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Leonard Nimoy

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Il mio papà è, da sempre, il compagno di cinema ideale per determinati generi. Col papà si vede la fantascienza, si vedono le tamarrate tecnologiche e le catastrofi. Abbiamo condiviso momenti felicissimi davanti ad Armageddon, Deep Impact, Il quinto elemento e addirittura Contact, che in pratica è piaciuto solo a lui. Che vi devo dire, anche il più granitico dei genitori ha, ogni tanto, un cedimento astronomico-mistico. Dimenticavo, guardiamo pure i film con gli esorcismi, ma quelli solo a casa e in seconda serata su Sky che, si sa, sono tutti delle cacate pazzesche e non vale la pena sprecare i soldi del biglietto. Comunque, in quest’epoca di revival e rispolveroni di vecchie cose care, io e il papà abbiamo un sacco da fare. Siamo andati a vedere Tron e il primo Star Trek di GEIGEI Abrams e volevo pure portarlo a vedere Prometheus ma poi è finita che ci sono andata da sola… e per fortuna, sarebbe stato uno spezzacuore per il mio papà. Mostri a forma di biscia-vagina, culturisti albini e parti cesarei fai-da-te. Dov’è la poesia dello spazio. Dov’è la mirabile dicotomia uomo-mostro. Al mio papà piacciono quelle cose lì, oltre al sedere sodo di Ripley. Dategli un HAL9000 che blatera filastrocche ed è subito Natale. Fategli vedere Io, Robot e vi compatirà brandendo un tomo di Asimov e declamando a memoria le tre leggi della robotica. Per dire, il suo film preferito credo sia L’uomo bicentenario, che se lo sceneggiava Asimov in persona veniva difficile farlo più rispettoso del libro e del sacro materiale di partenza.

Diamine, sto divagando. Se solo avessi un cervello positronico, lì sì che andrei in ordine.
Quel che volevo dire – credo – è che anche per Star Trek. Into Darkness abbiamo onorato le tradizioni e ci siamo allegramente presentati al cinema a braccetto. Visto che il papà ha più di 65 anni ma si vergogna a usufruire dello sconto-anziani, col bigliettaio ci parlo io. “Senta, nonostante il mio gagliardo genitore se li porti benissimo, temo proprio che dovrà fargli il ridotto”… al che interviene anche lui, solitamente con un “Che ci vuole fare, gli anni passano”, perché comunque gli rode un po’ che gli facciano quel biglietto lì. Poi niente, quando entriamo in sala o fa il melodrammatico (durante i trailer di Tron è riuscito a dire “Che poi insomma, sono contento di vedere il 3D, che di opportunità per andare al cinema non me ne restano poi molte, ormai”) o si stupisce (“Ma guarda, c’è anche il buco per metterci la bibita”). L’unica costante è che ci mettiamo in quinta-sesta fila, che la miopia è ereditaria.

Alla fine, Into Darkness ci è piaciuto perché non poteva non piacerci, siamo fatti per amare questi film qua.
L’Enterprise che emerge dalle acque, Spock che cementa un vulcano, Benedict Cumberbachichachech che prende a mazzate un intero plotone di klingon incagnatissimi, sentimenti, Chris Pine con la faccia gonfia, scudi al minimo, il cammeo della mummia di Leonard Nimoy, criogenia!
Ci è garbato, è vero, ma non ci ha convinto del tutto. E la recensione più accurata e corretta che posso fornirvi è, al momento, quella del mio saggio e sintetico papà.

Che spettacolo. Bello, bello. Mi è piaciuto molto. Non so bene perché Sherlock Holmes fosse così agitato, ma mi è piaciuto.

Dateci dei cattivi motivati. Dateci dei cattivi per cui fare il tifo. Dateci dei cattivi di cui conosciamo e comprendiamo il passato – e non solo perché eran già in uno Stak Trek del 1982. Se non lo fate, ce ne fotteremo altamente del loro futuro. E continueremo a fissare rapiti le frangette dei vulcaniani.