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Se ti tagli una tibia, cadendo da un gradino come una voluminosa oca, ti ritroverai seduta per terra con in mano un flacone d’acqua ossigenata e la testa affollata da ricordi e domande. Ti chiederai se i giganteschi frammenti di calza rimasti intrappolati nella ferita finiranno per scatenare una cancrena che provocherà l’amputazione del tuo utile arto, appena sotto il ginocchio. Ti chiederai anche, sempre che la gamba si salvi, se ti rimarrà il segno. Ti chiederai se devi in qualche modo intervenire nel processo di cicatrizzazione o se il tuo unico incarico sarà di non rompere le balle, lasciando che la natura faccia saggiamente il suo corso. Ma più di ogni altra cosa, ripenserai alle eroiche piastrine di Esplorando il corpo umano.

Un buon 90% di quel che so del mio organismo e di quello del mio prossimo si fonda su Esplorando il corpo umano. Non ne vado fiera, ma neanche mi vergogno. Mi vergogno solo di non aver mai avuto la santa pazienza di montare tutto lo scheletro, quello sì. Un giorno, non si sa come, lo stomaco è andato perso e da lì è iniziato lo sfacelo. Scapole ciondolanti, piedi al contrario e via così, non c’era più motivo di continuare. Nonostante la sconfitta modellistica, videocassette e fascicoli hanno plasmato la mia giovane mente, trasformandomi in una venticinquenne che ancora si immagina i mitocondri come dei fornetti a legna e i neurotrasmettitori che corrono di qua e di là con le pergamenine in mano. Ed è una cosa bella, perchè quando salta fuori una sana idea divulgativa, il sapere trasmesso riecheggia sereno nell’eternità. E da questa affermazione potremmo quasi generalizzare che Piero Angela non può morire, ma non è il momento.
Comunque, si parlava delle piastrine di Esplorando il corpo umano. Neanche alle Termopili si è vista una dedizione pari a quella delle piastrine di Esplorando il corpo umano. Se ci pensiamo bene, tutti gli altri abitanti dell’organismo svolgono sì il loro lavoro con impegno, ma un po’ come facciamo anche noi. Ci si lamenta, si trascinano i piedi, si sbuffa se c’è da faticare più di tanto, si guarda con insistenza l’orologio, si va dai colleghi a raccontare quanto stiamo lavorando e si fa a chi è più esausto, ci si iscrive a competizioni sulla profondità dell’occhiaia e cose del genere. Tornando al sistema circolatorio, esempio lampante e innegabile di questo diffuso malcostume è il Globulo Rosso Grasso. Un po’ sempre, ma soprattutto quando trasporta anidride carbonica, il Globulo Rosso Grasso è di una pesantezza inaudita. Non fa un micron senza infliggere ai globuli circostanti un preciso resoconto di quanto sia spossato, demotivato, scazzato,  infelice ed esaurito. Di quanto gli pesi l’anidride, di quanto voglia arrivare ai polmoni il prima possibile, perchè così non gliela fa più, perchè lui è grosso e quindi gli mettono sulla schiena più anidride degli altri e lui non se la merita, tutta quella roba da portare in giro e insomma, morirà secco di fatica. E basta, Globulo Grasso, hai vicino il Globulo Vecchio, che ha millemila anni e inciampa nella barba, ma si sobbarca la sua anidride senza fare tante storie, e che sarà mai, mica c’è in giro la leucemia, cammina e taci, trombone lamentoso che non sei altro.

Ecco, da una piastrina non si avrà mai e poi mai un comportamento da Globulo Grasso. La piastrina è al mondo per salvare tutti gli altri. La piastrina darà la mano alle altre piastrine per costruire un ponte o tappare una falla o sottrarre un vaso sanguigno dal collasso… e lo farà con gioia, lo farà con allegria ed efficienza, si arrampicherà e incastrerà finchè il solido muro di piastrine, con tutte le loro faccine ben disegnate una ad una diventerà una campitura rossa indistinta e vorrà dire che la singola piastrina non esiste più, ma è diventata una molecolina inscindibile in una cosa più grande e nobile.  E mi ricordo che da piccola, quando finalmente si creava questo impenetrabile muro indistinto e il corpo era salvo, mi mettevo a piangere a dirotto davanti alla tv. Piangevo forte per le eroiche e anonime piastrine, che si sacrificavano col sorriso sulle facciotte tonde, agitando le cinque sei o quante mani sono, perdendo se stesse senza sentire uno straccio di grazie, perchè quello era il destino della piastrina, creata per compattarsi alle altre e proteggere tutti dal dissanguamento.
Insomma, tutto questo sta capitando sulla mia tibia tagliuzzata.
Proprio lì… e ora sono molto commossa.