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Il mondo dell’editoria per l’infanzia è un posto bellissimo. E non solo “visivamente”. I libri per i piccoli sono oggettivamente favolosi da vedere, ma rispondono anche a una vocazione progettuale e creativa che fa dell’invenzione il suo strumento principale. Il mio infante va per i tre anni e, dopo aver palpato e stropicciato tutto il palpabile e lo stropicciabile, è passato all’analisi meticolosa delle illustrazioni e all’ascolto (assai attivo) di una storia. Abbiamo accumulato tanti titoli che vengono ciclicamente amati con grande trasporto e che, in tutto il periodo del nido, si sono rivelati preziosi alleati nelle perenni operazioni di intrattenimento  della prole. Qui c’è qualche suggerimento per popolare le librerie dei vostri bambini – o quelle di amichetti, minuscoli parenti, nipotini e compagnia saltellante.
Lista – lacunosa ma collaudata.

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Marianna Coppo – Petra

La storia del sasso meno statico di sempre. Lanci! Avventure! Trasformazioni! Illustrazioni adorabili!

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Le mie prime 100 parole

Animali, oggetti domestici, cibo, operazioni quotidiane, veicoli… una specie di riassunto per immagini del mondo, per dare un nome alle cose. Esistono anche degli approfondimenti tematici, nella medesima collana. Cesare si è infervorato molto anche per I miei primi 100 animali e Numeri colori forme.

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Angela P. Arrhenius – Dove sei Signora Gallina?

Cavallo di battaglia assoluto durante il primo anno di nido, Dove sei Signora Gallina? è un libro interattivo con delle sagomine di feltro da sollevare per trovare bestie nascoste in luoghi PALESISSIMI. Grasse risate e diversi ambienti da esplorare, visto che la collana non si è fermata all’aia della Signora Gallina, ma ormai abbraccia gli ecosistemi più remoti. Per espandere la collezione, infatti, ci sono anche Dove sei Signora Zebra?Dove sei Signor Pinguino?Dove sei Signor Orso?Dove sei Signor Leone? Dove sei Signor Cane?. Ma non finisce qui, secondo me. DOVE DIAVOLO SIETE, BESTIOLE. DOVE!

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Mathew Neil – La mia prima biblioteca. I dinosauri

UN COFANETTO MIRABILE CON MONOGRAFIE ILLUSTRATE E RIMATE SUI DINOSAURI PIÙ EMINENTILa collana è ricca. Per dire, c’è anche il cofanetto Leggo e imparo con i numeri, le forme, le letterine… noi, ovviamente, ritenevamo prioritario insegnare a Cesare come campa uno stiracosauro.

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Agathe Demois & Vincent Godeau – Borgo nascondino

Qua serve molta guida da parte dei grandi, perché le illustrazioni sono stilizzatissime e anche la fruizione non è proprio elementare. Ciò detto, evviva. C’è una grossa lente da spostare sulla pagina per far apparire e scomparire pezzi di disegno, riportando alla luce particolari nascosti.

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Emilie Collet – Gli animali nella musica classica

Compositori celebri che raccontano, in musica, il mondo degli animali. Ogni pagina è dedicata a un brano, che si può ascoltare passando il polpastrellino su un bottone.

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Con un ditino – Nella notte blu

I libri con le finestrelle sono una pietra miliare dell’interattività analogica. Qua succede un po’ di tutto. Si possono far crescere i tulipani, viaggiare da una sponda all’altra del mare, cavalcare arcobaleni. Tutto con un ditino.

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Jo Lodge – Roar! Roar! Dinosauri!

Il principio del ditino può essere esteso anche ai grandi rettili della preistoria. Qui non ci sono millemila pagine, ma i dinosauri combinano cose avvincenti. Apatosauri che allungano il collo… pterodattili che sbattono le ali… stegosauri che pestano i piedi… alé.

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Agnese Baruzzi & Gabriele Clima – Buongiorno, pettirosso!

In pratica è un romanzo di formazione che ripercorre le vicende quotidiane di due pettirossi e dei loro genitori. Il libro è pieno di fustellature interessanti, che animano il bosco e aggiungono una dimensione ulteriore al racconto. Ci sono anche Buongiorno, leprotto! e Buongiorno, farfalla!.

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Galia Bernstein – Uno di voi

Grandi felini VS un gattino che sostiene di essere come loro… ma in piccolo. Un libro per imparare ad accantonare le differenze per pensare a quello che ci unisce.

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Eric Carle – Il piccolo Bruco Maisazio (Edizione pop-up)

Classico imprescindibile dell’editoria per l’infanzia, il Bruco Maisazio continua a prosperare, divorando tutto quello che si para sul suo cammino. Questa è un’edizione pop-up di grande impatto scenografico.

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Emilia Dziubak – Un anno nella foresta

Solo illustrazioni. Il medesimo scorcio di foresta, ridisegnato in maniera diversa per ogni mese dell’anno. Che cosa ci si può tirare fuori? Un ragionamento sulle stagioni e sul ciclo della natura. Ma può diventare anche una caccia al tesoro, perché gli animali appaiono e scompaiono – c’è anche una doppia pagina dedicata all’habitat notturno -, vivono la loro vita, si inseguono, si moltiplicano, vanno in letargo, si svegliano, FANNO COSE. Ricchissimo e super divertente da analizzare.

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I piccoli Montessori – Le forme da toccare

L’Ippocampo ha sfornato una piccola collana di scatoline montessoriane che esplorano diversi temi e che, per quel che ho visto giocandoci a più non posso, sono strutturate in maniera molto funzionale e coinvolgente per gli infanti. In questa dedicata alle forme, ad esempio, diverse tesserine con disegnati sopra oggetti quotidiani o “riconoscibili” (dal biscotto alla piramide, per dire) vanno associate alla forma corrispondente, stampata in rilievo ruvidino su un altro cartoncino.

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Che verso fai?

I libri coi buchi sono un’altra meritevole tradizione che vale la pena perpetrare. Quelli della Coccinella, poi, sono invariabilmente corredati da mirabili testi in rima – penso anche a Il gufo e gli altri – oltre che da disegni e soluzioni sceniche assai estrose.

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Hervé Tullet – Un libro

Semplicissimo e geniale. Ogni pagina offre delle istruzioni da eseguire. E alla pagina successiva bisogna vedere che cosa succede. Schiaccia il pallino! Soffia! Scuoti! Genera invasamento istantaneo, all’interno di una perfetta sospensione dell’incredulità.

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Tom Fletcher – C’è un mostro in questo libro

Stesso principio di Tullet, ma qui le cose succedono a un mostrino blu invece che a una schiera di pallini colorati.

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Britta Teckentrup – Ape

Illustrazioni pregevolissime e articolate peregrinazioni boschive alla scoperta della natura, seguendo il percorso dell’alacre ape operaia.

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Chris Hadfield – Il giorno della Luna

Hadfield è uno dei miei astronauti preferiti su Twitter e sono felice che la sua opera di divulgazione scientifica e spaziale sia arrivata anche ai più piccoli. Qui si parte dalla paura del buio (e dei mostri che si nascondono nell’ombra) per arrivare fin sulla superficie della Luna.

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Piccoli libri con adesivi – La fattoria

Gli adesivi sono una fonte perpetua di intrattenimento. Quelli di Usborne hanno un tratto gradevolissimo e, per quel che ho visto, procedono per aree tematiche. La fattoria è rappresentata in diversi ambienti, tutti da popolare con la corrispondente pagina di adesivi. In un momento di particolare machismo, Cesare ha anche preteso di manovrare dei camion.

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Emma Dodd – Quanti tesori!

Emma Dodd riesce immancabilmente a farmi piangere. Perché le sue sono storie di mamme e di papà che insegnano a cuccioli di ogni genere come si sta al mondo. Alla fine del libro tendo ad abbracciare Cesare con foga gridando che gli voglio bene. Di base, mi risponde ANCH’IO TI VOGLIO BENE MAMMINININA. Sì, gli è partita la fase del vezzeggiativo estremo. Comunque, Emma Dodd funziona. E ho amato anche Quel che conta di più.

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Nicky Benson & Jonny Lambert – Ti voglio bene, cucciolo mio

Non lo so, ho un debole per gli animali che insegnano teneramente quello che sanno ai rispettivi cuccioli, esplicitando con efficacia l’ampiezza del loro spettro emozionale.

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Tom Schamp – Il più folle libro illustrato del mondo

Da bambina abituata ai fasti di Richard Scarry, non posso che approvare questa specie di atlante più o meno immaginario dello scibile umano. C’è di tutto. Ci sono le stagioni, i mezzi di trasporto, i supermercati, gli strumenti musicali, gli abiti… ogni vasto insieme concettuale viene esplorato nei dettagli più minimi, aggiungendo personaggi immaginari zoomorfi a cui ne succedono di ogni. Un altro testo da esplorare insieme, spiegando e inventando collegamenti.

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Colorami – Chi c’è sott’acqua?

Una piccola collana di libri-bagno (solo illustrati) da far fluttuare nella vasca. I librini sono di plastica galleggiante e partono in bianco e nero. Si colorano quando vengono immersi… e le strategie possono essere molteplici. Cesare è passato da un repentino tuffo dei volumi nell’acqua a una fruizione più paziente, colorando con il ditino bagnato le pagine. Coccosissimi.

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Tupera Tupera – Le mutande di Orso Bianco

La transizione pannolino-mutanda (accompagnata dalla transizione mi faccio tutto addosso/mi siedo sul water) è una grande tappa evolutiva. Fior di testi affrontano la scottante tematica. Uno dei nostri preferiti è questo, che racconta la storia di un Orso Bianco che perde tragicamente le mutande e va a cercarle per mare e per terra con indomito coraggio.

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Claudio Gobbetti & Diyana Nikolova – Teniamoci stretti

Un trattato sull’utilità dell’abbraccio, pratica benefica che viene qui esplorata ripercorrendo le avventure di una famiglia di lontre particolarmente affettuose e affiatate.

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Gek Tessaro – I bestiolini

Che cosa succede quando si guarda da vicino un prato? Succede che si scopre un mondo, fatto di creaturine minuscole con un’identità ben definita. Un maestro della narrazione per l’infanzia che si diverte a raccontare la complessità della natura e la necessità di rispettare anche chi è più piccolino di noi.

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Mi sarò dimenticata qualcosa? È molto probabile. Ma buone letture lo stesso a tutti quanti. :3

Dunque, per parlare di Cesare ci vorrebbe un trattato a parte. Farlo qua, in tre parole, è un’operazione complessa, un po’ come se volessimo condensare l’energia di una supernova in una bottiglietta d’acqua da mezzo litro. Qualche giorno fa siamo stati alla festicciola di fine anno del nido. Io ero la mamma designata a portare i piatti e i bicchieri, visto che non so fare niente e che le incombenze più nobili – tipo arrivare con vassoi di focaccine – erano già state prenotate. Inetta e pure lenta, insomma. Comunque. Dopo merende, scivoli e bambini che si aggeggiano a vicenda, ci hanno dato una sporta di carta piena di ogni genere di prova tangibile che potesse in qualche modo farci immaginare che cos’ha fatto nostro figlio al nido per tutto questo tempo. Ha cominciato a settembre, a un anno. Aveva all’incirca un quarto dei capelli che ha adesso e, di sicuro, anche una consapevolezza molto minore della realtà. Nella sporta ci sono diverse macchie di Rorschach – pittura con le dita -, una risma di capolavori di puro astrattismo – disegno coi pennarelli -, una scultura d’arte povera – pasta di sale – e un quaderno pieno di foto che lo ritraggono mentre travasa farine, si rotola sui tappetoni, molesta pupazzi, balla, pranza a un piccolo tavolino, impila cubi e caccia le mani in montagne di lenticchie, manco fosse Amélie Poulain. Cesare, secondo me, è cognitivamente molto superiore ad Amélie Poulain. E pure più romantico.
Ma non è di quell’incapace di Amélie che voglio occuparmi.

La sporta del primo anno di nido, ho scoperto, è uno di quei costrutti che hanno il potere di farti sentire al contempo molto felice e anche molto triste.
Perché, da una parte, sei contenta di ricevere una testimonianza tangibile di tutte le cose nuove che tuo figlio ha imparato a fare o che, più o meno incisivamente, sono entrate a far parte del suo orizzonte in continua espansione. Dall’altra, però, guardi tutti quei fogli e quelle foto e calcoli il tempo che non ci hai passato insieme. Il che, inevitabilmente, ti fa sentire ancora peggio, perché ti rendi conto che tu, da sola, l’energia di fargli fare tutto quello che ha fatto all’asilo non ce l’avresti mai avuta.

Ho atteso l’inizio del nido con una certa trepidazione, devo ammetterlo. Non ci siamo arrivati riposatissimi, all’inizio del nido. Anzi, rasentavamo la dissoluzione cellulare. Perché, per quanto l’amore più puro possa permetterti di spostare sempre un po’ più in là l’asticella di quello che puoi spremere dal tuo cervello e dalle tue membra, prima o poi – almeno per me – ti ritrovi di fronte una specie di gigantesco baratro di stanchezza psicomotoria che ti mangia quasi via anche i sentimenti. Insomma, dopo un anno passato in simbiosi, sapere di poter recuperare le mie facoltà di essere umano “singolo” è stato salvifico. Sapere di poter lavorare in un orario normale, senza dovermi precipitare al computer a fare il più possibile nelle due ore (se andava bene) di pisolino pomeridiano è stato confortante. L’inserimento all’asilo, comunque, credo lo facciano quasi più per le mamme che per i bambini. Perché quando vedi che tuo figlio si mette serenamente a razzolare in mezzo a 7 o 8 altri piccoli culoni (gli infanti sono irrimediabilmente culoni: è il pannolino, c’è poco da fare) e che, in un modo o nell’altro, la sua attenzione viene rapita da qualcosa che non sei tu, ecco, quando succede è un po’ scioccante. Perché un po’ ti meravigli della tua apparente irrilevanza (che storia è mai questa!), ma un po’ ti rassereni anche (bene, è in grado di stare in questo ambiente con altri esseri umani più o meno piccoli senza abbandonarsi a caotiche manifestazioni di disappunto!). E, in sintesi, finisci per capire che nessuno ti sta togliendo niente. E che sentirti felice per lui e per te, quando lo lasci all’asilo nelle capaci mani di una schiera di splendide professioniste, è normale e quasi doveroso. Perché non credo sia sensato – o anche solo possibile – provare invidia o risentimento nei confronti del mondo intero. Perché è esattamente il resto del mondo che tuo figlio sta incontrando, man mano che diventa grande e si stacca pian piano da te. Prima riempivo un universo. E dovevo anche essere un universo. Ora sono una favolosa galassia a forma di mamma, ma attorno a me sono apparsi innumerevoli altri corpi celesti in grado di orientare la navigazione del minuscolo pirata-Cesare.
E Cesare naviga parecchio.
È fatto così.

Ci ha da sempre fatto la grazia di dormire la notte – e con SEMPRE non intendo “oh, siamo appena tornati dall’ospedale e già mi ronfa otto ore!”, figuriamoci. Ha dormito normalmente dopo qualche mese, quando il suo stomaco ha cominciato a dargli/darci tregua – ma, quando è sveglio, è SVEGLIO. Quando vado a prenderlo al nido e lo trovo seduto che ascolta una favola provo sempre un certo stupore. Perché, quando ci siamo noi, è una specie di bomba all’idrogeno. È il genere di bambino che ti fa stancare solo guardandolo. Per osmosi, proprio. E, nonostante riesca a concentrarsi moltissimo quando c’è qualcosa che lo avvince – impastare cose colorate, fare torri precisissime di cubetti, amministrare puzzle con gli le sagomine degli animali e compagnia danzante – prova visibilmente la necessità di assorbire dall’ambiente tutto l’assorbibile. È una roba normalissima e più che legittima, ovvio, ma il risultato è che Cesare ha quasi sviluppato la facoltà di apparire in diversi luoghi contemporaneamente. O che, se io sono sul tappeto con lui e Amore del Cuore è in cucina a preparare la cena, Cesare scava un solco fra i due ambienti precipitandosi a trentordici all’ora prima da me e poi dal papà, brandendo cose importantissime che deve assolutamente farci vedere. Ha scoperto la palla e le macchinine semoventi. Ha capito che ci sono dei libri che gli piacciono di più, quindi li piglia dalla sua libreria e te li porta, così può farseli spiegare. Non parla ancora tantissimo, ma è comunque molto efficace nel comunicarci le sue esigenze. E siamo parzialmente usciti dalla fase manrovesci e sberloni (da leggersi “Cesare ci mena forte”) in favore di un più civilizzato scambio di carezze e bacini umidissimi, ma rigorosamente con lo schiocco. Cesare che mi bacia e che mi abbraccia “con intenzione” è ufficialmente una delle robe più belle mai accadute. Soprattutto se prende la rincorsa e arriva tutto trafelato. DEVO ASSOLUTAMENTE ABBRACCIARTI ORA. DEVO RICOPRIRTI DI SALIVA IN QUESTO PRECISO ISTANTE, NON POSSO ATTENDERE UN MOMENTO DI PIÙ. E, quando succede, mi rendo conto che quella sensazione di non essere più così indispensabile è autentica, ma a intermittenza. Perché lo sarò sempre, anche se pian piano stiamo imparando – tutti e due – a stare insieme come due persone “vere”, che inevitabilmente hanno dei confini. Lui cresce più in fretta di me, ma anch’io aggiungo ogni volta dei pezzetti nuovi a quello che sono, perché ogni volta è necessario inventare una soluzione, una tattica di sopravvivenza, un modo nuovo di interpretare uno stato d’animo. E sono molto più contenta adesso, credo. Anzi, forse è meglio dire che ho ricordi meravigliosi, ma non rimpiango ferocemente i primi tempi, la fase “sono un adorabile fagotto paffuto che mangia, caga, dorme a intervalli di tre ore. E più o meno basta”.
Preferisco rincorrerlo.
Preferisco sentirmi rispondere con un sonoro grugnito quando gli dico “Cesare, tieni bene il cucchiaio e non fare il maialino”.
Preferisco applaudirlo quando arriva in fondo a uno scivolo e dirgli che è bravo quando sembra aver vagamente compreso le modalità di utilizzo di uno spazzolino da denti.
Ci sono delle volte in cui vorrei anche poterlo sedare con una cerbottana? MA CERTO. Cenare alle undici di sera – perché per meritarci quelle otto ore filate di sonno bisogna passarne una con Cesare in braccio a cantargli interi repertori musicali – è un toccasana? Proprio no. Non giova allo stomaco e manco alle vertebre lombari. Uscire a cena e doversi preoccupare costantemente di prendere al volo delle fette di pizza prima che tocchino terra è l’immagine del relax? Giammai!
Ma pian piano si migliora.

Piano piano si capisce che c’è quasi sempre una trovata che può salvarti. Piano piano ti accorgi che ci sono tante cose difficili, ma che tuo figlio è un tipo piacevole, non solo un ordigno da disinnescare. Chiaro, quando lo faccio scendere dal passeggino mi sembra ancora di liberare il kraken in un placido oceano la cui serenità verrà immediatamente compromessa, ma è anche innegabile che un kraken che imperversa nel vortice acquatico creato dai suoi possenti tentacoloni rappresenti uno spettacolo imperdibile. Perché sì, Cesare è uno spettacolo. E spero tanto, con il trascorrere del tempo, di essere sempre in grado di eguagliare la gioia quasi incontenibile che sfodera quando vede un tram che sferraglia – TUTUUU TUTUUU (perché ogni veicolo è un treno) -, un cane a passeggio – BAU BAU BAU BAU BAU -, una coppietta che limona su una panchina – CIAO! CIAOCIAO! CIAO! -, una ciotola di patatine – DÀ! DÀ! (che credo sia una contrazione di DAMMELE SUBITO, STOLTA! -, il papà che torna dall’ufficio – PA PÀ (scandito con grande meticolosità) – o quando vede me, che entro pian piano nella sua classe – piena di seggiolette minuscole, tappetoni, pupazzi e costruzioni – per andarlo a prendere. E lui sembra così piccolo, in mezzo a tutta quella roba. E poi si gira, si illumina tutto e si precipita da me con le braccine spalancate. Perché partire tutti i giorni in esplorazione è un’avventura indubbiamente bellissima, ma anch’io non sono poi malaccio. E anch’io, anche se non posso più tenerlo con me tutto il santo giorno, rimango una stella un po’ più brillante delle altre, nonostante la vastità del cosmo e il continuo passaggio di comete meravigliose. Quello che spero è che capisca, in qualche modo, quanto ci stiamo impegnando. Quanto vogliamo che sia felice. E quanto siamo fieri di lui. La perfezione genitoriale è lontana e, tanto per dirne una, non abbiamo ancora una “vera” cameretta con le pareti pronte per essere riempite con gli scarabocchi bellissimi che c’erano nella sporta del nido, ma spero tanto che Cesare “senta”, ogni giorno, che stiamo facendo del nostro meglio per meritarci un bambino come lui.

Minicuore ha esordito al nido a metà settembre, con una certa spavalderia. Pur contraendo malattie di ogni genere a intervalli regolari di dieci giorni, la convivenza con la micro-comunità di infanti della sua classe sta procedendo bene. Io, mio malgrado, sono stata inserita in una chat di mamme votata alla diffusione di regolari bollettini pediatrici e all’organizzazione di acquisti collettivi di adorabili scarpine di foggia zoomorfa. Per il momento ho imparato i nomi dei bambini, ma continuo ad avere qualche problema ad associarli alle rispettive genitrici, ma conto di farcela entro le vacanze estive. Morbi e madri a parte, il nido richiede una certa organizzazione. Siamo andati a presentarci alle educatrici, verso la fine di agosto, e siamo usciti dalla riunione con una lista di cose da portare e procedure da rispettare lunga come i rotoli del Mar Morto. Il lavoro più laborioso, da ripetersi a scadenza settimanale, è quello di organizzazione dei cambi. Perché i bavaglini si sbrodolano e le cacche possono sfuggire dai pannolini. Quindi te, tutti i lunedì, devi rigenerare il parco-indumenti del tuo erede, inserendo tutto in ordinatissime sacche e premurandoti di etichettare ogni capo di vestiario col nome della creatura, affinché Cesare non se ne vada in giro con le calzamaglie di Allegra.

La faccenda dell’etichettatura era un vago terrore che già sospettavo di dover fronteggiare. E, sin dal giorno della complicatissima compilazione della domanda per avere un posto in un nido vagamente normale del comune di Milano, ho giurato di non fare la fine di MADRE.
Dovete sapere, infatti, che in seconda media sono andata al campo estivo di tennis. E MADRE ha deciso che il modo più razionale per affrontare la faccenda dell’etichettatura dei miei vestiti era il seguente: comprare minuscole cifre in merceria – fino a comporre il numero “4107”, la matricola che mi era stata assegnata – e cucirle su ogni singolo vestito che mi sarebbe servito per quelle due settimane.
NO, GRAZIE. MA MANCO MORTA.
PIUTTOSTO PAGO UNA TATA INGLESE A DOMICILIO PER I PROSSIMI SEI ANNI.
CI SARANNO BEN STATE DELLE INNOVAZIONI NEL FLORIDO SETTORE DELL’ETICHETTATURA DI INDUMENTI PER BAMBINI.
E sì, ci sono state. Con mio grande sollievo.

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Ho chiesto qualche informazione a un po’ di mamme di Instagram che seguo con gioia e, visto che l’inizio del nido incombeva, ho deciso di fare un tentativo con Petit-Fernand, un sito specializzato nella stampa di etichette personalizzate di diversi tipi. Ci sono le etichette con nome termoadesive – che si attaccano ai vestiti con il ferro da stiro – e quelle adesive e basta – che vanno appiccicate, in un’inception di etichette, alle etichette degli indumentini. Quelle del colletto, per capirci. O, in alternativa, quelle con le indicazioni sulla composizione del tessuto e sul lavaggio. Visto che sono estremamente pigra e inetta, mi sono immediatamente orientata sulle etichette adesive, che promettevano di resistere in lavatrice fino a 60° (giro in asciugatrice compreso) e si potevano riempire di coccosità tipo piccoli dinosauri, sfondini pastello e font tondeggianti.
Ebbene, tre mesi dopo posso affermare con grande soddisfazione che le etichettine sono ancora tutte al loro posto. E di lavatrici ne faccio due a settimana – e pure con una certa irruenza.

Quand’ero lì lì per finire la prima mini-risma di etichette – le tengo nel cassettino del fasciatoio e le appiccico man mano sui vestiti che mi servono quando preparo la sacca per il lunedì. Ci vogliono tre secondi, non ci sono tempi tecnici di accensione di ferri da stiro e non esistono clausole vessatorie sull’utilizzo repentino, la vita – INSOMMA, quand’ero lì lì per finirle, Petit-Fernand mi ha scritto per chiedermi se volevo provare anche quelle per gli oggetti – perché vanno etichettati anche i biberon, che vi credete – e se mi andava di collaudare uno degli altri aggeggi personalizzabili dell’assortimento.
Visto che siamo in fase “impariamo a bere da recipienti diversi”, ho scelto la borraccia Petit-Fernand e ci ho istantaneamente schiaffato sopra un tirannosauro che va sullo skateboard nei pressi di Las Vegas. Così, perché gli va. Si possono scegliere 28 illustrazioni di sfondo e aggiungere una scrittina con il nome della vostra creatura – o quello che vi pare. Tutte le borracce sono in acciaio inox (completamente riciclabile) e mantengono i liquidi caldi per 12 ore o refrigeratissimi per una giornata intera. E L’ACQUA NON SI ROVESCIA. Sembrerà scontato, ma non lo è – credetemi.

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Visto che le etichette vanno via come il pane – non perché sia necessario sostituire quelle che si staccano, ma perché gli infanti crescono e le stagioni trascorrono – Petit-Fernand ha pensato anche di sfornare dei pacchettini-risparmio e dei kit per affrontare le situazioni di socialità più disparate. I mix sono molto convenienti, le etichette possono diventare vergognosamente carine – ci sono un sacco di possibili combinazioni ornamentali da creare – e, cosa ancor più importante, sono coriacee e superbamente comode. Insomma, un’ottima scoperta-semplifica-vita e una gradita conferma a questo secondo giro di collaudo.

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Se siete ridotte come MADRE e/o non avete ancora trovato una maniera sensata per sbrogliare l’annosa faccenda dell’identificazione dei capi d’abbigliamento della vostra prole, ecco qua un codice sconto che potete usare su Petit Fernand. Con tegamini17 avrete un -15% sulle etichette (per vestiti e oggetti) e sui pacchetti di etichette. Sarà valido dall’11 al 18 dicembre compreso. E spero possa tornarvi utile.

Che dire, felici operazioni di etichettatura a tutti. E… coraggio, supereremo brillantemente anche l’ennesima febbriciattola.