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GRAVITY

Da piccola, per far contento il mio papà, dicevo che mi sarei laureata in ingegneria aerospaziale. Avevo letto da qualche parte che per diventare astronauta bisognava studiare quella roba lì. Ero molto lanciata, sulla storia dell’astronauta. Dopo la prima pagella del liceo scientifico, però, ho capito che non sarebbe andata a finire proprio benissimo, nonostante la mia sincera ed entusiastica fascinazione per lo spazio. Il fatto è che coi miei voti nelle materie d’indirizzo ci si poteva evocare il demonio. 6 in matematica. 6 in scienze. 6 in fisica. E 9 da tutte le altre parti. Per cinque anni. Che uno dice, succede un anno solo, può essere stato un incidente. Macché, cinque anni a far riemergere Satana da un abisso fiammeggiante. Non ne vado fiera, ma è andata così. Solo parecchio tempo dopo il mio papà ha avuto la forza di ammettere l’evidenza: obbligarmi a fare lo scientifico è stato un insulto contro Dio. Non c’è niente di più blasfemo del vedermi seduta lì che cerco di risolvere un integrale. Alla fine sono uscita con 95 lo stesso, dal liceo, ma se potessi tornare indietro e gridare qualcosa alla piccola me di terza media, griderei più o meno un MANDALI A STENDERE E SCAPPA DI CASA. E SFASCIA PURE IL PIANOFORTE.

gravity-debris

Comunque.
Nonostante la mia totale impermeabilità a qualsiasi genere di nozione fisica, adoro le imprese spaziali, voglio un bene dell’anima ai rover che vagano su Marte e, Lost in Space a parte, amo la fantascienza – sia quella fanfarona e sparacchiona che quella più “realistica”. La minuscola me che voleva fare l’astronauta, probabilmente, non si è ancora rassegnata. Ed è dunque con questo spirito (e con le poche informazioni fisico-gravitazionali ricavate da Angry Birds Space… gioco in cui, per altro, sono una pippa) che sono andata a sedermi di fronte a Gravity di Alfonso Cuarón. Con tanto di pop-corn.


da this isn’t happiness

E va bene. Ci sono un mucchio di robe che nello spazio non funzionano come nel film. E se me ne sono accorta io, vuol dire che sono cazzate grosse grosse.
E va bene. Sandra Bullock ad un certo punto si mette a ululare e ad abbaiare come un cane, il che non è proprio una trovata brillantissima, a livello di sceneggiatura e approfondimento del personaggio.
E va bene anche che vederla sopravvivere alla prima pioggia di sfiga-frammenti-orbitanti (in compagnia, per giunta), è già qualcosa di eccessivamente incredibile… figuriamoci poi il resto.
E va anche bene domandarsi come sia possibile che un medico dell’ospedale con sei mesi di addestramento astronautico sia lì che armeggia con Hubble come se fosse il frullatore di casa sua. Per non parlare di quello che riesce a fare dopo.
E anche a me è parso bizzarro che lo Shuttle, la Stazione Spaziale Internazionale e la Stazione Spaziale Cinese fossero lì tutti belli vicini, alla stessa altitudine e serenamente visibili a occhio nudo.
E le traiettorie di rientro? Cioè, è un attimo trasformarsi in orride palle di fuoco. Non si può mica precipitare a casaccio.
E quel qualcosa che non convince-convince quando George Clooney ti piglia al guinzaglio nello spazio e ti tira in giro.
Per non parlare dell’inverosimile sicumera e della totale assenza d’agitazione dell’astronauta Clooney, in modalità rassicurante-gattone-caffé-Illy-in-vena-di-chiacchiere.

Ecco, va bene tutto questo (e pure qualcosa in più). Ma a me Gravity è piaciuto moltissimo lo stesso. Sarà che ho una spiccata attitudine alla sospensione dell’incredulità, sarà che mi sono lasciata rincoglionire dall’aurora boreale, sarà che ad un certo punto ero così in ansia che mi andava bene pure Sandra Bullock rimbambita che ulula, ma mi è proprio sembrato di assistere a un degno spettacolo. Mi è quasi venuto da dire “ecco, è per queste cose qua più giganti della vita e anche del pianeta Terra, che uno decide di andare al cinema, certe volte”. A parte la meraviglia visiva di quel che c’era e il perenne interrogativo del “come diamine avranno fatto a fare questo film” mi sono sentita un po’ un giudice di X-Factor che, con Cuarón sul palco, gli fa “mi hai davvero trasmesso qualcosa, anche se magari potevi dare qualche soldo in più ai tuoi consulenti tecnici della NASA. Però, considerando anche che c’è un personaggio che parla da solo per due ore, non te la sei poi cavata così tanto male. Anzi”. Proprio io, che la storia del “mi hai emozionata” l’ho sempre odiata. Stavo lì a bocca aperta. E ho pure pianto dentro ai pop-corn, in mezzo a uno di quei super-crescendo musicali nel vuoto siderale. Quindi niente, sono uscita dal cinema piena di stupore… e spero che là fuori, parecchi ex-6 stiracchiati in fisica potranno fare dei grandi OOOH e AAAH davanti a questo film senza sentirsi troppo in colpa. Perché è un polpettone spaziale scaldacuore, e tutto quello che si vede è strabiliante… detriti compresi, anche se viaggiano a qualche migliaio di chilometri al secondo e manco per tutti i razzogomiti di Pacific Rim uno si accorgerebbe che stanno passando. Ecco. Azzarderei un chi se ne importa. Godetevi l’orbita geostazionaria. E arrabbiatevi per qualcosa di ben più importante, tipo le invidiabilissime chiappe sode di Sandra Bullock. Quelle sì che sconfiggono anche la più volenterosa delle sospensioni dell’incredulità.