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Non so come sia crescere in una casa piena zeppa di fratelli e sorelle. Forse si impara a fare un gran chiasso per emergere in quel pandemonio di altri bambini, calzini, piatti e carabattole – specialmente se i genitori che ti toccano somigliano un po’ a quelli di questa storia. O forse ci si ritira nel proprio guscio come chioccioline pazienti, perché gestendo un perimetro più piccolo si può imparare a sottrarsi al caos circostante o a patire di meno la noncuranza dei grandi. Non si sa nemmeno se i grandi, qui, siano sbrigativi e distaccati per necessità pratiche o per indole, ma tra i figli che ci sono già e quelli che arrivano a ciclo continuo resta più margine per il lunario da sbarcare che per grandi slanci sentimentali. Le braccine dei bambini servono ad aiutare e grava sulla casa una cappa di disordine, di fatica rassegnata, di uomini che perdono bestie utili a carte e che quando escono chissà dove vanno.

La bambina silenziosa di Un’estate – piccolo gioiello di Claire Keegan in libreria per Einaudi Stile Libero con la traduzione di Monica Pareschi – si prepara a cambiare aria per un po’. L’ennesimo fratellino sta per nascere, la mamma sarà indaffarata e un’estate senza scuola è lunga da sfangare. La bambina viene caricata in macchina e portata dai Kinsella – una coppia insieme vicina e lontana alla famiglia. Mandano avanti una fattoria prospera e, anche se si fanno un mazzo così, la bambina intravede in loro una serenità che non conosce e che non è abituata a “sentire”. Saranno davvero così contenti? È possibile che decidano di cacciarla via all’improvviso? Perché l’estate non può durare per sempre? Perché sono così diversi dai suoi genitori?

È una storia fatta di gesti semplici e di parole misurate, delicatissima nel rivelare pian piano una ferita insanabile. Ci vuole coraggio a voler bene di nuovo così come ne serve tanto per lasciarsi amare, se raramente qualcuno si è preso cura di noi. E quell’amore “di base”, così ovvio ma anche elusivo, può attecchire fortissimo anche se mancano legami di sangue, rivendicazioni di “proprietà”.
Si legge in un paio d’ore – meno di quanto occorre a preparare una crostata al rabarbaro, penso -, ma credo vi farà compagnia a lungo, consolandovi anche un po’. Perché sì, comunque vada, l’amore che si riceve non si dimentica.

[Ma c’è altro di Claire Keegan? Certo, ecco qua Piccole cose da nulla.]

Il Trentino sta diventando una consolidatissima abitudine estiva. Ci siamo avventurati per la prima volta quando l’infante andava per i due anni – a Moena e dintorni – e siamo tornati nel 2020 per un’esplorazione più approfondita della Val di Fiemme. Visto che ci troviamo sempre benone, c’è fresco, si mangia in maniera superba, il panorama è splendido, i bambini vengono abitualmente accolti con grande sensibilità e sollecitudine e Cesare può esercitare con baldanza le sue fissazioni da naturalista, abbiamo raccolto con entusiasmo la prospettiva di passare qualche giorno in Valsugana, approfittando di ambienti lacustri balneabili che ancora mancavano nel nostro grande puzzle delle esperienze trentine e delle consuete vette da scalare per le nostre passeggiate blande – il passeggino da trekking dei tempi di Moena è un lontano ricordo, ma pur sempre scarpiniamo con un bambino di quattro anni. Insomma, escursioni semplici e godibili in mezzo alla natura.
Senza preambolare ulteriormente, ecco qua una piccola guida di quello che abbiamo combinato durante la nostra permanenza in Valsugana. Troverete giretti, animalini, navigazioni, arte sorprendente e anche un po’ di storia.

LOGISTICA E CAMPO-BASE
Abbiamo alloggiato a Levico al Parc Hotel Du Lac, comodo sia come punto di partenza per le escursioni che come base per goderci il lago. L’albergo è proprio sul lago, anzi. Le camere affacciano sull’ameno specchio d’acqua e c’è anche una bellissima spiaggia ombrellonata con pontili, pratino e famiglie intere di folaghe con la testolina bianca che risiedono nei canneti circostanti e che non disdegnano zampettare sulla riva. Si può ovviamente fare il bagno – il lago è Bandiera Blu e, certificazioni istituzionali a parte, è limpido e soave.

La nostra stanza non era nell’edificio principale ma nella “dépendance” più vicina all’acqua, nell’edificino che ospita il ristorante e i tavoli all’aperto. Anche noi siamo stati dotati di balcone panoramico d’ordinanza e di tutto l’occorrente per usufruire sia della spiaggia che della piscina esterna. Abbiamo cenato spesso in albergo perché dopo le giornatone in giro non volevamo strapazzare troppo l’infante e siamo sempre stati ben alimentati. Il menu – sia quello per gli ospiti dell’albergo che quello del ristorante La Taverna, che è contiguo e risponde alla medesima cucina – è un mix moderno di specialità locali (vini compresi). Al bar della hall, poi, sapranno deliziarvi con un’avvincente selezione di gin trentini. Perché sì, esistono anche dei gin trentini. Ben trovati, gin trentini.
Parcheggio? Ci sono posti riservati per gli ospiti e anche un garage coperto gratuito che si apre e si chiude con la tessera della stanza. Molto utile, visto che la zona lacustre spiaggiaiola può diventare molto frequentata.

COSA FARE E DOVE MANGIARE

La strada del pescatore a Levico
Proprio dal nostro albergo parte una passeggiata praticabilissima che, potenzialmente, può portarvi a costeggiare tutto il lago di Levico. Io e Cesare non abbiamo completato l’anello ma ci siamo spinti fino all’estremità del lago, stordendo di chiacchiere un signore che voleva pescare in pace e ammirando la vegetazione che si tuffa nell’acqua con gran poesia. Abbiamo camminato per un paio d’ore in mattinata, aiutati dall’ombra piacevole degli alberi. Portatevi l’acqua perché non ci sono baretti o punti di ristoro lungo il sentiero.

Malga Sorgazza e boscosi dintorni
La Malga Sorgazza è crocevia di numerosi sentieri di difficoltà variabile, oltre che un ottimo posto dove mangiare specialità tipiche in un’atmosfera super tranquillona. Per arrivarci, partendo da Levico, occorrono più o meno tre quarti d’ora. Dovrete guardarvi da un galletto prepotente – che però ha lasciato dormire Cuore quando è crollato su una sdraio nel prato – ma verrete salutati con calore dall’oca Rosy e pure dai cavallini pezzati che brucano sereni nei dintorni. Oca Rosy, sei vita.

Dopo pranzo siamo tornati al piazzale dove si parcheggia e ci siamo addentrati nella foresta in cerca di cascate. È un percorso da escursionisti piuttosto vispi, che il nostro stambecco di un metro e dieci ha affrontato con grande piglio e interesse. Siamo scesi fino al primo ponte (che non si può più attraversare ma offre comunque scorci splendidi sul torrente e i salti d’acqua) e abbiamo proseguito verso la seconda cascata. Anche in questo caso, c’è un percorso che vi porta a sbucare sulla strada principale a un paio di km a valle della malga, ma abbiamo deciso di accorciarlo e di ritornare su senza uscire dal bosco.

Malga Montagna Granda e super pascoli
La Malga Montagna Granda – a una trentina di minuti in auto da Levico – è una delle numerose malghe della Valsugana che propongono attività e visite per raccontare meglio il lavoro quotidiano con gli animali e la preparazione delle cibarie più disparate, dai formaggi alle conserve di frutta. Volendo cercare nel calendario degli eventi, le esperienze di questo tipo sono etichettate come “Malghese per un giorno” ed è anche possibile adottare una mucca “conosciuta” in malga, ritirando poi la vostra fornitura di bontà casearie prodotte col suo latte.

La Malga Montagna Granda è gestita da un trio di ragazzi giovanissimi che fanno il formaggio e badano a una mandria di splendide mucche e di capre vispe – nessuna capra ha urlato in mia presenza, purtroppo, ma le ho amate lo stesso. La visita parte con un giro nel pascolo al seguito dei garruli bovini e prosegue con una piccola degustazione e un po’ di backstage sulle prime fasi della preparazione casearia. Mettetevi le scarpe brutte e godetevi panorama accarezzando la mucca Bianca e le sue colleghe.

Barchetta elettrica sul lago di Levico
Non sono una gran navigatrice, banalmente perché soffro il mal di mare e patisco troppo per godermela. MA IL LAGO DI LEVICO È INOFFENSIVO, VITTORIA! BENESSERE! ECCO COSA PROVA LA GENTE CHE PASSA I POMERIGGI ALL’ANCORA A BERSI DEI PROSECCHI!
Tralasciando i miei entusiasmi per aver sconfitto questa difficoltà che m’affligge da una vita, potete recarvi al casottino che amministra la spiaggia dell’hotel Du Lac per noleggiare una curiosa imbarcazione. È una specie di pedalò a motore, alimentato a pannelli solari ed equipaggiabile con un ottimo cestino del pranzo di cui vi doteranno felicemente al bar. Armati di cestino e secchiellone del ghiaccio per tenere in fresco le birrette siamo partiti sulla nostra barchetta/pedalò e abbiamo mangiato contenti in mezzo al lago.

Artesella
Vale il viaggio intero? Secondo me sì.
Artesella è una sorta di museo a cielo aperto che, da ormai una trentina d’anni, indaga il rapporto tra arte, umano e natura. Artisti e architetti da tutto il mondo vengono periodicamente invitati ad aggiungere un’installazione o una struttura all’indagine collettiva, servendosi unicamente dei materiali messi a disposizione dall’ambiente circostante – legno, pietra, erba o la conformazione stessa dei luoghi. Una quarta dimensione che contribuisce a plasmare e a far evolvere le installazioni è anche quella del tempo – da intendersi sia come unità di misura di permanenza che come combinazione di condizioni atmosferiche. Il risultato è un vasto “parco” che cambia e si evolve col susseguirsi delle stagioni. Ci si passeggia senza mai smettere di stupirsi – quasi tutte le installazioni sono di grande impatto “dimensionale” e visivo – e di meditare sul posto che occupiamo in questo grande ciclo vitale.
La visita, se non volete correre e godervi un po’ l’atmosfera, dura un paio d’ore e vi conviene vivamente prenotare uno slot. Per arrivare, il parcheggio più vicino è rintracciabile su Maps con “Malga Costa/Parcheggio Carlon”. Si lascia la macchina lì e, seguendo le indicazioni, in una decina di minuti a piedi si raggiunge l’ingresso di Artesella.

Il pranzo ha sicuramente contribuito a non far afflosciare la meraviglia della mattinata. Proprio a fianco dell’entrata di Artesella c’è il ristorante Dall’Ersilia. Noi abbiamo avuto la fortuna di pranzare sotto al tunnel verde – che sembra un po’ una costola delle installazioni del museo vero e proprio – e, se capitate lì, vi esorterei a fare altrettanto. Il menu è piccolino ma basato su solidi caposaldi della cucina locale e, vuoi le cose buone assaggiate e vuoi l’atmosfera, credo sia stato il mio pasto preferito della vacanza.

Castel Pergine
Abbarbicato sul colle del Tegazzo, Castel Pergine è una fortezza risalente al XII secolo. A metà degli anni Cinquanta fu acquistato da un privato e, dal 2018, è di proprietà di una Fondazione che l’ha rimesso a disposizione della comunità locale e dei visitatori – con i suoi 800 sottoscrittori, è il primo bene storico d’Italia di proprietà collettiva. Il castello ospita frequentemente mostre, concerti e incontri e anche un hotel di grande charme. Si può visitare l’interno – rigoroso come ogni fortezza medievale che si rispetti – e il parco cintato dalle mura merlate. In tempi recenti è diventato meta di nidificazione per numerosi rapaci, che scambiano felicemente la pietra delle sue torri per pareti di roccia “naturali”.

Se volete fermarvi al castello per il pranzo, sempre all’interno della cinta muraria c’è la splendida Locanda Ca’Stalla, ospitata da un edificio del Cinquecento. Il tavolone di legno massiccio della sala interna è stato realizzato da un artigiano locale utilizzando il tronco di un albero cresciuto al castello e poi dipartito per cause naturali. Si può mangiare anche fuori, come vedette in agguato in cima alle merlature.

Il Forte Busa Granda e un bel panorama
Per chiudere in bellezza il nostro soggiornone e permettere al mio consorte di scatenare tutto il suo interesse da blasonato studente di storia per i conflitti mondiali, abbiamo passeggiato fino al Forte Busa Granda. Bisogna lasciare la macchina in Località Compet (da Levico ci si arriva in una ventina di minuti) e procedere per il sentiero – è ben indicato e si parte dal piazzale accanto all’Hotel Compet. Ci sono diverse alternative, in base alla “difficoltà” prescelta. Noi abbiamo optato per la camminata più lunga ma meno ripida (circa 1km), ma volendo ci si può anche arrampicare nel bosco dimezzando la distanza. Il forte è scavato nel fianco di un cocuzzolo e lo individuerete grazie a tre tettoie che riparano altrettanti sbocchi verso l’esterno. Si può visitare anche dentro per farsi un’idea decisamente vivida delle condizioni “logistiche” dei combattenti della Grande Guerra che presidiavano in quota la linea del fronte e amministravano il caposaldo d’artiglieria.
Una volta riemersi alla luce del sole non perdetevi il punto panoramico. Proseguite lungo il sentiero e arrivate in cima, c’è una vista splendida sui laghi di Levico e Caldonazzo.

Pranzo conclusivo prima di tornare a casa? Siamo stati in una sorta di istituzione della convivialità trentina – esportata anche in altri luoghi d’Italia -, la Fabbrica in Pedavena di Levico. Menu sterminato da birreria, allegria da birreria, cordialità da birreria e BIRRE DA BIRRERIA. Piattoni abbondanti e un consiglio spassionato: lasciate uno spazietto nello stomaco per assaggiare il birramisù.

Note più eno che gastronomiche
Per una degustazione (e un po’ di compere per rimpolpare le vostre scorte domestiche) in un luogo piacevolissimo a Levico, fate un salto alla Cantina Romanese, patria di un Trento Doc – il Lagorai – che viene affinato sott’acqua, sul fondo del lago. Giuro. Prendono le bottiglie, le imballano in una sorta di gabbione e le calano nel lago di Levico.
Per le grappe, sempre a Levico, nei pressi della via principale trovate Vettorazzi, istituzione locale.

Risorse aggiuntive? Eccole qua
Qui si possono rivedere tutte le Stories sfornate durante la visita in Valsugana. L’utile circoletto contiene anche i vari geotag e i recapiti dei luoghi, che a livello organizzativo di pare sempre comodo.
Sul profilo Instagram ci sono anche diverse testimonianze fotografiche, ma vi rimando con lena innanzitutto al Reel dedicato ad Artesella.
Gli account di riferimento per chiedere ulteriori informazioni e/o consigli pratici sono @visitvalsugana e l’ammiraglia @visittrentino. Ne approfitto anche per ringraziare il magico squadrone di Valsugana che si è preso cura di noi con sollecitudine, gentilezza e sapienza. È sempre una gioia passare del tempo da voi.

E ora, godetevi (e godiamoci) laghi, monti e malghe. :3

Ciao Trentino, che bello tornare a girovagarti. La nostra precedente esperienza estiva era già stata particolarmente felice. Siamo stati due settimane a Moena con l’infante, che al tempo viaggiava verso i due anni e saettava in giro come una capretta impazzita. Ci siamo arrampicati ovunque spingendo con coraggio un passeggino da trekking e sonnecchiando nell’erba quando anche lui si addormentava. Ora che va per i quattro – e che cammina come un piccolo bersagliere – ci siamo cimentati in una serie di percorsi diversi, approfittando dell’ospitalità della Val di Fiemme e dell’attenzione sempre assai spiccata che ogni meta riserva anche ai visitatori più piccoli.
Vista la felicità che abbiamo sprigionato, ecco qua una guidina che riassume un po’ quello che abbiamo visto, fatto e mangiato nei nostri 3 giorni e rotti di permanenza.
Procedo!

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CAMPO BASE

Panchià – Hotel Rio Bianco

Comodo per gli spostamenti ed estremamente cuoroso – a cominciare da Lara, la proprietaria. C’è un bel giardino con piscina esterna e sdraio qua e là, più vasca riscaldata e sauna (in una botte gigante da villaggio Hobbit). Parco giochi in un giardino B, piscina interna e parcheggio dedicato. La nostra stanza affacciava direttamente sul prato e in camera avevamo una spa mignon, con cabinetta per la sauna e vasca idromassaggio gigante – entrambi gli elementi si sono rivelati assai piacevoli e propizi e SIGNORA MIA CHE BENE CHE SI STA.

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PARCO DI PANEVEGGIO

Che si può fare? Parecchio. Noi abbiamo esordito con un saluto ai cervi che pascolano e galoppano. Un sentierino costeggia il loro territorio e lo si può percorrere fino al Centro Visitatori, da cui parte un circuito di diverse passeggiate.

Il sentiero che abbiamo collaudato – sia due anni fa che a questa nuova visita – è il Marciò. È un anello pianeggiante che vi permetterà di addentrarvi nella foresta e di superare diversi ponti arrogantissimi. A tal proposito, il ponte sospeso sulla Forra del Travignolo è senza dubbio il più spettacolare. Se volete spararvi tutto il Marciò, ci vogliono un paio d’ore (a passo di bambino curioso che si ferma ogni dieci secondi a guardare pure i licheni), ma se volete anche solo cimentarvi col ponte sospeso, basta imboccare l’anello al contrario – la Forra è alla fine.

Passeggini? Partendo dal presupposto che col passeggino da trekking andate sempre sul sicuro, il Marciò si può fare anche con un passeggino “normale”, nella foresta c’è più terriccio compatto che ghiaia. Il ghiaietto è più problematico vicino al sentiero dei cervi e lì un po’ potreste smadonnare.

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ALPE LUSIA – BELLAMONTE

Cesare in visibilio dal minuto uno. La cabinovia si prende dalla Località Castelir e tutto quello che si trova in cima è una specie di gioia generalizzata naturalistico-ludica. Se vi va di rendere più interessante la salita, aspettate l’ovetto numero 73: ha il fondo trasparente e risponde all’adorabile nome di NIDOPLANO. Creerà aspettative devastanti nei vostri figli, che a ogni impianto vorranno vedere cosa succede sotto, ma penso riuscirete a gestire la faccenda.

Scendendo alla stazione intermedia, potrete liberare la prole al Giro d’Ali, un parco giochi acquatico che, oltre a fornire intrattenimento, è pure circondato da un percorsino formato da diverse stazioni che puntano a insegnarci qualcosa sulla fauna svolazzante delle Dolomiti.
Il Giro d’Ali, in pratica, è un corroborante ruscelletto intervallato da diverse pozze e attività. Termina con un laghetto che ospita una zattera semovente e, in generale, è popolato da bestioline osservabili da vicino – girini che si trasformano gradualmente in rane? ECCO QUA.
C’è anche una pista sonora per biglie in legno che vi farà ben comprendere perché per fare i violini usano gli alberi del Trentino.

Consigli pratici: asciugamano e cambio. Il Giro d’Ali è divertente se i bambini possono sguazzare. Cesare è partito semi-vestito e ha concluso le operazioni in mutande, reclamando il permesso di adottare una rana adolescente. Se anche voi volete rilassarvi nei dintorni dell’area-gioco, il pendio è fornitissimo di piattaforme di legno e sdraione ondulatone di rara piacevolezza.

Vi è venuta fame? Non c’è problema. Riprendete la cabina, arrivate fino in cima e seguite le indicazioni per la Baita Ciamp de le Strie. In una mezz’oretta – considerando sempre la velocità di crociera di un bambino che si ferma a conversare con ogni sasso che incontra – arriverete a un rifugio a dir poco fiabesco, corredato di terrazzona panoramica. Il sentiero è super ameno, molto scenografico e anche facile, l’unico pezzetto di salita “vera” è quello conclusivo, brevissimo.
Al Ciamp si mangiano ottime specialità. Consiglio con veemenza gli spatzle allo speck e i canederli.

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LATEMAR – MONTAGNANIMATA

Qua in cima ci si può passare anche una settimana intera, credo. Le attività sono numerosissime. Si prende la cabinovia da Predazzo (l’impianto Predazzo-Gardoné) e si arriva al campo base della Montagnanimata. Cosa si può fare? Di tutto. Ci sono sentieri tematico-didattici per diverse fasce d’età. Noi, con una creatura di tre anni, ci siamo specializzati in fiabe e draghi. Volevamo imbarcarci anche nel percorso del Pastore Distratto o del Dahù, ma temevamo di stancare troppo l’infante. Per i bambini più grandi c’è anche il Geotrail, che pur non risultando pesante a livello cognitivo, ha un’impronta più didattica a tema geologico.

Comunque. Funziona così: la Foresta dei Draghi è bella e percorribile anche senza supporti aggiuntivi, ma di sicuro diventa più divertente e “ricca” se vi fate aiutare da uno dei librini. Tutti i sentieri della Montagnanimata sono corredati da storie illustrate che utilizzano quello che oggettivamente c’è sul sentiero per costruire una sorta di caccia al tesoro narrativa. Il libro racconta una storia e voi ci camminate dentro, seguendo gli indizi e intortando sapientemente il vostro bambino. Cosa si vede, oltre al panorama? Ci sono uova di drago, falene mitologiche, ali, denti, ossa. Noi abbiamo letto la storia di Rogos, ma i draghi disponibili a farvi da guida sono una vasta schiera. Nota rilevante: Cesare si è invasato. Già di suo è un virgulto propenso a farsi leggere cose, ma in tutta onestà siamo rimasti sorpresi dalla sua accorata partecipazione. Una volta arrivati al termine del sentiero – e se avrete seguito tutte le istruzioni del libro prescelto – ripassate al chiosco delle informazioni per ritirare un piccolo premio e riscuotere un doveroso timbrino.

Sempre all’arrivo della cabinovia, troverete anche il portentoso Alpine Coaster. In pratica sono montagne russe. In montagna. INCEPTION. È bellissimo. Vi caricano su un carrellino, vi issano su un cucuzzolo e via, potete fiondarvi giù. La possibilità di poter governare autonomamente il vostro carrellino biposto è salvifica: AVETE I FRENI. Dato il mio proverbiale coraggio, li ho azionati con grande generosità. Potete scegliere se andare a cannone (evitando di tamponare chi se la sta prendendo più comoda) o se procedere con grande calma per godervi il panorama.
Nota pratica: se i vostri figli sono più bassi di 105 cm non possono salire. Non fate l’errore che abbiamo fatto noi. DAI CESARE SALIAMO SU QUEST’AFFARE STUPENDO! Ah, no. Sei troppo basso. Lacrime.

Per godere di un superbo panorama, prendete la seggiovia per Passo Feudo. In cima c’è un rifugio per mangiare qualcosa beandovi della vista. Per i camminatori più carrozzati, da lì partono anche sentieri assai appaganti. Noi, disponendo di un bambino piccolo e non di Paolo Cognetti, ci siamo limitati a bere un grappino.
La seggiovia è praticabile anche da chi è stato ripudiato dall’Alpine Coaster.

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CENE

Di mio, preferisco non cenare in albergo perché mi piace avere occasioni aggiuntive esplorazione. E i dintorni di Panchià – per quanto costellati di autovelox – si sono prestati parecchio.

Tito – Il maso dello speck

A Daiano, a pochi minuti da Cavalese. Istituzione culinaria locale, dotata anche di portentoso spaccio dove acquistare prodotti tipici di varia prelibatezza. Si mangia all’interno, ci si nutre e si bevono distillati e birrone nei tavoli fuori, ci si può aggirare nei dintorni e i bambini hanno a disposizione un parco giochi di rara estrosità architettonica, tutto di legno. Senza ombra di dubbio la serata più piacevolona della vacanza.

Ristorante Miola

Strada che si arrampica nel bosco con bonus-track tramonto dalla terrazza. Il maso appartiene dagli anni ’50 alla stessa famiglia, che continua a gestirlo e a preservarne le tradizioni. Anche qui, deliziosi piatti tipici preparati con ingredienti locali e un’ottima selezione di vini altoatesini.

E se piove?
Non siamo riusciti a goderci a pieno l’itinerario che avevamo previsto per il Cermis, ma abbiamo salvato la giornata con un pranzo “lungo” al Maso Corradini, altro punto di riferimento solidissimo. Gestito dalla famiglia Corradini dagli anni ’70, è stato uno dei primi agriturismi aperti in Trentino. Oltre al ristorante e ai terreni limitrofi – il giardino è bellissimo -, si può scorrazzare per il celeberrimo lamponeto e si può visitare l’azienda agricola. Bambini che guardano caprette, mucche, galline, coniglietti: a posto. Se non basta, c’è pure il parco giochi – Cesare ha deciso di andare a convivere nella casetta con una bambina di nome Maria Vittoria. Non lo biasimo, Maria Vittoria era molto simpatica.

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Un suggerimento pratico: chiedete al vostro albergo di attivarvi la Fiemme Guest Card. Ci sono un sacco di agevolazioni e sconti sul fronte dei trasporti, degli ingressi e – aspetto fondamentale – dei biglietti degli impianti di risalita.

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Se capiterete da quelle parti, fatemelo sapere. E alla sera portatevi una felpetta, che grazie al cielo FA FRESCO.
Spero di aver sprigionato dell’utilità per le vostre meritatissime ferie. :3

Gli esseri umani contemporanei hanno smesso di affrontare le stagioni con il rassegnato fatalismo del villico timorato di Dio. Se il susseguirsi di climi e temperature diverse era, un tempo, un fatto incontrovertibile da accettare e mettere in saccoccia, oggi l’arrivo dell’inverno o dell’estate suscita virulente polemiche, alzate di scudi e battaglie più o meno epiche.

Perché mi sfuggi, infido palloncino!

Sarà che il cambio dell’armadio ci crea problemi organizzativi e furori generalizzati, sarà che forse il villico dell’Alto Medioevo – per quanto la sua esistenza fosse difficile e flagellata da pestilenze, carestie, signorotti prepotenti e superstizioni invalidanti – affrontava escursioni termiche meno drastiche e repentine delle nostre, sarà che ormai siamo rissosi e basta, ma poche cose al mondo hanno il potere di farci infervorare come il clima. E no, non parliamo del tempo atmosferico con l’aplomb dei britannici – che dopo secoli di pioggia finissima hanno elevato ad arte la conversazione a tema meteo -, macché. Le compagini che appoggiano l’estate o l’inverno sono assai più bellicose. Il primo giorno d’afa in giugno viene salutato da sentitissime sollevazioni – BRAVI VOI CHE AMATE L’ESTATE SIETE CONTENTI SI CREPA SUDO COME UNA BESTIA FACCIO SCHIFO SUI MEZZI PUZZANO TUTTI COMPLIMENTI EH CHE BELLE ROBE CHE VI PIACCIONO -, così come le prime nebbie autunnali – VENITEMELO A DIRE DI NUOVO QUANT’È BELLO L’INVERNO DAI SU SE AVETE CORAGGIO MA VI PARE LA NEBBIA SIETE DEGLI ASINI. E via così. Fino al successivo cambio di stagione.

Autunno, ho smesso di combatterti. Vago vestita da pescatore islandese. E bene che sto. 

Io, che di natura sono polemica in maniera generalizzata, ho deciso che la strategia migliore è trovare qualcosa di cui lamentarsi ad ogni stagione. Perché credo sia quello che in fondo ci preme davvero. E lo sappiamo tutti. Mica viviamo in un’area pseudotropicale dal caldone costante. Così come non dimoriamo in una distesa ghiacciata invasa da foche leopardo e narvali vendicatori. Lo sappiamo perfettamente che l’estate non durerà per sempre, o che l’inverno dovrà ben arrivare prima o poi. Ci lamentiamo perché ci piace lamentarci. E non dovremmo vergognarcene.

Qua son contenta perché ho interiorizzato la polemica.

L’estate, secondo me, è mirabile dal punto di vista della luminosità e della lunghezza quasi eterna delle giornate. E ci dona anche la possibilità di poltrire all’aperto sorseggiando cose. È pure più facile vestirsi in maniera interessante senza eccessivi sbattimenti. L’abbronzatura ci rende meno spettrali. In estate ci sono le vacanze.
Poi chiaro, per stare in piedi devo bere delle damigiane di Polase, le zanzare riemergono dai loro nascondigli per perseguitarci, fai venti metri e pezzi come un maratoneta, sui mezzi pubblici si soffoca (o si surgela), partono le guerre coi colleghi/i partner/i congiunti per la gestione dell’aria condizionata, vuoi andare in giro e basta e non lavorare mai più, sui Navigli c’è ressa, la miglior stampa persevera nel pubblicare articoli sulla cellulite delle star, truccarsi diventa impossibile e se hai i capelli lunghi passi due mesi col collo umido. Ma pure se te li tiri su.

L’inverno, di contro, spazza via insetti ed eccessive sudorazioni, ci propone soluzioni vestimentarie che ci mettono di fronte a crisi d’autostima di minor portata, c’è il Natale, c’è il fattore poesia della neve, le cose ricominciano a succedere, bere la cioccolata torna ad essere plausibile, raggomitolarsi sotto al piumone è bello, i gatti ti vogliono più bene perché hanno freddo e ti vengono vicino, risotti, polenta, anolini in brodo, pizzoccheri, bombardini sulle piste da sci.
Va bene, è pur vero anche che ci viene il raffreddore, ci si surgelano i piedi e che bisogna andare in giro con la cuffia, i guanti, la sciarpa e il demonio sa cos’altro e che quando arrivi in un posto ci vorrebbe un tavolo aggiuntivo solo per buttarci su tutto quello che hai addosso. C’è un’oscurità sconfortante e cimiteriale, i bambini si ammalano ogni ventisei minuti, se non possiedi tredici cappotti ti sembra di essere sempre vestita uguale, ci si impigrisce vergognosamente, bisogna vivere col burrocacao in mano o ti si crepa la faccia.

Ti ho afferrato, accidenti!

Però, che rivelazioni.
Che indagine!
Che osservazioni sagaci e assolutamente rivoluzionarie.
Ecco, il punto è proprio quello.
Lo sappiamo che funziona così. 
Cercare di prevalere sulla compagine opposta è del tutto inutile. Non ci farà sudare di meno d’estate così come non ci metterà al riparo dai terrori della sinusite d’inverno. Non ci farà risparmiare cerette nei mesi caldi così come non ci restituirà ore di luce a gennaio.
Perché accapigliarci, quando possiamo semplicemente unirci nel sacro hobby della lamentela? Lamentiamoci simmetricamente di tutto quello che ci pare.
Esercitiamo il diritto di detestare – sempre e comunque – gli aspetti più nefasti del clima stagionale, senza accusare il nostro prossimo di scarsa coerenza.
Sventoliamo vestitoni fiorati in allegria e spiaccichiamo zanzare con autentico furore. Godiamoci la tisana alzando al cielo i pugni pieni di fazzoletti smoccolati.
E appena ci saremo abituati a infastidirci collettivamente per quel che merita fastidio, la stagione cambierà di nuovo. E potremo ricominciare da capo.
Non è questione di schierarsi col Team Estate o col Team Inverno. Gli estremi meritano di essere combattuti da un fronte compatto di polemica. Alleniamoci a concordare sulle discordie, mentre ancora possiamo andare in giro col giacchino e basta. Winter is coming. E, per quanto gli alberi di Natale possano rallegrarci, i White Walkers non stanno simpatici a nessuno. Ammettiamolo, maledizione. Che ci costa. Team Polemica, per salvare i Sette Regni!

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Afferrare il nulla.

Le scarpine di questo post fanno parte della collezione autunno-inverno 2018 di Scholl, che mi sorregge sin dai primi caldi con le sue saggissime calzature – del tutto immuni alle polemiche, date le loro caratteristiche di spiccata comodità e suprema comprensione delle difficoltà strutturali di ogni stagione. Gli stivaletti si chiamano Peyton: sono super confortevoli – la mini-zeppa di 4 cm è provvidenziale, almeno per la mia schiena -, sono equipaggiati con la consueta tecnologia Memory Cushion (che li rende pantofolosi e ammortizzati, nonché caldissimi dentro) e i materiali sono ottimi (w il Nabuck).
Per dare un occhio a tutte le scarpe invernali, per trovare un negozio o per comprare cose direttamente online, ecco qua il sito di Scholl.
E buone battaglie stagionali a tutti.

Salto, che saltare fa sempre ottimismo. 

 

Sto per partire, incredibile ma vero. E quest’anno, forse, riuscirò anche a riposarmi vagamente – nonostante l’adorabile ma impegnativa presenza dell’erede. A grande richiesta (sul serio, mica racconto panzane), arriva dunque l’elenchino di libri che avrei l’ambizione di leggere in agosto. Fallirò? Ne leggerò uno in croce e mi sentirò scema come una roccia? È possibile. Ma non demoralizziamoci anzitempo. Ecco qua una lista ultra-aspirazionale di romanzi e/o vari prodotti editoriali accumulati negli ultimi mesi e inesorabilmente rimandati “a quando potrò finalmente buttarmi a pancia per aria”. Non li ho ancora letti, ma per una serie di ragioni vorrei farlo. E magari verrà voglia di farlo anche a voi. In chiusura, poi, troverete qualche fulmineo consiglio per letture estive già collaudate e dunque raccomandatissime.

Ma procediamo, che se no mi rubano il posto a bordo piscina e l’infante mi scappa prima che possa cospargerlo di protezione OTTOMILA.

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DIVERSI LIBRI CHE VORREI LEGGERE MOLTO

Beatrice Mautino
Il trucco c’è e si vede
(Chiarelettere)

Una biotecnologa e divulgatrice scientifica – molto istruttiva anche su Instagram – tenta di diradare le possenti nebbie del marketing sensazionalistico per aiutarci a decifrare meglio quello che ci spalmiamo in faccia. Dalla cosmesi al BIUTI, una piccola e rigorosissima guida per spendere soldi (spesso parecchi) in maniera più consapevole e saggia.

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Alan Rauch
Il delfino
(Nottetempo)
Traduzione di F. Conte

L’ultimo arrivato nel serraglio della collana Animalía di Nottetempo: un imprescindibile saggio zoologico-culturale sul delfino. Dalle doti acrobatiche ai risvolti mitologici, dalle leggende all’arte, una storia ragionata e super estrosa di una bestia acquatica che sembra meritarsi da centinaia di anni la nostra più sincera fascinazione.

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Simone Lisi
Un’altra cena
(Effequ)

Quattro amici e quattro atti per raccontare una cena. Chiacchiere quotidiane che diventano passettini verso una specie di abisso in cui le cose che non ci diciamo restano in agguato. Vorrei leggerlo anche solo per capire se i commensali, alla fine, riescono a digerire.

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Gail Honeyman
Eleanor Oliphant sta benissimo
(Garzanti)

Traduzione di S. Beretta

Mi pare di capire che Eleanor Oliphant sia piaciuto a tutti. Il che, di solito, è una roba che mi insospettisce. Comunque, la storia è quella di una ragazza un po’ svitata e solitaria che parla solo con una pianta in vaso e tiene tutti a debita distanza, convincendosi che l’autarchia emotiva sia la chiave per superare il grande trauma che l’ha segnata. Ma che succede quando qualcuno tenta finalmente di rompere il guscio? Non ne ho idea, ma vorrei scoprirlo… sperando che Eleanor non diventi la nuova Amélie Poulain.

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Michele Mari
La stiva e l’abisso
(Einaudi)

L’opera di recupero degli arretrati di Mari prosegue con caparbia gradualità. Tanti romanzi non sono stati ristampati per parecchio tempo ed erano praticamente introvabili… ma il vento pare essere cambiato. Anche se di vento, in questo libro, pare essercene ben poco. La storia si svolge su un galeone spagnolo inchiodato dalla bonaccia in un angolo remoto d’oceano. Il racconto segue la diffusione di una follia strisciante e misteriosa che si impadronisce lentamente dell’equipaggio, mentre il capitano – bloccato nella sua branda -, tenta di districarsi nei meandri di una realtà allucinatoria e sconosciuta.

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Michael Crichton
I cercatori di ossa
(Longanesi)

Traduzione di D. Comerlati

Che vi devo dire, Il regno distrutto è piaciuto solo ad Amore del Cuore. Chissà che cosa direbbe Crichton di Jurassic World e seguiti vari, CHISSÀ. Ma non soffermiamoci su domande che non avranno mai risposta. Leggiamo, piuttosto, il primo romanzo a base di dinosauri del compianto creatore di Jurassic Park. La storia è ambientata nel selvaggio West nel 1876. Qui, in mezzo alla polvere e a indiani battaglieri, un paleontologo si accinge a riportare alla luce una scoperta sensazionale, che gli verrà però contesa da una spedizione rivale, pronta a tutto per fargli le scarpe. E forse anche la pelle.
I cercatori di ossa è una specie di evento. Il libro, infatti, è stato “rinvenuto” – non si sa se sottoterra o no – dieci anni dopo la morte dell’autore e non era mai stato pubblicato da nessuna parte.

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Elena Ferrante
L’amore molesto
(E/O)

Della Ferrante ho letto solo la quadrilogia dell’Amica geniale. E, onestamente, vorrei approfondire. E/O ha inaugurato da qualche mese una collana – Le Cicogne – che raccoglie i titoli più emblematici e “famosi” della casa editrice. E il libro che ha fatto conoscere la Ferrante al grande pubblico non poteva mancare. Sempre ambientato a Napoli, L’amore molesto è la storia del rapporto vastissimamente problematico tra una madre (che si ammazza) e una figlia che cerca di sottrarsi al potere soverchiante del loro rapporto.

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Teju Cole
L’estraneo e il noto
(Contrasto)

Traduzione di G. Guerzoni

Teju Cole è un intellettuale a tutto tondo. Fotografo, narratore, artista e viaggiatore, è una delle penne più eclettiche e curiose del panorama culturale contemporaneo. L’estraneo e il noto è una raccolta di articoli e piccoli reportage – mai comparsi in Italia – in cui Cole affronta temi diversissimi, toccando argomenti di pressante attualità (come il movimento Black Lives Matter) e rileggendo gli eventi più disparati attraverso la lente della creatività e della riflessione artistica.

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Isaac Bashevis Singer
Satana a Goraj
(Adelphi)

Traduzione di A. Dell’Orto

Un testo di rara potenza linguistica, fatto di foschi presagi e vasti misteri. Siamo nel 1666, tempo di fedi ferventissime, paesaggi desolati, maledizioni e catastrofi. Sprofondare nel peccato e nell’oscurità per riemergerne purificati: gli ebrei polacchi della piccola comunità di Goraj attendono l’arrivo (profetizzatissimo) del nuovo Messia, che porrà fine al loro Esilio e li condurrà nuovamente in Terra Santa. Peccato che a tirare le fila della sfrenata deriva morale di Goraj ci sia il diavolo in persona e che nessuna promessa, quando c’è di mezzo Satana, può dirsi sacra.

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Tristan Garcia
7
(NN)
Traduzione di S. De Sanctis

Qui basta proprio “il concept” del libro. Sul mercato c’è una nuova droga. Se la prendi avrai la possibilità di ritornare al tuo “schema cognitivo” dei trent’anni, dei venti o dei dodici. Non ho idea di come questa roba possa svilupparsi all’interno di una narrazione o che cosa diamine capiti partendo da queste premesse, ma sono già travolta dalla fascinazione.

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Piero Angela
Il mio lungo viaggio
(Mondadori)

L’autobiografia di Piero Angela. Non penso sia necessario aggiungere altro.

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Tara Westover
L’educazione
(Feltrinelli)

Traduzione di S. Rota Sperti

La vicenda di Tara Westover è così incredibile che, sulle prime, ero convinta che L’educazione fosse un romanzo e non un memoir. Cresciuta in una famiglia di mormoni in mezzo alle montagne dell’Idaho, Tara vive all’interno di un microcosmo completamente scollato dalla realtà. In casa non ci sono libri e non ci sono giornali. Andare a scuola è vietatissimo, la medicina “scientifica” è bandita e le uniche occupazioni possibili per lei e per i fratelli sono aiutare i genitori a mandare avanti il rottamaio del padre o bollire erbe per la madre guaritrice. A diciassette anni, però, Tara scopre un’alternativa… e sceglie di emanciparsi con l’unica arma su cui può ragionevolmente mettere le mani: l’educazione.

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C. S. Lewis
Lontano dal pianeta silenzioso
(Adelphi)

Classicone della fantascienza. Un professore di filologia viene rapito da due scienziati e trasportato su un altro pianeta, Malacandra. Il professore riuscirà a fuggire e partirà per una personalissima esplorazione del mondo su cui è coercitivamente capitato. Incontrerà le creature più impensabili che, condividendo con lui i segreti del loro pianeta, gli sveleranno in realtà il grande mistero della Terra, “pianeta silenzioso” che ha smesso ormai da millenni di comunicare con gli altri mondi.

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Eleonora C. Caruso
Le ferite originali
(Mondadori)

Per la rubrica “Esperimenti arditi”, tuffiamoci nel groviglio della più subdola seduzione. Dunque, trattasi di complicatissimo triangolo sentimentale con devastante resa dei conti finale. Anzi, quadrangolo. Anzi, facciamo così: c’è un bellissimo ingannatore. Si chiama Christian. Christian sta, contemporaneamente, con Dafne – che studia medicina -, Davide – che studia ingegneria fisica – e Dante – un fascinoso quarantenne con famiglia e una RAL assai robusta. Nessuno dei tre, ovviamente, è a conoscenza della vastità delle panzane che Christian – tra un’ondata e l’altra di euforia/autodistruzione da disturbo bipolare – va loro spiattellando. Che accadrà? Ne usciranno mai? Ne usciranno interi? Chissà.

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LIBRI CHE HO GIÀ LETTO (PIÙ O MENO RECENTEMENTE) E CHE SECONDO ME SONO VACANZIERI E MERITEVOLI

Valeria Fioretta
Se tu lo vuoi
(Piemme)

Dunque, seguo Valeria ormai da qualche anno. Amo il suo blog e mi piace ascoltarla dai remoti albori di Snapchat. Sono molto contenta che sia riuscita a trovare il tempo di scrivere un romanzo e sono ancor più felice di averlo apprezzato. Perché quando qualcuno che “conosci” – anche solo virtualmente – scrive qualcosa la faccenda si fa sempre spinosa. Vorresti avere la possibilità di parlarne bene, ma mica è detto che escano sempre delle meraviglie. Niente, Valeria mi ha fortunatamente liberata dall’imbarazzo scrivendo un libro godibilissimo. È una storia di sentimenti, di cuori che si aggiustano e di avventure cittadine estive (in quel di Torino). La protagonista, Margherita, viene brutalmente mollata da un uomo che le piaceva parecchio – e che aveva cercato di irretire con ogni mezzo, fallendo -, evento che la fa sprofondare repentinamente in una specie di rabbiosa letargia da abbandono. Si riprenderà facendo una cosa lontanissima dal suo “personaggio”: la tata per una bambina sveglia ma molto riservata, figlia di un papà single. Già, l’impianto è da commedia romantica… perché sì, è una commedia romantica, alla fin fine. E funziona bene. È un libro leggero (nell’accezione più positiva del termine) e spigliato, pieno di battute sagaci e di sinceri interrogativi sullo stare al mondo. Si legge volentieri, Valeria ha una voce narrante molto caratteristica e si finisce per fare il tifo per Margherita… il che è un ottimo segno, perché ci si affeziona veramente solo ai personaggi che funzionano.
Portatevelo in spiaggia insieme a un bricco di Estathé. La morte sua.

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Marco Marsullo
Due come loro
(Einaudi)

Altro romanzo ad alto tasso di ombrellonabilità, con tanto di Dio in camicia hawaiana e Diavolo che stappa ottime bottiglie di rosso. Non è un libro che vi spalancherà reami inesplorati dell’interiorità, ma la storia è piacevolmente caciarona, nonostante la posta in gioco sia la salvezza eterna delle anime. Come funziona? C’è un tizio piuttosto derelitto e cialtrone – che risponde all’improbabile nome di Shep – che serve (a insaputa delle controparti) sia Dio che il Diavolo. Il suo compito, per entrambi, è quello persuadere gli aspiranti suicidi a gettarsi di sotto (un punto per il Diavolo) o a scendere dal cornicione (un punto per Dio), garantendo così l’equilibrio ultraterreno. Shep, che ancora non si è ripreso dalla rottura con l’amatissima Viola, si barcamena in questo scenario impossibile, facendo del suo meglio per non farsi stramaledire da nessuno dei due importanti committenti e cullando perennemente il sogno di riconquistare la fidanzata perduta – ormai instradata verso una nuova vita.
Portatevelo a bordo piscina – ma solo la piscina è piena di smandrappone come quelle che piacciono a Dio – o in cima a un vulcano. In ogni caso, non scordate il salvagente e non sporgetevi nel cratere.

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Jean Echenoz
Inviata speciale
(Adelphi)

Traduzione di F. Di Lella e L. Di Lella

Echenoz ha una scrittura che, lì per lì, potrebbe anche risultare fastidiosa. Perché è perennemente arguto. In maniera quasi sfiancante. Ogni frase è un piccolo mondo in miniatura dove ogni nevrosi, stramberia o dettaglio insolito vengono amplificati fino ad ottenere un festival dell’assurdità umana. Ciò detto, è così bravo che stai lì e ti sciroppi tutto. Questo libro è una specie di spy-story surreale, che si apre con il sequestro di una bella donna – con poco senso pratico – e si sviluppa in maniera ancor più imprevedibile, trasformandosi in un tentativo di destabilizzazione della Corea del Nord. Lo so, sembra una barzelletta, ma Echenoz vi tira scemi fino alla fine, nonostante le estenuanti descrizioni della vastissima rete metropolitana parigina.

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Temo di essere stata eccessivamente ambiziosa. Ma il buonsenso è palesemente una virtù che non mi appartiene. Quindi metto in valigia… e parto. Sperando di aver scelto bene.
La vostra brama di mamozzi da leggere non si è ancora placata? Date un occhio alle numerose liste e recensioni che popolano coraggiosamente la categoria Libri e il video-archivio dei #LibriniTegamini. E godetevi delle corroboranti vacanze all’insegna della miglior nullafacenza.

I giretti estivi del tardo pomeriggio sono impagabili. Fa meno caldone, ci si può meravigliare a lungo del magico (per quanto astronomicamente spiegabilissimo) fenomeno della luce che resiste fino alle nove passate, è lecito bere dei MOITI, c’è un po’ di margine di manovra per entrare nei negozi e le zanzare non sono ancora in pieno assetto da combattimento.
Che paciosità.
Trovando particolarmente corroboranti tutti questi preziosi fattori ambiental-geografici, una delle mete che preferisco è la zona di Porta Genova – Navigli e dintorni, insomma. I Navigli sono vispi e celano angoletti di rara gioia? MA VA. CHE SCOPERTA. GUARDA CI HAI CAMBIATO LA VITA. SVOLTA! STUPORE, PROPRIO!
Ebbene, poterci arrivare a piedi da casa è una fonte di perpetua felicità. E, dopo averli perlustrati in lungo e in largo, è anche assai piacevole rendersi conto di aver individuato dei solidi punti di riferimento. Quindi sì, mi piace vagare sui Navigli. Ci vado regolarmente e mi fermo pure in cima ai ponti per fare le foto. Insieme alle giapponesi con la visiera, alle fashion blogger col cestino di paglia e agli scandinavi che si mettono a tavola alle 17.45. E buon per me.

Come forse già saprete, poi, ho fatto amicizia con Scholl… in nome di una deambulazione più confortevole ma comunque esteticamente appagante. Visto che l’approccio del primo post è stato un po’ più “metodologico” – vedi: perché siamo qui e perché ci stiamo occupando con gioia di queste calzature -, per il secondo articolo ho deciso di affrontare il collaudo uno spirito decisamente più turistico, raggruppando qui le mie mete preferite del circondario Navigli. Anche perché, diciamocelo con sincerità, i ciottoli tondi che ci sono in terra sono molto belli, ma camminarci su è la morte. Idem per la pavimentazione della Ripa: pavé sconnessissimo CON BINARI. Insomma, quale luogo migliore per mettere definitivamente alla prova dei sandali (non eccessivamente “sportivi”) e per sfornare una listina di luoghi meritevoli da visitare? 
Ma strutturiamoci.

  • Approccio generale al quartierino
  • Posticini per bere
  • Posticini per mangiare
  • Posticini dove spendere dei soldi
  • Coordinate sandalesche

Che programma, gente. Che programma.

Approccio generale al quartierino

Per vagare sul Naviglio si può arrivare con la metro da Porta Genova o iniziare il giro da Piazza Ventiquattro Maggio, ma la cosa importante, secondo me, è passeggiarselo tutto. Prima da un lato e poi dall’altro. Aggiungendoci pure via Vigevano e relative traverse. Dopo un primo moto di insofferenza verso la fila di bar super attrezzati per gli aperitivi-mangiatoia, vi troverete in più degna compagnia. E numerosi locali o negozi – che sicuramente dimenticherò di elencare qui – sapranno sorprendervi, spuntando anche un po’ all’improvviso. Per beneficiare del mercatino sul Naviglio Grande, poi, tenete d’occhio il calendario. Di sabato ci sono le bancarelle, ma il mercatone “vero” dell’antiquariato c’è solo l’ultima domenica del mese.

Posticini per bere

Ora, quand’ero all’università puntavo a spendere poco e a riempirmi il piatto di cous-cous mollicci, frittate umide, patate al forno salatissime e pizzette gommose. Seduta su un cubo di legno ben poco ergonomico o su uno sgabello tagliachiappa. Ma il tempo dei baracci è finito. Sono una signora, ormai. Se esco, voglio bere un cocktail pieno di ingredienti super curati, preparato come si deve e, possibilmente, accomodandomi in un luogo ameno. Inizio dal MAG perché risponde a tutte queste caratteristiche (più gli arredi pazzi e il menu che vi arriva dentro a improbabili libri da bancarella) e perché le foto le abbiamo fatte lì. Mica scemi.

Sandalini Floralie con le pietruzze e un WONKY EYE non provocato dal bicchiere di bianco, giuro. Tutta farina del mio sacco. 

Non tocco terra coi piedi, ma che ilarità!

Alternative altrettanto valenti per quando non trovate posto al MAG: il Banco sul Naviglio Grande e Ugo in via Corsico.

Posticini per mangiare

Non sto più dietro alle nuove aperture con il ritmo di una volta, perdonatemi. Ma sono comunque riuscita a sviluppare un mini-elenco di preferiti. Sarò banale, ma Temakinho mi piacerà in eterno. Nippo-brasiliano, roll buonissimi e non noiosoni, più il sacrosanto diritto di pasteggiare a caipiroske: la vita. Bisogna prenotare settantasei anni prima e hanno una “turnazione” che un po’ mette l’ansia, ma si mangia bene e c’è gioia.
Cambiando genere, un posto in cui siamo tornati diverse volte – con prole al seguito, anche – è The Brisket. Barbecue texano originale (quindi carne cotta a bassa temperatura per tantissimo tempo) e menu composto esclusivamente da succulento confort-food. Non siamo mai capitati nel tavolone di pietra fosforescente, ma vi auguro di finirci.
Pizza? I Capatosta sul Naviglio Grande (per la pizza napoletana), Berberè in via Vigevano (se dovete invitare fuori Wes Anderson) e Spontini che affaccia sulla Darsena (se digerite bene e se vi incuriosiscono le istituzioni milanesi).
Varie ed eventuali? Tokyo Table per salvarvi dagli OLIUCHENIT ciabattoni, The Meatball Family per polpette VIULENTE (è il ristorante di Abatantuono e va bene per serate cicciarde) e Taglio, una salumeria/bistrot/ristorante dove ci schieriamo anche per il brunch.
E, visto che non ho mai dimenticato il panino con le panelle che ho mangiato a Catania, sto scalpitando per far visita a FUD in via Casale. Ha aperto pochi giorni fa, ma penso abbia già migliorato la vita di innumerevoli milanesi.

Non mi sono ancora giocata la didascalia definitiva (anche a nome dei miei piedi tozzissimi): CHE BENESSERE.

Posticini dove spendere dei soldi

Dunque, mi pare doveroso cominciare da un cortile. Alzaia Naviglio Grande numero 4. A parte il contesto scenograficissimo e ricco di rampicanti, troverete lo stupefacente Così Cozy – un negozio di oggettistica e design vintage con un occhio particolare all'”americana” – e Anthropology, abbigliamento e accessori super selezionati e molto MODAH…ma non banali. Vado a frugarci sempre perché vendono uno dei miei brand preferiti per le stampe assurde (Nice Things Paloma S.). All’inizio di Vicolo dei Lavandai, poi, c’è Minuit. Non so bene come descriverlo, Minuit. Potrei risolverla rapidamente dicendo che non solo mi metterei tutto quello che vendono, ma che andrei anche volentieri a viverci dentro.
E le librerie? Non facciamoci mancare niente. All’angolo con via Corsico c’è la sede storica del Libraccio – il primo punto vendita è stato proprio quello -, che si è ormai espanso coprendo più o meno un centinaio di vetrine. Potrete frugare nella libreria dell’usato malridotto ma affascinante, nella libreria specializzata in illustrati e libri d’arte e nel negozio “delle novità”. Se siete più affezionati a fumetti, graphic novel e manga (e magari sclerate pure per il merchandising e i Funko Pop), all’angolo con via Casale c’è SuperGulp, un’altra istituzione cittadina.

Ciao, sono la foto che spezza un paragrafo lungo.

Spostandoci sulla Ripa, poi, il luogo magico per eccellenza è Nipper. Antiquariato, modernariato, design storico, aggeggi meccanici, tecnologie più o meno arcaiche. Si va dalle macchine da scrivere alle pompe di benzina, dai grammofoni alle insegne al neon. Gioia grande. Tornando ai vestiti, poco più in là c’è Lo Show Room, un negozio all’apparenza piuttosto anonimo (se paragonato ai fantasmagorici rivenditori di vintage della Ripa) ma pieno di capi estrosi e di ottima qualità. L’ultima volta che ci sono passata mi sono arrabbiata tantissimo perché il vestito FAVOLA con le gru piumate che volevo era ovviamente già stato venduto. Me lo dovevo comprare subito, maledizione.
Sul fronte via Vigevano, invece, il mio nuovo posto preferito è Tenoha, lo store-ristorante giapponese. Spazio meraviglioso, assortimento avvincentissimo di prodotti artigianali importati – dalle ceramiche ai tenugui – e un doveroso occhio di riguardo alla cancelleria. L’approccio è minimalista e non kawaii, ma direi che non possiamo lamentarci. Sempre in via Vigevano ci sono I See – occhialeria celeberrima per la sua vetrina e per l’estroso approccio all’ottica – e, al 35, Garden K, un raccoglitore di curiosità e capi quasi unici.
E direi di concludere assegnando l’ambito Premio Eclettismo a Brandstorming, un “collettore” di proposte handmade. Gioielli, prodotti in tessuto, artigianato artistico e, in generale, oggetti con una storia da raccontare.

Thinking of patatine.

Coordinate sandalesche

I sandali che mi hanno magistralmente sostenuta in questa lunga passeggiata navigliesca sono i Floralie della collezione primavera/estate 2018 di Scholl. Pietruzze fru fru e tecnologia Gelactiv che ammortizza i passi. Data la conformazione a salamella dei miei piedi, temevo un po’ il cinturino frontale. È piuttosto sottile e, di solito, i cinturini così provocano risultati sanguinosi. Ebbene, ne sono uscita indenne. E la pavimentazione impossibile del Naviglio mi è testimone.

Perdonatemi, non sono una piedista. Ma voi guardate le scarpe. 

Orbene, spero di avervi fornito qualche utile (e soprattutto rapido) spunto per girellare da queste parti. Senza maciullarvi i piedi, possibilmente.
:3

***

Credits
Trucco: Le Feltrin
Foto: Christian Fregnan

 

Il titolo di questa rubrica mi fa molta tenerezza. È quel “weekly”, proprio. Ma magari fosse una rubrica WEEKLY, signora mia. Magari, accidenti! Nonostante la scarsa periodicità dell’impresa, però, le mie brame e i miei desideri sono solidi e duraturi. E qui ci sono le ultime cose che ho scovato e amato. E che vorrei ardentemente nell’armadio, nella scarpiera o, più in generale, nella mia vita.
Come di consueto, può capitare che ci siano aggeggi che ho scoperto, apprezzato e scelto grazie alla solerte sollecitazione di un ufficio stampa o di un brand. Li trovate segnalati con un agile *.
Procediamo?
Procediamo, orsù!

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Una delle missioni di quest’estate sarà il rinnovo del parco-costumi. Perché non ho praticamente più materiale per riempire il pezzo sopra e tutti i bikini che possiedo sono ormai impraticabili. Per consolarmi della dipartita penso irreversibile della mia terza abbondante, ho deciso di dedicarmi con attenzione anche ai parei, ai caftani scenografici da nobildonna della Versilia e alle ciabattine. L’ambizione massima sarebbe l’abbinamento costume-pareo-ciabatta da declinarsi sull’intero guardaroba spiaggiaiolo. Non so se ce la farò, ma voglio crederci. Anche perché, facendo amicizia con Scholl*come forse avrete già avuto modo di vedere – ho scoperto lo sterminato universo delle Bahia. Ci sono centomila colori diversi (molto allegri e saltellanti), sono comode, sono leggerissime, hanno la magica suola Bioprint (come molte altre scarpine della collezione) e pure i laccetti regolabili. Inizierei da quelle rosse. Poi vediamo come si mette.

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Altra missione estiva di importanza quasi intergalattica: la sporta di paglia. Perché tutte le sporte di paglia che piacciono a me costano minimo cento euro? Non mi pare normale. Sono belle, va bene, ma è pur sempre paglia. Capisco il valore dell’handmade, ci mancherebbe, ma cento bombe per della paglia mi pare comunque un po’ eccessivo. Mi sto dunque dedicando a puntigliose ricerche, nel tentativo di individuare commercianti di accessori non vergognosamente esosi ma comunque in grado di sfornare borse piacevoli, solide e pratiche. Le meravigliose ragazze di Vita su Marte hanno già fatto un pezzo del lavoro, rivelando al mondo l’esistenza di La Petite Sardine, ma non voglio accontentarmi. Ed eccoci qua con Gioseppo. C’è un po’ di tutto, da Gioseppo – e i prezzi sono un po’ più alti, ma senza diventare inaccettabili. La rafia viene spesso combinata con nappine, intrecci e tessuti variamente annodati, ma anche rifinita con manici, bordi e chiusure in pelle (almeno all’apparenza). Insomma, ci sono borse di paglia-paglia e accessori di paglia che potrebbero funzionare bene anche per chi le ferie le ha ad agosto e deve comunque sciropparsi due mesi di caldo in città e brama una borsa non troppo spiaggiaiola o contadinesca, ma comunque estiva.

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Vecchi amici che continuano a fare cose belle: Le Palle. Mi è bastato un giretto allo stand al Salone del Libro per ricordarmi la genialità del progetto – e il suo inesauribile potenziale. Perché le menzogne che possiamo raccontare agli altri per renderci la vita meno insopportabile sono praticamente infinite. Sto pianificando l’acquisto della valente maglietta NON HO MAI NIENTE DA METTERMI, ma anche della gamma completa dei quaderni con le panzane lavorative (spesso dolorosamente web-related).

E visto che siamo in tema, vi segnalo con gioia anche l’apertura di un piccolo shop di cancelleria – anzi, di cose di carta, cose per scrivere e cose utili. Si chiama Pencil Panda e auguro loro ogni successo. Se il tema vi appassiona, date anche un occhio a questa listona.

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L’ESA, tra le altre cose, fa anche delle magliette adorabili (e molto minimal) con su i pianeti.

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Dunque, su Literary Emporium spenderei volentieri tutto quello che ho, ma sto cercando di razionalizzare. E iniziare da una spilla dell’Ancella mi sembra una buona idea (anche perché dovrò pur abbinare qualcosa di altrettanto incisivo alla mia felpa). Se vi sentite particolarmente refrattari all’autorità, poi, potete anche orientarvi sulla micro-collezione delle spillette distopiche.

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Che a Milano esista un negozio dedicato ai prodotti BIUTI coreani ormai lo sanno anche le lucertole dell’isola di Pasqua. Si chiama Miin ed è in Corso Magenta, più o meno. Sono andata a farci un giro per l’evento di apertura e ho cercato di assimilare più nozioni possibili, nella speranza – che mai morirà – di trovare il modo di migliorare la mia faccia. Non ho avuto il tempo, purtroppo, di farmi costruire una BIUTI RUTIN coreana personalizzata, ma ho esaminato con perizia gli scaffali e mi sono fatta spiegare lo spiegabile. Partendo dal presupposto che avrei bisogno di tutto, ho però deciso di concentrare i miei desideri – per il momento – sulla famigerata e pluripremiata Beauty Water di Son & Park. Perché? Perché riempirebbe, in effetti, una lacuna. Io la faccia me la lavo, la mattina, ma una specie di tonico da passare per preparare la pelle al trucco e alle altre creme e cremine non mi pare una cattiva idea, soprattutto se promette anche di esfoliare e uniformare un po’. Quanto costa? Un botto. Ecco perché è qua in wishlist e non nell’armadietto del bagno.

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Sono andata a vedere Jurassic World – Il regno distrutto. Il film è un po’ un pastrocchio, secondo me, ma in questo momento abbiamo altre priorità. Perché là fuori esiste un pacco formato famiglia di Lego Brick Headz con Owen e Blue. E per constatarne la magnificenza non ci serve essere spettatori pensanti e/o critici. Basta aver visto i video di Owen che si aggira per la nursery dei velociraptor. LEGATEMI ALL’ALBERO MAESTRO E TURATEMI OCCHI E ORECCHIE. HO BISOGNO DI QUESTI COSINI.

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Avrò desiderato a sufficienza? Giammai, lo ben sappiamo. Ma per questa settimana direi che possiamo concludere. Felice sfondamento di salvadanai a tutti quanti!

Chi bazzica da queste parti già da un po’ conosce bene le difficoltà calzaturiere che mi assalgono puntualmente all’inizio di ogni stagione estiva, protraendosi implacabilmente fino al sopraggiungere dell’autunno. Me ne lamentavo nel lontano 2016, ma il trascorrere dei mesi non ha di certo eliminato il problema. Perché sarà anche vero che il tempo lenisce ogni ferita, ma l’antico adagio non si applica alle bolle che ti vengono quando ti metti i sandali per la prima volta – o per le ennemila volte successive, se è per quello. Trovare dei sandali che non mi affettino le estremità è una delle grandi missioni della mia vita – insieme alla ricerca del pantalone nero perfetto -, perché ho i piedi di margarina e un’andatura che evidentemente produce attriti ancora sconosciuti alla biodinamica. I due fattori, combinati, mi condannano a trascorrere l’estate con la borsetta piena di cerotti e il cuore che trabocca d’odio sincero per tutte le commesse che mi hanno mentito con i loro solertissimi GUARDI POI DIVENTANO MORBIDE SONO DAVVERO COMODE LE HO PRESE ANCH’IO.
Brava, buon per te.
Io sembro una vittima dell’Enigmista.

Comunque.

Siamo qui per due ragioni, principalmente.
Uno. La vita è troppo breve per avere mal di piedi. Ed è ora di smetterla di zoppicare sul selciato cittadino, offrendo spettacoli splatter agli incolpevoli passanti e sognando di poter tornare a casa il più presto possibile per potersi finalmente dedicare a pediluvi ristoratori.
Due. La vita è troppo breve per andare in giro con le scarpe brutte. E qui penso non siano necessarie ulteriori elaborazioni del concetto.

tegamini.francescacrescentini.scholl.shoes.loveeverystep.christianfregnanHo tagliato i capelli di ben tre dita, io ve lo dico.

Quando hai una grana che ti pare non abbia soluzione, tendi a diventare molto ricettiva. Accogli consigli di ogni genere, riponi una fiducia del tutto inedita nelle esperienze altrui, ti apri al metodo sperimentale con la speranza incrollabile di chi ha ricevuto una condanna ingiusta.
Ecco, io ho deciso di dare retta a Scholl. E di provare a farmi soccorrere da loro. Sarò (mio malgrado) molto sincera: avevo delle riserve. Perché Scholl, in casa mia, corrispondeva agli zoccoli che MADRE ha portato per decenni al mare e in campagna. O, al massimo, alle scatole gialle che vedevo nel negozio di ortopedia a cinquanta metri da casa, quando andavamo a comprare una pancera nuova per mia nonna Lelia. Insomma, che le scarpe Scholl fossero comode e ben studiate era universalmente risaputo, ma non ero molto fiduciosa riguardo alla componente estetica. Perché sì, sono una ragazza superficiale e nella vita ho spesso comprato calzature ingestibili solo perché erano incredibilmente carine – per poi lamentarmene con veemenza. Che devo fare, ognuno ha le sue aree di imbecillità.
Ma torniamo al processo decisionale.
Scholl mi ha proposto un bel progetto, ma tentennavo un po’. Poi mi hanno mandato il catalogo primavera/estate e mi sono resa conto che potevo anche smetterla di preoccuparmi come una Paris Hilton qualunque. Perché la collezione è molto bella, molto “varia” e sicuramente adatta anche a chi ha meno di ottantaquattro anni. Anzi, è una collezione studiata principalmente per sostenere chi macina chilometri dalla mattina alla sera, con l’ambizione di rincasare coi piedi interi e, possibilmente, di potersi servire di calzature gradevolissime alla vista.
E mandatemi queste scarpe, allora. Se mi risolvete il problema vi sarò grata per l’eternità.

Il primo modello che ho collaudato è questo qua. Si chiamano Elara e sono di un colore incredibilmente allegro per i miei tetri standard. Quando c’è fiducia può capitare. Ma no, basta scarpe nere, datemi quelle rosine!

tegamini.schollshoes.milano.christianfregnanCi siamo a lungo interrogati sulla possibilità di utilizzare la poltroncina, ma non volevamo essere troppo invadenti col gentile e ospitale fioraio.

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Come tutte le calzature Scholl, anche le mie possono fregiarsi di dettagli studiatissimi. Progettazione biomeccanica – sono loro che si adattano a voi e non il contrario, favola! -, soletta antiscivolo, altezza del tacco anti-mal di schiena, mille test sulla calzata, tecnologia Bioprint per la suola – che favorisce la stabilità supportando bene l’arco del piede – e zeppa che sembra di legno ma che in realtà è leggerissima – perché è di sughero naturale. Sono adatte anche a chi ha la pianta larga – tipo me, che ho dei piedi che sembrano pale per la pizza.

francesca.crescentini.tegamini.scholl.scarpe.christianfregnanQui mi stavo domandando perché mai l’anno scorso non ho comprato una borsa di paglia.

tegamini.francescacrescentini.schollshoes.milano.IG.christianfregnanMADRE mi diceva sempre di guardare bene dove mettevo i piedi. Sono una figlia molto obbediente.

Visto che la mia indole è scrupolosa e diffidente, ho deciso di testare le Elara su varie superfici. Milano offre infinite opportunità di inciampo e ci mette quotidianamente alla prova con terreni sconnessi, pavé, sassetti tondi e marciapiedi sbilenchi. La passeggiatina è stata piacevole, ammortizzatissima e assai confortevole. Le fasciotte dei sandali sono di una morbidezza che non vi so ben raccontare. Per la prima volta nella vita, poi, ho avuto l’opportunità di intrattenere gli astanti mettendomi in posa in mezzo alla strada come una che sa quel che fa. Nella mia testa risuonava costantemente la voce di Paolo Bonolis che commenta la sfilata finale di Ciao Darwin, ma ho deciso di procedere a testa alta, limitandomi a scoppiare a ridere di tanto in tanto.

tegamini.francesca.crescentini.schollshoes.feltrin.milano6.christianfregnanUn sentito ringraziamento alla Ka alle mie spalle, che ha un po’ rovinato la poesia.

tegamini.francesca.crescentini.schollshoes.milano.feltrin.christianfregnanGuarda là, la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno!

tegamini.francescacrescentini.schollshoes.loveeverystep.milan.IG.christianfregnanModello Giuditta. E qui Paolo Bonolis risuonava potente nel mio cranio.

tegamini.francescacrescentini.schollshoes.milan.IG.christianfregnanCercare su Google “rimozione forzata Ka”.

tegamini.francescacrescentini.schollshoes_official.librini.christianfregnanLasciarsi sospingere in via Scaldasole da solide brame libresche – segnalo edizione ambitissima della “Regina dei dannati” di Anne Rice sulla panchetta lì fuori.

Insomma, sono contenta e mi sono trovata bene. Non avrò mai un futuro da modella, ma di sicuro potrò contare su un paio di scarpe rispettose delle mie estremità e del mio bizzarro senso estetico. Il che è molto positivo, visto che Scholl mi farà compagnia per un po’ di tempo. Abbiamo in programma un’altra avventura sul Naviglio – perché se riesci a percorrere quella pavimentazione senza impazzire sai di poter fare qualsiasi cosa – e, più avanti, anche il collaudo della collezione autunno/inverno. Nel frattempo, però, pensiamo al caldo che incombe. Volete farvi del bene? Date un occhio alla collezione estiva. È la volta buona che riusciremo tutte quante a sentirci carine facendo a meno dei cerotti. Estate, non ti temo!

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Credits
Foto del pazientissimo e ADORABILE Christian Fregnan.
Trucco della portentosa Anna, una metà delle Feltrin.
Il fioraio bellissimo è Clori, in piazza Sant’Eustorgio.

Che belle queste robe a cadenza settimanale che poi faccio un po’ quando capita. Che organizzazione, signora mia. Pugno di ferro. Disciplina. Un calendario editoriale fra i più coriacei dell’internet!
Tralasciando le mie difficoltà esistenziali e pianificatorie, però, i desideri non ci abbandonano. Anzi, si moltiplicano e ci assistono. Che cosa sto bramando ultimamente? Ecco qua un po’ di cose.

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Sto entrando prepotentemente in modalità-sandali e/o scarpe pazze per l’estate. Meglio se prodotte da calzaturifici storici della Riviera del Brenta, perché “questo è il luogo dove i maestri delle botteghe artigiane hanno creato le scarpe per Dogi e Principesse” – recita il CHI SIAMO di Pas de Rouge. Dogi e principesse! E pure noi, adesso. La collezione estiva sembra un incrocio fra le scarpe delle guerriere Sailor e una specie di sogno pastelloso pieno di bottoncini e stringhine. Amo tutto e voglio approfondire.

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Orbene, due designer newyorkesi – Jesse Reed e Hamish Smyth – hanno fondato nel 2014 un marchio editoriale indipendente con uno scopo ben preciso: archiviare e conservare pietre miliari della storia del design in modo da poterle rendere disponibili alle generazioni future. Standards Manual propone, dunque, ristampe di manuali grafici di particolare rilevanza e raccolte tematiche che esplorano una specifica corrente estetico-funzionale. Sono libri assurdi, super curati e fascinosissimi. E il NASA Graphics Standards Manual del 1975 mi fa iperventilare copiosamente.
Cioè.

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Ho deciso che il minimalismo non fa per me. Datemi dunque vestitini gonfi, maniche arroganti, gonne voluminose e arricciamenti boriosi di stoffe. Insomma, datemi un po’ tutto quello che c’è sul sito di Le’One.

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Non si sa per quale ragione, ma Lavazza ha deciso di dedicare un’edizione limitata delle sue macchine del caffè Jolie Plus a Star Wars. Ma non solo a Star Wars così, in generale, al Primo Ordine proprio. Il risultato è una macchina del caffè che non credo faccia niente di più di una Jolie Plus normale… ma che di sicuro starebbe bene sul ponte di comando di un sano Star Destroyer.

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Quando ci siamo conosciuti, Amore del Cuore aveva l’abitudine di scarrozzarmi in giro a bordo della MINI decappottabile che condivideva con sua sorella. L’Alice, ai tempi, ha dovuto fare a meno della sua automobile per numerosi weekend – perdonami, Alice! -, perché Amore del Cuore mi portava continuamente al mare, facendomi ascoltare Rino Gaetano a palla e scappottando ogni volta che il clima lo consentiva. Credo sia da lì che è nata l’ambizione di imparare a mettermi dei foulard in testa come una vera signora.

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Il Disney Store mi ha regalato un Funko Pop e sento di volermi abbandonare a un collezionismo sfrenato. Non so perché quei cosini siano così amabili e nemmeno mi capacito del grado di estensione della gamma dei giocattoli disponibili, ma non importa. Prima o poi dovrò cominciare – ma magari non precisamente dalla Diva Plavalaguna, che ormai è introvabile e costa tipo 90 IUROS. Qualcuno è vittima di un pesante invasamento per questi aggeggi? Come ci si comporta? Che devo fare? Quanti ne avete? Pensate di poterne uscire, prima o poi? Perdiamo il senno insieme.

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Avrò desiderato a sufficienza?
Giammai!
Alla prossima puntata – che non so quando capiterà, ma capiterà.
Giuro.

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Non so che cos’abbia di speciale la spiaggia, ma in spiaggia si legge a una velocità supersonica. Nessun altro luogo, contesto o stato d’animo è vagamente paragonabile. Mi stendo al mare e, nonostante il sudore, gli esuberanti COCCOBELLI – l’argomento di vendita dell’estate 2017 era il seguente: COCCOBELLO TI TIRA IL PISELLO! -, le anziane che enumerano a gran voce i loro guai e i bambini che protestano perché secondo le loro madri non è praticamente MAI il momento di fare il bagno, ecco – nonostante tutti questi insormontabili ostacoli, io leggo. Molto rapidamente.

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Qui, in ordine di apparizione, troverete tutti i libri – non molto voluminosi, perché avevo bisogno di una botta d’autostima – che ho fagocitato al mare nelle due ore scarse che mi è talvolta capitato di trascorrere in spiaggia mentre Minicuore dormiva e i nonni o il papà vegliavano su di lui.

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Michele Mari, Leggenda privata
Einaudi

Mai ci fu libro meno ombrellonabile di questo, ma in Sardegna sono riuscita a portarmi in spiaggia un Millennio, quindi nulla può più spaventarmi. Comunque. Leggenda privata è un’autobiografia labirintica che procede per mostri e ossessioni, passioni (più o meno disdicevoli) e spettri in agguato nell’ombra. Se amate Mari – come non posso esimermi dal fare – questo libro diventerà uno dei vostri incubi più interessanti. Quel che è certo è che non guarderò mai più un uovo sodo con gli stessi occhi.

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Silvia Bencivelli, Le mie amiche streghe
Einaudi

Silvia Bencivelli – giornalista scientifica – ha scritto un libro per mandare garbatamente a quel paese chi, all’improvviso, decide di abbandonarsi all’irrazionalità più assoluta. Dalla dieta del gruppo sanguigno ai rituali esoterico-alternativi per far girare dalla parte giusta i bambini podalici, dai vaccini all’oroscopo, Alice – la protagonista – passa in rassegna le stupidaggini più clamorose del nostro tempo, nel tentativo (forse troppo ottimistico) di aiutarci a rinsavire e di rispondere a una domanda dalle conseguenze potenzialmente devastati: perché, di grazia, LA GENTE crede a queste colossali cretinate? È un libro godibile e arguto, che risponde a un nobile intento. Vorrebbe essere un romanzo, ma non mi sembra che ci riesca moltissimo. Prendetevi quel che c’è di buono.

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superzelda

Tiziana Lo Porto e Daniele Marotta, Superzelda
Minimum Fax

Si sa, ai casi editoriali ci arrivo sempre con almeno un paio d’anni di ritardo. Comunque, Superzelda è la biografia disegnata di Zelda Fitzgerald, donna imprevedibile e turbolenta, appassionata e anticonformista, splendente e folle – sia in senso metaforico che clinico. Avrei potuto dire “Zelda Fitzgerald, la moglie di Francis Scott Fitzgerald”, ma un “moglie di” con lei non avrebbe funzionato. È una storia di creatività, difficoltà quotidiane, squilibri, talento, inquietudini e violente oscillazioni, scritta e disegnata a partire da un grande lavoro di documentazione e ricostruzione. Com’era davvero Zelda? Chissà, forse non lo sapeva nemmeno lei. Con questo libro, però, mi piace pensare di essere riuscita a conoscerla almeno un po’. Magari di sfuggita, a una festa che dura da tre giorni.

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exit west

Mohsin Hamid, Exit West
Traduzione di Norman Gobetti
Einaudi

C’è già un #LibriniTegamini, ma ripetere quanto questo libro sia straordinario non fa mai male. Hamid esplora il tema della migrazione e della fluidità delle società globali attraverso una storia d’amore che nasce nel momento meno propizio, in un paese sull’orlo del baratro, spaccato da una guerra civile che spazzerà via ogni speranza di normalità. I due protagonisti, come tanti altri, scelgono di abbandonare il loro mondo per avventurarsi verso l’ignoto, attraversando clandestinamente una delle tante “porte” che conducono verso un altrove incerto. È un romanzo prezioso, saggio e umanissimo… e sospetto sia anche la cosa più bella che leggerò quest’anno.

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piastrellista

Lars Gustafsson, Il pomeriggio di un piastrellista
Traduzione di Carmen Cima Giorgetti
Iperborea

La nuova collana Luci – con copertine infallibilmente bellissime – raccoglie i titoli che hanno contribuito, negli anni, a fare la storia di Iperborea. Il pomeriggio di un piastrellista è una specie di trionfo di mestizia scandinava. Racconta la giornata di “lavoro” di un vecchio piastrellista solitario, impegnato a sistemare un bagno in una casa sinistra e apparentemente disabitata. È una storia di abbandono e rimpianto, isolamento e bottiglie vuote, equivoci e menti ingarbugliate dal tempo. Non sono in grado di capire se mi sia piaciuto o no… perché non capita spesso di trovare un libro capace di emanare una malinconia così contagiosa.

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sofia

 Paolo Cognetti, Sofia si veste sempre di nero
Minimum Fax

C’è un #LibriniTegamini, ma diciamo due cose anche qui. Sofia si veste sempre di nero è un romanzo di formazione, credo. O una raccolta di racconti. O una riflessione collettiva sui legami che stringiamo e su come ciascuno di noi scelga di costruirsi un rifugio sicuro. Ogni capitolo è affidato a un personaggio o a una voce diversa. Tutti, in qualche modo, hanno fatto parte della vita di Sofia e, nel raccontarla – inseguendola, fraintendendola, allontanandola o salvandola -, spalancano una finestrella sul loro mondo, sui compromessi che hanno accettato e sui tentativi di afferrare un po’ di felicità. O di pace, almeno. Bello? Bello.

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hoban leone

Rusell Hoban, La ricerca del leone
Traduzione di Adriana Motti
Adelphi

Un padre che fugge dalla vita che ha sempre conosciuto e un figlio che lo insegue, cercando la propria strada. Due personaggi che si spostano, divergendo per poi ritrovarsi, sulla mappa di un mondo che sembra non avere più zone inesplorate o misteri da scoprire – leoni a parte. La ricerca del leone è un romanzo che trasforma la quotidianità in mito, in una fiaba avventurosa che ridisegna confini e luoghi per rovesciare all’esterno – e rivestire di denti e pelliccia dorata – i nodi irrisolti che ci appesantiscono il cuore. È un libro strano e misterioso… e non somiglia a nient’altro.

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kureishi

Hanif Kureishi, Uno zero
Traduzione di Davide Tortorella
Bompiani

Un anziano regista malmessisimo – sedia a rotelle, pannolone, bava alla bocca e compagnia danzante – si ritrova in casa un ambiguo figuro che procede spedito a trombargli l’adorata moglie, puntando al patrimonio. Waldo, però, non è un vecchio scemo… e non ha la minima intenzione di tollerare in silenzio lo scempio che si sta consumando sotto al suo naso. La vendetta, per quanto caotica nel metodo e dolorosa da infliggere, sarà inesorabile. È un libro amarissimo che contiene una specie di compendio dei nostri istinti più bassi: nessuno è innocente (e nessuno sembra esserlo mai stato, specialmente in amore) e da tutti, prima o poi, potrete attendervi una battuta devastante o una perla di limpidissimo cinismo.

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sirene

Laura Pugno, Sirene
Marsilio

A ogni pagina di Sirene mi sono domandata MA CHE DIAVOLO STO LEGGENDO. Non sono uno spirito facilmente impressionabile, ma PORCA MISERIA CHE COSA STA SUCCEDENDO. Ebbene, in un futuro imprecisato dove l’umanità cuoce sotto a un sole malevolo che divora l’epidermide, la gente campa male e la Yakuza (che vi devo dire) prospera. Samuel, il nostro valoroso protagonista, lavora in uno stabilimento dove le sirene vengono allevate e macellate. Perché sì, ci sono le sirene, le sirene non somigliano per niente ad Ariel – sono solo vagamente umane e non capiscono niente – e le sirene sono buonissime da mangiare. Anzi, tutti hanno completamente perso la brocca per le sirene. Samuel, un bel giorno, decide di accoppiarsi con una sirena dell’allevamento – SAMUEL SANTO IDDIO SANTISSIMO -, devastandosi irrimediabilmente la vita e innescando una catena di eventi che non faranno che confondervi, terrorizzarvi e spappolarvi il cervello ancora di più. Non so come abbia fatto Laura Pugno a inventarsi un simile mindfuck-zoologico-apocalittico-tarantinian-manghesco, ma mi sono divertita moltissimo. Anche se mi è venuto da vomitare a più riprese.

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reza

Yasmina Reza, Felici i felici
Traduzione di Maurizia Balmelli
Adelphi

Mogli, mariti, figli, amici, amanti. Una galleria di personaggi che si muovono sul grande palcoscenico della nevrosi quotidiana. Ogni capitolo è affidato a un personaggio diverso e ogni storia contribuisce a stringere o azzoppare legami, fiducia e speranze, in una sorta di gigantesco mulinello di tradimenti, confidenze e compromessi. Un romanzo “teatrale”, che racconta con allegra amarezza tutto quello che non osiamo dire. Nemmeno sottovoce.

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arminuta

 Donatella Di Pietrantonio, L’Arminuta
Einaudi

Che meraviglia. Che splendida scoperta. L’Arminuta è un libro vivissimo, pieno di una grazia terribile. La farò breve: siamo in Abruzzo. Una ragazzina di tredici anni, un bel giorno, viene scaricata con una valigia in mano sulla soglia di una casa mai vista prima. È la casa della sua famiglia, una famiglia povera e numerosa che non l’ha cresciuta ma che ora è chiamata a riprendersela, una famiglia di perfetti sconosciuti. L'”Arminuta” – la ritornata – dovrà venire a patti con una realtà di cui non sospettava l’esistenza, ricucendo lo strappo dell’abbandono e ritrovando un po’ di terra da mettere sotto ai piedi. È un romanzo affascinante e doloroso, tenace e sanguigno, scritto in una lingua precisa e schietta, ricca di registri e sfumature diverse, di sapori e di ricordi amari. Una gioia.

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E questo è quanto, cari tutti.
Avete letto qualcosa di bello quest’estate? Consigliate! Consigliate!