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Farò come per JFK, ma senza epiloghi cruenti. Giacomo Keison Bevilacqua: GKB.
Sono una lettrice “tardiva” di GKB. Mi son persa le prime incursioni del suo celeberrimo panda, ma sono arrivata in tempo per Troppo facile amarti in vacanza e non volevo perdermi questo suo nuovo lavoro, che è tante cose diverse insieme. Come parecchie storie che si rivelano preziose, il punto di partenza è un momento di crisi. Il garbuglio da districare è fatto di ritmi lavorativi che confliggono con quelli “personali”, di bimbi che nascono e che rivoluzionano il modo che abbiamo di intendere il tempo e il nostro posto nel mondo, di dolori articolari che non passano mai e di incapacità di restare coi piedi piantati nel presente.

Sono una testa di panda – in libreria per BAO Publishing (ed equipaggiato pure con una ghiotta incursione di Zerocalcare) – è una riflessione che vortica attorno a un percorso artistico lungo, fortunato e poco riposante e alla necessità di costruirsi una corazza per soddisfare aspettative pubbliche ed esternare un livello “adeguato” di gratitudine. Misurare se per gli altri i nostri sforzi saranno mai sufficienti è complicato, quando siamo noi in prima battuta a pretendere sempre qualcosa in più da quello che creiamo, dai ritmi che ci imponiamo, dall’originalità delle nostre idee, dalla qualità delle relazioni che teniamo in piedi.
Chi c’è dietro la maschera – che nel caso di GKB è il testone di un panda, ma ognuno poi finisce per scegliersi la corazza più adatta? Cosa succede quando ci si affeziona troppo alla propria corazza? Quand’è che si supera il confine e le barriere protettive diventano prigioni che ci isolano nelle nostre teste? Come è possibile che anche il lavoro che amiamo finisca per trasformarsi in una trappola?

Quello di GKB è un percorso di auto-ascolto, mi vien da dire, fatto di interventi “corporei” e ansie raccontate. L’obiettivo è riconquistare gli spazi vuoti per lasciarli effettivamente vuoti, è un lavoro di attribuzione di significati nuovi – e mi sa anche più sani – all’inefficienza. Non è tempo che perdiamo, è tempo che serve per riossigenarci. È concedersi il grande lusso di pensare che c’è qualche no che va detto, perché non abbiamo più pezzi di noi da dare agli altri e le batterie vanno ricaricate per ritrovare slancio. È camminare fino all’acqua, guardare una manina che accarezza una poltrona soffice, rammentare che non ci è stato regalato molto e che costruirsi una strada ha richiesto fatica e dedizione.
Essere “abbastanza” è possibile, ma se ce lo concediamo, se arriva un bel DIAMOCI UNA CALMATA che spezza la ruota su cui corriamo perché star fermi ci spaventa – o ci pare di saper fare solo quello. Ma è anche riconoscere che stiamo camminando su quella ruota e che man mano che avanziamo impariamo a districarci meglio e a superare gli ostacoli. Cosa succederà a GKB ve lo lascio scoprire leggendo, cosa succederà a voi pure. C’è molto che può parlarci in questo fumetto, anche se il nostro lavoro non è scrivere e disegnare e anche se magari non abbiamo nessuno – a parte noi – da crescere. E dici poco? È quello il lavoro vero di una vita intera.

Vi risparmio l’elenco lunghissimo degli importanti riconoscimenti conquistati da Kate Beaton per questo lavoro, ma tenete presente che ci sono – Eisner Award compreso – e che sono meritati. Ducks è un libro che potrebbe alimentare una tale quantità di discussioni “calde” da farci scoppiare la testa, anche perché l’epoca che racconta è al contempo vicina (cronologicamente) ma lontanissima per sensibilità e istanze maneggiate dall’opinione pubblica. Credo sia questa specifica collocazione “di confine” a farne un libro così emblematico: i nodi sono venuti al pettine oggi (o in un passato relativamente molto recente), ma il garbuglio c’era già… o c’è sempre stato, anche se non conveniva alzare la mano per segnalarlo.

Si sta discutendo spesso di autofiction, di preponderanza dell’autobiografia sulla narrativa d’invenzione, di presunzioni d’universalità anche quando si racconta delle proprie unghie incarnite, di che valore possano avere le minuzie individuali – vendute e ben confezionate come grandi rivelazioni – nel panorama del pensiero umano. Ecco, Beaton ha saputo riconoscere la rilevanza di un’esperienza personale e ce l’ha restituita in Ducks – in libreria per BAO con la traduzione di Michele Foschini –, compiendo quella famosa prodezza del “tu che adesso hai una voce… usala per portare a galla questa roba che si è trasformata su mille piani diversi in un bel problema collettivo!”.
E quale mai sarà quest’esperienza così stratificata e significativa? Pare una faccenda circoscritta e MOLTO “site-specific” ma non è solo questo. Beaton arriva da un’isola del Canada atlantico. Nel 2005, a 21 anni, si è laureata in arte e ha deciso di partire per l’Alberta per trovare un lavoro abbastanza redditizio da permetterle di estinguere il suo gravoso debito studentesco. Ha passato due anni a lavorare nelle attrezzerie – e successivamente negli uffici “sul campo” – delle grandi compagnie estrattive dell’area di Fort McMurray, terra promessa delle sabbie bituminose.

Perché dovremmo mai leggere la storia di una ragazzina che fa i bagagli e parte da sola per lavorare in un luogo assurdo, lontanissimo da casa e potenzialmente letale?
Perché l’esistenza stessa di una struttura lavorativa simile si innesta su un profondo disagio socio-economico, fatto di posti che si spopolano e di generazioni giovani che non riescono ad accedere a un avvenire dignitoso perché son sommerse dai debiti prima ancora di riuscire a laurearsi – impresa in cui ci si imbarca con l’idea probabilmente superata che il titolo di studio basti a poter star meglio di come stanno le famiglie d’origine.
È una storia tremenda (e preziosa) perché una popolazione “aziendale” in cui il rapporto donne-uomini è di 1 a 50, residente in villaggi fatti di container in mezzo al nulla più assoluto e impiegata in turni che non permettono un contatto significativo con la rete sociale e affettiva di provenienza ECCO è un contesto che trasforma le più basilari norme di convivenza e di umanità, riscrivendole a favore di una situazione liminale, dove la responsabilità si edulcora e l’essere perennemente “di passaggio” fornisce un alibi di ferro per un cameratismo tossico, esasperato e concretamente violento.
È un libro importante perché parla di soldi, di risorse naturali e di impatto ambientale a livello “macro”, ma ci interroga anche sui vari gradi di complicità che possiamo esprimere in via indiretta, magari mentre cerchiamo con gran fatica di guadagnare anche solo il minimo indispensabile.
È una storia di migrazioni economiche e di sconfitta della retorica del “se vuoi puoi” – che di solito ci viene propinata da chi può molto perché parte con le spalle più che coperte -, di scelte impossibili tra radici e futuro, di ambizioni e patti infelici con la realtà, di opportunismo travestito da opportunità dorata. “Che vuoi farci, il mondo va così”, ci ripetiamo quando i problemi che si affastellano sono troppo grandi per essere maneggiati e ci sentiamo estremamente irrilevanti per poter fornire un contributo che faccia una qualche differenza. Forse è vero… ma è una fortuna che spunti, ogni tanto, una voce capace di rendere palese questa sconfitta, che ci racconti un posto “limite” che diventa crocevia di molto di quello che ci preoccupa e che, inevitabilmente, ci riguarda. La nostra storia non sarà mai sovrapponibile a quella di Beaton, ma a quello servono i testimoni attendibili: ci dicono quel che è successo, quello che noi non potevamo sospettare e, per fortuna, anche che quello che mai avremmo voluto sentire.

Pronta a cominciare il suo “praticantato” da sacerdotessa di Pandora, Clori comincia a sospettare che il tempio sia solo un grande baraccone tirato su per vendere vasellame ai turisti e si domanda se non abbia fatto meglio la sua amica – nonché suo unico amore – ad accettare una buona proposta di matrimonio in una polis vicina. Delusa e oltraggiata – oltre che discreta rompicoglioni, che l’Olimpo la conservi – Clori decide di verificare la tenuta del culto per vie empiriche… e apre il vaso. CAOS! MALI DEL MONDO IN LIBERTÀ! SENSO DI COLPA! DISASTRO INCOMBENTE! Convinta di aver condannato tutti alla sofferenza, mette qualche peplo in un fagotto e parte per la sua missione di redenzione, in compagnia di Pigrizia – una pingue sfinge mignon – e della famelica Speranza. E giá così si vola.

Dove abitano i mostri? In un grande vaso leggendario o nella nostra testa? E qual è il peggiore? Da dove arriva il timore di non essere mai abbastanza? La speranza è una forza positiva per definizione o quando è cieca fa più danni che bene? Clori e il suo corteo di mostruosità cercheranno di capirlo, tra gesti eroici e oracoli che (ovviamente) ti dicono che la risposta è dentro di te… e ogni tanto hanno ragione.

Fabio Pia Mancini rivisita il mito di Pandora servendosi di una scrittura guizzante e contemporanea – riferimenti pop compresi – e di un impiantone visivo ricchissimo e francamente magnifico. Il risultato è un’avventura stramba, molto divertente e fuori dal tempo, che riflette su timori frivoli e grandi abissi.

The End di Anders Nilsen – in libreria per Add con la traduzione di Francesco Pacifico – ha conosciuto diverse iterazioni, revisioni e limature. Descrive un sentimento complesso – la perdita – e l’ha fatto negli anni cercando di rendere giustizia ai nuclei più significativi di quella circostanza, avvalendosi di volta in volta di quel prezioso “senno di poi” a cui sarebbe bello potersi appoggiare per non affrontare con strumenti irrimediabilmente inadeguati il peggio che può succederci. Ogni lutto è di tutti, perché la morte è un destino comune, ma chi rimane lo assorbe come se fosse un evento unico e incomparabile rispetto alle esperienze altrui, perché quel che perdiamo non è un concetto astratto ma una persona vera, che ha occupato uno spazio “pratico” e ideale nel nostro orizzonte concreto.

Nilsen ha messo insieme The End, disegnando e scrivendo, dopo la malattia e la morte della sua fidanzata – una morte che tenderemmo a definire inopportuna e precoce, data la giovane età – nel tentativo di ricavarci consolazione e anche una sorta di messaggio “universale” capace di attutire l’insensatezza delle condanne irreparabili e arbitrariamente distribuite. Tra metafore visive e documentazione delle minuzie di una quotidianità che pare aver smarrito il suo centro, Nilsen analizza il rapporto con un’assenza inaccettabile e con la fatica di abitare un presente monco, perché per concepirci davvero nel punto mediano tra passato e futuro deve esistere un futuro possibile, una vita da costruire con la persona che amiamo e che non c’è più.

È legittimo continuare a vivere? È rispettoso? È auspicabile? Nessuno verrà a rilasciarci un’autorizzazione in carta bollata, ma quel che si apprende qui è che abbiamo tutti diritto a dettare delle condizioni di sopravvivenza “gestibili” e che, molto spesso, è complicato lasciar andare il dolore, perché il dolore riempie ed è pur sempre meglio del vuoto completo.
Non è un libro allegro, ma è onesto e prezioso proprio per la testimonianza di lungo periodo che offre, per il discorso che si sviluppa facendosi sempre più rarefatto e libero dal caso specifico, nella benevola ambizione di poter diventare fonte di conforto in una moltitudine di altri casi. Non si dimentica, ma si impara a tenere la fiamma accesa e a portarla vicino al cuore, dove ci scalda anche se non produce più la luce brillante e visibile che eravamo abituati a seguire.

A fare da cornice a buona parte delle vicende di Le buone maniere, il nuovo fumetto di Daniel Cuello uscito per Bao Publishing, è un ufficio che più grigio non si può. L’ufficio, insieme alla variegata fauna dei suoi dipendenti, ha il nobile compito di revisionare pubblicazioni di ogni tipo in modo da renderle conformi alle direttive ideologiche di un tentacolare Partito che regola con mano che si finge paterna (ma in realtà è pesantissima) la vita del paese. L’ufficio è un organo di censura e repressione a tutti gli effetti, ma è anche un palcoscenico umano popolato da signore insospettabilmente ribelli, eroi cialtroni e capi che diventano tali proprio perché non hanno mai dimostrato interesse per l’esercizio del potere. È un guscio in cui confluiscono antichi drammi personali, codardie sommesse, ambizione paziente (per quanto schifosa), dovere, paure silenziose e forme di rassegnazione allo status quo inesorabili quanto la burocrazia.

Quale prezzo siamo disposti a pagare per far prevalere il “bene”? Perché è tanto più facile accettare un mesto ma tranquillo presente, anche quando di fatto serviamo il padrone sbagliato? Che cosa c’è di peggio del trovarsi in un contesto che ci fa sentire irrilevanti o sempre troppo piccoli e inermi per cambiare le cose?
Tra timbri, macchinette del caffè che non funzionano MAI, paradossali catene di comando, gatti fuggiaschi, una zia saggissima e confortevoli prigionie da scrivania, Cuello ci procurerà un gran magone… ma riuscirà anche a dare un nome a quella scintillina di coraggio che tanto inseguiamo, anche quando ci sembra di essere sempre inchiodati nello stesso posto.

I fumetti si confermano un luogo efficace per affrontare l’argomento della maternità, soprattutto per quanto riguarda quel limbo complicato di trasformazione fisica e identitaria che si attraversa nei mesi immediatamente successivi a una nascita. Prendo spunto da una lettura recente, La sostituta di Sophie Adriansen e Mathou, per assemblare una piccola lista di narrazioni disegnate che in questi anni ho trovato preziose per esplorare il territorio della maternità e della genitorialità in generale.
Come spesso accade, non è necessario andare alla rigorosa ricerca dell’immedesimazione perfetta, ma mai come in quegli ambiti ancora soggetti a una forte attitudine collettiva al giudizio – più o meno corroborato dall’umana sensibilità e dall’empatia che ogni tema delicato meriterebbe – è prezioso poter contare su prospettive che sfiorano anche gli anfratti meno luminosi di uno specifico fenomeno. Siamo collettivamente educati ed educate a dimostrare competenza, padronanza della situazione, ottimismo e solide capacità, a impegnarci per superare le difficoltà e a non alzare disonorevoli bandiere bianche. Il trauma è un banco di prova, un’occasione per dar mostra di caparbietà, spirito di sacrificio e indomito coraggio. Si può fare tutto, se lo si desidera abbastanza e un’eventuale sconfitta (sovente assai più probabile di un trionfo) si trasforma in colpa, in una testimonianza di inadeguatezza o di demerito. In questo trappolone precipitano anche le neo-madri? Certamente, Vostro Onore. E probabilmente ci precipitano in maniera ancor più rovinosa e potenzialmente dannosa rispetto a quello che ci tocca in qualità di abitanti “normali” di quest’universo collettivo. Alle madri si fanno pochi sconti e perseveriamo nel trascinarci dietro un lungo e ingombrante retaggio popolato da angeli del focolare e sante martiri. Senza dilungarmi in ulteriori pipponi, ecco qua qualche potenziale lettura che può accompagnare – o aiutare a comprendere meglio – cosa succede mentre cerchiamo di assestarci e, soprattutto, di perdonarci quando non ci sentiamo brave abbastanza.

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La sostituta - Sophie Adriansen-Mathou - copertinaCon La sostituta – in libreria per BeccoGiallo –, una scrittrice e un’illustratrice uniscono le forze per raccontare un periodo di assestamento non idilliaco o consolatorio, ma pieno di quei dubbi che sintetizzano lo scontro tra aspettative e realtà, senso d’inadeguatezza e nuove responsabilità, istinto e paura di non essere all’altezza, pressioni “esterne” e sensazioni intime.

Non si tratta di “vendercela” bene o male, di atterrire con un eccesso di franchezza le aspiranti madri volenterose o di metterla giù dura per amore della spettacolarizzazione anche traumatica di un momento complesso, ma di prestare ascolto e restituire dignità a quel che si discosta da romanticizazzioni forzate o dall’obbligo di nascondere una difficoltà per non sentirsi ancor più “sbagliate”.

Il celebre e sempre celebratissimo “istinto materno” è azionato da un infallibile interruttore che si attiva nell’istante esatto della nascita? Quella sicurezza inscalfibile nelle proprie capacità è un congegno che si innesca immediatamente?
Per la mamma di questa storia – che arriva “felice” al parto dopo una gravidanza desiderata, all’interno di una coppia solida e unita da un grande amore e da una quotidianità appagante – c’è ben poco di automatico. Marketa passa mesi in compagnia del fantasma di una mamma perfetta – “la sostituta” del titolo – che altro non è se non la proiezione ideale di quel che vorrebbe fare ma non le viene, il prototipo della puerpera radiosa e straripante d’affetto che non fa fatica ad assimilare i cambiamenti, accetta il suo corpo senza battere ciglio (anzi, torna praticamente subito “come prima”), pare immune a stanchezza e dolore fisico e, soprattutto, è capace di gestire la situazione con accecante ottimismo e mano ferma.

Oltre alla cronaca pratica di quel che capita a Marketa, Clovis e alla minuscola Zoe, al cuore di questo fumetto c’è uno dei più avvincenti misteri che si affacciano alla vigilia di ogni grande evento che altera lo status quo: come la prenderemo, chi diventeremo. Si ascolta più volentieri chi non alza la mano per manifestare un disagio e si accoglie con più semplicità chi “sta bene”, forse. Ammettere che questo “stare bene” non è necessariamente un merito o un fattore che ci connota come esseri umani migliori – dotati o non dotati di prole – credo sia un buon passo per dare spazio senza stigmi anche a chi non sta beneficiando del medesimo stato di grazia. Perché si è più propensi a chiedere l’aiuto che serve (e a riconoscere di averne bisogno) quando il contesto che ci ospita non tratta con sufficienza o con intransigenza una difficoltà, convincendo anche noi di sbagliare se non ci sentiamo sufficientemente capaci.
Non ce la fai? Va così perché non sei abbastanza brava, non perché stai oggettivamente facendo una cosa difficile che può metterti di fronte a ostacoli e intoppi.
Accogliere un’esperienza di maternità che ingrana superando scogli più ditti e aguzzi di quanto ci sembri più rassicurante ritenere “normale” non toglie nulla alle puerpere felici ma, di certo, alleggerisce il bagaglio di quelle a cui sta andando (o è andata) meno liscia.

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Lucy Kinsley ha un tratto adorabile e la limpida capacità di scomporre con chiarezza e sentimento le cose “difficili”. In Molto più di nove mesi non racconta soltanto quello che accade dopo la nascita del suo biondissimo Pal, ma anche il percorso accidentato che ha preceduto il suo arrivo.
La narrazione è inframezzata da approfondimenti sul funzionamento del nostro corpo, informazioni sulla gravidanza e riflessioni sociologico-sistemiche sulla genitorialità e le trasformazioni della coppia. Per quanto si capisca già dalle prime pagine che un bambino alla fine è arrivato, Kinsley dedica ampio spazio alle fasi della gestazione e alle conseguenze fisiche e psicologiche dell’aborto spontaneo che ha subito prima dell’arrivo di Pal. Kinsley si concede il margine di manovra necessario a metabolizzare il colpo subito e, tra emotività da ricomporre e razionalizzazioni non sempre semplici da digerire, ci fa da guida in quel limbo di incertezza (e di fallimento) che precede il concepimento e che spesso le coppie affrontano isolandosi e negando dolori e legittima frustrazione.
È un libro che può contare su un senso dell’umorismo delicato, capace di rischiarare anche le parentesi meno liete. Ma è anche un libro spigoloso, che non indora la pillola e ha il coraggio di chiamare le cose orribili col loro nome.

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Marion Fayolle è una disegnatrice di relazioni. Tra cespi d’insalata ed evocativi lumaconi si è già occupata di coppie e sessualità e, in questo silent-book, ci trasporta sul pianeta dei figli. Talvolta sono giganteschi e ingombranti, altre volte fungono da collante o erigono barriere, giocano con i nostri pezzi o ne portano alla luce di nuovi. Modificano il paesaggio attorno a loro e producono nuovi equilibri. Senza bisogno di parole ma avvalendosi di immagini evocative e argute, Fayolle mappa la cura e la crescita di una famiglia intera che si destreggia in un paesaggio affascinante, accidentato e complesso, tra istanze protettive, nevrosi che proiettiamo su chi ci circonda e serenità ritrovate.

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Cenni rapidi ma attinenti.
Di Pigiama computer biscotti parlo spesso perché Alberto Madrigal produce su di me un effetto rassicurante. Qua racconta il suo apprendistato da papà con candore benevolo e disarmante sincerità: chi può insegnarti a crescere un figlio? Sarò capace di dargli tutto l’amore che merita? Ha senso percepirmi come uno che si limita ad “aiutare”? Cosa succede alla routine lavorativa, soprattutto per chi fa un mestiere creativo? Tra ricerca di nuove fonti di ispirazione, riclassificazione delle priorità e momenti di limpida meraviglia, Madrigal riordina i ricordi e schiude per noi uno spiraglio di calore.

Visto che un papà l’abbiamo incontrato, mi viene spontaneo piazzare qui anche Bastava chiedere. Le dieci storie che Emma raccoglie in questo volume palano di femminismo e di assurdità quotidiane con cui ancora ci tocca scontrarci. Il capitolo più “famoso” e di cui forse si è discusso di più è quello sul carico mentale. Non c’è stortura mappata in questo libro in cui io possa dire di non essermi immedesimata, ma è stato il capitolo sul carico mentale a far scattare quella scintilla di riconoscimento ulteriore che mi ha aiutata ad esternare davvero alcuni bisogni che inconsciamente stavo insabbiando. Ed è capitato proprio negli anni successivi all’arrivo del mio bambino, un momento che penso per molte tenda ad accentuare disparità già presenti ma probabilmente meno pesanti da gestire. Discutere di una fatica è faticosissimo, farla riemergere dal sommerso e non darla più per scontata – o non assumersene la responsabilità in maniera automatica, quasi con determinismo biologico – può creare fratture e disarmonia, ma alla lunga può salvare davvero e creare mondo più abitabile (per mamme e non).

Sarebbe stupendo se James Gunn decidesse di trasformare 24/7 di Nova in un lungometraggio estremamente splatter. A beneficio vostro (e dei potenziali registi all’ascolto) posso riassumere la questione così: MUTANTI IN UN SUPERMERCATO ERMETICAMENTE CHIUSO!!!1!!1!111

Che cosa succede quando nelle propaggini desolate di un tessuto urbano fatto più di vuoti che di pieni il germe del mostruoso si intrufola in un luogo “normale”, neutro e nato per apparirci convincente e rassicurante? Il supermercato aperto 24/7 è l’emblema della comodità: la merce è sempre a nostra disposizione per soddisfare sia le nostre necessità fisiologiche che il nostro gusto per il superfluo – e i nostri bisogni di compensazione. È il punto di riferimento perennemente a portata di mano, in un paesaggio dove le rovine e l’abbandono rispecchiano l’incuria e il disordine che nascondiamo tirando a campare.

Dante, recentemente scaricato dalla fidanzata, inizia a lavorare al supermercato senza chissà quali aspirazioni. Anzi, il far parte di un grande ingranaggio – in qualità di anonima rotella – è quasi un fattore rassicurante, una garanzia di impegno relativo. Attorno a lui sciamano clienti più o meno rompicoglioni, da assecondare e tollerare per garantire al negozio un solido futuro di simulata affidabilità. La trasformazione mostruosa che subiranno successivamente – il veicolo del “contagio” è un carico di pomodori venuti a contatto con un misterioso liquame – sembra addirittura un miglioramento: da zombie mutanti sono senz’altro più vitali, per quanto guidati da un cieco istinto che poco asseconda le convenzioni del quieto vivere collettivo. È come se, nel mutare, il popolo del supermercato manifestasse la sua versione “potenziata”, la farfalla mannara che aspettava di uscire dal bozzolo.

Chi sopravviverà a questa mini-apocalisse, circoscritta dalle saracinesche rotte di un supermercato? Può esserci riscatto anche per l’ultimo degli ingranaggi? Con un tratto che si appuntisce e velocizza con il montare del terrore collettivo, Nova ci racconta che quello di cui forse dovremmo avere davvero paura è l’involucro rassicurante del visibile, della “corazza” di cose che usiamo per foderarci mentre diventiamo sempre meno capaci di spiegarci, avvicinarci, sentire. Il corpo diventa mostro ma, in quello spiraglio di caos che libera, riesce a defibrillare i cuori rassegnati a cristallizzarsi in un tran-tran quotidiano che è la vera terra dei mostri. E lì già ci abitiamo.

Un consiglio, ragazzo.
Impara dove si trova la roba.
Imparalo subito, te lo chiederanno in continuazione.
E poi, buon Dio, vedrai, non la troveranno. Gliela devi trovare tu.
Di base sanno che sei qui per servirli, quindi saranno ostili. Fondamentalmente maleducati, direi. È la natura.
Ma, come ben sai, hanno sempre – sempre – sempre ragione.

Nova riesce sempre a trascinarmi in un angolo buio che allo stesso tempo mi atterrisce e mi fa anche divertire moltissimo. I suoi sono eroi riluttanti, guazzabugli di dubbi, casini, inconcludenza e disastri generazionali (che ben so riconoscere, mio malgrado). Ha un occhio splendido per il dettaglio e per una catalogazione quasi da naturalista delle tribù umane più disparate – qua delineate anche a partire da quello che tiriamo fuori dal carrello e ammucchiamo sul nastro della cassa. Da Orietta Berti ai sacchi dell’umido che si decompongono in casa nostra, Nova usa il grottesco, l’esagerato e il margine del presente per descrivere tanto del vuoto che percepiamo e che non sappiamo nominare.

[24/7 è il secondo fumetto di Nova per Bao. Del suo esordio, Stelle o sparo, avevo già parlato nella listona delle mie letture preferite del 2020.]

In Pelle d’uomo di Hubert/Zanzim, uscito qua da noi per Bao, una fanciulla assai graziosa viene promessa in sposa – come vuole la tradizione – a un tizio che non ha mai visto prima. Non che la sua opinione conti, d’altro canto. Il matrimonio è una transazione come un’altra e da quando in qua una fanciulla dovrebbe coltivare l’ambizione di scegliersi un marito, o addirittura di sposarsi per amore?
Le donne della sua famiglia, però, si tramandano segretamente un manufatto assai particolare, raro e prezioso. Una magica “pelle d’uomo” che, se indossata, fa esattamente quel che promette di fare: conferire le sembianze di un bel giovanotto che può muoversi indisturbato nel mondo, concedendosi libertà del tutto inedite.

Bianca, la nostra promessa sposa, indossa la pelle con l’aiuto della sua madrina per lanciarsi in una specie di missione in incognito: vuole conoscere meglio l’uomo che dovrà sposare, infiltrandosi da pari in un mondo a cui di solito non ha la possibilità di accedere. Come si comporta Giovanni nel suo “ambiente naturale”? Che tipo sarà? Bianca deve aspettarsi un matrimonio privo di sentimento ma ricco di corna come quello che è toccato alle sue conoscenti o può aspirare a un avvenire meno scoraggiante?

Ebbene, nei panni di Lorenzo, Bianca non scoprirà lì per lì nulla di troppo confortante… ma non è l’unica a portare una maschera e sarà proprio il riconoscimento delle sovrastrutture che schiacciano e intrappolano entrambe le parti a farle aprire davvero gli occhi.
Senza togliervi il piacere del garbuglio narrativo, quello su cui si può riflettere sono i temi. È una storia che parla di ruoli predefiniti e squilibri di potere – alimentati da un moralismo di fondo che si arroga il diritto di stabilire cosa è lecito, “pulito” e buono. Il predicatore fanatico che punta il dito contro le tentazioni della carne è ascoltato e incoraggiato finché predica l’obbedienza femminile, ma quando caccia dalla città le prostitute frequentate da una considerevole fetta di uomini (soprattutto quelli sposati), la sua carriera subisce una significativa battuta d’arresto. Emblematico? Direi assai.
Lorenzo è l’elemento fuori dagli schemi (maschio e femmina insieme) che squarcia il velo e porta a galla le menzogne di facciata che la gente cerca di tenere in piedi per difendere e coltivare quel che è normale davvero: la propria inclinazione, spesso fluida o apertamente queer. È un racconto importante anche perché esplora pure l’altra faccia della medaglia, quell’impianto di mascolinità tossica che polarizza i comportamenti maschili e costringe chi non è conforme a quello schema – altrettanto artificiale – a nascondersi e a camuffarsi per non subire l’ostracismo della propria comunità e per continuare a tenere, in sostanza, il coltello dalla parte del manico.

Insomma, è un libro che usa un espediente magico e un’ambientazione lontana nel tempo per riflettere in maniera libera, sbarazzina e imprevedibile su una gran quantità di scogli ancora attuali.
L’auspicio resta quello di sbriciolarli.
VIVA LORENZO!

Orbene, quest’anno non sono riuscita a organizzare i #LibriniRegalini, ma mi pare comunque opportuno sfornare una gioiosa lista di consigli per i doni natalizi. Mentre cerco di industriarmi per inventare qualcosa di divertente da combinare insieme nei primi mesi del 2020, ecco qua un po’ di suggerimenti per far felici voi e/o le vostre persone preferite. Sono stata poco sul romanzesco, privilegiando le pubblicazioni che vi faranno fare bella figura – oh, accidenti, che pregevole edizione! – o quelle meglio identificate da un tema – che son più facili da assegnare alla gente che ha già esplicitato un particolare interesse per qualche argomento specifico dello scibile umano.
Spero di generare utilità.
Partiamo!

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Alessandro Torcoli
In vino veritas
(Longanesi)

Editore e direttore di Civiltà del bere, Alessandro Torcoli è una delle personalità più autorevoli in Italia in materia di vino. Sta studiando per conquistare il titolo di Master of Wine – riconoscimento iperuranico internazionale che ancora nessun nostro connazionale è riuscito a guadagnarsi – e gestisce, insieme alla redazione della rivista, un’enoteca assai amena che organizza incontri di approfondimento e gradevoli chiacchiere periodiche col pubblico. In vino veritas è una panoramica accurata ma godibilissima della filiera produttiva del vino, dall’allevamento della vite (già, la vite non si coltiva – si alleva) allo scaffale. L’approccio è narrativo e gli obiettivi sono felicemente divulgativi: Torcoli ci racconta come funziona il mondo del vino con precisione e chiarezza, senza farci pesare la sua conoscenza enciclopedica. Anzi. Perché il vino è, prima di tutto, un tassello importante della nostra cultura.

A chi donarlo?
A chi beve con piacere e vorrebbe saperne di più. Ai fan dei “come è fatto”. A chi al ristorante ordina le bottiglie care per pavoneggiarsi ma in realtà ci capisce poco. A quelli che dicono sempre “io non ci capisco niente ma m’accorgo se un vino è buono”.

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Chiara Frugoni
Uomini e animali nel medioevo
(Il Mulino)

La sapienza di Chiara Frugoni si estende anche alla zoologia. In questo meraviglioso tomone illustrato, esploriamo la relazione tra gli animali e l’uomo del medioevo, che sulle bestie doveva per forza di cose fare affidamento (abitando una dimensione non ancora meccanizzata) e che nelle bestie trovava riferimenti allegorici capaci di assisterlo nella decodificazione di una realtà filtrata dalla lente di una fede pervasiva. L’uomo del medioevo contava sugli animali “addomesticati”, temeva quelli selvaggi (che rappresentavano un problema piuttosto concreto e pressante) e non esitava a considerare reali quelli mitologici. Era un mondo in cui l’asino e il drago non occupavano piani concettuali differenti, ma convivevano in una rappresentazione del creato al contempo trascendente e assai “pratica”. Un viaggio dotto e godibilissimo tra storia, simbologia e arte.

A chi donarlo?
Ai dotti estimatori della divulgazione storica. Agli appassionati di bestie e delle loro gesta. A chi ama esplorare i significati più o meno nascosti dell’arte.

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Lewis Carroll
Alice nel paese delle meraviglie
(L’Ippocampo)

Illustrato da Minalima

Bookcity mi ha donato una grande gioia, quest’anno. Ho avuto l’onore di chiacchierare con i Minalima in occasione dell’uscita dei due nuovi titoli che hanno curato, progettato e illustrato per L’Ippocampo. Il primo – Il giardino segreto – era uscito per il Salone del Libro e ora sono disponibili anche Alice Il libro della giungla. Per chi necessitasse di una rinfrescata, i Minalima sono i due designer – Miraphora Mina e Eduardo Lima – che si sono occupati di inventare l’identità visiva del mondo di Harry Potter. La Mappa del Malandrino? L’han fatta i Minalima. I manifesti WANTED dei Mangiamorte? Sono dei Minalima. Insomma, tutto quello che c’è di cartaceo o visuale nei film (Animali fantastici compresi) è roba loro. E sono dei geni. Le loro edizioni di questi grandi classici sono piene zeppe di soluzioni cartotecniche imprevedibili e interattive, oltre che di splendidi disegni e di una gabbia grafica preziosa. L’Ippocampo pubblicherà gradualmente tutta la serie – il prossimo dovrebbe essere Pinocchio. 

A chi donarli?
Ai piccoli (e ai grandi) che affrontano i classici per la prima volta. A chi colleziona edizioni preziose e insolite. A chi non ha più i libri dell’infanzia ma vorrebbe comunque mettere sullo scaffale una meraviglia. Ai feticisti dell'”oggetto libro”.

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Il meglio di Richard Scarry
(Mondadori)

Ho recentemente ripescato dai depositi sommersi di MADRE i miei vecchi libri di Richard Scarry e, lasciandomi travolgere da una grandiosa Operazione Nostalgia, li sto rileggendo con Cesare. Mondadori continua a tenere vivo il catalogo di Scarry e, se non disponete di una soffitta piena zeppa di antichi volumi, potete sempre lasciarvi sostenere dalle nuove edizioni. Il meglio di Richard Scarry è una raccoltona che contiene Il libro delle parole, In giro per il mondo, Il libro dei mestieri, Le più buffe storie e Tutto ruote.

A chi donarlo?
Ai bambini che vanno all’asilo. Ai genitori di piccoli lettori in cerca di efficaci strumenti per intrattenere la prole in maniera produttiva. A chi ha perso i “suoi” Scarry ma non ha mai smesso di amare Zigo Zago.

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Shirley Jackson
La lotteria
Adattamento grafico di Miles Hyman

(Adelphi)

Ne ho parlato poco tempo fa su Instagram. Ecco qua.

Prima di Battle Royale e degli Hunger Games c’era La lotteria di Shirley Jackson, una delle short stories più celebri della letteratura americana.
Pubblicato per la prima volta sul New Yorker nel giugno del 1948, il racconto scatenò un putiferio mastodontico e i lettori subissarono la rivista di lettere più o meno indignate. Perché? In estrema sintesi, La lotteria condensa in una manciata di pagine serratissime sia la crudeltà cieca del destino che l’emersione repentina, all’interno di un contesto di apparente civiltà, degli istinti umani più brutali. La lotteria annuale è un’esperienza catartica collettiva, un rito di passaggio che convoglia il male quotidiano su un unico bersaglio. Non si capisce bene che cosa faccia più paura, in fin dei conti. L’approccio estremamente pratico e funzionale alla faccenda? L’esito agghiacciante del sorteggio? I bambini che ammucchiano allegramente i sassi? L’ordinato svolgersi degli eventi? La lotteria ha visto anche una nutrita schiera di trasposizioni. L’ultima versione è una graphic novel firmata da Miles Hyman – nipote di Shirley Jackson e artista eccelso. La sua narrazione per immagini ci mostra i silenzi e tutto quello che si nasconde negli spazi bianchi del testo e fa, se è possibile, ancora più spavento. Bellissimo.

A chi donarlo?
Ai fan di Shirley Jackson. Agli amici della graphic novel d’autore. Ai coraggiosi.

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Merda
Colora e rilassati – 
40 insulti da colorare con gattini severi ma giusti
(Magazzini Salani)

La serie dei libri da colorare ingiuriosi si arricchisce di un nuovo pregevole capitolo: i gattini sboccati. Teneri e spietati, i gattini che popolano questo album sono pronti a soccorrervi nei momenti di furore più acuto. Le pagine possono all’occorrenza essere staccate e donate a chi più vi sta sull’anima. Tiè, piglia un gattino, infame che non sei altro.

A chi donarlo?
Qua le opzioni sono molteplici. Potete regalarlo a qualcuno che ha bisogno di sfogarsi un po’ e di smaltire la tensione… ma anche a qualcuno che vorreste spellare vivo – così, come SOTTILISSIMO messaggio subliminale. O anche a chi cerca invano di rasserenarsi colorando paesaggi e vasi di fiori, senza ricavarne il minimo sollievo.
Concludo evidenziando l’ovvio: no, non sono libri da colorare per bambini. Cioè, se volete esortare i vostri figli a correre in giro gridando COGLIONAZZO ai passanti vanno benissimo, ci mancherebbe. Chi sono io per intromettermi nei vostri progetti educativi.

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Phoebe Waller-Bridge
Fleabag. The Scriptures

E qua scateniamo della fandom. Credo che nulla possa battere l’amore che ho sprigionato quest’anno per Fleabag. Sogno di andare a vedere lo spettacolo a teatro e non so bene se tifare per una terza stagione della serie (pare improbabile) o godermi quello che c’è, in tutta la sua complessa assurdità. Sono felice per Phoebe Waller-Bridge e per il grande consenso che il suo lavoro è riuscito a raccogliere. Fioccano premi e fioccano applausi… e secondo me se li merita tutti. The Scriptures è una sorta di compendio di Fleabag. Ci troveremo dentro la sceneggiatura completa, un nuovo scritto dell’autrice e le “stage directions”, mai pubblicate prima. Auspico un’edizione accresciuta con statuetta ignuda in allegato ma, per il momento, sono contenta anche così.

A chi donarlo?
A chi ha apprezzato la serie e/o lo spettacolo – non solo per la presenza dell’Hot Priest. Ai porcellini d’India. A chi legge in inglese – perché non mi risulta che sia già disponibile una traduzione italiana.

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I quaderni Fandango
Scrittura creativa – 20 grandi autori e 70 esercizi
(Fandango Libri)

Tra i battutoni che si continuano a sentire quando si parla di editoria dobbiamo sicuramente annoverare l’immarcescibile “Ah, signora mia… ormai ci son più scrittori che lettori!”. Come tutti i tormentoni, si basa su un vago fondo di verità. Al di là delle ambizioni letterarie che possiamo nutrire, scrivere meglio e riflettere su quel che si scrive è un’iniziativa meritoria perché, a mio modesto parere, ci rende più consapevoli e più bravi a spiegare quello che sentiamo. Questo Quaderno è un ibrido. Venti grandi autori vengono presentati in efficaci schede tematiche – tra la biografia e l’analisi dell’opera – e, a seguire, troviamo un ampio ventaglio di esercizi di scrittura che si allacciano alle tecniche più emblematiche dei singoli autori. È un’opportunità di apprendimento letterario e una palestra pratica per provare a scrivere riflettendo davvero su quel che facciamo.

A chi donarlo?
Agli aspiranti Nobel del domani, a chi subisce (giustamente) il fascino dei grandi autori e vorrebbe riportare alla luce gli strumenti del loro lavoro, a chi ha voglia di far funzionare il cervello o migliorare la propria scrittura senza dover per forza vincere lo Strega.

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Susan Harlan
Fare i bagagli
(Il Saggiatore)

Un’altra vecchia ma valente conoscenza. Ecco i pensierini:

Dall’ultima valigia sputata fuori dai nastri di riconsegna all’aeroporto – la vostra, ovviamente – ai bauli inestimabili dei passeggeri di prima classe del Titanic, Susan Harlan esplora le implicazioni pratiche e filosofiche del fare i bagagli. Il risultato è un saggio insolito e piacevolissimo, una specie di indagine sull’idea stessa di viaggio e sull’identità del viaggiatore, la cui storia si sovrappone a quello che decide di trascinarsi dietro, avvalendosi dei “recipienti” più disparati. Zaini scassati! Salmerie! Bauli della macchina che diventano succursali itineranti di casa nostra! Trolley spietatamente misurati dal personale di terra! E via così. Il multiforme universo della valigeria viene analizzato, in epoche diverse, dal punto di vista “industriale”, culturale e letterario, senza trascurare il cinema e l’ossessione (talvolta giustificatissima) per l’ottimizzazione degli spazi. Siamo quello che mettiamo in valigia? Chi lo sa. Forse somigliano di più a quello che ci dimentichiamo… e a quello che finiamo per riportare a casa – dogana permettendo.

A chi donarlo?
A chi non è alla ricerca di un manuale sul COME fare i bagagli ma è più propenso a indagare il PERCHÉ facciamo i bagagli. A chi ama i saggi storici “pop”. A chi viaggia cercando di farlo in modo il più possibile consapevole.

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Guida tascabile delle librerie italiane viventi
(Edizioni Clichy)

Per il titolo potevano ricorrere a “esistenti”, “aperte” o “attive”. Invece hanno scelto “viventi”. E funziona molto bene. Anzi, è un termine adattissimo se il tentativo è quello di mappare – per quanto possibile – le librerie italiane che rifiutano di scoraggiarsi e continuano ad animare i quartieri di città piccole e grandi. Sono fari dalla portata preziosa – per chi legge sono un riparo e un posto felice, ma “servono” a tutti, perché l’oscurità che può distorcere pensieri e sentimenti non fa distinzioni e punta alla massima diffusione… ma si attacca meglio dove il buio è già profondo. Tifiamo per voi, librerie viventi.

A chi donarlo?
Un libro che parla di librerie va inevitabilmente consegnato a chi ama sia i libri che le librerie, creando un terzo livello di INCEPTION. Va benissimo anche per chi ha la propensione alla letteratura e al viaggio… che ne sapete, potrebbe nascerne un tour mirabolante delle librerie italiane.

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Anna Starmer
I Love Color – L’arte di scegliere e abbinare i colori di casa
(Rizzoli)

Anna Starmer e Rossella Migliaccio si conosceranno? Chi può dirlo. Qua torniamo a parlare di colori, ma lo sforzo immaginifico è orientato all’arredamento domestico. Quando Pinterest incontra l’editoria, all’incirca. Il libro è un catalogo di suggestioni cromatiche suddivise per tinte dominanti e, oltre a suggerire abbinamenti creativi e anche decisamente appaganti dal punto di vista visivo, è anche una ricca collezione di “case belle” che, oltre a suscitarvi un’invidia funestissima, potrebbero anche fungere da ispirazione per risistemare o pensare da zero i vostri spazi.

A chi donarlo?
Ai campioni e alle campionesse dell’home decor, a chi deve ristrutturare e vuol solo morire, alla fandom di Paola Marella, a chi arreda anche con i libri perché ha dei tavolini stupendi in salotto su cui appoggiarli.

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Carlo M. Cipolla
Allegro ma non troppo
(Il Mulino)

Ridanciane annotazioni di qualche tempo fa:

Un gioiellino umoristico in due parti. Anzi, in due mini saggi. Il primo rilegge la storia europea – a partire dalla caduta dell’Impero Romano – mappando le conseguenze geopolitiche del commercio del pepe. Il secondo, invece, mira a fornirci gli strumenti per riconoscere “gli stupidi” come forza nefasta all’interno della nostra civiltà, senza relegarli all’ultimo gradino della scala di potere ma riconoscendo loro un ruolo di primo piano all’interno di ogni “livello” della struttura delle nostre società, indipendentemente da soldi, studi, prestigio, classe. Un testo nato quasi per scherzo – e passato di mano in mano fino a trasformarsi, dopo qualche revisione, in questo piccolo libro – per ghignarsela amaramente senza sentirsi Dio in terra. Chi è lo stupido? Chi si danneggia da solo (in maniera sistematica e felicemente inconsapevole) danneggiando, allo stesso tempo, anche chi ha intorno. Spesso in maniera irreparabile. In bocca al lupo!

A chi donarlo?
Non a uno stupido… perché non capirebbe. E no, non capirebbe nemmeno una frecciatina trasversale, quindi risparmiatevi i tentativi di ironia.

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Huw Lewis-Jones
Le terre immaginate – Un atlante di viaggi letterari
(Salani)

Narnia, Westeros, la Terra di Mezzo… e mille altri luoghi dell’immaginario fantastico. In questo robusto atlante illustrato, Huw Lewis-Jones raccoglie sapienti e illustri contributi – da Miraphora Mina a Philip Pullman – per mappare l’inestitente con precisione e fascino. I romanzi che iniziano con una mappa sono garanzia di avventura, ma ogni mappa presuppone la costruzione di un mondo “altro”. Ogni capitolo corrisponde a un luogo ed è affidato a un narratore che ne esplorerà insieme a noi i golfi, gli anfratti, i mari e le vette più scoscese.

A chi donarlo?
Ai cartografi più o meno dilettanti, a chi a cena vi fa abitualmente una testa così con Mercatore, a chi ama la letteratura fantastica e a chi non si accontenta di stazionare entro i confini del reale.

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Douglas Adams
Guida galattica per gli autostoppisti
(Mondadori)

Consiglio la Guida galattica perché la Guida galattica è sempre un buon consiglio – soprattutto in questo caso… da una parte c’è la raccolta di tutti i romanzi e, dall’altra, c’è un saggio di Neil Gaiman sull’argomento -, ma quel che mi preme dire è che, se vi va di donare un’edizione pazza e preziosa di un classico fantasy, fantascientifico, gotico o tenebroso, vi conviene spulciare negli Oscar Draghi. Son dei tomoni assai curati e di sicuro impatto scenico.
Ah, è da poco uscito anche Piccole donne.

A chi donarlo?
I Draghi sono amici dei feticisti dell’oggetto libro e dei collezionisti accaniti. Ma anche un po’ dei signori delle tenebre, dei delfini e di chi non esce di casa senza asciugamano.

Spin-off
Approfitto di quest’area mondadoriana per segnalare un’altra impresa. Non penso di dovermi diffondere in spiegazioni sulle Storie della buonanotte per bambine ribelli… ecco, la piccola novità è che le Bambine ribelli esistono anche in forma più approfondita e hanno trovato rinnovato respiro in una collana dedicata. Non sono più “schede” ma piccoli romanzi illustrati che si soffermano, di volta in volta, su una donna che a suo modo ha combinato qualcosa di assai incisivo per cambiare il mondo – e per ispirare le generazioni future.

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Petunia Ollister
Cocktail d’autore
(Slow Food)

La letteratura pullula di personaggi che bevono cose – con esiti più o meno infausti. Con la sua superba abilità fotografica, Petunia Ollister – ciao, amica! – assembla per noi un’esplorazione delle bevande “da romanzo” che sono ormai entrate a far parte dell’immaginario collettivo. Ogni scatto è accompagnato da un approfondimento sull’autore e dalla ricetta per riprodurre per conto vostro un cocktail degno di Gatsby. O di BONDJAMESBOND. E di moltissimi altri. Bibliotecarie, sfoderate gli shaker!

A chi donarlo?
A chi ha un bel mobile bar e non ha paura a usarlo. A chi legge e si diverte a sconfinare. A chi ama osservare oggetti ben disposti su un tavolo (con perfetti abbinamenti cromatico-concettuali). A chi brama un ricettario per fare cocktail favolosi.

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Akiko Miyakoshi
La strada verso casa
(Salani)

Una mamma coniglia prende in braccio il suo coniglietto e lo porta a casa mentre scende la sera. Animali di ogni forma e dimensione chiudono bottega e preparano la cena, le finestre si illuminano, il mondo cambia forma e l’ombra avvolge – invece di far paura. Un’autrice giapponese super premiata, disegni semplici e delicati, come l’istinto di coccolare un coniglietto assonnato.

A chi donarlo?
Ai bimbi che si addormentano sulle spalle dei papà e delle mamme che conoscete, agli amici dell’illustrazione e della narrazione giapponese, a chi ha bisogno di un sorriso rassicurante e pacioso.

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Leo Ortolani
Luna 2069
(Feltrinelli)

Leo Ortolani ha sfornato 46 libri, quest’anno. Potrei comodamente consigliarveli tutti, ma Luna 2069 – la storia di una fascinazione per lo spazio e per le sue promesse – mi pare speciale. L’astronauta Fortunato ha preso in prestito la faccia da Luca Parmitano e il fumetto è stato realizzato in collaborazione con l’Esa e con l’Agenzia Spaziale Italiana. Di che si parla? Si parla della colonizzazione della Luna – in un immaginario centesimo anniversario dallo sbarco di Neil Armstrong -, degli sforzi congiunti per continuare a superare l’atmosfera terrestre, di futuro e di scienza. Lo si fa ridacchiando – perché Rat Man torna in versione Mr Mask, un incrocio tra uno scienziato visionario e un presentatore da televendita -, ma senza rinunciare a confidare nel potere dell’ingegno umano.

A chi donarlo?
A chi tifa per la colonizzazione del nostro satellite – e di Marte -, a chi vorrebbe una Tesla, ai fan dell’esplorazione del Sistema Solare e ai vecchi amici di Leo Ortolani.

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Alberto Madrigal
Pigiama computer biscotti
(Bao)

Uno dei miei fumetti preferiti dell’anno. Ne avevo già parlato su Instagram, ecco qua.

Alberto Madrigal ha il raro dono di raccontare l’ansia senza fartela venire troppo. Non te la fa passare, intendiamoci, ma la sfuma e la scompone, ci pensa su insieme a te e la gestisce un pezzettino alla volta. In questo fumetto – che si costruisce sotto ai nostri occhi, perché dentro al fumetto c’è anche Madrigal che cerca di capire che fumetto fare – si parla di creatività, dei compromessi della vita adulta, di case che non si puliscono da sole, di traslochi – perché aiutiamo sempre tutti a traslocare e poi quando tocca a noi arrivano quattro gatti? -, di paternità, mal di testa inevitabili e colazioni al bar la domenica. È un magnifico distillato di quotidianità e dilemmi, di equilibri impossibili tra le esigenze della sopravvivenza e il lusso di poter perdere tempo. In questo libro c’è, soprattutto, la strada tortuosa che dobbiamo imboccare per riconciliarci con l’idea di responsabilità. C’è la frustrazione che spesso ci accompagna quando cerchiamo di far crescere un’idea che, spessissimo, si modifica sotto ai nostri occhi e cambia pelle quando pensiamo di averla ormai afferrata – un po’ come le abitudini dei bambini, che sono abitudini per due giorni e poi diventano altro e tu devi ricominciare da capo con tutti i tuoi processi di adattamento. C’è la routine che mangia le energie, ci sono quei due secondi limpidi di ispirazione e di gioia che ti convincono a non gettare via tutto – o magari sì. E c’è un bimbo che nasce e che, nel mondo nuovo che crea per te, attira nella sua orbita tutto quello che stai cercando di capire e te lo restituisce un po’ masticato e morbidino, ridimensionato ma anche spaventoso. Che vogliamo fare? Si procede. Inventando una pagina alla volta. Saggi e lievi, pacifici e preoccupati.

A chi donarlo?
Alle neo-mamme e ai neo-papà. A chi cerca di diventare grande senza perdere il cuore. A chi fa del suo meglio per affrontare con passione e dignità un lavoro creativo.

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Lilin Yang, Leah Ganse, Sara Jiménez
Beauty Secrets
(Vallardi)

Il mito moderno delle coreane con la pelle meravigliosa va affrontato in maniera strutturata. Nei momenti di pigrizia più acuta mi piace pensare che la pelle bella delle coreane sia una faccenda strutturale. Hanno la pelle bella perché, geneticamente, hanno la pelle bella. Nei momenti di maggior speranza, poi, cerco di convincermi che la pelle bella delle coreane sia, in realtà, frutto di una cura particolarmente assennata e replicabile anche a latitudini diverse. Ebbene, dev’esserci una via di mezzo… e l’intero pianeta pare averlo recepito. In questo libro, le tre fondatrici di Miin Cosmetics – istituzione sbarcata ormai un annetto anche a Milano per benedirci con la cosmesi coreana – sviscerano i dieci celeberrimi step della beauty routine coreana con piglio pratico e diretto, suggerendo prodotti e metodi, smascherando false convinzioni e, in generale, fornendoci qualche dritta per calibrare le nostre abitudini in modo da tirar fuori risultati più solidi dalla roba che ci spalmiamo ostinatamente in faccia.

A chi donarlo?
Alle fanatiche conclamate della beauty routine coreana, a chi è più in cerca di una metodologia che di una lista universale di prodotti da comprare, a chi ama informarsi per potersi trasformare in una “consumatrice” più consapevole.

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Kassia St Clair
La trama del mondo – I tessuti che hanno fatto la storia
(Utet)

Kassia St Clair, giornalista culturale britannica, ricostruisce la storia del mondo a partire dai tessuti che hanno ricoperto, di epoca in epoca, un ruolo emblematico. Dal merletto alle tute da astronauta, dalle origini della tessitura alla seta dell’antica Cina, quello che abbiamo scelto di indossare per coprirci o per raccontare chi siamo genera, da sempre, significati e implicazioni vastissime. Questo saggio – tradotto da Claudia Durastanti e arricchito da uno splendido apparato iconografico – analizza i tessuti in base all’impatto culturale, economico e sociologico che hanno generato, ricostruendo di volta in volta il quadro complesso di un preciso momento storico. Una lettura ricchissima, colta e suggestiva.

A chi donarlo?
A chi ama approfondire la storia in modo trasversale, a chi ama la moda e la concepisce come il prodotto di un’epoca o come il punto di convergenza di tante diverse componenti della storia umana, a chi analizza ossessivamente le etichette degli indumenti.

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Neil Gaiman
Questa non è la mia faccia
(Mondadori)

Neil Gaiman ha sempre avuto parecchio da dire. L’ha fatto nei suoi romanzi e nei suoi fumetti, ma anche in una miriade di saggi, articoli, diari, post e – probabilmente – pure sui tovaglioli di carta. Questa non è la mia faccia è una poderosa raccolta di scritti sparpagliati in cui Gaiman affronta all’incirca tutto lo scibile umano. Dal suo lavoro ai film, dal fascino delle librerie all’arte di raccontare storie, Gaiman costruisce un autoritratto per accumulo, aprendoci le porte del suo studio, del suo cervello e del suo cuore.

A chi donarlo?
A chi già venera Gaiman,agli adepti del moderno genere fantastico e a chi cerca ispirazione e vorrebbe farsi spiegare “come si fa” – possibilmente da uno che è già molto bravo a inventare mondi.

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Nick Caruso & Dani Rabaiotti
Fa le puzze? – La guida definitiva alla flatulenza animale
(Vallardi)

Questo l’ho tradotto io, ma è l’informazione meno rilevante. Quel che vi sarà utile sapere è che non tutti gli animali scoreggiano e che, quando capita, la flatulenza è un fenomeno dalle numerosissime sfaccettature. Le sardine comunicano tra loro scoreggiando ad alta frequenza. I lamantini utilizzano i peti per gestire il galleggiamento. Ci sono animali che esplodono e serpenti che intimoriscono i predatori a suon di strombazzate posteriori. Questo libro, curato da due eminenti zoologi, è un’indagine spassosa ma rigorosissima su un fenomeno non ancora particolarmente esplorato dalla scienza. Per ogni bestia c’è una fascinosa scheda di approfondimento che ne indaga le abitudini digestive, comportamentali e scoreggifere. Che benessere.

A chi donarlo?
A chi si interessa di zoologia – in ogni sua manifestazione -, a chi scoreggia volentieri, a chi vuol farsi quattro risate e/o accumulare gustosi aneddoti da sciorinare in compagnia (meglio non a cena).

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La collana Ritrovare l’Italia
(Il Mulino)

Utile segnalazione di collana, perché Ritrovare l’Italia offre un vasto bacino di argomenti. Dai luoghi di Ulisse agli stadi, dalle stazioni ferroviarie alle città etrusche, Ritrovare l’Italia è una piccola biblioteca di viaggio che può sostenerci nella riscoperta di mete poco battute e/o può illuminare per noi rotte avvincenti. L’idea è quella di assemblare, di volta in volta, un itinerario tematico – attingendo dal grande bacino della storia, dell’enogastronomia, della natura… – capace di farsi espressione di un pezzettino della nostra cultura condivisa. Al di là delle indicazioni più pratiche, ogni percorso è accompagnato da un approfondimento che ci permetterà di affrontare le nostre mete con consapevolezza.

A chi donarlo?
A chi vi ripete sempre “ah ma cosa vai all’estero che qua da noi ci sono delle meraviglie” – ecco, piglia, parti -, a chi ama le esplorazioni alternative, a chi pensa che i viaggi siano anche (e forse soprattutto) cultura.

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Funzionale suggerimento conclusivo: un bell’abbonamento per gli audiolibri. Ecco qua la pagina di Storytel dedicata ai regali.

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Questo post potrebbe continuare all’infinito, ma non ambisco a sfidare la biblioteca di Borges. Spero di essere riuscita a tirare fuori dal cilindro qualcosa di utile e di avervi risolto anche un paio di “regali impossibili”. :3
Cuoroni!

Orbene, dopo due anni in agenzia sono diventata allergica ai contenuti tematici e pure alle cose legate a una specifica occasione di calendario. Ma proprio un odio che provoca anche reazioni psicosomatiche, mica solo un lieve fastidio. Orticaria visibile. Mal di stomaco da rigetto. Poi, però, mi sono accorta che nella mia libreria ci sono numerose (e valentissime) opere narrative che potrebbero ben adattarsi a una giornata che celebra mostri, spaventi vari, inquietudini, terrori e oscurità. E ho deciso di fare un esperimento. Anche perché, in questo caso, non ho clienti che non vedono l’ora di farmi correggere un copy chiedendomi FRANCESCA VA BENE È GIÀ MOLTO EFFICACE MA POSSIAMO FARLO UN PO’ PIÙ CREEPY?
Ecco.
Per la mia tenebrosa gioia e anche un po’ per la vostra – spero -, ecco qua una lista di letture più o meno recenti da abbinare alle vostre zucche. Ma qua c’è qualcuno che ha mai effettivamente mutilato una zucca a scopi decorativi? Io no di certo, ma per leggere non è necessario.
Di alcuni libri ho probabilmente già parlato su Instagram o qui sul blog, ma ho comunque deciso di inserirli nell’elenco perché mi sembrava che non potessero mancare all’appello.
Se li conoscete già siate tolleranti.
Se li vedete per la prima volta, invece, tanto meglio. Sarà una scoperta in più.
Se amate qualcosa che non è nella mia lista, poi, consigliatemelo caldamente nei commenti. Anch’io ho bisogno di suggerimenti, credetemi.

Procediamo!

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Joshua Foer, Dylan Thuras, Ella Morton
Atlas Obscura
(Mondadori)

Traduzione di T. Albanese, G. Cecchini e della mia amica Francesca Mastruzzo

L’Atlas Obscura non è propriamente un libro che fa paura o che contiene cose particolarmente inquietanti. È, più che altro, un libro per esploratori dell’ignoto e delle piste meno battute. Un grande atlante illustrato, diviso per aree geografiche, delle mete “oscure” in quanto poco conosciute. Un catalogo di meraviglie geografiche lontane dalle rotte classiche e di posti che nascondono storie spesso imprevedibili. Insomma, una guida di viaggio per chi non ha paura di spingersi là dove pochi sono già stati prima.

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David Almond
Skellig
(Salani)

Traduzione di P. A. Livorati

Skellig, secondo me, è uno di quei romanzi che non andrebbero rinchiusi nella categoria dei “libri per ragazzi”. Ci sono libri che parlano a tutti e che affrontano temi giganteschi, indipendentemente dall’etichetta “lettura consigliata dai 9 anni in su”. Freghiamocene altamente, dunque. Il protagonista di questa storia è un bambino che sta facendo del suo meglio per superare con coraggio un momento difficile, che non riesce nemmeno a decifrare completamente. La vita della sua sorellina è appesa a un filo e l’atmosfera, in casa, non è delle più spensierate. Servirebbe un miracolo, forse, ma il destino manda a Michael qualcos’altro. Una creatura fatta di piume e ombre che appare all’improvviso nel garage di casa. Non si sa da dove viene, non si sa che cosa vuole. Ha solo bisogno d’aiuto e di un po’ di tempo per riprendersi. E Michael decide di soccorrerlo, vincendo una paura molto più vasta e terrificante di quella del buio.

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Michail Bulgakov
Cuore di cane & Uova fatali
(Feltrinelli)
A cura di S. Prina

Dunque, potevo anche parlare del Maestro e Margherita – che in questa lista farebbe un figurone -, ma in un’esplorazione delle opere di Bulgakov e della letteratura fantastica in generale credo sia saggio riesumare anche queste due novelle lunghe. O romanzi brevi. O quello che sono, insomma. Gli argomenti sono all’apparenza molto diversi, ma esplorano in entrambi i casi il tema della metamorfosi, dell’ambizione umana e dell’imprevedibilità intrinseca di quello che speriamo di controllare, anima compresa. Cuore di cane racconta un orrido esperimento scientifico: trasformare un cane randagio in un essere umano, grazie a una specie di trapianto di cervello. Nelle Uova fatali, invece, incontriamo uno scienziato che progetta un raggio in grado di accelerare esponenzialmente la crescita delle cellule. Le conseguenze, in entrambe le vicende, saranno particolarmente catastrofiche… e sviscerate con dovizia di particolari e con l’intento, assai poco celato, di smascherare la natura repressiva e miope dell’ordine sovietico.

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Susanna Clarke
Jonathan Strange & il Signor Norrell
(TEA)
Traduzione di P. Merla

Visto che ai due maghi avevo addirittura dedicato un post, credo sia opportuno sfoderarlo di nuovo.

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Gipi
La terra dei figli
(Coconino Press)

Gipi racconta e disegna la fine della civiltà. Non conosciamo le origini del cataclisma, ma quel che sappiamo è che quasi nulla è rimasto. La narrazione segue le peregrinazioni di due fratelli in una terra devastata, dove anche la parola si è contratta, adattandosi a un nuovo sistema in cui la sopravvivenza più brutale è alla base di ogni rapporto “umano”. I fratelli, dopo aver perso il padre, vagano alla ricerca di una madre che forse hanno solo immaginato e che abita in un diario che non hanno il permesso o le capacità di leggere.
Un fumetto rarefatto, crudo e potentissimo.

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Neil Gaiman
Il figlio del cimitero
(Mondadori)

Traduzione di G. Iacobaci

Neil Gaiman meriterebbe una lista a parte, visto che quasi tutto quello che ha deciso di inventare rientra perfettamente nello spirito dell’impresa. Considerate Il figlio del cimitero come un degno apripista, dunque, e proseguite con le esplorazioni se ancora non vi siete soffermati particolarmente sul mondo di Gaiman. La storia è gustosa: sfuggito all’omicidio dei suoi genitori, Bod gattona fino a un cimitero e viene adottato e cresciuto dalla comunità dei defunti. La Morte gli dona la capacità di comunicare coi trapassati, che lo proteggeranno e lo alleveranno come se fosse figlio loro. Il destino di Bod, però, è in agguato oltre i cancelli del camposanto… là fuori c’è la vita che un “vivo” dovrebbe inseguire, ma ci sono anche degli assassini con un lavoro da completare. E la vendetta, un po’ come la Morte, può essere inesorabile. Mistero! Scheletri! Tombe! Cadaveri!

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Emil Ferris
La mia cosa preferita sono i mostri
(Bao Publishing)
Traduzione di M. Foschini

Che libro stupefacente. Ne ho già parlato con grande trasporto su Instagram, ma ci tengo a sprigionare ammirazione anche qui. Emil Ferris è un’esordiente dalle vicende biografiche che rasentano l’assurdo. Dopo aver militato per lunghi anni nel mondo dell’illustrazione, rimanendo però sempre in una posizione un po’ defilata, ha deciso di presentarsi finalmente al grande pubblico con questa graphic-novel, un libro stratificato e complessissimo che, raccontando la quotidianità di una ragazzina di undici anni nelle periferie non proprio idilliache della Chicago del 1968, riesce a trasportarci nella Germania nazista e a frugare nei meandri più remoti dei nostri cuori. La grande metafora che la Ferris sceglie di utilizzare per accompagnarci in questo viaggio è quella del “mostro”, ma seguendo due filoni diversi. Ci sono i “mostri buoni”, che ci insegnano a difenderci e ci fanno compagnia quando sono gli altri a vedere in noi qualcosa che non capiscono. E ci sono i “mostri cattivi”, che soffocano la nostra voce e tramano per distruggere quello che di più umano possediamo. I disegni sono strabilianti – le penne a sfera possono fare magie, a quanto pare – e i riferimenti all’arte, al cinema e all’immaginario horror si sprecano. Attendo con trepidazione il secondo volume.

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Jonathan Hickman, Tomm Coker
Black Monday
(Mondadori)
Traduzione di L. Fusari

Esoterismo, sangue e alta finanza: che cosa c’è di meglio? Ecco qua l’approfondimento che avevo scritto per l’uscita del primo volume. Il secondo è disponibile già da un mesetto e l’ho ordinato ieri.

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Shirley Jackson
L’incubo di Hill House
(Adelphi)
Traduzione di M. Pareschi

Non ho la minima intenzione di vedere la serie di Netflix ispirata a questo romanzo. E non lo dico per snobismo. Lo dico perché quelle cose mi fanno una paura eccessiva e passerei i prossimi tre mesi ad accendere tutte le luci di casa anche solo per andare in bagno dopo le sette di sera. Il libro, per ammissione degli stessi produttori, è ben diverso dalla trasposizione televisiva. Ed è un racconto di follia, tormento psicologico, ricordi aggrovigliati e pavimenti che scricchiolano. Può un luogo portare alla pazzia? Certamente, se stiamo parlando di Hill House. Shirley Jackson – autrice con cui vi perseguito già da secoli con Abbiamo sempre vissuto nel castello, altra meraviglia degnissima di menzione in questo frangente – è abilissima nel manipolare la tensione e nel farci sentire continuamente minacciati, anche quando le cose sembrano assolutamente innocue. Ed è quello il vero prodigio del terrore più autentico: trasformare la paura in tarlo, la razionalità in sospetto, la solidità delle cose in dubbio strisciante. Sempre.

Per chi volesse approfondire il mondo dell’autrice o frugare nel suo stipetto dei ricordi, è da poco uscito anche Paranoia, una raccolta di pagine sparse, racconti brevi, riflessioni sul mestiere di scrivere e istantanee quotidiane.

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Richard Matheson
Io sono leggenda
(Fanucci)
Traduzione di S. Fefè

Dimenticate Will Smith, ve ne prego. Se c’è una cosa bella di questo libro è il finale. E il film riesce a sputarci su con una disinvoltura che rasenta l’inspiegabile, visto che è il finale a rendere speciale e sensata tutta questa narrazione. Non spoilero, giuro, ma è una roba che mi manda al manicomio.
Dunque. Robert Neville è l’ultimo essere umano rimasto sul nostro pianeta – per quel che ne sa. Gli altri, contagiati da una specie di virus, sono diventati vampiri. Il mondo che conosciamo non esiste più e Neville tira avanti come meglio può, cercando di studiare la mutazione che ha sconvolto l’ordine costituito e barricandosi nel suo rifugio di notte, quando i vampiri escono a dargli la caccia. Ma cosa succede quando l’aberrazione diventa normalità? Qual è la creatura che ha davvero il “diritto” di sopravvivere? Che cosa siamo tutti quanti, se non scherzi dell’evoluzione che hanno imparato a coesistere? Will Smith dei miei stivali.

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Michele Mari
Fantasmagonia
(Einaudi)

Anche Michele Mari sarebbe quasi da inserire in blocco qua dentro. Ma Fantasmagonia mi pare il libro più adatto. Perché è un compendio di tremori letterari e di immaginazioni sghembe, una collezione di creature da temere e luoghi da osservare con reverenza. E contiene anche la ricetta per creare un fantasma.
Per approfondire, ecco il post che avevo scritto qualche anno fa, all’uscita del Supercorallo.

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Gianluca Morozzi
Blackout
(TEA)

Non riesco a vedere le cose “horror” in tv, ma poi leggo serenamente Morozzi. Non so. C’è qualcosa di strano. È anche vero che Morozzi ha la capacità di carpire l’attenzione del lettore con un’efficacia rara, ma ci sono robe in questo libro che fanno venire da vomitare anche solo a pensarci e che non sopporterei mai e poi mai in un’ipotetica versione cinematografica – CHE SPERO VIVAMENTE NON VERRÀ MAI REALIZZATA PERDONAMI MOROZZI SO CHE I DIRITTI SULLA TV E SUI FILM SON SOLDI MA IO NON VOGLIO SAPERNE NIENTE PER CARITÀ. Comunque. La faccenda è relativamente semplice: quattro sconosciuti col loro personalissimo bagaglio di problemi, turbe e segreti si ritrovano intrappolati insieme in un ascensore angustissimo a Ferragosto. I telefoni non prendono, non c’è in giro un cane e le probabilità di ricevere soccorso appaiono assai remote. Che cosa succederà? Tutto il male possibile.

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Cees Nooteboom
Tumbas. Tombe di poeti e pensatori
(Iperborea)

Traduzione di F. Ferrari

Cees Nooteboom ha passato una trentina d’anni a viaggiare per il mondo alla ricerca delle tombe dei poeti, dei pensatori, dei filosofi e degli scrittori che più hanno segnato il suo percorso intellettuale. Tumbas raccoglie le sue fotografie e trasmette, per capitoli fulminei, l’eredità storica e artistica di chi occupa quelle sepolture. È un libro stranissimo, che sceglie di mantenere viva la memoria delle idee attraverso la lapide, uno dei manufatti più statici e definitivi che siamo riusciti a inventarci.

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Mervyn Peake
Tito di Gormenghast
(Adelphi)
Traduzione di A. Ravano

Giuro, non pensavo di aver già scritto così tante cose sulla frazione più temibile e fascinosa della mia biblioteca personale. Ecco qua un bel biglietto per Gormenghast!

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Anne Rice
Intervista col vampiro
(TEA)
Traduzione di M. Bignardi

Anne Rice, una colonna della mia adolescenza. Non so se ringraziarla o stramaledirla. La saga delle Cronache dei vampiri è vasta e assai articolata… dopo averne letti diversi, negli anni, mi viene anche da dire che fermarsi a Intervista col vampiro potrebbe non essere una cattiva idea. Quello che di sicuro Anne Rice è riuscita a fare, però, è creare una sorta di versione “moderna” del vampiro. Non è la sola ad aver rivisitato e arricchito il mito originario, ma ha lasciato un’impronta molto potente nel nostro immaginario, costruendo per i suoi personaggi una sfera emotiva (e sentimental-comportamentale) molto specifica e persistente. Mi viene da dire che è quasi colpa di Anne Rice se, anni dopo, ci siamo ritrovati con Edward che luccica e con una miriade di sottoprodotti e calchi di Lestat, Louis, Armand e Claudia. Ma chi se ne importa. Ognuno è libero di scegliere il vampiro che preferisce. E i miei prediletti, anche a distanza di ere geologiche, saranno sempre quelli di Intervista col vampiro, coi loro pizzi stazzonati e il loro vasto terrore di trascorrere un’eternità di vuoto assoluto.

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Bonus track: libri che ho sfogliato ma che non ho ancora letto

Vasti festeggiamenti per il bicentenario di Frankenstein: Utet ha pubblicato da poco una corposa biografia di Mary Shelley (La ragazza che scrisse Frankenstein di Fiona Sampson), mentre il Castoro ha dedicato alla scrittrice un romanzo illustrato di rara bellezza: Mary e il Mostro di Lita Judge.
Per chi poi volesse farsi una cultura solidissima del macabro – anche nelle sue sfumature storico-religiose più solide – o gustarsi fumetti spaventosamente spensierati il consiglio è di consultare il vasto catalogo di Logos Edizioni. Io ho intenzione di cominciare da un corroborante volume fotografico sugli ossari. E dall’edizione illustrata di Carmilla.

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Niente. Sono certissima di aver scordato cose fondamentali o di aver citato opere che ormai hanno già letto tutti, ma spero comunque di aver fornito qualche spunto avvincente. Se così non fosse, consoliamoci con secchi di cioccolato estorto ai vicini di casa. :3