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Lara sale per la prima volta sul palco per interpretare il ruolo che le cambierà la vita quasi per caso. Sta dando una mano nella gestione delle audizioni di una produzione “dilettantistica” di Piccola città di Thornton Wilder e, piuttosto schifata dalle Emily candidate, decide di provarci lei. Lara è (e sarà sempre) una Emily perfetta e sarà proprio quel personaggio a portarla via dal New Hampshire e dalla sartoria della nonna per depositarla a Los Angeles e poi a Tom Lake, vivace centro del Michigan celeberrimo per le sue stagioni teatrali estive e trampolino di lancio per talenti emergenti d’ogni sorta…
Ma ci arriveremo per gradi, perché anche Lara ci arriva con calma, raccontando la storia della sua carriera di attrice – e della sua vita “prima” – alle tre figlie ormai grandi, tornate alla fattoria di famiglia all’inizio della pandemia. Anche la fattoria dei Nelson è in Michigan e con Tom Lake condivide la natura placida e maestosa, il lago immenso e gli alberi da frutto. Le Nelson raccolgono di gran lena acri e acri di ciliegie – tanti braccianti le hanno piantate comprensibilmente in asso per la stagione – e dipanano con gradualità i “segreti” di famiglia. Ogni famiglia ha leggende condivise, convinzioni, nodi e fraintendimenti di fondo che resistono con ostinazione alla realtà, in mancanza di un momento chiarificatore e del tempo necessario a rimettere insieme con cura il puzzle.

Insomma, mentre il padre fa su e giù col trattore e si fa aiutare dalla sorella maggiore (quella che ha studiato agronomia e ha sempre sostenuto di voler tornare a casa per prendersi cura della proprietà) a gestire la fattoria, Lara ricorda e consegna alle sue figlie la versione “autentica” del suo percorso. La grande figura mitizzata che aleggia sull’intera famiglia è Peter Duke, che Lara ha amato a Tom Lake e che, al contrario di lei, è diventato una star del cinema. Cos’è successo veramente? Perché è andata così? Perché la mamma ha smesso di recitare, brava com’era? Ci sarà sotto qualcosa? E papà quando è spuntato?

Il romanzo – in libreria per Ponte alle Grazie – ci trasporta nella quotidianità “presente” dei Nelson e allestisce in parallelo uno spettacolo di rievocazione che offre un ulteriore livello di potenziale finzione – perché si può recitare su un palco a Tom Lake ma si recita anche per imparare a convivere con il dolore, il rifiuto, il rimpianto. Lara sembra non averne, di rimpianti, il che rende il suo racconto estremamente avvolgente: è una sorta di solida conferma dell’amore che tiene insieme la sua famiglia, della bontà di una catena di decisioni lontane ma rivoluzionarie. Potevi essere famosa! Potevi vincere un Oscar! Potevi diventare ricca! Potevi esserci anche tu, nelle videocassette che abbiamo guardato fino a consumarle! E invece hai un cesto al collo e raccogli la frutta con tre ragazze grandi che sono felici di esserci anche se non capiscono bene come sia potuto capitare. Per Lara è tutto chiaro, ma le sue figlie hanno bisogno di sentirselo spiegare senza reticenze e senza rete di protezione.

Ann Patchett è molto abile nel mescolare i piani temporali e nel tenere in piedi i vari “microcosmi” della storiaPiccola città compresa. Se vi intriga il teatro è un po’ come entrare a far parte di una produzione e se vi intrigano le vicende corali di famiglia avrete un buon intreccio in cui intrufolarvi. Non mancheranno i colpi di scena e le asimmetrie informative – perché si può mai davvero dire TUTTO? – e ho trovato assai confortante il fondamentale ribaltamento delle premesse: “ho scelto un destino e vi spiego perché è andata bene”, invece del più consueto (e angoscioso) ECCO IO CHE TUTTO POTEVO IO CHE ERO QUESTA FULGIDA MERAVIGLIA GUARDATE COME SONO RIDOTTA. Lara ha risolto, ha riconosciuto il suo posto e la sua gente. Può guardare al passato con franchezza e con una serenità quasi del tutto pacificata. E può raccontare, finalmente, quel che sa dell’amore a chi più ama. 

Cinema! Sogni! L’età d’oro di Hollywood! Cellulosa! Divi! Dive! E Lucia Wade, sceneggiatrice. Insieme al marito Vincent – istrionico regista e assiduo sollevatore di bicchieri – forma una promettente coppia creativa. Lì per lì innamoratissimi, affiatati e pieni di idee, i coniugi Wade si fanno in quattro per racimolare i finanziamenti per il loro debutto sul grande schermo e, tra mille rogne e soluzioni creative, approdano ai tanto agognati successi. Si fanno un nome, si trasformano in acclamati autori e li troviamo pure candidati all’Oscar. Lui, vulcanico e umorale, si gode il prestigio riservato ai registi emergenti mentre Lucia macina pagine alla macchina da scrivere, senza badare troppo al ruolo evidentemente defilato che Vincent tende ad accordarle. È sicura del suo amore e farebbe di tutto per sostenerlo, anche se i rospi da ingoiare non sono pochi, i soldi scarseggiano sempre e l’ambizione (spesso frustrata) scava solchi di non facile gestione. Tutti quanti – Lucia compresa – sono convinti di vivere un Grande Amore Speciale, superiore alle tribolazioni e alle meschinità che distruggono i legami degli altri, ma scopriremo all’istante che nemmeno i Wade sono fatti per durare.
Chi siamo diventati?
Dov’è la persona che ho conosciuto?
Chi ho amato io è mai esistito?
Ne vale la pena?
Lucia si rifiuta di trasformarsi nel cliché della moglie abbandonata e affranta che tanto detesta scrivere e si aggrappa all’unica certezza che ha – che è proprio la scrittura, incidentalmente. Con o senza Vincent, lei è una sceneggiatrice. Brava, pure. Avrà vita facile fra produttori, studios, agenti e agghiaccianti consulenti con le competenze di nostro cugino chiamati a rivedere le sue pagine? Certo che no. A Hollywood o fai l’attrice o fai la segretaria… di sceneggiatrici in giro ce ne sono poche. E quelle quattro gatte già sembrano troppe…

Lucia Wade è Eleanor Perry e Pagine azzurre è una versione romanzata della sua vita e delle sue peripezie sentimental-lavorative. Uscito nel ‘79 negli Stati Uniti, il libro spunta qua da noi per la prima volta per SUR nella traduzione di Marco Rossari – che riesce a preservare mi pare assai bene il taglio da commedia brillante e a mantenere scoppiettanti e caustici i dialoghi.
La struttura non è lineare ma procede per balzi temporali e “scene”, come in un buon copione che non abusa dell’esposizione o dello spiegone trito. Lucia e Vincent ci appaiono a diversi gradi di deterioramento, anche se l’ossatura principale è fatta dal presente di Lucia, tra lavori frustranti, rivendicazioni di competenza che cadono tendenzialmente nel vuoto e relazioni con emeriti imbecilli. Il passato è fulgido e miserabile insieme, pieno di segnali che solo il senno di poi fa risultare ovvi. Lucia è disillusa ma battagliera, stufa marcia ma abbastanza scafata da godersi gli episodi più grotteschi che le capitano come uno spettacolo. Questo libro è uno sberleffo e una rivincita, il ritratto di un’epoca e di un settore specifico – molto meno favoloso di quanto vorrebbe la leggenda.
Ci son signore che hanno preso più di un pesce in faccia, risparmiandone forse qualcuno a noi, signore del futuro. La rete è ancora piena, ma Perry – facendoci ridere e schiumare di rabbia – è una voce degnissima di essere ancora ascoltata.

Appunto sparso: c’è pure Capote. Ovviamente camuffato. Ma si vola altissimo lo stesso.