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Oliva Denaro

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Quanto mi sono arrabbiata per Oliva. Quanto mi sarebbe piaciuto materializzarmi a casa sua con una macchina del tempo. Ma mi è anche venuto da pensare che l’epoca che avrei potuto offrirle era sì relativamente migliore rispetto alla sua, ma di certo non ancora perfetta. Vero, si progredisce per gradini incrementali – e il nostro oggi, per Oliva, sarebbe stato fonte di stupore e di fantascientifica meraviglia -, ma quanta sofferenza è passata sotto traccia? Quanti destini deformati senza rimedio sono stati dimenticati? Quante vittime delle “circostanze” sono rimaste silenziosamente sepolte? Quante possibilità negate e compromessi ignobili?

Come parecchie lettrici e lettori, ho fatto amicizia con Viola Ardone grazie al Treno dei bambini e sono stata felice – al netto del legittimo furore suscitatomi dal popolo di Martorana – di ritrovarla qui.
Oliva Denaro è un romanzo che personifica un problema antico
. Ardone lo fa aprendoci le porte di una casa povera e onesta, una casa con un campicello e qualche gallina. Si raccolgono lumache da vendere al mercato, si ricamano corredi, si va a scuola ma senza esagerare – soprattutto le femmine. Le femmine con delle idee finiscono zitelle… e poi chi le mantiene? Siamo in Sicilia, sono gli anni Sessanta, il paese è così piccolo da occupare tutto l’orizzonte del possibile. Sembra un paradosso, ma ci sta. I mondi chiusi fanno quell’effetto: le regole sono queste, non si scappa perché si sa così poco di quel che c’è “fuori” che non si saprebbe dove andare, come comportarsi, dove mettere i piedi. È un posto che impedisce di concepire un’alternativa e, di madre in figlia, ci si tramanda una subordinazione strutturale. Padrone di quattro mattonelle di casa, dominatrici indiscusse delle proprie cucine (se va bene), officianti di rosari velenosi, le donne di Martorana si vessano a vicenda perché sono abituate a farsi carico anche delle colpe non loro.
Ci sono delle regole.
C’è un prezzo da pagare per la pace della famiglia, per la rispettabilità.
Dal padre di una svergognata non si vanno a comprare le lumache. E dire “no” quando non navighi nell’oro è da ingrate e da presuntuose. Modeste e prudenti, silenziose e al di sopra di ogni sospetto.
Se c’è chi si prende certe libertà è perché sei stata troppo disinvolta.
Se c’è chi si approfitta di te non c’è da sorprendersene: l’uomo è cacciatore, ha delle esigenze. Sta a te non provocare, sta a te preservare l’unico bene prezioso che hai.
Nessuno si prende una brocca rotta… tranne chi l’ha rotta, forse. E in quel caso bisogna pure ringraziare.

Oliva cresce in un mondo in cui il matrimonio riparatore è un istituto legislativo ammissibilissimo, un artificio asimmetrico che permette a tutti di salvare la faccia e alle ragazze “rovinate” di raggiungere l’unico scopo plausibile per una giovane: passare dalla casa governata dal padre alla casa governata da un marito. Come si fa ad avere sedici anni in un contesto simile? Si cresce nello spazio di una notte, senza averlo chiesto.
Ardone ci trasporta con immediatezza nell’universo interiore di Oliva. È una voce che ruzzola con candore dall’infanzia a un’adolescenza costellata di trappole potenzialmente irreparabili. Con uno sguardo semplice e testardo, questo romanzo è una sorta di risarcimento per le molte Oliva che ci hanno precedute, innumerevoli donne triturate o cancellate da una cultura sfavorevole che è stata la nostra e che, per certi versi, non ha cessato di esserlo. È un libro di un’immediatezza cristallina, privo di retorica – per quanto a tratti comprensibilmente didascalico -, toccante e combattivo. Non ci sono intenti consolatori, perché per tante è troppo tardi e tante non hanno nemmeno avuto gli strumenti per percepire un’ingiustizia di fondo. C’è la volontà, però, di dare un senso al male subito, di mostrarci uno spiraglio di sacrosanta rivalsa: una che ha avuto la forza di tentare… anzi, di sopportare le conseguenze di una scelta controcorrente. Un altro romanzo in cui il grigio dell’umano, delle cattive intenzioni portate a compimento e delle belle speranze disattese si fanno narrazione, perché i modelli che ci tramandiamo non contribuiscano a restringere gli orizzonti ma ci avvicinino costantemente a un futuro che potremo valutare come “migliore” di quello di Oliva… e anche del nostro.