sterilizzatori esistono e sono nostri amici.
Allattate? Buon per voi. Vi servirà per eventuali ciucci, ammenicoli da morsicare nel periodo della dentizione, giochi scagliati in terra, componenti vari ed eventuali di un ipotetico tiralatte – contenitorini per il latte compresi.
Non allattate o fate allattamento misto? Benissimo per voi anche in questo caso: vi servirà ancora di più per i biberon, sia di vetro che di plastica.
Noi abbiamo la versione “vecchia” di questo, che sterilizza generando vapore, non si insozza, è capiente e può anche essere scomposto e ficcato nel microonde.

CUSCINI

Se allattate e non volete soccombere a dolori articolari incredibilmente avvincenti e insoliti, vi consiglio con tutto il cuore di trovare una seduta con uno schienale alto e confortevole e di munirvi di cuscino. Io avevo usato un classico Boppy della Chicco, che di certo non brilla per versatilità e potenziali impieghi alternativi, ma fa il suo. Sì, è comodo da sfoderare per i lavaggi e potete comprare delle federine aggiuntive.

Volete un cuscino concettualmente più “ricco”? C’è questo di Koala Babycare che può essere usato per allattare, come paracolpi in vista di futuri lettini, come nido-ciambellone o invalicabile muraglia di morbida ma implacabile sicurezza.

STRACCINI E COPERTINE

Che fungano da salviette, copertine o argini per bave, le mussole sono valide alleate. Sono tessuti morbidi, si lavano agevolmente, asciugano in fretta e resistono bene. Noi le abbiamo usate moltissimo sia in versione “lenzuolino” che in versione quadrata, tipo tovagliolo o straccino.

*

Ma la bilancia?
La bilancia per pesare i neonati è un oggetto di cui dotarsi se un medico vi dice che è indispensabile per monitorare la crescita (si possono noleggiare anche in farmacia) o di cui potete pensare di dotarvi spontaneamente se siete persone che gestiscono ragionevolmente le ansie. È uno strumento che può fornirvi un’informazione sul come sta procedendo la crescita, ma la gestione di quel dato – sempre nel caso non sia arrivato un* pediatra a ordinarvi di monitorare tutto con precisione marziale – sta poi al vostro equilibrio. Insomma, se vi dovete ossessionare tenderei a consigliarvi di evitarla.

Ma il tiralatte?
Io ne avevo preso uno “manuale” con cui mi sono trovata malissimo. Non ho allattato con particolare facilità e non ho collaudato tiralatte elettrici più sofisticati – che dovrebbero anche essere più comodi, quindi non mi addentrerò nell’argomento, che in generale è delicato e molto personale.


Andare in giro

Il TRIO

So bene quanto l’universo dei passeggini possa risultare disorientante, ma la prima cosa da fare è pigliare un metro e misurare la porta dell’ascensore. Aiuta nella scrematura iniziale: qualsiasi arnese sia dotato di un telaio più largo della porta dell’ascensore – o delle porte che abitualmente vi troverete a varcare nella vostra quotidianità – non è da prendere in considerazione.
Ciò detto, da che si inizia? La soluzione più lineare – per quanto possa apparire barocca – è il trio. C’è un telaio unico e sopra ci potrete incastrare tre supporti diversi: la navicella (per i civili: la culla), l’ovetto (per i civili: l’aggeggio per il trasporto in macchina) e il passeggino più comunemente inteso, che subentra quando gli infanti riescono a gestire un’anche vaga posizione seduta.
Sì, il trio è un baraccone e quando potrete finalmente optare per un passeggino “leggero” vi sentirete assai meglio, ma nostro malgrado ci vuole. Fattori ulteriori da considerare: come si ripiega? Quanto spazio occupa nel bagagliaio (da ripiegato)? Come si guida? Quanto pesa?
Il fattore compattezza è molto relativo. Il trio ha tendenzialmente un telaio grosso e di miracoli non ne accadono. Votate almeno per il sistema di “chiusura” che vi pare meno macchinoso e tenete presente che quelli col maniglione unico sono incomparabilmente più comodi da guidare (riuscite anche a spingerli con una mano sola) ma si chiudono con manovre più impervie e quelli con le due maniglie indipendenti (che da guidare per me sono scomodissimi) tendono a chiudersi “a ombrello” e sono un po’ più semplici. E il peso? Se siete soliti/solite uscire sempre con una dama di compagnia o con un valletto il problema potrebbe non tangervi, ma se programmate di fare cose per conto vostro assicuratevi di essere in grado di sollevare il maledetto passeggino in autonomia. Sì, potete chiedere aiuto ai passanti, ma dovendomi basare solo sull’altrui gentilezza in questo momento sarei ancora ad aspettare in cima alle scale della metropolitana.

Dopo aver girato per un po’ di negozi – cosa sensata perché vi fanno vedere materialmente come si incastrano e si chiudono le cose e potete anche cimentarvi in una prova di sollevamento – noi avevamo scelto un trio di Inglesina (il Trilogy) con telaio leggero e “stretto”, visto che il nostro vecchio ascensore era molto angusto. In questi cinque anni son cambiati colori e piccoli dettagli, ma il succo è questo:

UNA BORSA PER IL CAMBIO

Spesso i generosissimi produttori di sistemi trio tendono a omaggiarvi o a includere nei cento miliardi che gli darete anche una borsa per il cambio da agganciare al passeggino o da portarvi in giro. Sono quasi sempre delle specie di cartelle da postino bruttarelle e poco funzionali che vi penzolano davanti mentre spingete il trabiccolo e che a tracolla non vi metterete mai perché una roba pesante a tracolla mal si concilia con le tette – già piagate da problemi gestionali tutti loro.
Zaino? Meglio.
Uso potenzialmente eterno, mille scomparti comodi, tasche termiche, cerniere in posti impensabili ma saggi, lo aprite e sta in piedi da solo, capiente, possibilità di trovarne uno bellino, mettibile. Lo volete agganciare al maniglione? Si può. Volete buttarlo nelle retine-porta-cose dei passeggini? Si può. Ve lo volete portare sulla groppa o sbolognare a qualcuno? Si può.
Io avevo comprato questo – ma in una fantasia più giuggiolosa:

 

UN SACCOTTO TERMICO

L’inverno è laborioso, ma ce la si fa. Sarete comunque piagati da innumerevoli strati d’indumenti, ma la soluzione più lineare per uscire è avvalersi di un saccotto termico da ficcare nella navicella o da assicurare al passeggino (ci sono sempre delle fessure, dietro, per far passare gli spallacci delle cinture). Se posso, vi esorterei a propendere per i saccotti “interi” e non solo per quelli in cui infilare le gambe. Meglio ancora quelli con il cappuccio che si può stringere col cordino intorno alla facciotta dei bambini per riparare anche testa, collo e minuscole spalle.

*

Ma la fascia? Non ho informazioni intelligenti da elargire. Con Cesare non mi sentivo in grado di manovrarla e non ho mai provato. Ora che c’è un po’ più di fiducia magari mi cimento.


Bonus track finale?
Un libro, non posso esimermi. L’offerta di album di ricordi e/o diari per la registrazione di avvenimenti salienti nel percorso di crescita dei vostri neonati è molto estesa e spesso eccessivamente zuccherosa. Con Cesare non ho compilato un bel niente perché era già tanto se riuscivo a gestire la situazione, ma ora che brancolo un po’ meno nel buio mi piacerebbe imbarcarmi in un’impresa di documentazione. Uno spunto simpatico e poco “oneroso”? Ecco qua.

 

Bene, ho cercato il più possibile di razionalizzare e di sfrondare il superfluo… e dovrei aver finito. Serve comunque una barca di roba? Un po’ sì, ma mi auguro di aver limitato i danni e spero di cuorissimo che questa lista possa tornarvi utile nell’avvicinamento alla grande avventura genitoriale.
Ci aggiorniamo fra qualche tempo per uno spin-off dedicato ai primi giochi. :3
In bocca al lupo e PIGLIATELA CON TRANQUILLITÀ.

I fumetti si confermano un luogo efficace per affrontare l’argomento della maternità, soprattutto per quanto riguarda quel limbo complicato di trasformazione fisica e identitaria che si attraversa nei mesi immediatamente successivi a una nascita. Prendo spunto da una lettura recente, La sostituta di Sophie Adriansen e Mathou, per assemblare una piccola lista di narrazioni disegnate che in questi anni ho trovato preziose per esplorare il territorio della maternità e della genitorialità in generale.
Come spesso accade, non è necessario andare alla rigorosa ricerca dell’immedesimazione perfetta, ma mai come in quegli ambiti ancora soggetti a una forte attitudine collettiva al giudizio – più o meno corroborato dall’umana sensibilità e dall’empatia che ogni tema delicato meriterebbe – è prezioso poter contare su prospettive che sfiorano anche gli anfratti meno luminosi di uno specifico fenomeno. Siamo collettivamente educati ed educate a dimostrare competenza, padronanza della situazione, ottimismo e solide capacità, a impegnarci per superare le difficoltà e a non alzare disonorevoli bandiere bianche. Il trauma è un banco di prova, un’occasione per dar mostra di caparbietà, spirito di sacrificio e indomito coraggio. Si può fare tutto, se lo si desidera abbastanza e un’eventuale sconfitta (sovente assai più probabile di un trionfo) si trasforma in colpa, in una testimonianza di inadeguatezza o di demerito. In questo trappolone precipitano anche le neo-madri? Certamente, Vostro Onore. E probabilmente ci precipitano in maniera ancor più rovinosa e potenzialmente dannosa rispetto a quello che ci tocca in qualità di abitanti “normali” di quest’universo collettivo. Alle madri si fanno pochi sconti e perseveriamo nel trascinarci dietro un lungo e ingombrante retaggio popolato da angeli del focolare e sante martiri. Senza dilungarmi in ulteriori pipponi, ecco qua qualche potenziale lettura che può accompagnare – o aiutare a comprendere meglio – cosa succede mentre cerchiamo di assestarci e, soprattutto, di perdonarci quando non ci sentiamo brave abbastanza.

*

La sostituta - Sophie Adriansen-Mathou - copertinaCon La sostituta – in libreria per BeccoGiallo –, una scrittrice e un’illustratrice uniscono le forze per raccontare un periodo di assestamento non idilliaco o consolatorio, ma pieno di quei dubbi che sintetizzano lo scontro tra aspettative e realtà, senso d’inadeguatezza e nuove responsabilità, istinto e paura di non essere all’altezza, pressioni “esterne” e sensazioni intime.

Non si tratta di “vendercela” bene o male, di atterrire con un eccesso di franchezza le aspiranti madri volenterose o di metterla giù dura per amore della spettacolarizzazione anche traumatica di un momento complesso, ma di prestare ascolto e restituire dignità a quel che si discosta da romanticizazzioni forzate o dall’obbligo di nascondere una difficoltà per non sentirsi ancor più “sbagliate”.

Il celebre e sempre celebratissimo “istinto materno” è azionato da un infallibile interruttore che si attiva nell’istante esatto della nascita? Quella sicurezza inscalfibile nelle proprie capacità è un congegno che si innesca immediatamente?
Per la mamma di questa storia – che arriva “felice” al parto dopo una gravidanza desiderata, all’interno di una coppia solida e unita da un grande amore e da una quotidianità appagante – c’è ben poco di automatico. Marketa passa mesi in compagnia del fantasma di una mamma perfetta – “la sostituta” del titolo – che altro non è se non la proiezione ideale di quel che vorrebbe fare ma non le viene, il prototipo della puerpera radiosa e straripante d’affetto che non fa fatica ad assimilare i cambiamenti, accetta il suo corpo senza battere ciglio (anzi, torna praticamente subito “come prima”), pare immune a stanchezza e dolore fisico e, soprattutto, è capace di gestire la situazione con accecante ottimismo e mano ferma.

Oltre alla cronaca pratica di quel che capita a Marketa, Clovis e alla minuscola Zoe, al cuore di questo fumetto c’è uno dei più avvincenti misteri che si affacciano alla vigilia di ogni grande evento che altera lo status quo: come la prenderemo, chi diventeremo. Si ascolta più volentieri chi non alza la mano per manifestare un disagio e si accoglie con più semplicità chi “sta bene”, forse. Ammettere che questo “stare bene” non è necessariamente un merito o un fattore che ci connota come esseri umani migliori – dotati o non dotati di prole – credo sia un buon passo per dare spazio senza stigmi anche a chi non sta beneficiando del medesimo stato di grazia. Perché si è più propensi a chiedere l’aiuto che serve (e a riconoscere di averne bisogno) quando il contesto che ci ospita non tratta con sufficienza o con intransigenza una difficoltà, convincendo anche noi di sbagliare se non ci sentiamo sufficientemente capaci.
Non ce la fai? Va così perché non sei abbastanza brava, non perché stai oggettivamente facendo una cosa difficile che può metterti di fronte a ostacoli e intoppi.
Accogliere un’esperienza di maternità che ingrana superando scogli più ditti e aguzzi di quanto ci sembri più rassicurante ritenere “normale” non toglie nulla alle puerpere felici ma, di certo, alleggerisce il bagaglio di quelle a cui sta andando (o è andata) meno liscia.

*

Lucy Kinsley ha un tratto adorabile e la limpida capacità di scomporre con chiarezza e sentimento le cose “difficili”. In Molto più di nove mesi non racconta soltanto quello che accade dopo la nascita del suo biondissimo Pal, ma anche il percorso accidentato che ha preceduto il suo arrivo.
La narrazione è inframezzata da approfondimenti sul funzionamento del nostro corpo, informazioni sulla gravidanza e riflessioni sociologico-sistemiche sulla genitorialità e le trasformazioni della coppia. Per quanto si capisca già dalle prime pagine che un bambino alla fine è arrivato, Kinsley dedica ampio spazio alle fasi della gestazione e alle conseguenze fisiche e psicologiche dell’aborto spontaneo che ha subito prima dell’arrivo di Pal. Kinsley si concede il margine di manovra necessario a metabolizzare il colpo subito e, tra emotività da ricomporre e razionalizzazioni non sempre semplici da digerire, ci fa da guida in quel limbo di incertezza (e di fallimento) che precede il concepimento e che spesso le coppie affrontano isolandosi e negando dolori e legittima frustrazione.
È un libro che può contare su un senso dell’umorismo delicato, capace di rischiarare anche le parentesi meno liete. Ma è anche un libro spigoloso, che non indora la pillola e ha il coraggio di chiamare le cose orribili col loro nome.

*

Marion Fayolle è una disegnatrice di relazioni. Tra cespi d’insalata ed evocativi lumaconi si è già occupata di coppie e sessualità e, in questo silent-book, ci trasporta sul pianeta dei figli. Talvolta sono giganteschi e ingombranti, altre volte fungono da collante o erigono barriere, giocano con i nostri pezzi o ne portano alla luce di nuovi. Modificano il paesaggio attorno a loro e producono nuovi equilibri. Senza bisogno di parole ma avvalendosi di immagini evocative e argute, Fayolle mappa la cura e la crescita di una famiglia intera che si destreggia in un paesaggio affascinante, accidentato e complesso, tra istanze protettive, nevrosi che proiettiamo su chi ci circonda e serenità ritrovate.

*

Cenni rapidi ma attinenti.
Di Pigiama computer biscotti parlo spesso perché Alberto Madrigal produce su di me un effetto rassicurante. Qua racconta il suo apprendistato da papà con candore benevolo e disarmante sincerità: chi può insegnarti a crescere un figlio? Sarò capace di dargli tutto l’amore che merita? Ha senso percepirmi come uno che si limita ad “aiutare”? Cosa succede alla routine lavorativa, soprattutto per chi fa un mestiere creativo? Tra ricerca di nuove fonti di ispirazione, riclassificazione delle priorità e momenti di limpida meraviglia, Madrigal riordina i ricordi e schiude per noi uno spiraglio di calore.

Visto che un papà l’abbiamo incontrato, mi viene spontaneo piazzare qui anche Bastava chiedere. Le dieci storie che Emma raccoglie in questo volume palano di femminismo e di assurdità quotidiane con cui ancora ci tocca scontrarci. Il capitolo più “famoso” e di cui forse si è discusso di più è quello sul carico mentale. Non c’è stortura mappata in questo libro in cui io possa dire di non essermi immedesimata, ma è stato il capitolo sul carico mentale a far scattare quella scintilla di riconoscimento ulteriore che mi ha aiutata ad esternare davvero alcuni bisogni che inconsciamente stavo insabbiando. Ed è capitato proprio negli anni successivi all’arrivo del mio bambino, un momento che penso per molte tenda ad accentuare disparità già presenti ma probabilmente meno pesanti da gestire. Discutere di una fatica è faticosissimo, farla riemergere dal sommerso e non darla più per scontata – o non assumersene la responsabilità in maniera automatica, quasi con determinismo biologico – può creare fratture e disarmonia, ma alla lunga può salvare davvero e creare mondo più abitabile (per mamme e non).

DISCLAIMER
Questo post non contiene nemmeno l’1% di quello che ci è accaduto. E non ambisce a far meglio di così. Perché, in tutta franchezza, non si può.
Questo post, in sintesi, è un trailer. Ma di quelli fatti bene. Mica un trailer con già dentro tutta la trama, che cavolo.

***

BENE. PROCEDIAMO.

Pur continuando a non capacitarmi di come una persona – per quanto piccola – sia riuscita a raggiungere il mondo esterno transitando per la mia coraggiosa vagina, l’operazione “Riproduciamoci, orsù” si è conclusa con successo e, dal 24 settembre, abbiamo un Minicuore. 
Anzi, un Cesare.
E siamo felici come degli imbecilli.

Ora, potrei mettermi qua a dirvi cose poetiche e piene di sentimento. Potrei scrivere due cartelle sul potere salvifico della vita che sboccia. Potrei provare a farvi piangere con una minuziosa descrizione del primo battito di ciglia di mio figlio. Potrei intrattenervi con una moltitudine di sconfinate tenerezze… ma non è questo che ci serve.
Perché è tutto bellissimo, ma è anche un gran casino. E quello che ti preme all’inizio – oltre a non uccidere accidentalmente tuo figlio – è riprendere un vago controllo della realtà.
Nell’ambizioso tentativo di arginare l’entropia neonatale, ho dunque deciso di affrontare la faccenda con razionalità, mappando i fenomeni principali che si sono scatenati nelle prime settimane di vita di Minicuore. Perché sì, la gente non vi dirà mai che un bambino ha un mese e mezzo. I bambini hanno sei settimane. E nessuno capirà mai di che cazzo state parlando.

Misurazione del tempo in settimane

Comunque.
Partorire è un problema.
Sono entrata in ospedale alle 18 di un venerdì sera e ho trascorso i tre giorni successivi a vagare seminuda e dolorante in mezzo a sconosciuti di ogni tipo, sfoggiando una batteria di surreali camicioni da notte ereditati da mia nonna Lelia che, prevedendo un olocausto atomico circoscritto al solo abbigliamento da letto, ne aveva immagazzinati due container (senza mai mettersene neanche uno, visto che credeva nell’onnipotenza della sottoveste di seta nera – indipendentemente dalla stagione).
La mia stanza, poi, era sprovvista di bagno. Mi è dunque toccato trascinare la mia carcassa gonfia al cessetto dietro l’angolo per una quantità interminabile di volte, brandendo giganteschi assorbenti a forma di Toblerone e maledicendo a gran voce il mio utero tumefatto.
Insomma, passi una vita a riprenderti dalle umiliazioni dell’adolescenza, ma poi partorisci e ti rituffi nell’abisso.

Livello di dignità personale

Il vostro parto è stato soave, edificante e sereno?
Brave voi e bravi tutti.
Io ho patito così tanto che non ho neanche fatto in tempo a spaventarmi. Però avevo un’ostetrica argentina super rassicurante e abilissima che ha serenamente discusso di Harry Potter con Amore del Cuore mentre un’infermiera gigantesca mi spezzava le vertebre cervicali nel tentativo di immobilizzarmi e permettere a un’anestesista con dei capelli fantastici di piantarmi un tubo nella schiena.
Il risultato finale è che, in un istante di particolare ottimismo prodotto dall’epidurale, mi sono convinta di poter far uscire Minicuore in sette secondi netti urlando EXPECTO PATRONUM.
Non provateci, non funziona.
Ma l’epidurale ve la consiglio anche a scopi ricreativi.

Cose belle della vita per livello di piacevolezza sprigionato

All’epidurale, comunque, non ci si arriva agevolmente. Te la devi sudare. Devi meritartela, come il regno dei cieli. A me è toccato rantolare per una mattina intera (e vomitare parecchia roba fosforescente in un secchio) prima che il Dottor Futomaki mi elargisse la sua benedizione.
Io col Dottor Futomaki ce l’ho su davvero.
Un po’ perché non è carino irrompere in una stanza e infilare all’improvviso un braccio intero nella patata di una persona – ma così, senza nemmeno presentarti – e un po’ perché non puoi piantarti in mezzo al corridoio alle otto del mattino per raccogliere le ordinazioni del pranzo. Sushi, poi. In un reparto pieno di donne gravide che soffrono come dei maiali e che il sushi non lo mangiano da nove mesi.
Graziella, te cosa vuoi? Gli uramaki Spicy Salmon o i Rainbow Roll? Chiedi anche alla Diletta, che di solito prende quelli con le uova di pesce volante, ma lo sai com’è fatta. Cosa dite, aggiungo un po’ di tartare, che ce la mangiamo prima?
CHE TU SIA MALEDETTO, DOTTOR FUTOMAKI. UN GIORNO AVRÒ LA MIA VENDETTA!
Ma poco importa. Perché, dopo tanto patire, ti ritrovi con un neonato di tre chili e trecento grammi in braccio. E ti sembra di una bellezza prodigiosa.

Maternità e distorsioni percettive

Potrei raccontarvi com’è che si campa in un ospedale pieno di donne sconvolte che spingono carrettini-lettino con dentro dei bambini minuscoli e variamente terrorizzati, ma mi sembra di essermi già dilungata in particolari già abbastanza cruenti. Vi basti sapere che, se voi avete avuto dei problemi, le altre ne hanno immancabilmente avuti di più. E non vedono l’ora di farvi pesare anche l’ultimo effetto collaterale del loro cesareo.
Quindi niente, io passerei ai regali. I regali sono sempre fonte di grande stupore.
La nascita di un figlio è un evento giustamente festeggiato dalle genti di ogni cultura con un’esplosione di doni strabilianti. In prevalenza ricamati a punto croce.

Frequenza di utilizzo del ricamo a punto croce

Fare regali a un neonato è difficile. La nascita di un infante è un avvenimento di una certa rilevanza – quindi non vuoi arrivare con una cazzata -, ma non vuoi neanche passare per quello che bada troppo al sentimento e troppo poco al lato pratico. Pragmatismo e lungimiranza, dunque, ma anche affetto e coccolosità.
Il risultato?
Al grido di “tanto il bambino cresce e la roba per i primi tempi non gli va più bene dopo un secondo e comunque ho pensato che ne avrai già a pacchi e che era importante regalarvi qualcosa che potete usare anche fra un po’, no?”, vi ritroverete con mille tutine ADORABILI taglia 6-9 mesi e nulla di utilizzabile nell’immediato – che poi è più o meno il momento in cui il bambino si caga anche sulle scapole… e te hai in lavatrice tutto il vestiario che possiede perché le scapole se le riempie di sterco ogni tre ore.
Che il cielo benedica lo shop online di H&M. E quelle due persone che vivono nell’eterno presente.

Composizione del parco-doni

Comunque, visto che la cacca ha già fatto la sua inevitabile comparsa, direi di occuparcene. In ospedale siamo stati istruiti su come cambiare efficacemente un pannolino, detergendo con rapidità e perizia il deretano del nostro bambino. Ogni volta che andavi al Nido – è così che si chiama lo stanzone pieno di neonati dove si espletano le principali funzioni di accudimento mentre sei ancora ricoverata – e cambiavi tuo figlio, un’infermiera/dottoressa/puericultrice correva da te e t’interrogava sul contenuto del pannolino. La pipì veniva accolta con un benevolo cenno del capo, ma senza particolari entusiasmi. La cacca, invece, era festeggiata con salve di cannone e il passaggio in corridoio della fanfara dei Bersaglieri.
Io, nella mia angoscia neogenitoriale, interpretavo il tutto più o meno così.
Il bambino caga? Sei una buona madre.
Il bambino non caga? Sei un mostro e Studio Aperto verrà presto a stanarti.

La cacca è importantissima. Ti sorprendi a parlare così tanto di cacca – con tuo marito, con i nonni, con gli amici, con i semplici passanti – che, quando effettivamente ti tocca pulirla, non ti fa più nemmeno schifo. Certo, non ci verniceresti le pareti, ma non ti fa particolarmente impressione. Anzi, la cacca è una buona notizia, è un evento positivo. Come la piena del Nilo. Come l’arrivo della stagione delle piogge nella savana riarsa. La cacca è oggetto di dibattiti, tavole rotonde e bollettini dal fronte. La cacca, nuova grande protagonista. E pensare che, due mesi fa, potevi sederti a tavola a discorrere di viaggi, progetti, carriera e amicizie, come una persona normale. Ora no, parli solo di merda.

Frequenza e composizione degli argomenti di conversazione

La cacca, insieme al naso tappato, ha per noi rappresentato una grande incognita. Minicuore, pur non incappando mai in raffreddori conclamati, ha passato le prime due settimane a respirare come un piccolo mantice otturato, gettandomi spesso nel panico. ODDIO, SE DIVENTA TUTTO BLU E MUORE? ODDIO, MA AVRÀ QUALCOSA DI DEVASTANTE AI POLMONI? Dopo aver scoperto il potere salvifico dei lavaggini nasali con la soluzione fisiologica – manovra cruentissima da eseguire con una siringhina spuntata, da utilizzare tipo Super Liquidator per sparare acqua nelle minuscole narici tappate di vostro figlio -, sono felicemente passata a preoccupazioni di altro tipo. ODDIO, HA UN OCCHIO UN PO’ GONFIO, È SICURAMENTE GUERCIO! Ma anche IL BAMBINO NON CAGA DA QUATTRO GIORNI, ESPLODERÀ?
Ad ogni micro-allarme, ovviamente, rompevamo i coglioni a qualcuno. Ho telefonato al Nido dell’ospedale, alla guardia medica, alla pediatra, al collega pediatra della nostra pediatra, al pronto soccorso pediatrico e pure al neonatologo dell’ospedale – disponibile solo in risicatissime fasce orarie praticamente inaccessibili (che ci sia lo zampino del malefico Dottor Futomaki?). E che cosa ho scoperto, alla fine? Ho scoperto che devo stare molto calma. E che non esiste una via di mezzo. 

Tipologie di risposta a condizione di malessere

Al ventesimo È NORMALE che ti rifilano, un po’ ti senti scemo. Perché di fronte a un “è normale” non c’è soluzione. Devi aspettare che la situazione migliori da sola (come ti promettono immancabilmente) o ti viene concesso di intervenire in maniera blandissima e quasi certamente inefficace (“lavi l’occhietto con una garzina”, “massaggi il pancino o stimoli con delicatezza l’orifizio”). Non so voi, ma io funziono così: ho mal di testa > prendo un Moment > mi passa il mal di testa > FAVOLA! Ecco, se uno mi venisse a dire che il mal di testa “è normale” (perché agli esseri umani nella vita un mal di testa può anche venire), mi incazzerei come una bestia e reclamerei a gran voce un rimedio un po’ più significativo, possibilmente a base di sostanze stupefacenti. CERTEZZE, CI SERVONO CERTEZZE.
A volte, dunque, di fronte alla scarsissima propensione all’allarmismo degli operatori sanitari a vostra disposizione, vi sorprenderete a consultare con un certo interesse l’orripilante chat del corso pre-parto – chat alla quale avete messo SILENZIOSO 1 ANNO praticamente subito dopo la nascita dei primi bambini.
Ma perché sì, maledizione.
E per due macro-ordini di motivi.
Uno. Il continuo bombardamento fotografico perpetrato dalle madri degli infanti più raccapriccianti.

Curva dell'ingiustificata fierezza materna

Due. I nomignoli imbecilli.

Termini prevalentemente utilizzati dalle neo madri per indicare i propri figli

PUFFI?
NANI?
CUCCIOLI?
…ma io vi sfondo le costole a colpi di mestolo.
Non ho trascorso nove mesi nel disagio e nella scomodità per mettere al mondo uno GNOMO, accidenti a voi. Non ho patito le pene dell’inferno per una giornata intera per poi sentirmi dire “ma che belle zampine che ha!”. ZAMPINE UN CAZZO. SONO MANI, CRETINA. MANI!
Io non capisco, è come se a chiamarli col loro nome (BAMBINI) si facesse la figura degli insensibili. E lo dice una che è sposata con Amore del Cuore e che ha messo al mondo Minicuore. Ma quelli sono fattacci miei, che diamine – è come ho deciso di chiamare due persone specifiche, mica un’intera categoria di esseri umani. Non pretendo di andare in giro a dire “Oh, ma guarda quanti bei Minicuore ci sono in questa nursery! Sei una donna fortunata, il tuo Amore del Cuore sarà un papà fantastico!”. Dai, cos’è. Anzi, come direbbe mia suocera, MA CE LA FATE?
Comunque.
Il confronto con gli altri è sempre una grande incognita. Ma più per voi che per vostro figlio. Anzi, vi renderete presto conto che vostro figlio, incredibilmente, non è per nulla misantropo. 

Curva della finta serenità neonatale

Quei due o tre giorni che passi in ospedale con il bambino sono una specie di allenamento, ma poco realistico. Nonostante le ostetriche ti chiamino ripetutamente MAMMA – credo più per farti rendere conto di che cosa ti è appena capitato che per l’effettiva impossibilità di ricordarsi nome e cognome di ogni singola puerpera ricoverata –, cominci a capire veramente quello che ti è successo quando rimetti piede in casa. Noi siamo entrati, abbiamo appoggiato per terra sacchetti, valigini, mazzi di fiori, pacchetti e pacchettini e, dopo sette minuti di euforia da “Oddio, che bello, il mio bidet!”, abbiamo sistemato Minicuore sul divano, nella navicella del passeggino, e ci siamo domandati E ADESSO?.
E adesso niente, sono fattacci tuoi.
Non credo ci sia niente che può davvero prepararti a gestire la faccenda, a parte il buonsenso.
Perché prendersi cura di un neonatone è un po’ come conoscere una persona nuova, solo che questa persona si piscia addosso a ripetizione e non è perfettamente in grado di farti sapere che cosa le sta succedendo. O di soffiarsi il naso in autonomia, se è per quello. O di capire che ha le mani. O di distinguere il giorno dalla notte. O te da un materasso.

Mappatura dei luoghi del sonno per frequenza di assopimento

All’inizio, inevitabilmente, le questioni pratiche ti fagocitano. E cambiare la garzina al cordone ombelicale. E farlo mangiare regolarmente. E non lessargli il sedere sotto al rubinetto. E il freddo. E il caldo. E la copertina in faccia. E le calzine. E l’appuntamento dalla pediatra. E come si fissa l’ovetto al sedile della macchina. E la cuffietta. E mettilo a pancia in su. E giralo sul fianco. E starà crescendo. E se non cresce come facciamo. Ogni cinque minuti ne hai una. E ogni due ore e mezza il sistema operativo si azzera, BAMBINO.EXE si riavvia (girano con Windows, all’inizio) e la gioiosa tarantella ricomincia da capo: pannolino > tetta > rutti & secrezioni assortite > nanna (auspicabilmente). Nel caso ci sia da cambiare una tutina, poi, i tempi si dilatano notevolmente…

Legge di moltiplicazione falangea del neonato

Con il passare dei giorni, comunque, si diventa più bravi. Anche accudire un neonato, infatti, segue determinati schemi motorio/cognitivi. E l’allenamento, come insegna MADRE, aiuta sempre. Non avrei mai pensato, ad esempio, di riuscire a tollerare la cronica mancanza di sonno con la disinvoltura che sto dimostrando. Non avrei mai pensato di potermi rallegrare, alle quattro del mattino, per il sorrisotto storto che ti fa un bambino minuscolo quando lo prendi in braccio dopo un piantino. E non avrei mai pensato di potermi commuovere davanti a uno stendino, ma è capitato anche quello. Se lì con una vaschetta piena di tutine tempestate di pinguini e orsacchiotti e ti viene un po’ da piangere, tra una molletta e l’altra.
Insomma, ce la caviamo. Oserei dire che ce la caviamo bene. L’impegno, di sicuro, ce lo mettiamo. E Amore del Cuore è, come prevedibile, molto bravo. Se potesse, credo che mi solleverebbe anche dai doveri dell’allattamento. E io glielo lascerei fare volentierissimo. Tutti ti raccontano quanto è utile allattare e quanto fa bene al bambino, ma sorvolano un po’ sulle difficoltà iniziali. Io sono uscita dall’ospedale con i capezzoli ridotti peggio di una trincea di Verdun ma, a quanto pare, pure quello fa parte del pacchetto. Dopo essermi cosparsa di creme alla lanolina e aver protetto i miei preziosi rubinetti con paracapezzoli in argento 925 – roba uscita per direttissima da un film di Austin Powers -, le mie piastrine hanno finalmente deciso di mettersi all’opera e, dopo settimane di discreti patimenti, ho conquistato la libertà di annoiarmi di tanto in tanto. Perché i bambini piccolissimi mangiano dalle sei alle otto volte al giorno. E ogni volta ci mettono una mezz’oretta buona. Trovarsi un hobby è assolutamente fondamentale.

Allattamento - composizione delle attività svolte in parallelo

E niente.
Siamo qui.
Siamo in tre (più Ottone).
Stiamo ancora tutti quanti bene e ci amiamo fortissimo.
Ciò è sufficiente a fare di me una MADRE? Non credo proprio… ma da qualche parte bisogna pur iniziare.
Ben arrivato, Minicuore. Ti adoriamo. E ce la faremo, promesso.
🙂

***

Visto che mappare in maniera esaustiva i fenomeni principali dell’esistenza di un neonato e cacciarli tutti in un solo post è vagamente impensabile, l’ambizioso progetto procederà su Facebook – senza alcuna periodicità o criterio. Voi fateci un giro, però. Sarà bellissimo.