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All’avventura!

Infarinatura introduttiva.

  • Siamo stati a Marrakech a metà febbraio. Che clima abbiamo beccato? Caldo fondamentalmente estivo di giorno e un bel freschino di sera o la mattina presto. Una gioia per la valigia, insomma. Se tendete a patire il gelo come me, a parità di periodo vi consiglio di partire con una giacca da mezza stagione – vi tornerà utile al calar del sole e per cenare all’aperto senza patemi.
  • Sì, serve il passaporto e le operazioni di arrivo/partenza in aeroporto non sono molto rapide. Noi siamo arrivati di giovedì sera – un momento che ci pareva piuttosto “neutro” e lontano da grandi flussi di traffico turistico – ma ci abbiamo messo un’ora abbondante a superare i controlli. Il ritorno un po’ più snello ma piuttosto laborioso lo stesso.
  • Procuratevi dei contanti in valuta locale perché tanti posti non accettano le carte. Con “posti” intendo ristoranti alla buona, bancarelle per strada, esercizi commerciali dei suk, attrazioni assimilabili ai musei e taxi. Potete cambiare i soldi o ritirare al bancomat senza rogne.
  • I taxi sono TANTISSIMI e fermabili per strada senza dover usare app, chiamare centralini o chissà cosa. Dall’aeroporto alla medina abbiamo pagato 200 dirham – che son 20€, arrotondando per eccesso – mentre la tratta dalla medina al quartiere “nuovo” (Gueliz) viaggia sui 100. Spiegate bene prima dove volete arrivare e chiedete se il prezzo è ok. Quasi sempre i riad della medina prevedono un trasferimento privato per gli ospiti – domandate, perché certi riad incagnati più all’interno sono poi complicati da scovare a piedi coi bagagli.
  • Se volete avere sempre il telefono funzionante dovete prendere una SIM locale. Noi abbiamo deciso di approfittare del wi-fi dei posti in cui ci siamo fermati a mangiare o dell’albergo perché passiamo già tutta la vita a spippiolare al telefono e ci giova di tanto in tanto astenerci.
  • Il terremoto di quest’autunno ha purtroppo colpito Marrakech e ci sono ancora danni visibili nella medina, dove ci sono gli edifici storici o, banalmente, le costruzioni più datate. Troverete qua e là puntelli di legno, ponteggi e volenterosi cantieri. I ragazzi del riad ci hanno raccontato spaventi e momenti decisamente non rosei, ma le ricostruzioni procedono con buona lena e intralcio zero per i visitatori. Si tifa.
  • Prenotazioni? Dipende. Noi abbiamo prenotato dall’Italia l’hammam, una cena e un biglietto d’ingresso – dopo troverete i dettaglini precisetti. Le altre due cene le abbiamo prenotate il pomeriggio del giorno stesso, dopo esserci orientati un po’ meglio con le distanze e i tempi. È estremamente possibile che, in periodi di turismo più HARDCORE, sia saggio bloccare tutto con un certo anticipo per non restare a piedi.

Benissimo. Procedo per aree tematiche.


ALLOGGIO

Il mio consorte ha saggiamente pescato il Riad Dar Saad nella medina – la parte “vecchia” della città. Nella medina le auto non possono circolare, ma se vi fate mollare dal taxi nel più vicino punto ancora raggiungibile in macchina – il museo Dar El Bacha o il palazzo reale sono punti di riferimento validi – al riad ci arrivate a piedi in tre minuti d’orologio. La posizione è comoda perché per esplorare la medina e veleggiare verso la piazza centrale siete già “dentro” ma se volete riprendere un taxi e andare altrove arrivate con semplicità all’area esterna. Noi abbiamo sempre trovato taxi pronti a partire.
Altro sul riad? I ragazzi dello staff sono simpaticissimi e gentili. L’atmosfera è matta e variopinta e c’è anche una sorta di caotico giardino pensile sul tetto, molto piacevole. I prezzi mi son sembrati ragionevoli, anche se opterei per una stanza diversa perché la nostra – proprio questa, per l’esattezza – era davvero minuscola e pure un po’ umida.


“ATTRAZIONI”

Dunque, la medina è nella sua interezza un’attrazione, mi verrebbe da dire. La locuzione iper trita “perdetevi fra le viuzze” mi fa venire l’orticaria ma in questo caso è un buon consiglio. Il mio senso dell’orientamento è pessimo e non ho speranze di indicarvi un punto preciso fra i millemila suk tentacolari percorribili a piedi, ma vagate con fiducia e meravigliatevi delle imprevedibili mercanzie esposte. In caso di bisogno, mia zia Pinuccia è disponibile a fornirvi una consulenza su come contrattare con i venditori, ma confido nel vostro spirito d’iniziativa.

L’unica “via dello shopping” che mi sento di segnalarvi con sicurezza – e che brilla per eclettismo delle proposte – è il tratto che separa il Riad Dar Saad dal Dar El Bacha. Il resto è una scoperta perenne e davvero affascinante, gatti compresi.

E la piazza “grande”? Forse è l’agglomerato meno interessante di tutti. Indubbio folklore – incantatori di serpenti, scimmie che passeggiano, pavoni, bancarelle… – ma anche l’unico posto dove mi son sentita a disagio. Volete farvi fare un disegno tradizionale all’henné sulle mani? Ne avete facoltà. Meno piacevole è essere afferrata per un braccio da un’energica tatuatrice che comincia a colorarti le estremità senza dar retta ai tuoi fin troppo urbani “no grazie” e pretende a gran voce dei soldi per un lavoro che non le hai chiesto tu. Insomma, occhio. Non fate la fine della turista polla come me.

Occhio ulteriore? I motorini. I carretti con gli asini. I motocarrettini. Le strade della medina sono strette e certi suk son proprio dei vicoli – o delle gallerie coperte -, ma il traffico “leggero” persiste, anche a velocità sostenuta. Lì per lì la cosa è piuttosto spiazzante, ma ci si abitua. Voi, nel dubbio, fatevi in là e ricordatevi quello che vi diceva la mamma quando c’era da attraversare la strada.

Il Jardin Majorelle è uno dei posti più instagrammati del globo? Sì. Isola felice di Yves Saint-Laurent e Pierre Bergé, i giardini e gli squillanti complessi architettonici sono una sorta di luogo ideale che sintetizza arte e verde, vitalità e meditazione – calca permettendo. Mentre zelanti addetti alla manutenzione girano con pennello e secchi di blu Majorelle per mantenere la giusta tonalità cromatica delle costruzioni, piante di ogni genere prosperano in un poetico caos controllato. Gli abbondanti flussi di visitatori sono gestiti con rigore marziale ed è obbligatorio fare il biglietto online.
Non siamo stati al museo YSL – chiuso temporaneamente per riallestimento – ma nel padiglione centrale del giardino c’è il Museo Bergé dedicato all’artigianato berbero… dimensioni contenute ma da vedere, intanto che ci siete. Se dovete dare una rinfrescata ai muri di casa, poi, segnalo che al gift-shop si possono comprare dei bei barattoli di pittura – un souvenir eccelso? Totale.

La Medersa Ben Youssef è stata costruita nel quattordicesimo secolo come scuola islamica ed è stata a lungo la più grande del Nordafrica. Dopo fortune alterne, abbandoni e ritorno all’attività originaria, è ora un sito UNESCO più che visitabile e restaurato con grande attenzione al rispetto dei materiali originari. C’è un magnifico cortile centrale e si può salire al piano superiore per esplorare le “cellette” degli studenti.
Il biglietto si fa all’ingresso e accettano solo i contanti.

Le Jardin Secret è una gradevole bombonierina ripescata dall’oblio. La base è quella di un riad – uno dei più antichi della medina – poi disgregatosi per frazionamenti di proprietà e vari gradi di incuria. L’opera di ripristino è relativamente recente e nella struttura odierna troviamo una torre e dei padiglioni che delimitano un giardino esotico e un giardino islamico. Piacevolissimo e indubbiamente d’impatto, ma il baretto posizionato strategicamente sulla terrazza e il gift shop pretenzioso mi han lasciato un po’ una sensazione di posticcio.


L’HAMMAM

Vuoi non cimentarti? Non sia mai! Per Les Bains de Marrakech devo ringraziare molto una collega di Cuore – Viola, ciao! Ti siamo debitori!
Qua è indispensabile prenotare con anticipo sul sito, perché per certi percorsi serve del tempo e loro sono ORGANIZZATISSIMI. Si possono selezionare diversi trattamenti e combinarli insieme, scegliendo anche se procedere individualmente o in coppia. Noi ci siamo donati tre ore: hammam, fanghi, massaggio. In pratica vi prendono e da bruchi vi trasformano in farfalle.

L’hammam parte con una lenta cottura a vapore, seguita da innumerevoli abluzioni. A un certo punto arriva una signora con un guanto grattosino che vi friziona energicamente fino a staccarvi di dosso circa tre etti di pelle morta. Lisci come delfini e rincoglioniti dal tepore verrete poi scortati in un ambiente “asciutto”, cazzuolati di fanghi profumati e avvolti come salami nel cellophane e in tre strati di coperte soffici. Vi farete una dormitina? Sì. Una volta estratti dal bozzolo e lavati come bambini vi frolleranno per un’altra ora, massaggiandovi dall’alluce ai lobi delle orecchie. Raramente in questi ultimi due anni posso dire d’essermi sentita meglio.
Ambiente bellissimo, non si incrocia mai altra gente, bicchierini di tè alla menta che si materializzano dal nulla e staff impeccabile. Credo non sia fra le strutture più economiche della città ma quanto volentieri li ho spesi, porca miseria.

Bonus: la zona attorno all’hammam è molto vispa e interessante da girellare a piedi. Salutateci le numerose cicogne che nidificano nei paraggi.


MANGIARE

Le opzioni streetfoodesche sono innumerevoli. A ogni angolo della medina c’è qualcuno che spadella uova, cuoce a fuoco lento qualcosa, smercia pane – PANE BUONISSIMO -, ammucchia dolcetti, sbadila datteri, spreme melagrane, allinea fragole ENORMI. Insomma, se vi gira c’è di certo materiale. Qua trovate qualche posto dove piazzarvi con le gambe sotto al tavolo per un pasto meno estemporaneo – devo confessare la mia parzialità per questo tipo di soluzione, principalmente perché non son capace di mangiare in piedi e dopo aver scarpinato per ore ho bisogno di mettermi a tavola in pace per ripigliarmi. Ho un’età.

La prima sera abbiamo cenato alla Terrasse des Épices, pescato in maniera piuttosto estemporanea perché non mi ricordo dove ne avevo letto bene e perché era vicinissimo al nostro riad. Si mangia all’aperto su questo tetto a ferro di cavallo, servono alcolici – bar “serio” compreso – e la cucina è marocchina con qualche incursione internazionale per non far prendere paura ai turisti americani. Servizio di rara premura, abbondanza di porzioni e atmosfera molto gradevole. Il nostro felicissimo battesimo a base di tajine e couscous.

Il Petanque Social Club, nel quartiere nuovo di Marrakech, è dotato di campo da bocce – altrimenti non l’avrebbero battezzato così, mi vien da dire – giardino rigoglioso e un eclettico ambiente interno con diverse sale decisamente d’impatto. Anche qua servono alcolici e il menu è decisamente più virato alla clientela “estera” – l’ho trovato infatti da un suggerimento del New York Times Travel… e mi vien da alzare più di un sopracciglio. Non abbiamo cenato particolarmente bene, ma i cocktail sono apprezzabili e il posto è oggettivamente bello. Se bazzicate da quelle parti e vi va di bere qualcosa fateci un pensiero.

Cena finale? Grand Café de la Poste, locale storico aperto negli anni Venti e frequentato da monsieur Majorelle e sodali del bel mondo. Cucina francese, servizio attento e piacevolezza generale dei luoghi.

Pranzo assai ben riuscito nei pressi della piazzona grande: Amasia. Rooftop estremamente ameno – penso che al tramonto renda benissimo, ma noi siamo andati a fare le lucertole diurne – e cucina marocchina davvero apprezzabile. Servizio non fulmineo, ma eravamo così contenti di starcene in maniche di camicia a febbraio su una terrazza che non ci è proprio venuto in mente di sindacare sui ritmi.


Spero di aver prodotto qualche spunto utile. In ogni caso, buon giro! C’è favolosità. 🙂

Gli insetti sono i nuovi dinosauri? Non sono in grado di stabilirlo con certezza. Tutto quello che so è che il mio bambino – che veleggia spavaldo verso i 5 anni – ha sviluppato una passione irrefrenabile e capillare per l’entomologia dilettantistica. Abbiamo fatto del nostro meglio per presentargli soffici coniglietti, caprette salterine, goffi anatroccoli e morbidissimi alpaca, ma a lui interessano le scolopendre, gli scorpioni, gli aracnidi e gli insetti stecco. Di fronte a una predilezione così vivace e sincera, dunque, abbiamo messo da parte ogni istanza censoria e ci siamo adeguati. Qua, dunque, troverete alcuni dei libri a vario titolo dedicati agli insetti che Cesare ha maggiormente apprezzato in questi anni di militanza tra scarabei, cetonie, lombrichi e lumaconi bavosi. Sono libri che si prestano a diversi livelli di fruizione: Cesare non legge ancora da solo (quindi immaginatevi di dover intervenire per declamare le proprietà della blatta fischiante del Madagascar) ma sono quasi tutti volumi illustrati o fotografici che si possono anche sfogliare in autonomia, tra numerose esclamazioni d’entusiasmo. Spoiler: pensavamo non fosse possibile, ma alla fine ci siamo appassionati anche noi. La speranza è che, leggendo, possa ritenersi appagato e soddisfatto, rinunciando a chiedere a Santa Lucia una bella teca in cui riporre una tarantola grossa come uno scolapasta che so per certo battezzerebbe Giovanni.
COMUNQUE.
Ecco qua i preziosi tomi. E che il creato sempre preservi l’operosa ape.

 

Piccola guida a insetti e altri piccoli animali
Illustrazioni di Tom Frost
Nomos edizioni

Quella delle “piccole guide” illustrate da Tom Frost è ormai una collana che comprende anche farfalle, foglie e uccelli. Ogni creatura – vegetale o animale che sia – è ritratta con un tratto preciso, modernissimo, vibrante e suggestivo e accompagnata da una piccola scheda che ne riassume le caratteristiche più salienti. Ogni volume raccoglie 40 schede per altrettanti esemplari, dallo scarabeo rinoceronte alla falena cometa.

 

Ape. Ediz. a colori - Britta Teckentrup - copertina

Ape. Una piccola meraviglia della natura
Betta Teckentrup
Sassi

Un racconto poetico ma dal rigore naturalistico ben individuabile che segue il volo di un’ape dalle perlustrazioni in cerca di fiori nettarini fino al ritorno all’alveare. Quella al centro del fiore è una finestrella che ritroverete anche nelle altre pagine del libro.

 

Il piccolo popolo del giardino
François Lasserre e Marion Vandenbroucke

L’Ippocampo

Parlare di insetti ci consente spesso di far luce sui funzionamenti meno “appariscenti” degli ecosistemi naturali, vicini e lontani. Questo volumone splendidamente illustrato e costruito a schede ha l’obiettivo di presentarci le 100 specie che popolano con maggiore frequenza i giardini delle nostre latitudini, dimostrandoci come anche il più insignificante degli angolini verdi nasconda in realtà un brulicare di attività fondamentali per l’equilibrio ambientale. I testi “principali” sono lunghetti, per i lettori più giovani, ma la pagina illustrata è sempre sfiziosa: al piede troverete una rappresentazione a grandezza naturale dell’insetto protagonista e anche una sintesi della catena alimentare in cui è inserito (AKA cosa mangia e chi lo mangia).

 

Insetti. Piccole creature spaventose
A cura di Susan Barraclough
Dix

Scordiamoci il nobile intento didattico e la raffinatezza del tratto per una parentesi di puro sensazionalismo. Presentati per famiglie – e in schede che non mancano di dettagli “tecnici”, gli insetti di questo libro ci appaiono come terrificanti kaiju di Pacific Rim e/o microscopici guerrieri dalle devastanti proprietà. Per le giornate – perché ci sono anche quelle – in cui l’entomologia incontra il B-Movie.

 

I bestiolini
Gek Tessaro
Franco Cosimo Panini

Per riappacificarci col creato, un maestro della parola e dell’illustrazione per l’infanzia. Con l’estro e la giocosità in rima che l’hanno reso celebre, Tessaro esplora la vita brulicante di prati e giardini per rammentarci che facciamo tutti parte di un grande meccanismo e che anche gli esseri più piccoli vanno rispettati, compresi e osservati con cura. Detta così pare di una pedanteria insopportabile, ma i testi son così squillanti e allegri da tenere alla larga il rischio di latte alle ginocchia.

 

Insetti e altri creature formidabili
Jess French
Gribaudo

Tra approcci poetico/narrativi o “cataloghi” di specie, quel che forse mancava era un volume dall’approccio più basilare al tema. Anche qui l’apparato iconografico è bello e vario, ma il punto forte credo sia la struttura: si parte dalla definizione e dall’inquadramento delle varie famiglie di insetti nel mondo naturale per poi indagarne anatomia, habitat e comportamenti. Insomma, infarinatura chiara e generale per poi approfondire temi più specifici.

 

Vivono tra noi. Ritratti straordinari di insetti ordinari
Daniel Kariko

Il Saggiatore

A metà tra iper-realismo e incomparabile prodezza tecnica, Vivono tra noi è un atlante fotografico dedicato a insetti “veri”, quelli che Daniel Kariko – docente di fotografia e autore di reportage naturalistici per riviste blasonatissime – si è messo in testa di immortalare dopo essersi insediato nella sua nuova casa. Dopo aver gradualmente raccolto gli esemplari, Kariko ha costruito una sorta di studio fotografico miniaturizzato nel  laboratorio di microscopia del dipartimento di biologia della East Carolina University. Il risultato di questo lavoro certosino è un volume fascinosissimo che pare uscito da una galleria d’arte del Secolo d’Oro olandese, ma con le falene iper ingrandite al posto delle ragazze con l’orecchino di perla. Pazzesco.

 

Inventario illustrato degli insetti
Emmanuelle Tchoukriel e Virginie Aladjidi

L’Ippocampo

Siamo molto affezionati a questa collana – ormai assai nutrita – e non potevamo di sicuro farci mancare il volume sugli insetti. Le illustrazioni sono affidate a un’acqurellista (Emmanuelle Tchoukriel) specializzata nel disegno naturalistico e gli insetti rappresentati nel volume (65) sono classificati in base al loro ordine scientifico, offrendo una panoramica delle specie più emblematiche dei cinque continenti.

 

Il piccolo Bruco Maisazio
Eric Carle

Mondadori

Qua servono poche presentazioni, visto che Il Bruco di Eric Carle ha da tempo divorato la concorrenza nel campo della narrazione entomologica per i più piccoli. Giustamente elevato al rango di classico, può sostenerci con un augurio conclusivo: che la curiosità del mio infante – come dei vostri e delle vostre – possa restare insaziabile come l’appetito del bruco.

 

Incredibile, si può tornare a parlare di viaggi. Non ci speravo più. Che lieta occasione, quante cose da raccontare! Partirei da una premessa pratica assai semplice per inquadrare l’avventura: noi a Ischia non ci eravamo mai stati. Per i conoscitori più scafati della ridentissima isola questo sarà sicuramente un diario di bordo che non riserverà sconvolgenti sorprese, ma come esordio direi che ce la siamo cavata benone – cullando nei nostri cuori anche la voglia di tornare. Insomma, troverete un po’ di spunti per giretti, cibarie, logistica e campo-base. Per concludere l’inquadramento, penso sia anche utile dichiarare che il nostro soggiornino è durato tre giorni pieni e che ci siamo stati a fine giugno, infante di quattro anni incluso.

Come ci si arriva, diamine?
Non volendo cimentarci in trasbordi eccessivamente macchinosi da e per gli aeroporti, siamo arrivati a Napoli Centrale in treno, siamo saltati su un taxi per arrivare al porto (c’è una tariffa fissa di 13€ e rotti che copre quella tratta, che vi porta via un quarto d’ora scarso) e abbiamo preso l’aliscafo. Potete prenotare il biglietto – cosa che tendo a consigliarvi in alta/altissima stagione – o farlo direttamente lì alla partenza. Si naviga per un’oretta e si approda a Ischia Porto. La frequenza delle partenze è piuttosto fitta, ma date sempre un occhio agli orari.
Volendo, si può fare porto-stazione e viceversa anche con la metropolitana. Sono due fermate. Al ritorno abbiamo optato per quell’opzione perché avevamo un po’ di margine, anche se con i bagagli non è agevolissimo.

Il prode Cesare imperversa sugli scogli della spiaggia dei Maronti mentre sua madre maledice nei secoli la famiglia Sarratore.

Il campo-base
Ischia è un’isolona e, data la conformazione vulcanico-impervio-montuosa, girovagare non è linearissimo. Diventa super agevole in motorino, credo, ma con un bambino al seguito la soluzione tende a dimostrarsi un po’ intricata. Eravamo assolutamente motivati a piantare le tende a Barano – costa meridionale – e a non schiodarci più dall’albergo, ma siamo stati così ben coccolati e istruiti sul da farsi che ci siamo dedicati anche a varie esplorazioni.

Comunque, ad accoglierci con impareggiabile cuorosità è stato l’Hotel Parco Smeraldo Terme, che dati i lunghi trascorsi e la storia accumulata penso possa ormai essere considerato una sorta d’istituzione. A gestirlo, di generazione in generazione, è sempre la famiglia Iacono e ci tengo a ringraziare all’istante Leonilda che, fra le nuove leve, è quella che si occupa di social e comunicazione e che, per un purissimo e fortuito caso, ha visto nelle mie Instagram Stories un cartone della pizza che immortalava l’albergo e mi ha scritto per invitarmi. Giuro, è andata così. Dato lo straordinario antefatto, non potevo rifiutare e, appena è stato possibile spostarsi di nuovo con ragionevole agio, abbiamo fatto i bagagli. Leonilda, in pratica, ci ha anche fatto da mini tour-operator fornendoci tantissime indicazioni su luoghi meritevoli da visitare, ristoranti e bar, quindi praticamente tutto quello che troverete dopo ha ricevuto il bollino APPROVED DAI LOCAL. Diciamo pure che ogni volta che c’era da prenotare una cena lo staff si riuniva in sessione plenaria per ottimizzare il risultato.

La spiaggia dell’hotel, raggiungibile in 103 passi.

Tornando a noi, l’albergo è – letteralmente – sulla spiagga dei Maronti. Tra i numerosi vantaggi riscontrati, c’è senza dubbio quello di poter scendere di sotto e andare al mare in due minuti, piazzando l’asciugamano su uno dei lettini della spiaggia privata dell’albergo. Restando in tema di abluzioni, però, le opzioni sono varie. L’hotel è anche un complesso termale e, tralasciando le piscine coperte della spa – e i vari percorsi caldo/freddo che si possono fare lì -, c’è pure la piscina esterna, altrettanto alimentata ad acqua termale piacevolmente caldina e costeggiata qua e là da una costellazione di lettini e ombrelloni. Il verde è curatissimo e molto avvincente: in pratica, vi aggirerete per un giardino subtropicale pieno di vegetali estrosissimi e rigogliosi.

La nostra finestra è quella al secondo piano con una persianina aperta.
Quello che effettivamente si scorgeva dal nostro balcone. Ciao, Sant’Angelo!
Il laghetto che ospita da tempo immemore una colonia di tartarughe vivacissime che figliano con entusiasmo e con ancor più entusiasmo sono state ammirate e nutrite da Cesare. Ne ha anche battezzata una. GIOVANNI, ovviamente.

Giornata-tipo? Giornata-tipo, che aiuta sempre a rendersi conto della gestione pratica del tempo. Abbiamo passato le mattine usufruendo allegramente di mare e piscina, ci siamo sempre fermati a pranzo in giardino – l’albergo ha un bistrot mediterraneo con servizio ai tavoli sotto le frasche – e, meraviglia delle meraviglie, dopo mangiato siamo tornati sempre in camera per il pisolino. Mio figlio non dorme più al pomeriggio da due anni ma a Ischia HA DORMITO. Grazie, acqua termale. Rinfrancati dal sonno, abbiamo poi dedicato la seconda parte delle nostre giornate per visite e giretti, mangiando poi qua e là. Si può cenare anche in albergo – come abbiamo fatto la sera dell’arrivo. C’è bontà e abbondanza. Mi ritenevo nutrita già al buffet degli antipasti, ma avevo sottovalutato l’esuberanza gastronomica campana.

A turno, la mattina, siamo anche andati a collaudare la spa. Il mio consorte, rengo come una seggiola, si è fatto fare un massaggio, mentre io mi sono cimentata con il trattamentone superfavola a base di fanghi. Il procedimento è avvincente. I fanghi vengono “estratti” direttamente dalle profondità del complesso e vengono anche preparati lì – prima che ve li applichino, in tutto il loro terapeutico tepore, passano otto mesi buoni. Prima dell’applicazione vi visita un medico che vi spedisce dalla vostra infangatrice di fiducia – Maria, ciao! Sei meravigliosa! – con un’indicazione di trattamento. Cioè, c’è proprio uno schemino d’applicazione, in base alle magagne che vi affliggono. Io son rigida di collo ma ho un sacco di capillari sulle gambe, quindi ho vinto un’applicazione benefica per le articolazioni evitando però cosce e polpacci, per dire. Dopo essere stata impacchettata in un bozzolo di fango – che detta così pare una roba orrenda ma in realtà è molto rilassante -, vi docciano come dei labrador e vi immergono per un altro quarto d’ora in una vasca che vi idromassaggia in vari e sofisticati modi (ozono, per me). Per non sfigurare di fronte a Cuorone, poi, anch’io ho vinto un massaggio drenante che mi ha ulteriormente rimessa al mondo. Due ore molto ben spese. CHE BENESSERE.

Avventure – vol. I | Sant’Angelo
L’orizzonte dell’albergo è scenograficamente occupato da una sorta di promontorio a forma di panettone. Ecco, quel panettone lì è Sant’Angelo, un piccolo borgo che sospetto sia stato edificato ad arte da un produttore di cartoline. Ci si può arrivare in macchina – prendendo una serpeggiante strada montana – o via mare. Peter Parker credo ci possa anche arrivare a piedi, ma lui se la cava bene con le pareti verticali e noi molto meno. Insomma, quel che vi suggerisco è di posizionarvi in riva al mare sulla spiaggia dei Maronti – la “fermata”, da quanto ho capito, si chiama DA MARIO – in corrispondenza di un eloquente cartello. Potete leggere il numero di telefono sul cartello e chiamare il vostro traghettatore o, per soluzioni più pittoresche, potete sbracciarvi e un barcaiolo arriverà e vi caricherà. Sì, vi bagnerete i piedi, quindi regolatevi con le scarpe. La “traversata” dura un quarto d’ora e costa 4€ a persona – il percorso inverso, in orario serale, costa il doppio e vi conviene portarvi un golfino. E un telescopio.

Per rendere più agevolmente l’idea.
La garrula fase di avvicinamento.
Capitan Cuorone, celebre lupo di mare.

E Sant’Angelo? È un luogo incantevole. Arrampicatevi su per le stradine fino alla chiesa di San Michele, zampettate qua e là per vicoli e piccole botteghe e organizzate un campionato per eleggere il davanzale fiorito più avvenente. Mi fa strano parlare di cimiteri, ma pure il cimitero è un tripudio di colore e ceramiche smaltate.

La Santa Vergine delle Piante Grasse, protettrice della flora mediterranea.

Dove mangiare? Sul cocuzzolo del paese c’è un ristorante panoramico dall’aria epica – Villa Sirena, si chiama -, ma ci sembrava un po’ “pettinatino” per starci in tranquillità con un bambino. Siamo dunque tornati giù fino alla piazzetta centrale e ci siamo cimentati in un aperitivo al Pirata, cenando poi dal Pescatore. Sì, è uno di quei casi felici in cui non è necessario fare gli originali a tutti i costi e andarsi a cercare chissà quale chicca sperduta in mezzo a una foresta infestata dalle gorgoni. Potete mangiare in pace pure lì e godervi in serenità la piazza, il porticciolo, la spiaggina e il pontile-istmo che vi collega all’immenso panettone roccioso. Ci potete anche parzialmente salire, sullo scoglio, basta seguire la scaletta di legno.

Avventure – vol. 2 | Giardini La Mortella
Questi giardini dovrebbero essere rubricati tra le meraviglie del mondo? È possibile. Il complesso è frutto di lunghe e meticolose stratificazioni. Tutto comincia nel 1949, quando sir William Walton – compositore e musicista inglese tra i più blasonati del secolo scorso – si trasferisce a Ischia con la moglie Susana, wonderwoman di origini argentine che, a partire dal 1956, comincerà a “coltivare” i terreni vulcanici e i terrazzamenti circostanti alla casa, commissionando un ambizioso progetto strutturale all’architetto paesaggista Russell Page.

Quello che possiamo ammirare oggi – sotto l’amministrazione della Fondazione Walton, che ha raccolto il lascito di lady Susana preservando la Mortella e trasformandola anche in un polo culturale per la musica – è una sorta di rigogliosa bolla verde che si arrampica sul fianco di una collina affacciata sulla baia di Forio e ospita un’infinità di specie vegetali dalle provenienze più disparate. Il giardino è diviso in due macro ambienti, il giardino di Valle – quello inferiore, di impronta subtropicale – e quello di Collina – un labirinto mediterraneo, assolato e arroccato sulla pendice dell’altura.

A parte l’oggettivo splendore dei vegetali che prosperano ovunque, passeggiare per la Mortella è un tributo al gusto per l’esplorazione. La sensazione è quella di trovarsi in un ambiente al contempo selvaggio e “vivo”, ma anche sapientemente orchestrato per stupirci a ogni radura. Non perdetevi il Ninfeo, il Tempio del Sole e la Cascata del Coccodrillo. Calzature comode, che un po’ c’è da scarpinare e per vedere dignitosamente tutto servono almeno un paio d’ore. Per riposini e rifocillamenti, a metà percorso c’è anche un bar provvisto di pittoreschi ombrelli con gli specchiettini.

Visto che i Maronti non sono vicinissimi a Forio – il centro più vicino ai Giardini, che sono un po’ fuori mano rispetto al paese-paese – e che dopo l’abbondante escursione non volevamo tornare in albergo a notte fonda, siamo rientrati al campo-base e abbiamo mangiato in uno dei numerosi locali affacciati sulla spiaggia. Dal Parco Smeraldo sono tutti raggiungibili a piedi in neanche dieci minuti e cenare sul mare è indiscutibilmente fascinoso. Noi siamo stati al Faro e Cuorone ha reso omaggio alle tradizioni ordinando il coniglio all’ischitana. Hardcore, il coniglio all’ischitana.

Avventure – vol. 3 | Ischia Porto e il Castello Aragonese
Dunque, se volete dedicarvi allo shopping vi consiglio caldamente di fare la vostra comparsa a Ischia Porto nel pomeriggio inoltrato, perché non tutti i negozi aprono presto – controllate magari gli orari, che noi siamo andati di domenica e il giorno della settimana, alta o bassa stagione che sia, forse influisce.
Il nostro obiettivo era girellare e visitare il Castello Aragonese, che svetta in tutta la sua rocciosa arroganza su un altro voluminoso scoglio lavico collegato alla terraferma da un ponte artificiale – l’idea della pietra è venuta ad Alfonso V d’Aragona a metà del ‘400. I primi insediamenti risalgono al 474 a.C. e, a partire da Gerone il Siracusano, tante furono le dominazioni che modificarono la fortezza, stratificandone l’architettura e ampliando gli insediamenti.

Sempre nel 1400, tutta la popolazione ischitana abitava là sopra, per difendersi dai pirati: c’erano ben sette parrocchie, un paio di conventi, la guarnigione principesca e quasi 2000 famiglie, che verso la metà del ‘700 – debellati i pirati – cominciarono a trasferirsi nel resto dell’isola, per badare alle colture e dedicarsi alla pesca. Gli inglesi assediarono la rocca nel 1809 per strapparla ai francesi, demolendo pure la cattedrale – i cui magnifici resti si possono ancora esplorare. Nel 1800, Ferdinando I – re di Napoli – adibì il Castello a carcere “duro”, destinazione d’uso che è sopravvissuta fino al Regno d’Italia.

Cenni storici a parte, la visita non è riposantissima ma sorprendente. Il panorama dai terrazzi abbraccia il golfo di Napoli e Capri, ci sono chiese e cappelle piene di gatti sonnacchiosi, uliveti, sentieri e scale che si diramano dal corpo principale della fortezza per condurvi ai quattro angoli dell’isola… sempre che un’isolotto tondo possa avere degli angoli. Il percorso è ben indicato e numerato, ma anche in questo caso preparatevi a infrangere il record giornaliero del vostro FitBit. Teoricamente c’è anche un ascensore che dovrebbe portarvi in cima in maniera più rapida, ma quando siamo andati noi non era in funzione.

Altre tappe del giro a Ischia Ponte?
Gelato? Ice da Luciano.

Libri? La libreria Imagaenaria è l’unica dell’isola ed è anche ben fornita. In aggiunta, funziona da editore “locale”, con diversi volumi dedicati alla storia dell’isola, narrativa assai estrosa e saggi sui personaggi illustri che in qualche modo hanno lasciato un’impronta a Ischia. No, la gatta Cenerella non l’ho incontrata. Se la vedete, salutatemela.

Caffé? Il bar Cocò occupa strategicamente il fronte sul mare all’imboccatura del ponte del Castello. Ci siamo piazzati lì a fare merenda, in primissima fila.

Ceramiche? Leonilda mi aveva consigliato di fare un salto da Cianciarelli, ma era chiuso.  Visto che sono fissata con le ceramiche e non c’è viaggio che termini senza che io mi porti a casa almeno una piastrella, ho perlustrato via Mazzella e ho scatenato un discreto scompiglio da Sole d’Ischia – sì, ha in vetrina il limoncello, i Pulcinella e tanti souvenir non proprio favolosi, ma se ci si addentra c’è parecchio da scoprire. Alla fine ho comprato sei piatti fondi, sei piatti piani, quattro tazzine e una rana. Tutto ha tollerato alla perfezione la lavastoviglie, come mi era stato promesso, e sono soddisfattissima. Il proprietario mi ha imballato e spedito tutto a Milano in un paio di giorni. Se volete fare ricerche e approvvigionarvi in altri lidi, è tutta ceramica vietrese.

Angoli Pittoreschi? Palazzo Malcovati, col suo portone affacciato sul mare e il cortiletto verdissimo e fascinosamente disordinato. Se vi stuzzica qualche remoto ricordo è perché è stato spesso una location cinematografica.

E a cena?
Abbiamo approfittato di un ottimo consiglio dello staff del Parco Smeraldo riunito in seduta plenaria e ci siamo fatti prenotare un tavolo al Giardino Eden. Si prende una barchetta-taxi dal pontile della Curteglia e si naviga tra la costa e il castello per una manciata di minuti. Il locale è in una baietta riparata da un mini-arcipelago di scogli e poche altre volte in vita mia credo di aver mangiato in un posto così bello. C’è un’area bar dove abbiamo fatto l’aperitivo con ottimi cocktail. Temendo per la resistenza di Cesare – che ha scalato un castello e un po’ di sonno poteva legittimamente averlo – non ci siamo cimentati con i diversi percorsi dei menu degustazione, ma mi sento di consigliarvi quell’approccio lì. Non ci siamo fermati al panificio Boccia, ma ci siamo ritrovati a tavola il loro pane, quindi evviva. Cesare, comunque, quando ha visto l’acquario dei frutti di mare e dei conchigliami assortiti ha dimostrato di essere molto più arzillo di me.

Spostamenti
Visto che non volevamo sbatterci – un po’ perché c’era Cesare e un po’ perché non andavo in vacanza da un secolo e ho ritenuto legittimo investire in comodità -, non ho indicazioni particolarmente utili da darvi sui mezzi pubblici. Esistono e circolano copiosamente, comunque. Noi siamo andati in giro in taxi e abbiamo sempre richiamato lo stesso autista – che è diventato il nostro scarrozzatore ufficiale, a un certo punto. Vi fate lasciare il numero e vi organizzate tra esseri umani su orari e punti d’incontro. Per darvi un’idea delle tariffe, dai Maronti a Ischia Ponte/Forio si paga una media di 30 euro a tratta, idem per raggiungere l’imbarco dell’aliscafo a Ischia Porto.

Spero che questa piccola guida – per esploratori ischitani alle prime armi – possa tornarvi utile. E spero anche di poterla prima o poi arricchire con ulteriori avventure. Per il momento non sono in grado di insediarmi sull’isola come una vera lady Susana, ma ho applaudito la sua decisione a ogni passo. Voglio ringraziare ancora Leonilda e l’Hotel Parco Smeraldo Terme per l’impareggiabile accoglienza e per l’affetto che ci hanno riservato. Ci siamo rimessi sulla via di casa con quel mezzo magone che si manifesta quando si saluta un posto dove sono stati fabbricati ricordi felici. Cesare vi raccomanda di salutargli la tartaruga Giovanni e tutte le sue compagne di stagno. Se andrete da Leonilda e famiglia, non scordate di dichiarare la vostra Tegamini-provenienza, che ci sarà una sorpresina. 😉

[Per approfondimenti ulteriori, nel circoletto ISCHIA su Instagram troverete una copiosa cronaca video delle nostre imprese. Ma anche qui, qui e qui].